UOMINI DI FRONTIERA, TRA OCCIDENTE E ORIENTE
con CARLO SGORLON
introduzione di MARIO TURELLO - letture di SANDRA COSATTO
il saluto di Federico Rossi e la prima lettura di Sandra Cosatto
...l'introduzione di Mario
Turello...
L'incontro con lo scrittore Carlo Sgorlon, che è stato introdotto dal
critico Mario Turello.
Al centro della serata, dedicata a "Uomini di frontiera tra occidente e
oriente", è stato soprattutto il grande viaggiatore Odorico da
Pordenone, la cui eccezionale avventura fu un viaggio in estremo
Oriente. Sulla scorta delle scarse notizie disponibili e del diario di
Odorico "De rebus incognitis" Sgorlon ha scritto "Il filo di seta", un
grande romanzo di viaggio dominato dall'incanto del lontano,
dell'ignoto, in un'affascinante odissea medioevale dove avventura e fede
si mescolano indissolubilmente.
L'attrice Sandra Cosatto ha interpretato alcune pagine
del libro di Scorlon, che tra l'altro è uscito recentemente anche nella traduzione
cinese.
Odorico da Pordenone
(1265-1331)
(da Wikipedia)
Odorico
da Pordenone (al secolo Odorico Mattiussi o Mattiuzzi; Villanova di
Pordenone, 1265 – Udine, 14 gennaio 1331) è stato un presbitero e
religioso italiano dell'Ordine dei Frati Minori: è stato beatificato nel
1755. Divenuto sacerdote dell'ordine francescano, si distinse per zelo e
austerità e fervore missionario. Fervore che lo portò a lasciare il
proprio paese per l'Asia Minore e successivamente tra i Mongoli, poi in
Cina e India. La sua opera di apostolato gli meritò il nome di "Apostolo
dei Cinesi". Tornato in patria per riferire al Papa sulla situazione
delle missioni in Oriente, morì a Udine nel 1331. Nella Biblioteca
Riccardiana a Firenze c'è la sua relazione del viaggio nelle Indie,
compiuto nel 1318. Fu proclamato beato da papa Benedetto XIV il 2 luglio
1755. Attualmente è in corso il processo di canonizzazione. |
...Carlo Sgorlon e Mario
Turello...
Carlo Sgorlon
(da Wikipedia)
Carlo Sgorlon (Cassacco, 26 luglio 1930) è uno scrittore italiano. I
suoi romanzi hanno per tema specialmente la vita contadina friulana con
i suoi miti, le sue leggende e la sua religiosità, le guerre mondiali,
il dramma delle guerre mondiali e delle foibe, le storie degli emigrati,
le difficili convivenze delle varie etnie linguistiche; spesso proprio
il passato e le radici rappresentano per Sgorlon gli unici elementi
risananti del mondo.
Originario di Cassacco, un piccolo centro a pochi
chilometri da Udine, secondogenito di Antonio (sarto) e Livia (maestra
elementare), trascorre il periodo della sua giovinezza prevalentemente
in campagna, assimilando la cultura del Friuli rurale che tanta parte
rappresenterà nella sua produzione letteraria. Dopo un inizio di studi
incostante, compiuti i diciotto anni si iscrive alla Scuola Normale
Superiore di Pisa presso la quale si laurea in Lettere con una tesi su
Franz Kafka, specializzandosi a Monaco di Baviera. Subito dopo ha inizio
la sua attività di insegnante di Lettere alla scuola secondaria e
parallelamente di scrittore. Sposato con Edda Agarinis, attualmente
Sgorlon vive ad Udine.
BREVE ESTRATTO DALLA
RELAZIONE DI SGORLON
|
...il pubblico all'agroturismo
"ai colonos"...
