Abbazia di Rosazzo, Dicembre
2005
Conclusa la Mostra di scultura di Novello Finotti l’11 dicembre, gli
Amici di Vetren hanno allestito nella Sala degli Affreschi dell’Abbazia
una Mostra fotografica dal titolo “Uno sguardo oltre…”, dedicata
all’opera umanitaria realizzata dai nostri volontari in cinque anni di
lavoro in Bulgaria.
E’ a cura di Barbara Andriolo di Osoppo,
un’artista volontaria che ha operato a Vetren e che ha documentato, con
splendide foto, la vita nuova che tanti nostri amici hanno reso
possibile ai cento piccoli bulgari.
La Mostra, analoga a quella svoltasi lo scorso
anno presso il Castello di Udine, Sala della Contadinanza, si inaugura
oggi, domenica, alle 19.00. Rimarrà aperta fino al 31 gennaio,
visitabile nell’orario di apertura dell’Abbazia (9-12, 15-18).
Inaugurazione della mostra
Gastone Piasentin, Barbara
Andriolo, don Dino Pezzetta ed Ezio Cleri
Una Nota natalizia - Tra quei bambini riportati sulle gigantografie, c’è
anche Sasho (Alessandro), un piccolo nato con una gravissima
malformazione al piede e che le nostre signore hanno voluto a tutti i
costi venisse operato. I dottori del Gervasutta di Udine (Di Benedetto e
D’Osualdo) si sono recati, con i dirigenti della nostra Associazione, in
Bulgaria ed hanno visitato il bambino e preparato le condizioni
dell’intervento. Una ditta specializzata del Pordenonese ha realizzato
la protesi. Tutti sono intervenuti gratuitamente. Nei prossimi giorni
anche Sasho potrà correre, vivere ed aprirsi al futuro come tanti suoi
amici nati più fortunati. Grazie, amici.
Per offerte alla ONLUS "PER VETREN":
Banca di Credito Cooperativo di Manzano c/c 10000 ABI 8631 CAB
63930
Uno sguardo oltre...
Quasi un centinaio di bambini ospiti dell'orfanotrofio di Vetren, dai
più piccoli con pochi giorni di vita ai più grandi di tre anni,
attendono con ansia di vedere entrare nelle loro stanze le donne del
gruppo dei volontari o le infermiere assunte dall'istituto per
accudirli.
I piccoli ospiti che fino a poco tempo fa dormivano in
lettini con le sponde in ferro, dove spesso la vernice bianca era
scrostata dal tempo e dall'usura, ora possono godere di lettini in legno
molto confortevoli, grazie alle donazioni raccolte dalia Associazione "Onlus
per Vetren".
E sempre grazie ai lavori di ristrutturazione
dell'edificio ogni anno è assicurata loro una vita in ambienti sempre
più accoglienti e confortevoli, con pavimenti nuovi, serramenti rifatti
che non lasciano più entrare spifferi durante i rigidi inverni, ampi
corridoi, stanze per i giochi, un'infermeria attrezzatissima, cucine
nuovissime da far invidia ai nostri ristoranti, una lavanderia con
macchinari moderni che sono sempre in funzione per lavare montagne di
tutine e vestitini che ogni giorno si ammucchiano nei cestoni.
Sicuramente le condizioni di vita dei bambini sono
migliorate nettamente grazie alle opere di ristrutturazione. Malgrado
ciò colgo sguardi tristi, piccoli occhi che piangono, che chiedono
amore, un biberon da succhiare, occhi che sperano un abbraccio, un sonno
ristoratore e sogni tranquilli... e forse una famiglia dove essere
accolti. Ma anche sguardi dolci e carichi di gioia e gratitudine per
aver ricevuto anche solo per un attimo una piccolissima attenzione.
Sento anche adesso una stretta al cuore quando ripenso
a quei bambini e a come ti si avvinghiano e ti stringono forte con le
braccio e le gambine quando li tiri su dal lettino o da questi grandi
box dove condividono lo spazio con altri 10-12 coetanei.
Abituati a trascorrere la maggior parte delle giornate
nei lettini e a guardare il mondo tra le sbarre delle sponde, aspettando
l'ora della pappa, quando un'infermiera entra con un vassoio enorme dove
sopra ci sono tutti i biberon, in riga come tanti soldatini, e in un
batter d'occhio i bimbi finiscono il proprio e cercano di prendere
quello del loro amico vicino.
Per i più grandini vengono distribuite delle ciotole in
alluminio con una pappa che sicuramente i nostri bambini italiani,
abituati ad ogni ben di Dio, non troverebbero affatto invitante.
