Abbazia di Rosazzo (UD),
19 Marzo 2013
Fieste di Sant
Josef in Badie
Torna San Giuseppe in Abbazia, tradizionale festa che si teneva a Rosazzo fino agli anni ’70, evento annunciato con campane a
festa già la settimana prima per dare il benvenuto alla primavera.
Centinaia di persone vi accorrevano, a piedi o in bici, percorrendo
i sentieri che salivano in cima da Manzano, San Giovanni e Corno per
sostare in mezzo a prati e vigne a consumare la merenda: vino,
salame, uova sode. Nel piazzale sotto la Pieve si allestivano
giostra e tirassegno, con bancarelle che vendevano biscotti, mandarini,
carrube e arachidi; e ancora vasi, campanelle e fischietti in terracotta;
poco sopra si innalzava il palo della cuccagna, impresa alla quale si
cimentavano i più giovani introdotta da cortei goliardici.
L'Edizione
N.0 è iniziata nel primo pomeriggio nel chiostro, con l'allestimento di
una mostra fotografica con immagini del Sant Josef di una volta e di
postazioni per la degustazione dei prodotti eno-gastronomici locali...
Anche nei momenti più gioiosi ci può essere lo spazio per un gesto di
solidarietà, e tra in vari banchetti era stato allestito uno in cui veniva
presentato il libro autobiografico "È l'idea che fa grande l'uomo" di Andrea
Stabon.
"Gabriel Tanosin, un operaio trentenne
di Lucinico, viene colpito da un tumore al cervello. L'esperienza sconvolge
la sua vita, sgretolando anche il suo matrimonio. Confortato dai buoni
risultati della terapia, ritrova la forza di lottare: conduce una vita più
sana e non si abbatte di fronte al licenziamento. Inizia una nuova
professione, ma gli ostacoli non sono finiti. La malattia gli ha insegnato,
però, una cosa molto importante: non arrendersi mai!"
PER
ALTRE INFO...
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ORE
18 CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA
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Alle 19.30 «Questa prima edizione - spiega
l’assessore Antonio Tessaro - si sviluppa in maniera semplice e in
tempi ristretti, considerata anche la giornata feriale in cui cade,
ma già emerge la volontà di realizzare un appuntamento fisso per i
prossimi anni, attraverso il quale promuovere in maniera adeguata il
territorio e i suoi prodotti». |
Coordinato dall'Assessore
Antonio Tessaro,
l'incontro è iniziato con gli interventi dei Sindaci dei Comuni di
Manzano, Corno di Rosazzo e San Giovanni al Natisone, decisi più che mai
a proseguire nel progetto di ripristino della tradizionale Fieste di
Sant'Josef...
...sono seguiti gli
interventi delle personalità presenti nella "Sala degli Affreschi"
dell'Abbazia...
...applaudito l'appassionato intervento di
Angelo Nascig...
ESTRATTO
Ha preso poi la parola il giornalista
ed esperto enologo Claudio Fabbro (grande amico del "natisone"),
con l'interessante relazione dal titolo “Rosazzo, Blanc di Cuar, il nestri
vin: l’identità di un vino”...
ESTRATTO
...che ha coinvolto tre giovani produttori che operano all'ombra
dell'Abbazia...
...la declamazione dei
versi di un poeta locale è caduta nel vuoto perchè i presenti
erano troppo impegnati nella degustazione del prelibato prodotto DOCG...
...mentre all'esterno
iniziavano e continuavano le musiche...
ESTRATTO
...ultima panoramica al
chiostro ancora allegramente animato...
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FESTA DI
SAN GIUSEPPE IN ABBAZIA
Valter Peruzzi
San Giuseppe in Abbazia diversi anni fa era una festa religiosa e nello
stesso tempo una tradizione popolare legata all'arrivo della primavera.
La festa sacra di San Giuseppe rappresentava il patrocinio sulla Chiesa
universale prescritto dal papa Pio IX nel 1874 e confermato da Pio X.
Nella Chiesa abbaziale si
trovava un altare dedicato al Santo, trasferito poi nella chiesa di
Oleis, e il 19 marzo si celebravano due sante Messe, Vesperi e
panegirico con benedizione del Santissimo Sacramento.
Gli abitanti di Rosazzo,
tutti dedicati all'agricoltura, raggruppati fra scarse case, ma molto
uniti tra loro, nel 1890, decisero di acquistare una sedia gestatoria
da usare anche nella festa di San Giuseppe e il 22 Aprile 1923,
l'arcivescovo
Monsignor Rossi benedisse solennemente la statua di San Giuseppe
acquistata con le offerte della popolazione, statua conservata tuttora
in sagrestia.
Per la festa di San
Giuseppe del 19 marzo 1926 l'arcivescovo Monsignor Antonio Anastasio
Rossi compì una visita pastorale e il 19 marzo 1927 venne enceniato un
nuovo grande ostensorio, fuso con argento donato dalla popolazione di
Rosazzo.
Il vicario Monsignor
Luigi Nadalutti, il mai dimenticato "Vigjon", nominato vicario nel 1935,
per la festa di San Giuseppe del 1936 così la descrive "Grande pesca di
beneficenza con esito felicissimo. Il ricavato di Lire 1.000 fu dato
come offerta alla chiesa di Dolegnano per la cooperazione data da
quella popolazione, il resto servì per i lavori nella chiesa abbaziale.
