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Lestizza, 21 di Febbraio 2003
“Taiât l'arbul ... finide l'ombre”
Il bosc, iar e vuê, tra economie e culture
Convegno
organizzato dall'Associazione
Culturale/Clape Culturâl
“Confraternite dai Benandants”
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Presentazione:
Dante Savorgnan,
Sindaco di Lestizza
Michele
Manazzone,
Presidente della “Confraternite dai Benendants”
Relatori:
Maria
Cristina D'Orlando,
Direzione Regionale
delle Foreste
Bianco
Furio,
Storico
Paolo Paron,
Presidente
della associazione culturale Antica Quercia
Mauro
Corona,
Rocciatore, scultore, scrittore
Moderatore:
Claudio
Violino,
Agronomo
Alla fina della
serata sono state distribuite piantine di alberi autoctoni.

Viaggio nella Terra di Mezzo di ieri e di oggi
(di Paolo Paron)
Non marcerò per strade
spente e piatte
per formule precise, frasi fatte
nel mondo immutabile ove chi fa
con l'arte di creare
nul parte ha.
Non chinerò il capo al Dominio di Ferro,
interrando il mio piccolo scettro d'oro.
Mitopoeia - da Albero e
Foglia di J. R. R. Tolkien
TERRA
Terra odorosa e nera, bella nella sua pacatezza, mentre volge al cielo
i suoi muscoli poderosi. Lunghe scie fumose e scure in lunghi tratti
regolari, seguono le tracce dell'aratro. Oggi il vomere è lucente,
potente ed il motore del trattore canta mentre spinge in profondità le
lame d'acciaio.
Un vecchio osserva calmo il lavoro e sorridendo ricorda
suo padre e suo nonno: il secondo con la cavezza dei buoi in mano,
mentre il primo con tutta la sua forza teneva premuto l'aratro
prendendolo per i suoi vecchi e consunti manici di legno. Ora, come
allora, cornacchie e storni si affannano a raccogliere larve e
lombrichi. La terra nutre anche loro. Il ricordo del nonno torna alla
sua infanzia: all'aratura faceva seguito la preparazione del terreno e
la semina. Dopo questo potevi solo aspettare, seguire la nascita delle
piantine di grano, segale, orzo, granturco, pregare perché la grandine
prima e la grande calura poi, non le facessero morire. E loro
crescevano, mentre i riti ed i canti preservavano il raccolto. Il
nonno ricordava ancora le rogazioni: queste visite salmodiate nei
campi e negli appezzamenti, con il parroco in testa, i vecchi ed i
chierichetti dietro a rideterminare i confini di quel piccolo
cosmos ordinato e fertile, a tenere lontani malefici e streghe. E
d'estate le vecchie bruciavano il cero e l'ulivo benedetto per far
piovere e poi chiedevano al parroco di suonare le campane per tenere
lontane la grandine e le "codebuje" i neri vortici che, come
trombe d'aria, sradicavano alberi e abbattevano i tetti.
Il tempo trascorreva lento, scandito dalle stagioni,
con i suoi riti, le sue cerimonie e le sue feste: il maggio con il suo
albero, il rosario alla sera; la notte di San Giovanni con le sue
magie; le serate che tutti passavano insieme, lungo le strade e nelle
piazzette a cercare frescura a raccontare e raccogliere pettegolezzi
ed amenità; poi la lunga colonna di carri che sotto il sole cocente di
agosto attendeva sulla strada del mulino, mentre notte e giorno, sotto
le travi consunte dal tempo, le pale giravano mettendo in movimento le
macchine polverose e bianche di farina che riducevano in sacchi
panciuti il frutto della nera terra; e poi le viti, la raccolta
dell'uva, la spremitura, il mosto rubato e le corse in bagno, e
finalmente la calma dell'inverno.
Il ricordo del nonno va poi alla notte di Ognissanti
che al giorno d'oggi si riempie solo di zucche vuote, ma che allora
era la notte tragicamente magica riservata al ritorno dei morti nelle
case dove avevano vissuto; non venivano ricevuti con timore, ma attesi
come ospiti: le porte dovevano rimanere rigorosamente socchiuse,
ovunque si riempivano i secchi e i tegami di acqua, perché i
visitatori soffrivano tantissimo la sete e poi la tavola doveva essere
imbandita per gli ospiti. Sacralità e potenza di un tempo senza tempo
in cui vivi e morti incrociavano a volte le loro strade e l'Altissimo
era forse meno lontano di oggi.
Veniva poi il tempo delle serate passate nel tepore
delle stalle, mentre i vecchi sgranavano i chicchi dalle pannocchie,
le donne rammendavano chiacchierando e qualcuno raccontava di strani
fatti, personaggi curiosi, incontri terrificanti e i bambini poi
tremavano e piangevano, mentre venivano accompagnati nei loro letti e
nel buio scorgevano i mostri della fantasia di un mondo reale e forte,
duro e parco di soddisfazioni, ma dove il riso ed il divertimento
sgorgavano con naturalezza ed ogni occasione era buona per fare festa.
Il vecchio ascoltava il ritmato battito del motore e
sorrideva, pensava ai tanti quintali di prodotto che quella terra
concimata in modo artificiale, arata in profondità, irrigata con le
pompe, avrebbe portato; sorrideva al pensiero di quanto invece era
stato perduto in serenità, in condivisione, sorrideva anche e
ringraziava il Cielo per la grande fortuna che gli era capitata:
essere uno dell'ultima generazione ad aver arato con fatica la terra,
averla ringraziata per quanto lei aveva prodotto, essere custode del
ricordo di sapori, odori, sensazioni e sogni che ormai lentamente
sbiadivano come la nebbia dell'alba sui campi arati.