Il filo di seta
(Mario Turello)
A premessa delle mie
riflessioni e valutazioni sul nuovo libro di Carlo Sgorlon Il filo di
seta traggo una preziosa citazione Friuli. Uomini e tempi di
Giuseppe Marchetti che al Beato Odorico da Pordenone ha dedicato pagine
di esemplare chiarezza e acutezza:
«L’originale figura di
questo asceta-avventuriero che, all’alba del Trecento, visse, si può
dire, viaggiando per l’Europa e per l’Asia, senza altro bagaglio che il
bordone e il breviario (e, per un buon tratto, un sacco d’ossa di morti)
può riuscire poco persuasiva, se non viene anch’essa inquadrata
debitamente nel suo clima storico. Nel secolo XIII le relazioni dei
primissimi viaggi in Tartaria e Mongolia dei religiosi Giovanni da Pian
del Carpine e le notizie delle prime missioni cristiane in Oriente
avevano accesa la curiosità degli uomini del vecchio continente, con le
incredibili cose che riferivano. Contemporaneamente un’ondata di
misticismo fervido, di cui erano episodi significativi i movimenti
religiosi laicali, la diffusione del francescanesimo e quella dei
Battuti, in aperto contrasto con le lacrimevoli condizioni della
gerarchia ecclesiastica ufficiale, con le feroci discordie intestine e
le guerriglie feudali e comunali, creava in molti spiriti un
comprensibile disagio e suscitava impulsi divergenti verso le più
impensate evasioni dal travaglio materiale e morale dei nostri paesi.
Anche il Friuli, nel tempo dei bellicosi patriarchi Raimondo e Ottobono,
era travolto in questa tempestosa crisi. Odorico da Pordenone subì
evidentemente la violenza di queste spinte interiori: infatti accolse
simultaneamente nel suo animo sia l’istinto curioso e avventuroso di
Marco Polo, come l’urgenza mistica dei Flagellanti: fu dunque la
risultante di queste due forze quella che lo gettò, risoluto e solo,
sulle terre e sui mari del mistero e lo agitò senza tregua per quasi tre
lustri verso l’ignoto, sul cammino di una nuova, affascinante e
rischiosa odissea.
I dati e i fatti della
sua vita, trasmessici attraverso il deprecabile costume agiografico del
Trecento, tra un fantastico proliferare di leggende e miracoli,
risultano oggi in gran parte errati o infidi; talché, a dispetto – o
anche per effetto – della ingente produzione bibliografica che lo
concerne, non è possibile procedere se non con estrema cautela, tra una
sterpaglia di problemi insoluti».
Asceta-avventuriero:
la duplice definizione di Marchetti può applicarsi senz’altro
all’Odorico di Sgorlon, che nella sua biografia romanzata riesce
mirabilmente a comporre il contemplativo e l’uomo d’azione,
l’ecclesiastico zelante e l’ulisside dantesco nella figura del
missionario annunciatore del Vangelo in Cina (ma ecumenicamente aperto
al riconoscimento dei valori religiosi universali al di là delle loro
diverse espressioni culturali).
Ci riesce,
mirabilmente, ripeto, non solo e non tanto facendosi, come il genere
biografico richiede, storiografo attendibile nella contestualizzazione
ma soprattutto attraverso l’integrazione romanzesca della vicenda umana
di Odorico, di cui così poco sappiamo, e soprattutto, in quella prima,
ampia parte del libro che traccia un credibile percorso di formazione e
di vocazione, della sua infanzia e giovinezza. Sono pagine, queste, in
cui la plausibilità storica sancisce la verità narrativa e poetica, a
cominciare dalla data di nascita, il 1265, documentariamente incerta ma
felicemente assunta a fare di Odorico il coetaneo di Dante, il cui poema
Sgorlon immagina letto dai frati del convento francescano di Udine, e
tra essi da Odorico stesso, come Ulisse agitato dalla volontà di
perseguire virtute e conoscenza, e di farsi del mondo esperto, delli
vizi umani e del valore.
