Gradisca d'Isonzo,
15 e 21 Settembre 2008
Presentazione del libro
"Giovanni Battista Coassini,
sacerdote del Collegio Germanico-Ungarico"
Figure di uomini e donne la cui memoria, in molti casi, è andata,
inevitabilmente, affievolendosi con il passare del tempo e con la scomparsa
di quanti ebbero modo di conoscerli personalmente ma la portata delle cui
opere rimane sempre viva. Togliere la polvere che si è adagiata in questi
anni sul loro ricordo è un dovere ed un’occasione preziosa per le comunità
cristiane per dare nuovo vigore a figure il cui insegnamento e la cui
testimonianza ancora tanto possono donare, con un’attualità davvero
sorprendente.
È quanto avvenuto in questi mesi per la comunità di
Gradisca. L’occasione della riapertura del ricreatorio "Coassini", storico
punto di riferimento per intere generazioni di abitanti della cittadina in
riva all’Isonzo, ha offerto lo spunto per cercare di conoscere meglio la
figura del concittadino don Giovanni Battisti Cassini, figlio di quella
famiglia che ha voluto generosamente donare la struttura alla comunità
affinchè fosse centro di apostolato specie per i più giovani. Alunno del
collegio Germanico a Roma, don Giovanni Battista, morì giovanissimo
prematuramente nel 1912 e venne sepolto nel cimitero teutonico, a pochi
passi dalla basilica di San Pietro; nella sua pur breve esistenza seppe
testimoniare in modo davvero unico e totale il proprio ministero
sacerdotale, facendosi prossimo a tante situazioni di degrado della capitale
ed impegnandosi, in particolare, nel catechismo a favore dei bambini delle
borgate più povere. La "riscoperta" della sua vita ("santa" ebbe a definirla
esplicitamente papa san Pio X) rappresenta davvero un dono prezioso non solo
per l’intera comunità gradiscana ma anche per quella diocesana.
L'immagine della pittrice gradiscana Rita Marizza, rappresenta la
scoperta di un volto, di una storia e di una santità, che la Comunità ha
fatto sua restaurando fisicamente l'Oratorio |
Tra le
varie iniziative che hanno coinvolto l'Unità Pastorale di Gradisca d'Isonzo,
segnaliamo la Via Crucis presieduta dal Vicario Generale Mons. Adelchi
Cabass, con la benedizione del nuovo Crocefisso ligneo che sarà
intronato nella Cappella dell’Oratorio...
... la S. Messa solenne, accompagnata
dalla
corale S. Marco di Mossa e la benedizione del ritratto di G.B. Coassini...
VEDERE
IL SERVIZIO>>>
...presentazione del libro su G.B. Coassini, un giovane,
un sacerdote di Cristo. Relatore prof. Ferruccio Tassin, presente
l’Arcivescovo Mons. Dino De Antoni. Seguono alcune immagini della serata e
la relazione del prof. Tassin...
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Domenica 21 Settembre
Santa Messa solenne
celebrata da S.E. Mons. Dino De Antoni, arcivescovo di Gorizia
e inaugurazione dell’Oratorio Coassini
Gradisca, 15 settembre 2008, chiesa della B.V.
Addolorata, presentazione del libro
"Giovanni Battista Coassini" sacerdote del Collegio Germanico –
Ungarico"
Rovistando nella
memoria, allorché ho letto sulla "Voce Isontina" le note di Luigi
Murciano su don Giovanni Battista Coassini, mi sono ricordato di
quando ne ho udito per la prima volta il cognome.
Era il 1952 o ’53, ed ero in ansia da alcuni giorni: saremmo dovuti
andare con il cappellano don Bruno Vittor a Gradisca d’Isonzo; una
intera giornata, meta il ricreatorio Coassini.
Il piacere era doppio, star via con don Vittor, che ci
entusiasmava, e andare a vedere una città.
In quella occasione il Coassini era il centro di un incontro
dell’Azione Cattolica.
