FESTA
DI SAN GIUSEPPE
(Valter Peruzzi - Abbazia di Rosazzo 19 Marzo 2014)
Il culto per San
Giuseppe nell'Abbazia di Rosazzo si perde nella notte dei tempi. I
primi a celebrarla furono i Benedettini che qui soggiornarono quando
il monastero godette il suo massimo splendore. Dichiarato
direttamente dipendente dalla Santa Sede
l'll Agosto 1245 da Papa
Innocenzo IV, all'Abate Raimondo e suoi successori, furono concessi
particolari privilegi dal
Patriarca di Aquileia Nicolò I (Abiti
Vescovili, Benedizione e funzioni episcopali, giurisdizione sul
clero e scuole pari a quelle dei seminari benedettini). Nel corso
degli anni l'osservanza liturgica per San Giuseppe subì cambiamenti.
Due erano le feste riservate a San Giuseppe: quella del 19 Marzo e
quella del Patrocinio della Chiesa, prescritta da Pio IX per la
terza domenica dopo Pasqua e spostata nel 1913 da Pio X al mercoledì
precedente e poi abolita da Pio XII nel 1956 per essere sostituita
con la festa di San Giuseppe lavoratore il 1° Maggio. Con la riforma del
1969, voluta da papa Paolo VI e con la Legge n. 54 del 1977, è stata
ridotta al grado di memoria e l'antica data del
19 Marzo è rimasta la
principale celebrazione in onore di San Giuseppe. In passato,
qui
in Abbazia
in questa giornata si
celebravano due Sante Messe, Vesperi e panegirico con Benedizione.
Anche la Sagra di San Giuseppe
qui trae la sua origine come fatto religioso, simile ad
un corso d'acqua di
una non
definita sorgente
convogliata in
una storica espressione di
un incontro di uomini con la divinità e di
uomini con altri uomini.
Infatti dopo le funzioni sacre i convenuti si scatenavano con
esuberanti manifestazioni sui
prati e sulla collina circostante. Col trascorrere del tempo
l'aspetto sacro della giornata ha lasciato sempre più spazio
allo svago e al
divertimento. La sagra di
San Giuseppe rappresentava la prima festa di primavera, infatti
si diceva: "San Giuseppe è
arrivato, e l'inverno se ne è andato". Certe volte però il freddo
non voleva lasciare
il campo e si divertiva a far fioccare la neve proprio il 19 Marzo
e così
la troviamo nel 1929, nel 1940, nel 1955 e
nel 1958. Qualche
anno il giorno di San Giuseppe coincideva con la seconda domenica
di Quaresima, festa di San Valentino a
Manzano
e
il Parroco si lamentava
della poca gente partecipante alla processione
del Santo, perché preferiva accorrere dove si celebrava con pompa
San Giuseppe e per consolarsi concludeva: "Meglio cosi, più
devozione!".
San Giuseppe era un appuntamento atteso che offriva cose semplici,
un momento di distensione senza pensieri, solo festa e divertimento
e così le strade che portavano all'Abbazia si riempivano di
interminabili gruppi di persone a piedi, provenienti da San
Giovanni, Manzano, Case, Oleis, Corno di Rosazzo, Noax, Dolegnano,
Sant'Andrat, praticamente da tutti i paesi del circondario.
Tutti,
uomini e donne, rigorosamente vestiti con l'abito della
festa, cravatta, fazzolettino nel taschino, calze fini e tacchi per
le donne abbinati al miglior vestito. Alle ragazzine, per
l'occasione, si acquistavano le scarpe bianche da indossare con i
calzini bianchi e da portare per tutta la stagione fino all'autunno.
La meta da raggiungere per la scampagnata era la "Mont dal Neri", il
Colle di Santa Caterina dove, dall'alto del monte, un tempo accanto
alla cappella dedicata alla Santa, per un antico privilegio, un
insigne prelato in nome del Papa, impartiva la Benedizione papale al
popolo, ai paesi, alle campagne, ai ronchi ed a tutti i luoghi del
circondario. Privilegio cessato con la soppressione del Patriarcato
nel 1751. Ora testimone del sacro manufatto resta solo qualche
misero rudere. Mutati i tempi la "Mont dal Neri" attendeva chiassose
compagnie piene di brio e che accorrevano in massa da tutto il
circondario e in breve si riempiva di tanti colori, di tanti odori,
di tanti sapori. Tutti arrivavano con le sporte, piene di salame,
uova sode, formaggio, giardiniera, focacce, pane, vino e altro.
Qualche spavaldo, con un compagno, portava una stanga di legno sulla
spalla con appesi
salami e fiaschi di vino. Sul prato di stendeva
una tovaglia e si esponevano in bella mostra tutte le delizie
culinarie portate da casa; si condivideva, si gustava il salame
dell'uno e dell'altro, facendo a gara quale era il migliore e
intanto il vino scivolava copioso giù per il "gargat". Il suono di
qualche fisarmonica accompagnava le solite canzoni e villotte che
tutti conoscevano a memoria e tutti si sentivano vicini in una
collettiva allegria.
Lì nascevano e si consolidavano amori e amicizie, lì si prendeva la
prima indimenticabile sbornia.
Sulla piazza dell'Abbazia ti aspettava la giostra a catena, montata
al mattino presto con l'aiuto di qualche ragazzo locale che, in
cambio del
lavoro e della
spinta offerta durante il giorno, la sera godeva di qualche giro
gratis. C'erano anche le gondole, il tiro a segno, il palo della
cuccagna, il chiosco che vendeva gazzose e l'immancabile Teresina
che offriva: caramelle, bagigi, carrube,
pevarins, luvins, sucar di Galizie
e
sucar di vuardin.
Il banco che
attirava tutti era quello di Vittorio Brusàt con i suoi
"sivilots"
e le sue
"cjampanutis"
di terracotta
che era il ricordo che ognuno portava a casa. Al calar del
sole l'atmosfera euforica si smorzava e ci si avviava al rientro,
più o meno sobri cantando e ridendo, erano tempi dove la vita
scorreva con meno traumi, meno complicata e tormentata e la gente
sapeva divertirsi con cose semplici che culminavano in una popolare
esplosione di allegria. Tornerà quell'allegria? Monsignor
Giacomo Cappellari, vicario arcivescovile in questa Abbazia dal 1915
al 1934, si pronunciava: "Quale contrasto fra le belle e sante feste
del tempo passato, continuate fino a mezzo secolo fa nella festa di
San Pietro, e la profanazione mondana, anzi pagana delle feste ai
giorni nostri!
Oh,
se si
risvegliasse lo spirito di fede e di pietà de!
tempo dei Padri
Agostiniani,
Benedettini e Domenicani! Quanto bene ne avrebbero le anime! Quali
sante e da vero belle feste si vedrebbero da nuovo!". E noi, intanto,
continuiamo a ben sperare e buon San Giuseppe a tutti! |