Mons. Giuliodori:
«È fondamentale per tutti i professionisti che hanno a cuore il
valore e il bene
che la comunicazione realizza nel sistema sociale, porre primaria
attenzione all'aspetto etico»
SI CHIAMA «OPERATORE PASTORALE della
comunicazione e della cultura» ed è la nuova figura chiamata a
gestire un settore che la Chiesa italiana considera fondamentale e
sul quale ci dovrà essere una vera e propria «conversione
pastorale» da parte delle parrocchie. Ne è convinto mons. Claudio
Giuliodori, direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali della Gei,
che sabato 7 maggio sarà in Friuli per partecipare all'incontro di
studio «Comunicazione & comunione», in programma all'abbazia di
Rosazzo. Il confronto vedrà la presenza di tutti coloro che nella
Chiesa Udinese si occupano di comunicazione: nei media diocesani
(la Vita Cattolica, Radio Spazio 103 e sito internet), ma anche
nelle varie parrocchie e foranie (tramite i tanti bollettini,
fogli informativi, siti internet, gruppi di studio come Teleforum
ecc.). Sarà proprio mons. Giuliodori a presentare il direttorio
sulle comunicazioni sociali «Comunicazione e missione»
recentemente pubblicato dalla Cei. L'incontro si tiene in
occasione della 393 Giornata mondiale delle comunicazioni sociali
che si celebra 1'8 maggio sul tema «I mezzi di comunicazione al
servizio della comprensione tra i popoli».
Mons. Giuliodori, nella sua prima udienza
pubblica, dedicata proprio al mondo della comunicazione, il nuovo
Papa ha fatto riferimento al problema della «responsabilità etica
dei giornalisti soprattutto per quanto attiene la sincera ricerca
della verità e la salvaguardia della centralità e della dignità
della persona». Esiste questa responsabilità nel mondo
dell'informazione oggi e il cristiano che opera in questo ambito
come deve comportarsi, che bussola seguire?
«È un mondo, quello della comunicazione, su cui gravano
molteplici interessi, per cui è difficile sviluppare una
riflessione dal punto di vista etico. Certamente è fondamentale,
per i cristiani, ma anche per tutti i professionisti che hanno a
cuore il valore e il bene che la comunicazione realizza nel
sistema sociale, porre primaria attenzione all'aspetto etico. Ciò
significa innanzitutto rispetto delle regole deontologiche di
onestà, correttezza, giustizia. Ma dall'altra parte c'è anche una
responsabilità etica di fronte alla Verità del bene della persona
e della società. L'evento della morte di Giovanni Paolo II e
dell'elezione di Benedetto XVI ha messo in evidenza come l'uomo ha
una domanda fortissima di fede, di senso della vita. E questo deve
interpellare i comunicatori, perché nel loro lavoro non devono
guardare solo alla superficie degli eventi, ma alla profondità e
ai valori dell'uomo e dello spirito».
Il tema di quest'anno per la giornata mondiale
è incentrato sulla comunicazione come strumento di comprensione
tra i popoli. Come fare perché ciò si realizzi, in particolare nel
nostro territorio che ha appena festeggiato un anno dall'entrata
della vicina Slovenia nell'Ue?
«Credo che in ogni contesto, anche quello del vostro
territorio, una terra che ha visto il confluire e il passaggio di
tanti popoli, si possa cogliere l'importanza dei mezzi di
comunicazione come fattore di civiltà, di conoscenza e costruzione
del benessere comune. Quindi il tema scelto quest'anno pone in
evidenza le risorse e le opportunità che derivano dalla
comunicazione sociale. Ovviamente tutto dipende poi dal grado di
consapevolezza e responsabilità, dalla capacità anche creativa
degli operatori della comunicazione per far sì che queste risorse
siano sempre poste a disposizione del bene comune».
Lei a Rosazzo presenterà il direttorio sulle
comunicazioni sociali della Cei, il quale individua, tra l'altro,
la nuova figura dell'operatore pastorale della comunicazione e
della cultura. Di che figura si tratta?
«Questa figura è resa necessaria dal grande sviluppo dei mezzi
della comunicazione sociale e dal loro rapporto sempre più
approfondito e diversificato con il mondo ecclesiale. Nelle
parrocchie ci sono tanti bollettini, siti internet, sale della
comunità, tutta una serie di strumentazioni che necessitano non
solo di essere usate bene, ma al fine di far crescere sotto tutti
gli aspetti la missione della Chiesa. Ecco, allora, che chi è
impegnato nella realizzazione di tali strumenti, al pari dei
catechisti, degli operatori della Caritas degli animatori della
liturgia, della pastorale giovanile, dovrebbe essere soggetto
riconosciuto, formato, a disposizione della comunità proprio per
sensibilizzare, formare, promuovere iniziative sul versante della
comunicazione e della cultura».
Come far crescere queste figure?
«Siamo all'inizio, si sta appena cominciando a riflettere su
questa figura, ad individuare quali potrebbero essere i profili
concreti che sono anche diversi da zona a zona, da parrocchia a
parrocchia. Ciò non toglie che ci siano esperienze già molto
significative in alcune parrocchie e diocesi, che ci sia una
progettualità articolata di formazione, attraverso gli istituti
superiori di scienze religiose, ma anche con corsi estivi,
biennali, master ad hoc, proprio per creare le premesse ad un
processo positivo di formazione e diffusione di questa figura
nelle nostre comunità soprattutto parrocchiali».
Le quali dovranno, quindi, imparare a
comunicare meglio.
«La parrocchia è il cuore di questo rinnovamento. Si tratta di
una vera e propria conversione, ripensando la pastorale in
un'ottica diversa: non tanto introversa, portando le persone
dentro le mura della Chiesa, quanto facendo sì che questa comunità
viva e palpitante possa irradiarsi sul territorio. E i media sono
uno strumento preziosissimo per arrivare a tutte quelle persone
che non partecipano alla vita della Chiesa, pur magari essendo
sensibili».
(STEFANO DAMIANI –
La Vita
Cattolica del 7 Maggio 2005)