Mi è rimasto nell’orecchio ed è risuonato familiare
altre volte per riunioni culturali, delle Acli, cineforum… Era così
armonico quel cognome, che sembrava lì da sempre.
Mai avrei immaginato di dover parlare di un nome che
gli stava davanti, di una persona, la cui vita, senza ombra di
retorica, si può definire una scintilla di Dio.
Se razionalmente si può dire così di ogni vita umana,
ancorché carica di anni, tanto più di questo giovane sacerdote, che
ne aveva 25 da poco compiuti, quando morì il 21 dicembre 1912.
E allora guardiamoci attorno, in modo da percepire quale sia stata
la fortuna del Coassini in diocesi.
Ho chiesto a mons. Elio Stafuzza, memoria storica, se ne avesse
sentito parlare in seminario: nulla di nulla. Però, nella Biblioteca
del Seminario Teologico Centrale, ci sono i volumi della sua
biografia, sia in italiano che in tedesco, opera di Ferdinand
Ehrenborg, uno degli scrittori gesuiti, autore di altri lavori, in
libri e riviste, biografo e storico di prestigio.
Nel 1913, pubblicò a Roma per Desclée e Compagni –
Editori Pontifici, "Giovanni Battista Coassini sacerdote del
Collegio Germanico – Ungarico" (250 pagine). Non basta, nel 1914
viene edito a Friburgo, in Germania, un libro in tedesco, dal titolo
ancora più significativo: "Zum Priesterideal Charakterbild des
jungen Piesters Johannes Coassini aus del deutsch-ungariscen Kolleg
in Rom". Altra prestigiosa casa editrice, la Herder, con sedi in
tutto il mondo; per questi torchi, si sa di cinque edizioni e di
novemila esemplari.
Qui il messaggio del titolo non si limita a promettere una
biografia, ma tende a indicare un contributo, quasi un modello, per
l’ideale di sacerdote. Dopo la guerra non cessa l’interesse per
questa figura, e nel 1930 abbiamo una edizione in inglese
dell’opera, sempre per i tipi della Herder: "The Ideal of the
Priesthood: as illustrated by the Life of John Coassini, of the
German-Hungarian College in Rome" (281 pagine).
Come mai il silenzio dalle nostre parti? In mancanza di riscontri di
altro genere, si potrebbe pensare che il silenzio sia sceso come su
tutto quanto il resto, per la cultura, il peccato originale che era
tedesca, che si riferiva all’Austria, quindi, secondo il
nazionalismo imperante dopo la grande guerra, da rifiutare, con
danni inenarrabili. Un esempio, per quanto minuscolo, in questo
libro?
In una sorta di flashback, l’Autore pone nella
prefazione l’ultimo atto pubblico di Coassini prima della morte;
subito dopo descrive la sua sepoltura nel cimitero teutonico,
accanto alla basilica di San Pietro e cita i versi di un suo
compagno di studi, composti per il canto sulla sua tomba, tantopiù
che il defunto era stato violinista e cantore. Si tratta di parole
semplici, in tedesco.
Ecco che subito, accanto alla parola "versi", prima del
loro inizio, è scritto a matita "che per essere troppo peregrini
sono stati scritti in ostrogoto".
Non è che sia un sonetto foscoliano, ma neppure
"peregrini" sono quei versi, se si storicizza il contesto,
l’ambiente in cui sono stati scritti e si legge dal di dentro; quel
termine "ostrogoto", inoltre, gronda di pregiudizio e disprezzo.
E poi, non è senza significato il fatto che qui del
Coassini non si sapesse niente, mentre siano state strombazzate e
fermate su marmo e bronzo virtù di violenza bellica.
Perfino lo scultore Giovanni Battista Novelli rimase
col piede alzato, perché il comitato cittadino non mantenne gli
impegni di spesa, e non fece passare il busto del sacerdote dal
gesso al marmo (Serena Novelli). Tanto che di gesso è rimasto.
Dopo la morte, ne scrisse "L’Eco del Litorale" di
Gorizia; la Cronaca parrocchiale di Gradisca, al 1912, ha un’ampia
nota di don Carlo Stacul.