Ancor prima, altri
libri, immagina Sgorlon, hanno plasmato lo spirito di Odorico
adolescente: la Vita di san Francesco di Tomaso da Celano, la
Cronica di Salimbene da Parma, col racconto del viaggio di Giovanni
da Pian del Carpine, primo occidentale ad arrivare, nel 1246, alla corte
del Gran Kahn, a Karakorum e, altra finestra sulla vastità e varietà del
mondo, l’Erbario donatogli dal conte Guido di Porcia.
Ma non fanno, queste
letture, che attizzare inclinazioni naturali manifestatesi già nel
bambino: una precoce meditazione sulla precarietà della vita, sulla
mortalità di ogni essere; una curiosità contemplativa nei confronti
della natura, per cui scoprirà in san Francesco un’anima affine (e qui
amo ricordare almeno il quadretto idilliaco del piccolo Odorico al
ruscello con la madre Viola); un amore per le creature di Dio che si
esprime anche nel gesto che lo porta a rifugiarsi nel convento udinese,
fuggiasco dal proprio benefattore il conte dopo aver liberato i suoi
falchi da caccia, nell’impulso di un carattere ribelle e libertario che
gli proviene dal padre, Franz Mateusz, il maniscalco di Villanova di
Pordenone, padre che egli non ha conosciuto: insofferente di disciplina
al tempo in cui era soldato dell’esercito boemo, insofferente poi dei
soprusi dei Baroni feudatari di Pordenone, quasi assassino per
difendere l’onore della moglie insidiata dal figlio del governatore e
morto, dopo essersi rifugiato nel napoletano e schierato coi ghibellini
di Manfredi, nella battaglia di Benevento, nel 1266. Sembra suggerire,
Sgorlon, che sia retaggio genetico in frate Odorico il suo sentire e
vivere il cristianesimo come religione di libertà.
Ma altre figure, altre
esperienze Sgorlon inventa quali presupposti e semi culturali e
psicologici delle gesta del suo protagonista, a cominciare da Stefan
Hussak che, scampato alla prigionia angioina, si fa, lui di stirpe
nobile, falegname in Villanova e sposa Viola; da questo secondo padre
Odorico acquisterà il gusto del lavoro manuale e l’abilità di cui farà
tesoro anche durante i lunghi anni di viaggio in Oriente. Al proposito
osservo come, senza affatto contraddire a quella verosimiglianza
storica di cui dicevo, Odorico sia anche un personaggio tipicamente
sgorloniano, e tra poco ne darò altre prove; per il momento segnalo che
Odorico è anche un artigiano, un nuovo campione di quell’homo faber che
Sgorlon non solo canta nelle sue opere ma che nella vita incarna. E poi
la “maga” Lucina, in odore di stregoneria, in realtà una brava
erborista, da cui Odorico apprende preziosi principi di farmacopea che
gli saranno utili addirittura alla corte di Pechino, e da cui gli
deriverà prestigio di taumaturgo. E a questo proposito mi concedo
un’altra parentesi, e un’altra anticipazione: tra i pregi di questo
libro, principalissimo mi pare quello di non aver ceduto alle tentazioni
di quell’enfasi agiografica deprecata da Marchetti: le guarigioni
operate da Odorico sono narrate mettendo la sordina all’interpretazione
miracolistica, e la sua santità in genere è accreditata a meno eclatanti
virtù: più terapeuta che taumaturgo, più saggio che profeta, e quasi
inconsapevolmente carismatico.
Stefan, Lucina, e
altri personaggi su cui non mi soffermo, ovviamente sono emblematici,
personificazioni di contingenze storiche, di ambiti culturali, di
fermenti religiosi, e attraverso di essi ancor meglio che per mezzo di
inserti didascalici Sgorlon ci offre in ampio affresco il necessario
contesto della Bildung intellettuale e spirituale di Odorico.
