Udine - Chiesa di San Francesco,
25 Maggio 2005
Udine Capitale della
Guerra
Udine Capitale della Pace |
Quel lungo treno che
andava al confine...
La guerra vista dal
basso fra canzoni pro e contro con Edoardo Pittalis,
Alessandra Kersevan, Gualtiero Bertelli e la Compagnia delle Acque
Quella che Emilio Lussu definì la "guerra dei cordiali", cioè la
guerra vinta da chi somministrava i cordiali più stordenti alle
proprie truppe, è ricordata anche come la guerra nella quale la
propaganda iniziò a perfezionare al meglio le sue tecniche. Fra queste
l'epica dei canti patriottici, di guerra e di battaglia, ai quali
facevano da contraltare i canti contro la guerra che i soldati
composero nelle trincee di ogni fronte.
ESTRATTI
Udine Capitale della
Guerra - Udine Capitale della Pace
Sono novanta gli anni che ci separano dal giorno in cui il Regno
d'Italia decise di prendere parte al primo conflitto mondiale. Una
guerra che si rivelò devastante, che provoco milioni di morti, che
indisse al Friuli e a Udine ferite profonde. Da quella guerra
nulla fu come prima: in essa perirono non solo milioni di giovani,
che nelle nostre terre, davvero, a volte erano fratelli separati
da pochi metri di confine. In quella guerra iniziarono a
dissolversi sogni che nei secoli precedenti avevano portato la
cultura dell'Occidente a credersi la migliore e la più evoluta.
Sui campi di battaglia del Carso, della Marna, di Verdun, del
Tagliamento e del Piave incominciò una nuova era, il Novecento
che, a ragione, fu chiamato, per il suo corredo di barbarie, il
secolo breve.
Novant'anni fa Udine si trasformò, nello spazio di una
dichiarazione di guerra, da cittadina di provincia a Capitale
della Guerra: nei suoi palazzi si stabilì l'alto comando che da
qui, fino alla battaglia di Caporetto, diresse tutte le operazioni
sul nostro fronte orientale.
Udine vuole ricordare quegli anni, perché sono parte
integrante del suo passato. Ma non lo vuole fare in senso di
rivalsa verso un nemico che non esiste più e che, anzi, oggi è
diventato il fratello con cui condividere la grande casa europea.
Udine vuole ricordare i suoi trascorsi di Capitale della Guerra
per trasformarsi in un nuovo soggetto: una nuova, attiva e
dinamica internazionale Capitale della Pace.
Ricordare la guerra e i suoi orrori, diventerà il modo
per ragionare sulla pace, per far si che la città si trasformi in
un grande e unico laboratorio per la pace nel quale le generazioni
future potranno trovare un esempio e una voglia di fratellanza.
Gianna Malisani assessore alla cultura |
Fra fucili e
cannonate, il fronte del Nordest raccontato da Pittalis
Tra fucili
e cannonate. Vecchie fotografie sbiadite dal tempo scorrono sul grande
schermo, accompagnate dai canti della
tradizione popolare intonati da voci friulane, sotto l'abile regia del
veneziano Gualtiero Bertelli, figura di spicco del movimento del nuovo
Canzoniere italiano, e dai commenti, storici e romanzati al tempo
stesso, del vicedirettore del Gazzettino, Edoardo Pittalis. Ecco la
seconda giornata dedicata all'impegno sociale nella settimana di
rievocazione dei novant'anni dopo lo scoppio
della grande guerra: Udine
capitale
della guerra, Udine
capitale
della pace. Una prima
inedita, quella che anche ieri ha riempito la chiesa di San Francesco,
coniugando il repertorio musicale del '15-'18, alternato fra il fervore
dei nazionalisti e il disincanto di quanti la guerra non l'avrebbero mai
voluta, con le immagini fotografiche di chi è rimasto fermo sempre ai
suoi vent'anni, perché il fronte, rapendolo, lo ha condannato a
un'eterna giovinezza, e con l'excursus storico di quel lungo treno umano
che andava verso il confine. Quel fronte del Nordest, come l'ha definito
Pittalis, lungo 650 km, così essenziale da rappresentare quasi la summa della prima esperienza collettiva di
guerra. L'esercito era lo specchio del paese: povero, analfabeta,
contadino, malato e senza mezzi.I moschetti raggiungevano quasi
l'altezza del nostro popolo basso e gobbo, privo di elmetti e di
mitragliatrici, al contrario degli austriaci, nonostante le note sugli
alpini valorosi cercassero di infondere coraggio. Dentro le trincee,
quando per combattere il freddo dell'inverno c'erano soltanto pezze ai
piedi e tele sul corpo, l'istinto vitale faceva sentire tutti i soldati
attaccati alla vita come mai prima d'allora, ha raccontato Pittalis
rievocando Ungaretti. Altri canti additavano l'interventismo di quegli
studenti che avevano gettato la patria nel lutto, versando sangue
inutile. In un solo anno la pellagra falcidiò in Veneto, da cui
partirono verso il fronte 600 mila uomini, ben 12 mila persone. E
intanto, tra fucili e baionette, in quell'esercito di 'piccoletti', per
il 45 per cento analfabeti, l'italianità si trasformava in babelismo,
tanto che l'interprete, come recitano alcune missive lette da Pittalis,
doveva riuscire a far colloquiare il nord con il sud, perché,
altrimenti, «rischiavano, l'un con gli altri, di spararsi, credendo di
essere di fronte al nemico». Il senso della
patria si scontrava con l'attaccamento alla vita: diserzioni,
mutilazioni per evitare di entrare nell'esercito. Anche questo ha
comportato la guerra, fatta di "spallate", le infinite campagne
d'Isonzo, e di un bicchiere di cognac frettolosamente bevuto prima di
uscire allo scoperto. Fra gli appuntamenti degni di nota, da segnalare
domani il conferimento della laurea
honoris causa al regista Monicelli. (Irgi
-
IL GAZZETTINO
del 26 Maggio 2005)
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