Tuttavia un chiaro segno che se n’è parlato anche dopo
rimane nel 1926 (Alberton-Tomadin), quando, durante la visita
pastorale del principe arcivescovo di Gorizia, mons. Francesco
Borgia Sedej, si inaugurano asilo e ricreatorio del Coassini, e il
parroco mons. Carlo Stacul illustra la figura di don Giovanni
Battista Coassini.
Nel 1949, il parroco don Francesco Spessot inserisce
una pagina di un catalogo della editrice Declèe, con gli estremi del
libro dell’Ehremborg e un riassunto illustrativo e verga di suo
pugno una nota sul libro dei battezzati dando notizia della
biografia del 1913, segno che il colto sacerdote di Farra voleva si
sapesse che Giovanni Coassini non era uno qualunque Ancora nel 1956,
alla visita dell’arcivescovo mons. Giacinto Ambrosi, all’atto della
inaugurazione della sala teatro, il parroco don Luigi Cocco ricorda
l’iniziatore del ricreatorio mons. Carlo Stacul e il munifico
donatore don Giovanni Battista Coassini.
È cronaca l’ultimo intervento di vent’anni fa da parte
del comitato presieduto dal Sindaco Romano Travan e poi, finalmente,
un segno tangibile con la erezione della tomba dei Coassini nel
cimitero.
Dalla biografia dell’Ehremborg, che è stata ristampata
per questa occasione, si può trarre una espressione chiave per tutta
la vita e il programma di preparazione al sacerdozio del Coassini:
la straordinarietà dell’ordinario, la lode della quotidianità, ma
non nel senso banale del significato, bensì nell’impegno ad andare
dritti all’obiettivo, sfrondando l’accessorio.
Lo dichiara lui stesso: "Volo curam praecipuam
impendere in communibus, cavere a particularibus". Ma solo che il
livello della asserita ordinarietà, qui, era di livello altissimo.
Il biografo possiede interamente la materia che tratta:
è vicino agli avvenimenti; a sua portata di mano sono i diari,
incredibilmente particolareggiati, del Coassini e la massa ingente
dei suoi scritti, come appunti, riassunti, tesi trattate; conosce
minutamente la vita del collegio; ha contatto con tutti gli allievi
del Germanicum, con i professori, con i compagni di studi e gli
allievi del Coassini nella scuola di catechismo. Infine, conosce la
spiritualità ignaziana che permea don Giovanni Battista e gli autori
oggetto delle dei suoi studi e financo delle sue letture.
Detto per inciso, nel caso di una auspicabile ricerca
che voglia approfondire qualche lato e rispondere ad alcune altre
domande (per esempio, rapporti con la diocesi di origine, con
personaggi del Goriziano o con altri corrispondenti…), oltre che
raggiungere un profilo biografico più essenziale, la materia
dovrebbe essere presa in mano da uno che padroneggi sia questi che
gli altri aspetti summenzionati.
Anche se hanno un corpo tipografico assai leggibile, le
pagine sono dense, per il loro carattere estremamente analitico, non
facilmente piegabili ad ottenere una sintesi.
O meglio, la sintesi estrema può essere raggiunta
immediatamente, e in tre parole : "È un santo!". Anzi è
davvero strano che nessuno si fosse mosso, negli anni più vicini
alla sua morte, a promuovere un processo di canonizzazione.
Quando, alla fine del libro, l’Autore si chiede quale
sia il complesso di doti e di virtù che ne ha fatto un personaggio,
fa capire che erano in parte naturali, in parte acquisite in un
serio programma di vita che metteva in discussione il "come?" in
ogni particolare.
In tale contesto ce lo presenta fisicamente: "…Non si
può…negare, che Coassini fosse una figura attraente, anzi, in un
certo senso, imponente. Di statura giusta, fronte nobile ed aperta,
sguardo tranquillo e sereno, guance costantemente soffuse d’un
delicato colore, portamento diritto e naturale, vestito semplice, ma
pulitissimo: tutto ciò non poteva mancare di produrre una certa
impressione; se poi s’aggiunga una cert’aria soprannaturale, che
circondava l’intera persona, si può ben capire, come chi trattasse
per la prima volta con lui si dovesse mettere in guardia, onde non
essere preso da un non meno corretta simpatia, e come alla fine
dovesse esclamare quasi senza volerlo: Questo è veramente un
santo…".
