L’appuntamento fa parte de I Colloqui dell’Abbazia, gli incontri
culturali che si propongono di trattare argomenti di attualità e
interesse generale che abbiano ricadute specifiche nel territorio di
competenza.
...l'introduzione dell'arch. Burelli
e la l'intervento del prof. Tabarroni...
I RITMI DELLA
CREAZIONE
(di Massimo Donà)
Le cose ci vengono incontro. E noi rispondiamo alla loro chiamata. Ma
troppo spesso la nostra unica preoccupazione è quella di aver “ben
inteso” di cosa si tratti.
Una preoccupazione che ci guida anche in rapporto alle
cosiddette opere d’arte. Si tratti di poesia, di arte visiva, di musica,
ma si tratti anche di un’opera filosofica, o delle pagine di un testo
religioso, in ogni caso, siamo tutti sempre istintivamente preoccupati
di capire bene e non fraintendere. Facciamo di tutto per impadronirci
del significato e di tenerlo ben a mente. Come se quest’ultimo fosse
essenzialmente indipendente dal “modo” del suo presentarsi.
Si tratta di un atteggiamento che viene da lontano; e che abbiamo
acquisito in virtù di una forma mentis volta in sostanza a ‘dominare il
mondo’; a tenerlo in pugno per il tramite di quella griglia concettuale
che ha consentito all’essere umano – grazie allo sviluppo di una sempre
più raffinata ‘teorizzazione scientifica’ – di prendere il posto del
creatore divino. Scientia est potentia, diceva Bacone. La potenza
dell’uomo… una potenza che però tende a trasformarsi, sempre più
radicalmente, in potenza “sull’uomo”. In questo senso, forse, religione
e scienza assai più radicalmente solidali di quanto le attuali polemiche
lascino spesso credere. Entrambe hanno ritenuto e continuano a ritenere
che il mondo sia qualcosa di cui l’umanità sarebbe autorizzata a
disporre liberamente; vuoi per piacere a Dio, vuoi per procurare
soddisfazione alla propria brama di dominio.
E se fosse il caso di imparare a riconoscere, invece e
innanzitutto, proprio il “ritmo” con cui l’essente sempre si fa esperire
?
D’altro canto, quello che siamo soliti chiamare
‘significato’ non potrebbe neppure costituirsi, indipendentemente dal
ritmo del suo manifestarsi; ossia, indipendentemente dalle movenze con
cui si concede allo sguardo orizzontale dell’intelletto, costringendolo
quasi sempre a bruschi volteggiamenti, sospensioni, curvature
impreviste, andate e ritorni, obliqui attraversamenti.
Troppo a lungo ci siamo accontentati di ‘comprendere’
le cose dell’arte per il tramite di una catalogazione formale e
stilistica, che ci ha abituati a rimuovere il fatto che l’opera si dà a
noi, anche e innanzitutto, con un ‘ritmo’ suo proprio… e che forse
proprio in quest’ultimo è custodito il suo enigma più profondo. Un ritmo
che ci parla d’Altro; un ritmo in cui è custodito, forse, un “mistero”
che rende da ultimo vana ogni nostra brama e ogni nostro pre-potente
appetito.