Presentazione a Udine - «Friûl: i paîs da la memorie» è il
titolo del nuovo libro di Otto D’Angelo che sarà presentato lunedì 4
marzo alle ore 17, nel salone del Consiglio provinciale, a palazzo
Belgrado a Udine. Interverranno Pietro Fontanin, presidente
ella Provincia, che ha sostenuto la pubblicazione, Angelo Floramo,
direttore della Biblioteca Guarneriana di San Daniele e autore di un
saggio presente nel libro, Gottardo Mitri, curatore del volume, e lo
stesso Otto D’Angelo. Edito da Designgraf, il libro presenta oltre
240 dipinti di piazze friulane, accompagnate da commenti di
Celestino Vezzi, Guido Sut, Gottardo Mitri, Adriana Miceu. Nato a
Silvella, nel comune di San Vito di Fagagna, Otto D’Angelo oggi vive
a Caporiacco. Diplomato pittore-decoratore, si è poi trasferito in
Francia, dove ha lavorato come fumettista, a Lione e Parigi,
perfezionandosi anche all’Accademia artistica della Grande Chamière,
rientrando in Friuli negli anni ‘50. Ha pubblicato i volumi
«Immagini di una civiltà», (1987) e «Il volto di una civiltà»
(1998). Ha collaborato con le illustrazioni all’edizione del libro
«I sfueis» nel 2004 e nel 2006 ha pubblicato il volume «La femine
furlane».
...veduta
panoramica del salone...
«Ecco il vero Friuli che non c’è più»
(STEFANO DAMIANI -
La Vita Cattolica del 28
Febbraio 2013)
Oltre duecentoquaranta paesi del Friuli, così
com’erano 100 anni fa, resi come dei piccoli e sereni presepi,
con una pittura ad olio che gode nel ritrarre i particolari più
minuti. Sono quelli dipinti dal 1970 ad oggi da Otto D’Angelo.
Ora un volume li raccoglie tutti, per raccontare ai giovani il
Friuli di una volta, fatto di valori come la fratellanza, il
lavoro, il sacrificio.
D’Angelo, come ha fatto a ritrarre i paesi friulani così com’erano
100 anni fa, in base a quali fonti? - «Un po’ basandomi sulla
mia memoria (ho una certa età), un po’ sentendo racconti della gente
del posto, e ancora cercando foto e cartoline. Ad esempio, ho
lavorato molto per individuare i “sfuei”, cioè quelle pozze d’acqua
che c’erano un tempo nelle piazze dei paesi friulani. Io andavo nel
paese e chiedevo alla gente se si ricordava dov’era il “sfuei”. Poi
consultavo le carte topografiche dell’archivio di stato di Udine,
oppure disegni dell’epoca e trovavo il posto esatto».
Perché l’idea di dipingere un Friuli che non c’è più? -
«Quando sono ritornato dalla Francia, nel 1958, ho cominciato a
lavorare ad olio e ho fatto la mia piazza, quella del paese dove
sono nato, Silvella. Ho portato il quadro in un’osteria perché i
paesani lo vedessero. Poi, a poco a poco, anche persone di altri
paesi mi hanno chiesto di fare la piazza del loro. E così ho
cominciato. In seguito, poiché vedevo che c’era molto interesse ho
pensato di dipingere tutte le piazze del Friuli in cui si parlava
friulano».
Questo suo interesse da cosa
deriva? - «Il Friuli ce l’ho nel sangue. Io sono vissuto nella
miseria: eravamo una famiglia di mezzadri, otto fratelli, per
questo mi chiamo Otto. Tutti i sacrifici che faceva mia mamma, solo
per darci da mangiare, mi sono rimasti impressi. Siccome ho la
fortuna di saper disegnare volevo ringraziare questa gente di una
volta».
Cos’è per lei il Friuli? - «È il “non plus ultra”. Eravamo i
migliori del mondo quanto a valori: rispetto degli altri, lavoro.
Nel nostro cortile eravamo in 52 e in quei vent’anni in cui ho
vissuto lì ho visto solo una baruffa. Si andava d’accordo, ci si
voleva bene, ci si aiutava».
Di quel Friuli che lei dipinge oggi cosa resta? -
«Restano le chiese e i campanili, il resto è tutto cambiato. Quanto
ai valori non ci sono più». Guarda con nostalgia al passato? «Non
saprei. Io sono una persona istintiva, faccio quello che sento e
vorrei far capire alla gente come eravamo
una volta».
Come ha cominciato a dipingere? - «Avevo 14 anni. Il granaio
della casa dove abitavamo era bianco liscio, per evitare che le
pantegane si arrampicassero. Lì ho cominciato a dipingere e vedevo
che facevo delle belle cose. Mia mamma si era quasi spaventata a
vedere cosa facevo».
Dei dipinti di quest’ultimo volume a quali è più affezionato?
- «Forse ai primi: la mia piazza, innanzitutto, quella di Silvella».
Nei suoi quadri compaiono tante immagini anche relative ai mestieri.
«Guardi, avrei quadri per fare altri 3- 4 libri. Ad esempio ho
ritratto tutto quello che facevano i contadini friulani, ma anche
gli altri mestieri. Non ho più niente da fare».
Chi considera suo maestro? - «Io di maestri ne ho avuti ben
pochi, non potevo permettermi di pagarli. Ho preso il diploma di
decoratore per corrispondenza: di giorno facevo l’imbianchino e di
notte studiavo».
Poi si è trasferito in Francia. - «Sì, sono partito
dopo la guerra, varcando il confine con lo zaino sulle spalle, da
clandestino. Ci avevano radunati in un ex campo di concentramento in
attesa che qualcuno che aveva bisogno di manodopera venisse a
cercarci. Io disegnavo sui muri, dappertutto, così sono stato notato
e sono andato a Lione in una casa editrice a fare fumetti. In
Francia ho anche frequentato l’Accademia (della Grande Chaumière,
ndr.), ma anche là per avere un maestro che ti seguisse
individualmente bisognava pagare e io non avevo soldi.
Successivamente sono tornato in Friuli e a Udine ho aperto uno
studio pubblicitario. Quando mi sono ritirato ho iniziato a lavorare
per una galleria di Treviso e a dipingere il Friuli».
Compirà presto 90 anni.- «Sì, il 28 luglio».
È contento della sua vita? - «Io? Altro che. Sono
riuscito a fare tutto quello che desideravo. E poi, pensi, una
povera persona come me, nata in tanta miseria, che fa cinque libri e
ogni pagina è un quadro: come non può essere contenta?». |