Nasce a Gradisca d’Isonzo il 5 settembre 1887,
terzogenito di Angela Basilisco, goriziana, e Nicolò Coassini. Viene
battezzato, con licenza del parroco, dal pievano di Romans Francesco
Saverio Petcosig - figura prestigiosa soprattutto nell’ambito della
scuola - con i nomi di Giovanni, Pietro e Ugo.
In quest’anno, viene in visita pastorale a Gradisca
l’arcivescovo Luigi Zorn e appone la sua firma come controllo del
registro dei battesimi, proprio sotto l’atto di quello che riguarda
il Coassini.
Che cosa significhi questa nascita, per il padre, ricco
possidente e titolare di una farmacia, scrive il biografo, è
sottolineato dal fatto che il primogenito era morto "…e non aveva
che una bambina…".
Questa citazione, che oggi farebbe inorridire qualsiasi
donna (forse anche allora…), spiega plasticamente l’importanza di
Giovanni.
La madre lo alleva cristianamente e gli istilla l’amore
per Gesù e la Vergine Addolorata, tanto che dal frequente canto
nella vicina chiesa, il fanciullo, impara precocemente lo Stabat
Mater. A meno di 5 anni gli muore la madre.
Il tono del libro è meno retorico delle abituali vite
dei santi, ma si nota un andamento vicino, per cui tutte le pagine
sono costellate di elementi edificanti, che però fanno sempre
intravedere la linea di vita, dianzi accennata, di Giovanni:
perseguire con determinazione l’essenziale, sceverando dal complesso
l’accessorio, cui accostarsi solo nel caso di effettiva certezza che
non recasse nocumento alcuno alla linea guida. Esce in filigrana la
figura di San Luigi Gonzaga, al quale, peraltro, il fanciullo era
devoto.
Si noti che la fonte di questa fase giovanile della
vita, non è desunta da modelli astratti, ma è detto espressamente
che essere la voce del parroco di Gradisca di allora mons. Giovanni
Battista Trevisan, che gli fu direttore spirituale (era anche un
sacerdote d’azione e proprio a Gradisca, nel 1906 partecipa alla
fondazione dell’Unione cattolica popolare del Friuli).
Dopo la scuola primaria, frequentata, con entusiasmo e
gioia, in città, a 10 anni va a Trieste per gli studi superiori, e
abita da una parente.
Vita di studio e di pietà, frequenza ai sacramenti e
direzione spirituale non lo piegano a direzioni che escano dalla
strada così che, chiosa il biografo, "È da stupirsi, come al
Ginnasio Comunale di Trieste, Giovanni si sia potuto mantenere così
buono, frequentando quelle scuole, che erano nelle mani di liberali
ed ebrei…", qui si nota un po’ anche l’odore del luogo comune.
Risultato degli studi sempre al massimo grado, maturità compresa!
Giovanni sarebbe dovuto diventare medico, secondo il
padre, di qui il classico conflitto, con le decisioni del figlio:
prete!
Suppliche, resistenze, pianti e lacrime; il padre cede,
e lo accompagna a Roma al Collegio Germanico Ungarico; con loro è la
sorella.
È il 1906; prima di partire (ha 14 anni), gli viene
impartita la cresima, ancora non ricevuta: gli è padrino mons.
Trevisan.
Nell’economia di un libro, pubblicato a Roma e
destinato a collegi e seminari, chi avesse mandato a Roma il
Coassini, e perché al Germanico, non ha più che tanta importanza, ma
per noi sì, e allora mi sono rivolto al prof. Luigi Tavano, che mi
ha ricordato come anche il futuro card. Missia, che poi fu
arcivescovo di Gorizia, da Lubiana era stato indirizzato al
Germanicum, e come ad un certo momento fosse diventata la
destinazione alternativa al Frintaneum di Vienna, dove per esempio,
erano stati ospiti Eugenio Valussi, poi principe vescovo di Trento e
Luigi Faidutti.