ACQUA
Quando mai ci soffermiamo, noi uomini moderni, ad
osservare lo scorrere dell'acqua nel piccolo rio, nel torrente o nel
grande fiume. Affaccendati e frettolosi passiamo sul ponte ed
inseguiamo il nostro pensiero, assolutamente dimentichi di ciò che ci
circonda.
Quel fiume scorre fra le sue sponde da secoli, ha visto
passare miriadi di generazioni di umani diversi nel vestire, nel
pensare, nel cibarsi: magari spingevano armenti o prigionieri, bottini
di guerra, oppure fuggivano davanti a nemici ed invasori. "E' solo un
corso d'acqua" puoi pensare, ma lui ha guardato negli occhi coloro che
si gettavano carponi a bere dalle sue rive, ha giocato con i bimbi che
per generazioni si sono tuffati fra i sui flutti, ha condiviso con gli
armenti, all'abbeverata, il gustoso pensiero del vicino riposo, ha
scorto la stanchezza sui volti e sui musi chini e magari ha sorriso
alla serenità, alla gioia ed alla forza di una umanità più sensibile
al mondo della natura.
Un fiume è spesso un confine e segna distanze
insuperabili fra popoli che forse parlano la stessa lingua, oppure è
un punto d'unione, di collegamento e di scambio dove uomini crescono e
si fermano; costruiscono case appena oltre le sue rive, si nutrono dei
suoi prodotti e dei pesci che lo percorrono, lo solcano con chiatte e
barche, costruiscono ponti e passerelle, lo superano, lo lasciano, lo
ritrovano tornando alle loro case dopo anni di lontananza. E l'acqua
scorre, narra di leggende, racconti, miti, ma oggi sono pochi coloro
che si fermano un attimo ad ascoltare: è solo un fruscio lontano, un
mormorio sommesso e dolce, quasi un profumo, un leggero sapore che ti
affascina e ti fa sorridere.
Allora ti prende una strana calma, ti senti insensibile
ormai ai richiami dei signori del tempo, che ti vorrebbero succhiare
anche quell'attimo così dolce, che suadenti ti spronano a fare cose
utili, ti invitano a non sprecare il "tuo" tempo. Sereno ti apparti,
ti siedi sotto un albero e guardi i mulinelli, ascolti i tuffi dei
pesci ed il fiume ti parla del suo lento trascorrere, delle sue piene
poderose e terribili, del suo amore per gli uomini, ti racconta di
quando il mondo era giovane, delle lunghissime ere che hanno scandito
il suo lento procedere verso il mare, sempre diverso e sempre uguale.
E così, mentre pacato lasci scorrere e tumultuare
questo fiume in piena che è la tua mente, pensi alla vita che conduci,
relativamente tranquilla, nel suo tran-tran ordinario, senza picchi e
rivolgimenti, ma grigia nel suo lento spegnersi giorno dopo giorno,
fra casa e lavoro. Uno spruzzo ti fa sobbalzare mentre lenti ed ampi
cerchi si allargano placidi nella corrente. Il sole che tramonta tinge
di rosso fuoco una nuvola dagli strani contorni di sogno.
Ti senti grato al grande fiume per averti riscosso
dall'apatia di tanti anni, ritorni verso casa con una serenità ed una
pace che non conoscevi. Con piacere pensi ai giorni che ti attendono
ed ai tanti momenti che vuoi ritagliarti per tornare a camminare lungo
il grande e vecchio fiume e forse ritrovare un po’ di te stesso.
Terra, acqua sono elementi tangibili, che dovrebbero
farci riflettere sulla forza e sul senso delle cose, che potrebbero
risvegliarci dal torpore del nostro esistere in cui la coscienza e la
consapevolezza sono sempre rivolte al ricordo di qualcosa oppure si
perdono nell’attesa di qualcos’altro; mai concentrate sull’attimo
preciso dell’esistere, sul qui ed ora, vera essenza del nostro vivere.
Recuperiamo il tempo che ci appartiene, assaporiamone
la grandezza e la totalità e magari, come facevano i nostri vecchi,
popoliamolo di presenze, essenze, potenze; specchi ed ombre di un
potere solo, grande ed assoluto, a cui ormai non badiamo quasi più.


Mauro Corona - Nato
nel 1950 a Erto, il paese che con Casso è legato alla più grande
tragedia civile italiana, quella del Vajont che, nel 1963, quando Mauro
aveva appena tredici anni, spazzò via in una notte un intero paese e
tutti i suoi abitanti.
Con un'esperienza del genere, si fa presto a diventare essenziali,
schivi, senza peli sulla lingua, a rifuggire gli estranei, a non
concedere niente alla forma e alle false buone maniere ad essere sempre
pronti ad andare a verificare la verità dell'altro.
Con un'esperienza del genere, si fa presto a capire che all'uomo è
necessario imparare ad ascoltare i messaggi della natura, se vuole non
esserne vinto, perché si fa presto anche a capire che la natura ha una
forza e una potenza che solo lo stolto può credere di poter piegare alle
sue voglie senza pagarne o farne pagare le conseguenze.
A
Erto Corona è sempre vissuto.
Da ragazzo ha lavorato come boscaiolo e ha cominciato a intagliare il
legno. Accolto dallo scultore Augusto Murer nel suo studio di Falcade,
con lui ha approfondito la tecnica che gli ha permesso di diventare uno
degli scultori lignei più apprezzati d’Europa.
E'
considerato alpinista e arrampicatore di ottimo livello.
Mauro Corona -
Sito ufficiale
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L'abbraccio di Mauro Corona
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