Ma per questi piccoli ospiti dell'orfanotrofio ogni
giorno trascorre uguale, e quando le donne italiane giungono al loro
istituto è per loro una gran festa perché c'è sempre qualcosa di nuovo
da scoprire, una nuova canzone da ascoltare, un girotondo nel parco
nelle giornate estive, una scatola piena di bandone colorate, un
telefono rotto che si trasforma per loro in un gioco nuovo. E le piccole
vasche di plastica che abbiamo riempito d'acqua e portato in giardino,
per far trovare loro un po' di refrigerio, nei caldi pomeriggi estivi,
si trasformano in catini dove Mimi gioca a togliere i vestiti suoi e
quelli del fratellino e a metterli in ammollo per lavarli.
Ogni cosa per loro è una novità, come le pere
dell'albero vicino al parco giochi che erano maturate da poco ed erano
cadute e qualche bambino si è riempito le tasche e il berretto per
portarle in camera, Nenca distribuiva ai suoi amici, Sonia invece ne ha
mangiate così tante da farsi venire un gran mal di pancia. Ma ciò che
più di ogni altra cosa mi ha riempita di stupore è stato cogliere lo
spirito solidale di questi bambini e il loro forte senso di condivisione
di ogni cosa.
Abituata a vedere i bambini del nostro mondo, di
sfrenata materialità, bambini viziati dalla quantità di giochi,
vestitini alla moda, regali di ogni sorta, pronti ad affermare su tutto
il loro possesso e la loro proprietà (non vuoi essere un giudizio ma una
semplice constatazione) mi ha certamente commossa vedere i bambini
dell'orfanotrofio scambiarsi le scarpine, i vestiti, i giochi. Ed ogni
cosa era di tutti.
Una scena è particolarmente impressa nella mia memoria: il pianto di una
bambina consolato da una carezza fatta dalle dolcissime mani di una sua
compagna di stanza appena più grande. Sono rimasta incantata a guardare
queste due piccole anime schiudersi in un sorriso per l'amorevole gesto
fraterno scambiato.
O come quel pomeriggio nel parco, quando spingevo sul
grande dondolo alcuni bambini cantando loro una canzone in italiano che
da due giorni mi tornava in mente, sempre la stessa, dopo averla
ripetuta una decina di volte mi sono distratta a guardare altrove, e
dopo alcuni minuti mi sono sentita tirare per la maglia, ho abbassato la
testa e Jackson, appena ha incrociato il mio sguardo, ha continuato la
canzone esattamente da dove un momento prima io avevo smesso.
Tanti sono i momenti che mi hanno commossa ma sia per
la loro sacralità e la loro bellezza, sia per riuscire a viverli fino in
fondo, non li ho ripresi con la macchina fotografica ma sono ben
impressi nella mia memoria e nel mio cuore.
In questo momento ripenso a tutte le immagini custodite
nella mente e riguardando le fotografie dei bambini mi piacerebbe tanto
potessero per un attimo prendere vita e gli occhi tristi dei nostri
piccoli amici potessero liberare le lacrime che trattengono, narrando
così la storia di ognuno di loro. Una storia che per i più fortunati è
"solo" triste, per tanti, invece, è davvero drammatica.
Come la storia di Anelia e di suo fratello, entrambi
ospiti dell'istituto, non come orfani ma lì parcheggiati dai genitori
naturali (mi si conceda questo termine).
E come loro tanti altri che pur avendo una famiglia
vivono nell'orfanotrofio perché provengono da realtà ancora più povere o
con grosse problematiche.
Di tanto in tanto qualche genitore si presenta a fare
visita ma purtroppo non sono mai momenti piacevoli perché i bambini si
sentono ancora più. confusi e smarriti e non riconoscono certo il ruolo
di queste persone che hanno fatto da genitori solo per pochi giorni
della loro vita.
Il dramma di molti è che i genitori veri non concedono
i loro figli in adozione, togliendo loro la possibilità di una
condizione di vita migliore. Ciò significa che raggiunta l'età di 3-4
anni per questi bambini esistono solo 2 alternative: quella di essere
accolti in un altro istituto, in quanto rientrano in un'altra fascia
d'età, o quella di rientrare in famiglia. Sinceramente non saprei quale
delle due possibilità sia la peggiore.
Il dramma vissuto dalla coppia di fratelli di cui
parlavo prima mi è stato raccontato da Diana e da Nada, due donne
volontarie partite lo scorso ottobre.