Però qui, almeno, stando alla scarna annotazione nel
registro alunni del Germanico che fa menzione di Giovanni Battista
Coassini, Austrico, della diocesi di Gorizia, che chiese ed ottenne
l’ammissione, come convittore, raccomandato da don Trevisan e dal
neoarcivescovo di Gorizia mons. Sedej, pare che si tratti di una
decisione autonoma. Diverse anche le modalità: a Vienna venivano
mandati già sacerdoti.
Dal 1906, torna a Gradisca solo due volte, sempre nel
1908, prima per il matrimonio della sorella, poi per la morte del
padre; le testimonianze gradiscane sono concordi, nella sua presenza
unanime era l’accostamento a San Luigi.
Nel Germanico, primo collegio pontificio fondato dopo
la riforma cattolica da Giulio III, nel 1557, per impulso di Sant’Ignazio
di Loyola e unito nel 1580 all’Ungarico iniziato due anni prima, la
veste talare era rossa. L’abito e il colore assumono immediatamente
per Coassini una forte carica simbolica.
Indossato l’abito, viene presentato al card. Steinhuber,
un tempo rettore del Germanico, significativo teologo e protettore
del collegio che gli chiese se fosse un italiano.
La giornata della vestizione vide la presenza di
personaggi come il generale dei Gesuiti p. Wernz e del vescovo di
Rottemburg Keppler, già professore a Tubinga e Friburgo. Non molto
tempo dopo, insieme a neosacerdoti e condiscepoli riceve la
benedizione dello stesso Papa Pio X. Memorabili i suoi primi
esercizi, subito dopo Natale, conclusi nel capodanno del 2007.
Scopi: spogliarsi dell’uomo vecchio, per lui pensiero della morte e
costante preparazione davanti ad essa, inoltre, per dirla con le
parole del biografo, "ordinare tutta la vita di azione, conformata a
solidi principi, e rimuovere tutto ciò che sia di capriccioso e
labile nella formazione sia scientifica che morale". Vuole diventare
un sacerdote pio, istruito, di carattere, bene educato; confronto
con i propositi ogni domenica dopo la comunione, elemento cardine
della sua vita. Per questo, si esercita, con un apparato di
controllo relativo a se stesso, fatto di domande, programmi e
verifiche comprendenti ogni minimo particolare della vita
spirituale, del carattere e del procedere della preparazione in
vista del sacerdozio. Si va dalle devozioni personali (Sacro Cuore
di Gesù, Vergine, Rosario, via crucis, giaculatorie), alla critica
dell’amor proprio (due volte al giorno), al servizio al prossimo
fino al dimenticare se stesso.
Altro punto fondamentale gli studi: l’essenziale da
approfondire, gli studi liberi "si tempus superest". Tutto esaminava
e ne scriveva, del suo procedere nella vita e negli studi, lavorando
"sub specie aeternitatis", con un costante sguardo alla tomba. Nel
giugno e nel luglio 1907 riceve gli ordini minori. Anche le vacanze
sono in tempo di crescita e di interrogazione sistematica sul
procedere della vita spirituale. Perfino il gioco e il divertimento
erano finalizzati alla perfezione del carattere al vincere sé stesso
per gli altri, e soprattutto in rapporto a Dio. La festa, la musica,
il canto in tedesco, italiano, latino…E nello stesso tempo la
mortificazione, perfino nel trovare il posto più scomodo su di un
carro durante un viaggio!
Allo studio unisce la vita attiva come insegnante in
una scuola che il collegio aveva iniziato con i parroci romani, per
iniziativa di Celestino Endrici (1891) poi vescovo di Trento.
Giovare alle anime, nel rapporto con la gioventù
povera, ma anche qui con misura, per non danneggiare la linea guida,
il raggiungimento del sacerdozio per la salvezza delle anime. La sua
è una pedagogia pratica, in cui la memoria non è premessa, ma
rinforzo alla spiegazione.
