...consideriamo
interessanti questi due articoli trovati in rete
riguardanti la chiesa di Sant'Osvaldo...
Chiesa di Sant’Osvaldo, 90 anni
in una mostra
(Messaggero
Veneto del 01 agosto 2014)
UDINE. La chiesa di Sant’Osvaldo compie 90 anni. E,
per festeggiarla, venerdì alle 19, nella cappella di
via Basaldella, sarà inaugurata la mostra “1924/2014
da 90 anni l’eucarestia è al centro della nostra
parrocchia”, per ripercorrere quasi un secolo di
storia dalla costruzione dell’edificio, ma anche
come spunto di riflessione su uno dei momenti più
importanti per la comunità cristiana, ovvero
l’eucarestia.
Una storia per immagini
che si snoda lungo tutto il Novecento, attraverso le
foto ricordo delle prime comunioni a partire dal
1913 fino a oggi. Il lavoro di reperimento
delle
immagini è durato mesi e oltre ad aver impegnato gli
organizzatori della mostra, Massimo Turco, Ilaria ed
Elisa Bertoli, piano piano ha coinvolto l’intera
parrocchia di Sant’Osvaldo. A partire dagli archivi,
sono stati rintracciati i bambini e sono state
recuperate sia vecchie foto, grazie all’aiuto di
alcune famiglie che le avevano conservate, sia altre
più recenti, per arrivare a completare tutte le
annate, con immagini anche singole nei casi in cui
non si riusciva a trovare gli scatti di gruppo.
Oltre alla foto più antica, del 1913, la mostra,
composta da sei pannelli e cento immagini, riserva
altre “chicche”: in un viaggio dal bianco al nero ai
colori, si nota come per molti anni maschi e femmine
rimasero divisi nelle foto di gruppo e solo intorno
alla fine degli anni Sessanta se ne comincia a
vedere qualcuna che li ritrae tutti assieme. C’è poi
uno scatto del 1963 in cui alcuni ragazzini, classe
1953, siedono in chiesa separati dai compagni:
furono i cinque che ricevettero l’eucarestia in
ritardo come punizione per aver avuto i genitori che
aderivano all’allora partito comunista.
La mostra, al cui taglio del nastro presenzierà il
sindaco Furio Honsell, sarà preceduta dalla messa
delle 18.30, celebrata da don Luciano Nobile vicario
foraneo. Oltre a ricordare l’anniversario della
costruzione della chiesa, che risale al 1924 e prese
il posto della precedente, distrutta in seguito
all’esplosione del deposito di munizioni di
Sant’Osvaldo che distrusse l’intero quartiere il 27
agosto del 1917, l’esposizione vuole porre un
interrogativo: com’è cambiata la chiesa e com’è
cambiato il modo di ricevere la prima comunione in
questi novant'anni? Durante questo lungo periodo, in
cui si sono succeduti don Valentino Tosolini, don
Lidio Pegoraro, don Arrigo Zucchiatti, padre Bruno
Roja, per arrivare a don Ezio Giaiotti, oggi alla
guida della parrocchia, la comunità cristiana ha
attraversato diversi ostacoli, il mondo si è
rivoluzionato e la mostra mette in evidenza come
anche la funzione dell’eucarestia abbia assunto un
significato diverso.
«Ci chiediamo oggi - interviene don Giaiotti - se
questo sacramento rappresenti ancora un momento
importante per la formazione dei giovani, come
avveniva un tempo, o se venga vissuto semplicemente
come una tappa obbligatoria, spesso interpretata
come una giornata di festa legata unicamente ad
aspetti consumistici». Immagini, dunque, per
suscitare ricordi e sensazioni legate all’infanzia,
ma anche interrogativi per gli adulti, chiamati oggi
a educare i figli nella società moderna e nella
comunità cristiana. «Un tempo la prima comunione
portava ad una partecipazione numerosa e rumorosa
anche sopportata all’eucarestia domenicale, cresceva
la capacità di comprendere e partecipare», segno di
un pensiero che formava la persona, aggiunge il
parroco, che conclude: «Oggi le cose sono un po’
cambiate: vedremo se la nostra domanda sarà
raccolta».