L'incasso netto fu di Lire 2.340". Il 19 marzo 1941 troviamo". Ha
celebrato le due S. Messe il Vicario, alla mattina 40 Comunioni. Brevi
parole alla Messa solenne, i Vesperi e panegirico del Vicario, canto del
Miserere e benedizione del Santissimo. Tempo bellissimo, grande
concorso di gente specie dai paesi dei dintorni. I soliti caratteri di
mondanità." Le funzioni sacre sono molte volte partecipate anche dai
paesi del circondario. Le campane della chiesa dell'Abbazia scampanavano
già qualche giorno prima per annunziare la festa. I sacerdoti di Manzano
non partecipavano perché impegnati in analoghe funzioni a San Lorenzo
dove si onorava San Giuseppe.
Sulla piazza dell'Abbazia
per San Giuseppe si installavano la giostra a catene, le gondole ed il
tiro a segno, il palo della cuccagna e un chiosco vendeva le "gasosis".
Non mancava mai Teresina, l'ambulante col cesto, che offriva caramelle,
bagigi, carrube, "pevarins", lupini, "sucar di Galizie" e sucar di
vuardin".
Anche noi infatti
ricordiamo San Giuseppe come una tradizione popolare, fino a una
cinquantina di anni fa, non coincidente con lavori agricoli
particolarmente intensi, ma legati all'arrivo della primavera. Un
incontro che culminava sul colle di Santa Caterina, "la mont dal Neri",
così veniva chiamata, che in breve si riempiva di tanti colori, per un
momento di coesione sociale, una scampagnata che le strade che portavano
sul colle da San Giovanni, Manzano, Case, Oleis, Corno di Rosazzo, Noax
e Dolegnano, erano invase da gruppi di persone a piedi con le sporte di
"scus o di pecote" cariche per la merenda, tutti diretti al
tradizionale appuntamento, partiti presto per accaparrarsi il posto
migliore. Molte volte si vedevano anche compagnie con una stanga di
legno, appoggiata sulle spalle di due giovanotti, dove pendevano salami
e fiaschi di vino. La sagra raggiungeva i toni più festosi e vivaci con
i vari cori e la fisarmonica suonata da qualche amatore. Era un
incontro, dove nascevano amori, si consolidavano amicizie, un convegno
spontaneo dove anche i ragazzi più giovani erano autorizzati a
parteciparvi. Un incontro pieno di brio, chiassoso e con tanto calore
umano dove tutti si sentivano protagonisti e parte viva della festa. Si
condivideva sul prato tutto quanto portato da casa, disteso su una
tovaglia: pane, salame, formaggio, uova, vino, focaccia, ecc., molte
volte autorizzato, qualche volta sottratto e non sempre con successo,
come capitato a qualcuno di aver rubato con destrezza dallo sguardo
vigile della nonna quel fiasco conservato in alto nella cantina e
rivelatosi poi quello dove la vecchia conservava il fondignolo, "la
mari", dell'aceto o quella bottiglia a lei tanto cara rivelatosi poi
per l'innocente acqua di gramigna. Per molti questo incontro è ricordato
a lungo anche per qualche memorabile sbornia, forse la prima. Nei tempi
passati non esisteva l'abbigliamento "casual", comode tute sportive,
c'era il vestito di tutti i giorni e quello della domenica e per San
Giuseppe si indossava quello bello, ma molte volte, vuoi per correre
vicino ai rovi, vuoi per qualche capitombolo, succedeva di strappare
pantaloni e gonne e a casa la situazione non era ben accettata e si
rimediava qualche solenne rimprovero unito a un maldestro e sonoro "scufiot"
per i più giovani.
Grande attrattiva di
richiamo in questa festa erano le campanelle e gli zufoli di terracotta,
esposti sul suo banco da Brusàt di Corno a cui nessuno si sottraeva di
acquistare. Erano oggetti di croce e delizia, al ritorno dappertutto si
sentiva "a scampinotà" le campanelle e "a sivilà" gli zufoli, ma per
uno spintone, un improvviso ruzzolare o un difetto di fabbrica, gli
oggetti andavano facilmente in frantumi con grande dispiacere; se
riuscivano ad arrivare a casa, il "sivilot" veniva conservato in camera
e la "cjampanute" appesa in alto con uno spago che tirandolo la faceva
suonare. Il "batecul" batteva sui due lati emettendo un gradevole suono,
lino a quando un brusco movimento nel tirare lo spago, o il dispetto di
qualche famigliare, faceva cadere la campanella che andava in frantumi
e, dopo, non restava che attendere il prossimo San Giuseppe.
Al ritorno dalla festa si
ammiravano lungo le strade, nei fossati adiacenti: primule, viole,
crochi, bucaneve, "gjaluts", "campanelis", non ti scordar di me e altre
qualità di fiori che cominciavano a fiorire e che facevano bella mostra,
infatti la stagione offriva un tripudio di fiori, colori e odori. In
questa occasione si raccoglievano mazzetti da portare a casa e le
ragazze si infilavano fiori tra i capelli, mentre i ragazzi sul bavero
della giacca.
La rapida evoluzione
socio economica, l'avvento degli automezzi, la coltura intensiva della
vite ha cancellato questa genuina e radicata tradizione locale, questo
dialogo con la natura, unito alla fede per San Giuseppe calata dopo la
seconda guerra mondiale, ma è rimasto pur sempre uno spontaneo rituale
significativo della storia del nostro popolo, oggi purtroppo caduta
nell'oblio e che le giovani generazioni non conoscono.
Bene quindi hanno fatto
gli organizzatori a riproporre questo scampolo di storia del nostro
popolo che non è lecito dimenticare.
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