Il periodo del suo
noviziato nel convento di Udine offre a Sgorlon l’occasione per un’altra
bella invenzione: tra i francescani viene accolto, in asilo dapprima,
come confratello poi, un mongolo, anche lui stanco di guerra e transfuga
dall’orda d’oro; da lui Odorico impara i rudimenti della lingua del
paese in cui la Provvidenza lo guiderà.
Alla logica narrativa
corrisponde dunque il piano provvidenziale: la vita di Odorico si dipana
come dal bozzolo il filo di seta che dà il titolo al romanzo, metafora
di un viaggio che a sua volta non è che il correlativo spaziotemporale
di ogni esistenza, itinerario all’oriente, all’origine, a Dio.
Dopo una infruttosa
permanenza in un convento del Medio Oriente, tra genti musulmane
impermeabili all’evangelizzazione, Odorico finalmente – è il 1318 -
parte per il Catai. Non mi addentro in dettagli. Dirò soltanto che
questa parte, ovviamente più vincolata dalla corrispondenza al De
rebus incognitis da Odorico stesso dettato in prossimità della morte
a frate Guglielmo da Solagna, ha tutta la suggestione della letteratura
di viaggio: il fascino e la terribilità dei luoghi, la meraviglia
dell’esotico e l’incomprensibilità dell’alieno, la testimonianza delle
cose vedute e il racconto delle udite, l’esercizio umano del coraggio e
più che umano della speranza si alternano in pagine che hanno il ritmo
stesso dei fatti raccontati (il racconto di Sgorlon riproduce anche
nella scansione quello che fu il viaggio di Odorico: tredici anni, per
un soggiorno in Cina di tre soltanto).
Dicevo sopra
dell’Odorico artigiano, della proiezione cioè dell’autore nel suo
personaggio; in Odorico riconosco Sgorlon per le connotazioni ecumeniche
ed ecologiche della sua religiosità: senza in nulla venir meno alla
certezza della vera fede in Cristo, Odorico dimostra un’inclinazione
non dico al sincretismo, il che sarebbe anacronistico, ma quanto meno al
riconoscimento dei valori di ogni fede e credenza, e una sensibilità
alla sacralità del cosmo di sentore quasi panteistico.
Anche questo Sgorlon
riesce a suggerire con grande misura, non attribuendo simili opinioni
al solo Odorico, ma disseminandole tra i vari personaggi e facendole
risuonare problematicamente dai loro scambi di idee (si veda ad esempio
il dialogo tra Odorico e Francesco, il frate mongolo morente).
Anche questa parte,
più vincolata alla cronaca reale dell’itinerario, è vivacizzata da
Sgorlon con inserti romanzeschi in cui non sarà difficile cogliere echi
della letteratura d’appendice: la storia di Abernathi, ad esempio,
sottratta al sacrificio, secondo la tradizione indù, sul rogo del marito
morto o le mene, al palazzo del Khan, del subdolo ministro dalla
maschera di rame. Armonico col tono generale del racconto anche quanto
Sgorlon riferisce sull’“Opera” del vescovo di Pechino Giovanni di
Montecorvino, e delle conversioni ottenute attraverso la prassi
caritativa piuttosto che con l’indottrinamento: e che Odorico impari con
stupore a uscire da schemi preconcetti di astratto annuncio del Vangelo
è la riprova del cauto astenersi di Sgorlon dall’agiografia. Osservo
anche, essendo l’“Opera” dedita soprattutto a sottrarre alla morte le
bambine che una crudele pratica cinese destinava spesso ad essere
soppresse neonate, che in questo libro le figure femminili sono tutte
connotate positivamente, si tratti di Viola o di Lucina, dell’indiana
Abernathi o della cinese Lu Nun.