La mostra rimarrà aperta
al pubblico fino a fine settembre, mentre il 5
agosto a Sant’Osvaldo si festeggerà il Santo
Patrono, con la messa delle 19 celebrata da Don
Alessio Geretti e, per domenica prossima, è in
programma un gemellaggio con Sauris di Sotto, che
onora lo stesso Santo.
«La scelta di realizzare la mostra nella cappella –
spiega infine Turco – non è una casualità, ma un
gesto voluto per dimostrare che la fede e il perdono
sono più grandi della profanazione avvenuta nei mesi
scorsi quando sono state rubate le particole».
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Strage a Sant’Osvaldo il 27
agosto 1917 senza un perché
(Messaggero
Veneto del 27 agosto 2014)
Nel 1917 il quartiere fu raso al suolo da
una serie di violentissime esplosioni che
cancellarono e bruciarono un centinaio di
case (chiesa compresa), lesionando tutte le
altre dove vivevano 1.900 persone e
danneggiando in pratica l’intera Udine con
conseguenze per 10 mila edifici. Ancora oggi
le cause sono un mistero. Una mostra
fotografica la racconta di Paolo Medeossi
UDINE. Se la prima guerra mondiale fu (come gridò
Papa Benedetto XV) un’enorme inutile strage, uno
degli eccidi più assurdi e misteriosi si verificò a
Sant’Osvaldo, quartiere udinese raso al suolo da una
serie di violentissime esplosioni, la cui causa non
fu mai spiegata.
La data del 27 agosto
1917, due mesi prima della rotta di Caporetto e
proprio mentre la Terza armata dava l’assalto sulla
Baisnizza, è rimasta nella memoria di questa
frazione. Adesso è arrivato il momento per far
finalmente chiarezza rendendo giustizia alle vittime
e ai loro discendenti.
Il centenario della
Grande Guerra serve anche a questo, non solo a
risvegliare echi patriottici e celebrativi. Sarebbe
importante e significativo se nell’agosto del 2017,
a un secolo di distanza, aprendo archivi rimasti
finora chiusi e inesplorati, si potesse portare un
po’ di luce in una vicenda le cui dimensioni non
sono mai state delineate e narrate nella loro
interezza, a livello di storiografia militare e
ufficiale.
Le esplosioni cominciate
alle 10.45 di quella mattina e proseguite fino a
sera, stando ai resoconti rintracciabili negli
archivi della parrocchia e del Comune, cancellarono
e bruciarono un centinaio di case a Sant’Osvaldo
(chiesa compresa), lesionando tutte le altre dove
vivevano 1.900 persone e danneggiando in pratica
l’intera Udine con conseguenze per 10 mila edifici.
Gli effetti si sentirono
fino a Cividale e a Manzano, dove si registrarono
pure danni. Impreciso anche il numero delle vittime:
quelle civili furono 26 (i loro nomi sono ricordati
in una lapide affissa nell’asilo eretto anche quale
monumento ai caduti in guerra) mentre, stando a
fonti ufficiose, dovrebbero essere stati altrettanti
i militari morti, ma c’è chi più realisticamente
parla di circa 200. Una strage agghiacciante che
colpì le retrovie del fronte italiano in una fase
decisiva del conflitto.
Ci sono due preziosi
libri che narrano quelle giornate raccogliendo le
testimonianze scritte e orali, che però
inevitabilmente – come detto – si fermano sulla
soglia del mistero sul perché tutto ciò sia
avvenuto. Giacomo Viola nel 1999 pubblicò con le
edizioni Kappa Vu «Nell’aria mille fuochi» mentre è
del 2006 «Sant’Osvaldo. Appunti per la storia di un
quartiere udinese», scritto da Franco Sguerzi ed
edito dal Comune.
Entrambi, con percorsi diversi, spiegano gli anni
della Grande Guerra in Friuli quando Udine ne
divenne la cosiddetta capitale, ospitando fino a
Caporetto lo stato maggiore e lo stesso re Vittorio
Emanuele III che aveva preso casa a villa Linussa, a
Martignacco.
A una popolazione di 630
mila abitanti si aggiunsero gli 84 mila emigranti,
rientrati dalle Germanie e dagli altri Stati in
guerra, oltre a una enorme massa di un milione di
militari appartenenti alla Seconda e alla Terza
Armata. La regione divenne un campo di battaglia
gigantesco dove c’era il fronte, ma c’erano anche le
strutture delle retrovie con in primo luogo ospedali
e depositi di munizioni.