Un bel giorno i genitori naturali dei due bambini sono
venuti all'istituto per riprenderli in famiglia ma la gioia di questa
unione è durata ben poco. Così dopo poco tempo il padre si ripresenta
all'orfanotrofio con l'intenzione di riportarli indietro ma lì vi lascia
solo la bambina mentre il fratello lo porta in un altro istituto. Cosa
la piccola Anelia abbia visto e vissuto in seno alla sua famiglia non
verrà forse mai raccontato dalle sue parole, ma i suoi occhi ancora più
tristi, il suo sguardo fisso nel vuoto, la sua mancanza di reazione a
qualunque stimolo, parlano da soli. I vestitini nascondono dei segni
neri lungo il suo corpo e il suo viso presenta delle cicatrici, che per
la loro forma fanno pensare a bruciature di sigaretta. La bambina vive i
suoi primi giorni, dopo il rientro, in una stanza in isolamento e passa
le ore seduta sul davanzale delle grandi vetrate che danno sulla
camerata dei bebé. Il suo sguardo è fisso, duro, la sua espressione
altera. Anche quando qualcuno entra nella sua stanza per portarle il
pranzo lei rimane immobile, non si lascia avvicinare, non abbassa mai la
testa, resta chiusa nella più totale diffidenza. Ogni persona adulta
percepisce il suo sguardo come una condanna. Solo gli infiniti tentativi
di Diana per riconquistare la fiducia della bambina avranno alla fine un
esito positivo. Solo lei riuscirà ad attirare la sua attenzione
trascorrendo interminabili ore dietro al vetro, con la mano aperta in un
saluto o nel tentativo di inviarle un bacio, poi là mano si posa sul
vetro e la piccola con molta titubanza allunga la sua. E' una grande
conquista ma il suo sguardo è ancora duro e immobile. Passeranno ancora
molti giorni ma alla fine, pur accettando solo la compagnia e le
amorevoli attenzioni della nostra volontaria, il suo viso si rallegra e
sulle sue labbra nasce un nuovo sorriso.
Al rientro dal suo viaggio, sarà proprio Diana, che per
15 giorni è diventata la mamma italiana di una bambina che non si sa con
precisione quali violenze fisiche e mentali abbia vissuti, a raccontare,
con la voce rotta dall'emozione, che il dono più grande l'ha ricevuto
proprio lei. L'esperienza con Anelia è stata la chiave che ha aperto una
grande porta ed un nuovo modo di sentire e di vivere la vita. Un modo
per andare oltre... Sarà proprio la fotografia di Anelia avvolta in un
asciugamano colorato ad ispirare il titolo della mostra fotografica.
C'è anche la storia di un bambino, Sasho, molto allegro
e vivace, nato con una malformazione alla gamba, lieve alla nascita ma
che crescendo è diventato un vero e proprio handicap fisico. Solo una
serie di operazioni chirurgiche potrebbero risolvere il suo problema.
Solo nella capitale, a Sofia, esiste una struttura e un equipe medica in
grado di fare il primo intervento ma i costi sono molto elevati e
l'orfanotrofio non è in grado di sostenerli. Oltre al problema economico
c'è quello dell'assistenza in ospedale. Essendo distante un centinaio di
chilometri nessuna delle donne assunte dall'orfanotrofio, per accudire i
bambini, può recarsi a Sofia e dedicarsi totalmente a lui, peraltro il
personale è già scarso nell'istituto.
Per ovviare e questo problema Nada considera la
possibilità di recarsi personalmente all'ospedale nell'eventualità che
divenga fattibile l'intervento in Bulgaria. Si pensa anche a portare il
piccolo in Italia e far eseguire l'operazione in un ospedale della
nostra zona (in Italia questo intervento è più comune).
Purtroppo l'unica possibilità di espatrio per il
bambino consiste nell'avviamento delle pratiche per l'adozione
internazionale. Ma per quanto numerose possano essere le coppie che
scelgono di adottare un figlio, molto rare sono quelle che in adozione
scelgono un bambino portatore di handicap.
Con l'intento di rendere omaggio ai bambini
dell'orfanotrofio ho scelto proprio loro quali protagonisti della mostra
fotografica, riservando anche una parte alla documentazione di alcuni
momenti di vita della gente del posto con una cultura e tradizioni
diverse dalle nostre.
Il mio GRAZIE va in modo particolare ai bambini
dell'orfanotrofio di Vetren per tutte le emozioni che mi hanno regalato,
con le loro lacrime e i loro sorrisi. Ma soprattutto per avermi permesso
di far ordine dentro me stessa, aiutandomi a vedere i veri valori della
vita e facendomi sentire davvero fortunata per avere la possibilità di
cambiare ogni giorno il mio presente e il mio futuro mentre la loro
unica speranza di cambiamento di vita è racchiusa nell'ADOZIONE.
"Uno sguardo oltre..." è il titolo scelto per la mostra e
tante sono le parole che potremmo aggiungere a completare questa frase.
Una parola in particolare mi viene alla mente: INDIFFERENZA.
"Uno sguardo oltre l'indifferenza" perché siamo tutti
fratelli e non è necessario conoscere la lingua del luogo per conoscere
una persona di terra straniera poiché il cuore sa quello che la lingua
non potrà mai pronunciare ne l'orecchio udire.
Barbara Andriolo
|