Assume altri incarichi: maestro di italiano per i suoi
condiscepoli; per l’esame scritto, scelse un brano in tedesco
dall’opera Das Leben heiligen Aloysius…quello riguardante la
morte. Diventa poi "duttore", nel collegio, chi curava l’accoglienza
dei nuovi entrati. Si trattava di metterli a loro agio, spiegare
vita e studi, visitare e conoscere la città, con le sue ricchezze
artistiche spirituali.
Con la morte del padre, durissimo colpo per lui, da una
lettera di conforto si sa che conosceva il seminarista Goriziano
Giuseppe Srebernič, che poi divenne vescovo di Veglia.
Studi filosofici (1906-1909) all’Università Gregoriana,
dove ai regolamenti di Gregorio XIII, con un motu proprio, Pio X
aggiunse: "…sunt duae res necesssariae, doctrina ad cultum mentis,
virus ad perfectione animae".
Lo studio diventa la sua occupazione principale "pro
bono Ecclesiae et gloria Dei". Nel secondo anno venne scelto per una
pubblica disputa, riscotendo il plauso dei professori.
Tanto per dare un assaggio della vita in collegio,
l’alzata era alle cinque, poi meditazione secondo il metodo di Sant’Ignazio:
voleva dire prepararla già la sera prima e seguire una serie fissa
di regole. Tutto il suo tempo era meticolosamente controllato
"evitava le eccezioni per principio".
A tutto si preparava, dalla messa alla comunione,
lasciando agire i sentimenti della sua anima nati durante la
meditazione o usando il metodo del card. Bellarmino. Inutile dire
che tra le sue opere più lette era il libro degli esercizi di Sant’Ignazio
e L’imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis.
Già si è accennato alle sue devozioni. In quanto ai
santi, aveva una predilezione per San Pietro e San Paolo; San
Giovanni Crisostomo e San Francesco di Sales "modelli di zelo
apostolico"; San Francesco Saverio, Sant’Ignazio (come lui voleva
essere "cadetto della Santa Sede") e i tre santi giovani dei
Gesuiti, San Stanislao Kostka, San Luigi Gonzaga e San Giovanni
Berchmans, i due beati martiri del collegio Roberto Johnson e Marco
Crisino, e inoltre San Giovanni Battista di cui porta il nome.
Il biografo conduce il lettore quasi per mano ad
entrare nell’anima di Giovanni Coassini e a conoscere ogni minimo
aspetto della sua vita, fino i paesaggi e il luoghi delle sue
vacanze.
Diventa catechista e poi direttore della Scuola
catechistica che era il contatto del collegio con la realtà popolare
delle borgate romane (e dava anche qualche raro scappellotto agli
irrequieti alunni, anche se ciò non corrispondeva al suaviter in
modo, fortiter in re del p. Claudio Acquaviva, IV generale dei
Gesuiti). Qui pratica anche la carità concreta, sfiora la questione
sociale.
Dal 1909 al 1912, gli studi teologici: anche qui
costruisce un piano, in cui scrive, tra l’altro "Non mi proporrò di
studiare anche il non necessario", che non vuol dire mancanza di
vasti interessi, ma priorità del fine. Si dedica però alle lingue
orientali, per un anno, nel Pontificio Istituto Biblico e il primo
giugno 1912 è ordinato diacono in San Giovanni in Laterano, chiesa
dedicata al santo di cui porta il nome. Scrive sul suo diario: "Ecco
il modello dello spirito apostolico il mio patrono San Giovanni
Battista. Devo dimenticare me stesso per procurare l’amore di Gesù.
