La Festa del Friuli per costruire l’Europa dei popoli
(William
Cisilino -
Messaggero Veneto)
Ogni ricorrenza è un’invenzione, un atto creativo che connette
all’oggi fatti piú o meno lontani. L’aspetto paradossale di questa
operazione è che si dà vita a un’illusione ottica: ci sembra di
parlare del passato, ma in realtà parliamo del presente a una platea
di contemporanei. Per questo chi sostiene, superficialmente, che il
3 aprile, Festa della Patria del Friuli, è una forma di “invenzione
della tradizione”, dice una cosa scontatissima, come il colore del
famoso cavallo di Napoleone. È invenzione, si capisce; come lo sono
la Festa del 4 novembre, del 2 giugno, del 25 aprile e cosí via. Ciò
che conta veramente è come un popolo sceglie le proprie ricorrenze e
quale significato attribuisce a esse. Su questo terreno la Festa del
Friuli può costituire, a fronte del riemergere dei nazionalismi
europei, un esempio positivo di identità inclusiva.
Friuli, nazione
proibita - Se prendiamo in mano quella summa della storiografia
positivista che è “La Storia del Friuli” del carnico Pio Paschini,
notiamo che al 3 aprile 1077 sono dedicate poche righe (su quasi
mille pagine). Potremmo formulare varie ipotesi sul perché, ma senza
venirne a capo. Ci è piú utile, credo, evocare il clima degli anni
in cui quel libro fu pubblicato: il 1934. Ebbene, esattamente in
quell’anno il ministro fascista dell’“Educazione Nazionale”,
Francesco Ercole, emanava un decreto per escludere definitivamente
le lingue minoritarie dalle scuole. Già da tre anni era sopravvenuto
il divieto assoluto per la stampa di usare la lingua friulana. Idem
per le funzioni religiose e il seminario. La stessa Filologica, a
rischio di chiusura, si salvò solamente grazie al suo presidente,
Pier Silverio Leicht, ministro di Mussolini. Con la liberazione, il
clima non cambiò di molto nei fatti. Per almeno altri 30 anni al
Friuli fu interdetta ogni legittima aspettativa al riconoscimento
della propria identità. Poi venne il Terremoto del '76 e i friulani
alzarono la testa.
L’intuizione di Pre
Checo - Il piú grande interprete del risveglio morale e politico
dei friulani terremotati fu don Francesco Placereani: persona
coltissima, appassionata, disinteressata, e, soprattutto, oratore
leggendario. Fu egli ad avere l’idea. Ai friulani serviva uno scatto
d’orgoglio, una festa nazionale per rivendicare il diritto a
mantenere e a sviluppare la propria identità. Ed ecco che
quell’episodio che Paschini aveva liquidato come secondario, per Pre
Checo diventa la testata d’angolo della rinascita del Friuli. È il 3
aprile 1977, esattamente 900 anni dalla costituzione dello Stato
patriarcale friulano, avvenuta a Pavia per mano dell’imperatore
Enrico IV. La prima “Fieste de Patrie” si fa ad Aquileia, anche
grazie alla macchina organizzativa del Movimento Friuli, ed è vera
festa di popolo. Una festa che, per quasi quarant’anni si rinnoverà,
con alti e bassi, fino ad arrivare, nel 2015, all’ufficializzazione
per legge regionale.
Una Patria inclusiva
- Pre Checo, come su tante altre cose, ha avuto naso. Intanto
perché quella data è davvero fondamentale per la nascita del Friuli:
è proprio in seguito alla Bolla imperiale del 3 aprile che il Friuli
incomincia a essere chiamato sistematicamente “Patria” e a
“diventare Patria”, vale a dire un territorio che condivide un
“ethos” comune. Inoltre, il richiamo ad Aquileia estirpa alla radice
ogni idea identitaria fondata sul sangue. Il Friuli-nazione si fonda
sul comune bagaglio di valori dei popoli che lo abitano (friulani,
sloveni e tedeschi). È una festa dove sfila la cultura, non gli
Schützen. Tutto ciò, nel solco del credo aquileiese. Ecco quindi
come un’antica pergamena del Medioevo può aiutarci, oggi, a non
cedere alle tentazioni nazionalistiche e a continuare a credere
nell’Europa dei popoli. |