A Pechino e a
Karakorum si manifestano le facoltà taumaturgiche di Odorico, ma ho già
detto con quanta cautela razionalizzante venga trattato il tema dei
miracoli. Infine, il ritorno in Occidente, alla volta di Avignone per
sollecitare dal papa l’invio di altri sacerdoti, e questa volta per la
via della seta, tutta per terra, senza la navigazione dell’andata. Il
racconto si fa più veloce, più intenso, e assurge a carattere simbolico,
pur essendo reale, il passaggio per la Valle della Morte nello stesso
capitolo conclusivo che fa dunque precedere la morte di Odorico da
un’esperienza di forte valenza spirituale, quasi il superamento di una
tentazione estrema, ultimo prezzo del viatico per il viaggio a quel
Regno di cui, viandante di Dio, è stato annunciatore.
Storia e fabulazione,
intuizione e proiezione psicologica, obiettività ed empatia, cronaca e
sovrasenso sono trama e ordito della seta di Sgorlon; la figura di frate
Odorico vi campeggia con essenziale e composta grandezza.
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LESTIZZA - Mitici ed eroici personaggi quegli esploratori che, a partire
dal Trecento, affrontavano difficili avventure, spinti dallo spirito di
conoscenza di altre civiltà, lontanissime da noi, con viaggi che
duravano anni. Uno smisurato interesse che li animava nell'organizzare
impensate evasioni per poi, magari, raccontarle con pagine dettate ed
episodi che alternavano il reale con il fantastico, leggende e miracoli.
Realtà e verosimiglianza insieme. Oggi quei racconti sono letti,
studiati, commentati perché permettono un confronto diretto con il
nostro tempo.
Il secondo appuntamento di In File 2008, che quest'anno
è dedicato alle esplorazioni con il significativo titolo De rebus
incognitis, ha visto la partecipazione, diretta e coinvolgente, dello
scrittore Carlo Sgorlon e del critico letterario Mario Turello. Le
letture, nel corso della serata, sono state di Sandra Cosatto.
Il personaggio al centro dell'attenzione è stato il
frate Odorico da Pordenone, francescano, esploratore, cronachista, nato
a Villanova di Pordenone nel 1265, morto a Udine nel 1331. Come
curiosità segnaliamo che nel 1265 è nato anche Dante Alighieri.
Una figura emblematica di asceta e avventuriero, come
lo definisce Giuseppe Marchetti nel libro Il Friuli. Uomini e tempi, un
grande viaggiatore del Medioevo, che, come Marco Polo, entrambi hanno
viaggiato negli stessi territori, è arrivato fino in Cina e fu il primo
europeo a visitare la capitale del Tibet.
Salpò da Venezia in direzione di Costantinopoli e,
sempre per mare, raggiunse Trebisonda sul Mar Nero. Attraverso regioni
selvagge, fra avventure di ogni genere, toccò Erzeroum, Tabris,
Sultanyyâh, Kâshân e Yezd. Imbarcato a Hormuz approdò a Tana di Salsetta
(l'attuale Bombay), poi costeggiò la penisola indiana fino a Malyapur,
attraversò l'Oceano Indiano e dal Borneo risalì in Indocina raggiungendo
Khanbaliq, ora Pechino, che era la meta del suo viaggio, dove esisteva
una missione cattolica retta da fra Giovanni da Montecorvino, primo
vescovo della "regione aquilonare". Una peregrinazione rischiosa,
compiuta con mezzi di fortuna ed interrotta da lunghe soste. Un viaggio,
quello di frate Odorico che è durato otto anni.
Mario Turello, presentando lo scrittore friulano autore
de Il filo di seta (tradotto in questo periodo anche in cinese) che
racconta la storia di Odorico, ha esordito sostenendo che Sgorlon ha
costruito un romanzo biografico basato sulla relazione che il frate ha
dettato, l'anno prima di morire, al suo confratello Guglielmo da Solagna.
Quest'opera viene considerata una integrazione del Milione di Marco
Polo.