Gesù e San Giovanni gareggiano in umiltà. Così io devo di mia
volontà sobbarcarmi a qualcosa di difficile, liberando un altro. Le
occasioni sono frequenti". Nell’ambito dell’autogoverno dei chierici
che vige nel Germanico, viene nominato prefetto dei teologi, una
consuetudine per favorire la vita di comunità, e nella preparazione
alla festa della ordinazione sacerdotale, affidata appunto al
prefetto, provvede a tutto, compresa la scelta del patrocinio, il
martire del collegio Roberto Johnson e sotto la foto del ritratto vi
scrive il motto "Prope Romam semper". Nella chiesa del collegio, il
28 ottobre 1912 il card. Respighi, insieme con lui ordina 93 allievi
dei diversi collegi e delle diverse congregazioni religiose. Festa
grande e telegrammi da tutto il mondo da ex allievi, ospite il card
Louis Billot, per più di 25 anni, docente alla Gregoriana, teologo
che prese posizione contro il liberalismo e il modernismo. Il 15
dicembre, Coassini avrebbe celebrato la sua ultima messa.
Per far capire come la malattia (fu più che altro una
lunga agonia) e la morte siano state specchio della sua breve vita,
il biografo dedica loro 25 pagine, il 10 % del totale: è una
sottolineatura quantitativa oltre che qualitativa. Morì di
peritonite, dopo una operazione d’urgenza. Tutto il racconto sembra
un trattato di ars moriendi, apparato alla morte: le
preghiere la sua rassegnazione attiva, il testamento con la
donazione di casa e beni in gran parte ai poveri e a quello che
sarebbe diventato negli anni Venti, il Coassini; un triduo di
preghiere, con la espressa partecipazione spirituale del Papa, che
benedisse per lui una medaglietta.
Uno dei compagni gli chiese se gli costasse il
sacrificio della vita; Coassini rispose con le parole della
rassegnazione di Giobbe e il compagno replicò: "Lei non deve morire
adesso: noi e la sua diocesi abbiamo ancora bisogno di Lei". Questa
è anche una spia che aveva manifestato il desiderio di tornare in
diocesi.
Fece testamento, scritto da altri in tedesco, firmato
da lui. Le preghiere di quel periodo erano perlopiù in latino e in
tedesco. Tutto si svolgeva col carattere della solennità e della
partecipazione corale di alunni e professori. Lo vegliarono
personalità come il padre Hilgers, grande storico di storia
pontificia.
Volle sapere perfino quanto gli restava ancora da
vivere. Spirò santamente e fu sepolto nel camposanto teutonico
accanto alla basilica di San Pietro. Quando la funzione ebbe termine
era mezzogiorno, e quasi lo salutarono il campanone di San Pietro e
le campane di tutte le chiese di Roma.
Certamente c’è più bisogno di Santi in paradiso che
sugli altari, ma una sua auspicabile beatificazione sarebbe una
benedizione per la archidiocesi di Gorizia.
Questo libro che è quasi una ristampa anastatica
dell’originale, è un lavoro tipograficamente pulito e agile, dal
punto di vista redazionale è intelligente, perché presenta un
inserto fotografico ben scelto, la traduzione dei versi tedeschi e
di ognuna delle numerose citazioni latine.
L’iniziativa di don Maurizio Qualizza e della
Parrocchia sono insieme un atto di giustizia verso questa
straordinaria figura di sacerdote e un dono per la diocesi e non
solo. Il 16 gennaio del 1913, il Papa, all’udienza cui presero parte
alunni e superiori del Germanico ebbe a dire, riferendosi al
Coassini: "Purtroppo in quest’anno ho lamentato e pianto con voi per
quell’ottimo giovane che era a tutti di ammirazione, e che con tanto
ardore si apparecchiava alle fatiche apostoliche…".
Quando il male lo prese, con il suo violino si
preparava alla accademia natalizia e lì fu ricordato.
Conclude il biografo: "Coassini passò come una visione,
sfiorò quasi appena la polvere della valle del pianto, ma lasciò
tracce indelebili e soave profumo di virtù.
Ferruccio Tassin
Data la sua importanza anche dal punto di vista storico,
informiamo che il libro sarà disponibile presso la parrocchia
di Gradisca, presso la Libreria Faidutti e la curia di
Gorizia, presso il negozio di Arte sacra Morocutti e le Suore
Paoline di Udine |
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