Duomo di Udine (UD), 3 Giugno 2018
Chiesa di Santa Maria Annunziata

Festa multietnica del Corpus Domini
 5ª Giornata diocesana dei cattolici immigrati


...una veduta traversale prima della Messa...


         
CANTO E PREGHIERE DI APERTURA


Prima lettura proclamata in lingua twi per la comunità ghanese;
Salmo responsoriale proclamato in lingua portoghese (suore brasiliane);
Seconda lettura proclamata in lingua kirundi (comunità burundese).



ALLELUJA
(coro dei giovani universitari africani)


...immagini da varie angolazioni all'omelia di S.E. Mons. Andrea Bruno Mazzocato...




PREGHIERE DEI FEDELI



CANTO DI OFFERTORIO
(comunità ivoriana)


...alla liturgia eucaristica...


         
...canto alla Comunione della comunità rumena e nigeriana...


         
...preghiera a Santa Giuseppina Bakhita e benedizione finale...

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...due pose con l'Arcivescovo riprese dopo la Messa...

6 MILA IMMIGRATI CATTOLICI IN DIOCESI
(V.Z. - La Vita Cattolica del 30 Maggio 2018)

          UNA MOLTITUDINE di colori, un miscuglio di lingue e di tradizioni diverse, si incroceranno, domenica 3 giugno a Udine, per celebrare la 5ª «Giornata diocesana dei cattolici immigrati», scandita dallo slogan «tutti fratelli sotto il manto di Maria nostra Madre». Ad aprire l’appuntamento di festa sarà la solenne Eucarestia nella solennità del Corpus Domini. Le varie comunità di immigrati – ben 36 quelle presenti in diocesi – si raccoglieranno alle ore 10.30 in Cattedrale, attorno all’Arcivescovo mons. Andrea Bruno Mazzocato.
          Ghanesi, ivoriani, ucraini, indiani… vestiti a festa nei loro costumi tradizionali e in preghiera, l’uno accanto all’altro, si alterneranno nelle letture, nei canti, nelle invocazioni 6 mila cattolici. Chi sono gli immigrati che vivono fianco a fianco a noi nei nostri paesi? Da dove provengono e quanto sono integrati nelle nostre comunità? Innanzitutto un dato: gli stranieri, in diocesi, sono poco meno di 40 mila, di cui circa 6 mila i cattolici. «C’è una tendenza ad un leggero calo – riferisce Claudio Malacarne, della Commissione diocesana Migrantes –. Molti, evidentemente, hanno accusato il peso della crisi economica e si sono spostati in altre regioni e paesi o sono addirittura rientrati nei propri paesi d’origine». Un Friuli che sa integrare. Altro dato interessante, e più o meno intenzionalmente ignorato: «Sulla base degli indicatori ufficiali – lavoro, scuola, casa ecc.. – la nostra regione è tra quelle a più alto indice di integrazione – continua Malacarne –, una delle regioni più accoglienti. E questa sua caratteristica si rinnova di anno in anno a partire dagli albori del fenomeno migratorio massivo (anni ‘90 del secolo scorso)». È evidente, che al di là dei numeri non si può dire che ci sia un’apertura da parte di tutti, anche perché il megafono sui problemi della sicurezza minacciata dai migranti è sempre acceso. «Tuttavia in gran parte delle nostre realtà sociali ed ecclesiali l’integrazione è buona. E la Chiesa, in questo, ha un ruolo non indifferente».
          Africani e ucraini i più numerosi. In numeri assoluti, sommando tutte le nazionalità, le presenze più numerose di immigrati sul territorio sono quelle degli africani. A seguire ci sono gli est europei, soprattutto ucraini, polacchi, albanesi e rumeni. Tra questi ultimi c’è una grande componente ortodossa. Sono inoltre una presenza consistente, sebbene non organizzata, gli immigrati  provenienti dall’America Latina. Meno numerosi, ma comunque presenti, i filippini, e c’è anche una piccola presenza di indiani.
         Le celebrazioni nei quartieri Li incontriamo in parrocchia, a Messa, ma le varie comunità etniche hanno anche dei riferimenti propri a Udine dove celebrano nella loro lingua madre. Lecomunità africane, principalmente nigeriani e ghanesi (ma vi sono anche eritrei) fanno riferimento alla chiesa di San Pio X, in via Mistruzzi, dove celebrano la Messa ogni domenica. Sono una presenza stabile, e con un proprio sacerdote di riferimento (per la comunità ghanese il sacerdote è il direttore dell’Ufficio Migrantes, don Charles Maanu). Gli ivoriani si incontrano nella parrocchia di San Gottardo. Gli ucraini nella chiesa di S. Pietro martire, in via Paolo Sarpi. I polacchi, meno numerosi, celebrano regolarmente nella chiesa di San Bernardino da Siena, in via Ellero. I rumeni, nella loro componente cattolica di rito bizantino, nella chiesa di San Cristoforo, gli albanesi nella parrocchia di Gesù Buon Pastore, in via Riccardo Di Giusto. Questi ultimi sono molto integrati e tra le comunità etniche cattoliche presenti in Friuli sono gli unici ad avere un sacerdote di riferimento italiano: padre Giuseppe Marano. I filippini si incontrano presso l’istituto delle Suore della Provvidenza, in via Scrosoppi, una volta al mese. Infine gli immigrati provenienti dall’America Latina, sia di lingua portoghese che spagnola, hanno come punto di riferimento la cappella dei Saveriani in via Monte san Michele e celebrano una volta al mese. Qui si trovano anche tutti gli altri cattolici che non hanno una vera e propria comunità di riferimento, poiché i Saveriani celebrano tre messe in tre diverse domeniche, in spagnolo, portoghese e inglese.
          Il corteo e la riflessione Dopo la messa, domenica 3 giugno le comunità dei migranti con bandiere e costumi tradizionali formeranno un festoso e colorato corteo al ritmo di canti e tamburi, che attraverserà la città e raggiungerà la Fondazione Renati in via Tomadini. Qui si vivrà un momento di riflessione che prenderà le mosse dalla vita esemplare di Santa Giuseppina Bakhita, la prima immigrata proclamata santa, raccontata da due sue consorelle religiose canossiane del convento di Schio (Vi) nel quale è a lungo vissuta e dove ora riposa.
          In chiusura, prima del pranzo in comune, una testimonianza sulla tratta di esseri umani a cura della Caritas diocesana. «La moderna forma di schiavitù della tratta di esseri umani è strettamente connessa al tema delle migrazioni internazionali – commenta il direttore dell’Ufficio Migrantes, don Charles Maanu –: uno dei crimini in più rapido aumento nel mondo e una delle forme peggiori di violazione dei diritti umani, poiché riduce le persone a merci e perché viola in maniera profonda e duratura la dignità, l’integrità e i diritti della vittima, coinvolgendo intere famiglie e comunità, sfruttando volutamente situazioni di vulnerabilità come la povertà o l’isolamento».

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