"Asceta-avventuriero la duplice definizione di
Marchetti - ha detto Turello - può applicarsi senz'altro all'Odorico di
Sgorlon, che nella sua biografia romanzata riesce mirabilmente a
comporre il contemplativo e l'uomo d'azione, l'ecclesiastico zelante e
l'ulisside dantesco nella figura del missionario annunciatore del
Vangelo in Cina, ma ecumenicamente aperto al riconoscimento dei valori
religiosi universali al di là delle loro diverse espressioni culturali".
"Nel secolo XIII - è sempre Turello ad affermarlo - le relazioni dei
primissimi viaggi in Tartaria e Mongolia del religioso Giovanni da Pian
del Carpine e le notizie delle prime missioni cristiane in Oriente
avevano accesa la curiosità degli uomini del vecchio continente, con le
incredibili cose che riferivano".
Il periodo del noviziato di Odorico nel convento di
Udine offre a Sgorlon - secondo Turello - l'occasione per una bella
invenzione. Tra i francescani viene accolto, in asilo dapprima, come
confratello poi, un mongolo, anche lui stanco di guerra e transfuga
dall'orda d'oro. Da lui Odorico impara i rudimenti della lingua del
Paese in cui la Provvidenza lo guiderà.
Perché il romanzo di Sgorlon si chiama Il filo di
seta? La vita di Odorico si dipana come dal bozzolo il filo di seta ed
il romanzo diventa metafora di un viaggio.
Sgorlon ha diviso la sua relazione in due parti, la
prima dedicata al personaggio, la seconda ai suoi viaggi.
"Non è che sappiamo molto di Odorico da Pordenone - ha esordito Sgorlon
-. E' vero che ha scritto un memoriale sul suo viaggio però le
osservazioni che fa, le cose che descrive sono tutte esterne. Diciamo
che gli antichi fino al Petrarca, non avevano l'abitudine di parlare di
se stessi e dei loro sentimenti intimi, quindi raccontavano il mondo
esterno. Infatti Odorico, nel suo memoriale, parla soprattutto delle
cose strane che vede nel suo lunghissimo e avventuroso viaggio. Ci sono
molti passaggi di cui lui non parla e quindi noi dobbiamo cercare di
capire, con il buon senso, come sono andate le cose. Certamente ha preso
una nave indiana del Gran Mogol nel golfo persico e questa nave aveva
anche una caratteristica molto singolare per la nostra mentalità
occidentale e tecnologica, cioè era fatta tutta di legno, non aveva
parti metalliche per cui io mi concedo questo tipo di invenzione e cioè
che il povero Odorico ha paura che la nave si sfasci durante una delle
forti burrasche dell'oceano Indiano".
Invece no, c'è una tempesta che viene rabbonita
gettando in mare un osso che era appartenuto a un frate minore, ucciso
dai musulmani nella città di Tama, l'odierna Bombay, dove c'era anche un
convento di frati minori che, a quell'epoca, erano incredibilmente
diffusi. Un secolo dopo la morte di S. Francesco i conventi dei frati
minori erano 5 mila.
La ragione per cui si è mosso dal convento di Udine che
era appena stato costruito è stata certamente l'appello del vescovo di
Pechino. La Cina era stata conquistata dai mongoli di Kubilai Khan, che
erano piuttosto liberali in fatto di religione, per cui la comunità
cristiana era tollerata. Quando Odorico arrivò a Pechino c'erano già 20
mila cristiani e lui ha raddoppiato questa cifra, pur essendosi fermato
a Pechino pochi anni.
Perché ha scritto Sgorlon un libro dedicato al frate
Odorico da Pordenone? "Me l'hanno chiesto tre vescovi - ha confessato -
e poi un personaggio così, che mi piace definire il Marco Polo friulano,
è poco conosciuto in Friuli.
Il libro è un misto di storia e di invenzione. "Dove
andava la storia - ha detto Sgorlon - ho cercato di rispettarla. Dove la
storia non c'era mi sono permesso di inventare avventure non
stravaganti, ma verosimili".
Storie del tardo Medioevo con segnali di Umanesimo e di
Rinascimento.
Silvano Bertossi |
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