E Sant’Osvaldo fu
individuata per ospitare un po’ tutto visto che era
vicina ai comandi e alle linee di combattimento.
C’era il manicomio, trasformato in ospedale militare
ospitando fino a 1.500 malati. Accanto alle sedi
sanitarie si allestirono quattro depositi di
munizioni che, al momento dello scoppio del 27
agosto, contenevano 250 mila proiettili.
Sull’incredibile
contiguità fra luoghi di cura e polveriera si può
dare una spiegazione legata alle logiche dei comandi
militari. Al riguardo va citato (ecco un dettaglio
inedito rispetto ai documenti noti) un libro, poco
conosciuto in Friuli, scritto dal dottor Cesare
Frugoni, bresciano e personaggio di spicco nella
medicina italiana (fra i suoi pazienti ci furono
Guglielmo Marconi e Palmiro Togliatti), che dirigeva
nel 1917 l’ospedale di Sant’Osvaldo.
«Di fronte, a circa 300
metri – raccontò Frugoni –, si trovava un deposito
di materiali non ben specificati, ma nascosti da
teloni neri impermeabili sopra i quali erano tesi i
soliti teli con grosse insegne della Croce rossa,
così come altri ricoprivano i tetti dell’ospedale.
Si sussurrava che vi fosse un deposito di esplosivi
e che appunto, per impedire i bombardamenti aerei,
fosse stato messo vicino a un ospedale e coperto con
l’emblema della Cri». Il terribile inganno,
collocando cioè materiale bellico accanto a
strutture sanitarie, era una pratica diffusa, ma a
Sant’Osvaldo costò tantissimo.
Sulla causa delle
esplosioni non si seppe nulla. Qualcuno parlò di un
bombardamento aereo nemico visto che la Grande
Guerra inaugurò questa triste pratica e la sola
Udine subì, durante quel conflitto, una sessantina
di attacchi con 50 vittime. Ma tra le ipotesi
spuntarono anche il sabotaggio e, più
verosimilmente, l’incidente casuale. Solo pochi
giorni prima a un soldato era caduta di mano una
bomba e morì. Quel 27 agosto forse uno scoppio
analogo causò la spaventosa reazione a catena nei
depositi.
Subito calò il silenzio
perché c’era una guerra da combattere e i comandi
decretarono la censura. Di fronte a una città
devastata e attonita i giornali non scrissero una
riga. Proibiti addirittura i funerali. Tutto top
secret, rimosso, fra il dolore della gente.
Il sindaco Domenico
Pecile e il Comune si prodigarono nei soccorsi.
L’arcivescovo Rossi visitò i feriti e donò 100 lire,
giunse anche il re che staccò un assegno da 50 mila
lire. Nelle settimane successive gli eventi
precipitarono, ci fu la disfatta, migliaia di
udinesi e friulani scapparono, arrivarono gli
austriaci e la strage di Sant’Osvaldo fu
dimenticata, sommersa poi dalla successiva retorica
della vittoria.
A guerra finita,
tornarono i profughi e i comitati di solidarietà si
misero all’opera. Si costruirono delle baracche per
i senzatetto, utilizzate fino al termine della
seconda guerra mondiale. Si eresse l’asilo nel 1924
grazie a donazioni e a fatica partirono i lavori
della nuova chiesa, progettata dall’architetto
Provino Valle, quello del Tempio Ossario e di tanti
palazzi in città.
Ora, nel 2014,
Sant’Osvaldo festeggia i 90 anni della nuova
parrocchiale e lo fa con una mostra fotografica, a
cura di Massimo Turco e Ilaria ed Elisa Bertoli. Una
sezione è dedicata alle immagini dello scoppio. La
si può visitare accanto alla chiesa dove domenica,
alle 8.30, presenti il vicesindaco Giacomello e
l’assessore Pirone, sarà celebrata una messa a
ricordo delle vittime.
Momento di riflessione
aspettando che il giallo storico sia risolto. Un
impegno per l’anniversario del 2017. Conoscere la
verità è sempre fondamentale, anche se dopo un
secolo.