Introduzione
(di
Giuseppe Bergamini)
In
questi ultimi anni è di molto cresciuta la sensibilità nei
confronti dei segni di devozione sparsi nel territorio -
affreschi, ancone stradali, "maine", capitelli, crocifissi,
statuette - considerati non più come espressioni quasi
folcloristiche da contrapporre ai monumenti d'arte colta,
utili solamente per lo studio e la ricostruzione dell'ambiente
rurale.
In effetti il Friuli, che pur vanta corpose sculture
romane, splendidi suggestivi colorati mosaici
paleocristiani;
architetture, sculture, stucchi e oreficerie di epoca
longobarda; affreschi romanici nella cripta della Basilica di
Aquileia o gotici nel duomo di Udine o in quello di
Spilimbergo; grandi altari lignei rinascimentali rutilanti
d'oro, pitture magniloquenti di Giovanni Antonio Pordenone,
palazzi progettati dal Palladio e suggestive ville perse nella
pianura, corposi dipinti di Antonio Carneo e Nicola Grassi,
leggiadri affreschi di Giovanni Battista Tiepolo..., si
caratterizza proprio per quelle espressioni, che sono ad un
tempo prodotto di cultura e di devozione, ad uso di una
popolazione un tempo povera, in gran parte illetterata, priva
quasi sempre di mezzi, ma ricca di fede, vere e proprie spie
per la miglior comprensione dell'intera società friulana di
ieri e di oggi.
Non è che queste espressioni fossero state del tutto
ignorate in passato: è del 1951, ad esempio, un prezioso
"Elenco dei tabernacoli, ancone, nicchie, emblemi religiosi
esistenti nel territorio della Pieve di Gemona fuori delle
Chiese" apparso nel Bollettino della Pieve Arcipretale di
Gemona, ma è soprattutto dopo il terremoto del 1976 che, nella
generale riscoperta delle "radici" della friulanità sono
apparsi con ritmo quasi frenetico gli studi sulla storia,
sull'arte e in genere sulla cultura del Friuli e di
conseguenza anche sui segni di devozione. Studi che, per
quanto ci riguarda, hanno portato alla riscoperta, alla
rivisitazione ed alla catalogaziene degli affreschi
devozionali, promossa dapprima dalla Provincia di Pordenone, e
poi da numerosi comuni e associazioni culturali friulane. La
stessa Società Filologica Friulana si è fatta promotrice, nel
1985, attraverso la rivista "Sot la nape", del censimento di
tutti i segni di devozione popolare, nell'intento di
salvaguardare e far conoscere - e proteggere attraverso una
legge regionale che ne favorisse il restauro e la
conservazione - un patrimonio di cultura di cui il Friuli era
ed e fortunatamente ancora ricco.
Da allora ad oggi sono stati pubblicati numerosi
articoli, opuscoli, libri e perfino calendari sull'argomento,
alcuni riguardanti affreschi di un solo comune (Moimacco, ad
esempio) o di un più ampio comprensorio (icone votive del
Medio Friuli, 2002; Murales friulani, 2003), altri
invece rivolti ad una pluralità di segni devozionali (Cera
ima volta la pietà popolare. Segni religiosi e preghiere del
Friuli occidentale, 1992; Religiosità popolare a Tiezzo.
Chiesette, capitelli, dipinti, 1993; La devozione
popolare nella pedemontana spilimberghese, 2005; Cruos
di mont. Mainos di Cjargno. Segni della devozione popolare in
Carnia; Religiosità popolare in Valcanale, 2005,
eccetera). La Società Filologica Friulana ha pubblicato in
proprio, nel 1997, il volume
Arte e devozione Popolare.
Manuale per lo studio e la conservazione delle arti in Friuli.
Non sono mancati neppure studi dedicati anche al più
conosciuto interprete di quest'arte particolare, Giacomo
Meneghini di Nimis, meglio conosciuto con il più familiare
nome di Jacun pitòr con cui talvolta soleva firmare i
suoi affreschi (altre volte, in omaggio alla parlata slava
delle popolazioni della Valli del Natisone per le quali
soprattutto lavorava, si firmava "Jacop Malar").
In questo contesto culturale si colloca il lavoro
condotto con cura meticolosa da Oddo Lesizza, una capillare
appassionata ricerca nei sette comuni delle Valli del Natisone
(Drenchia, Grimacco, Pulfero, San Leonardo, San Pietro al
Natisone, Savogna, Stregna) e in quelli contigui - e per tanti
versi culturalmente affini - di Prepotto e Torreano, che ha
portato alla catalogazione di tutti i segni di devozione
ancora esistenti in loco. Non c'è nel lavoro di Lesizza il
desiderio di esaltare un affresco o un manufatto di grande
impatto visivo o ricco di storia a scapito di un'ancona in
rovina o di un piccolo oggetto mal conservato, non c'è alcun
condizionamento di carattere estetico o culturale ma solo la
volontà di schedare quanto ancora esiste ed è testimone vivo
della religiosità del popolo delle Valli. Ed ecco pertanto
comparire ancone, nicchie, affreschi, stampe e litografie,
croci e crocifissi in ghisa o in legno, sagome, statue in
legno, in marmo, in gesso, in plastica, oggetti da bancarella
di santuario. Non quindi soltanto affreschi con "santi alle
finestre" - rappresentati sulle facciate delle case a
rassicurare, proteggere, benedire, ammonire - attraverso il
cui studio possono essere recuperati aspetti importanti del
nostro passato, quello artistico (perché per quanto essi siano
quasi sempre prodotto di artigiani più che di artisti, vi
vengono spesso filtrati motivi desunti dall'arte maggiore, a
testimonianza di come questa fosse riuscita ad interessare
anche gli strati più umili della popolazione), quello storico
- cronachistico (per alcune scritte che ricordano eventi
bellici, ad esempio quella dell'affresco del 1916 raffigurante
la Madonna con Bambino presente a Savogna, voluta dal 3° Genio
Telegrafisti:"... Salvaci o Vergine dalle sconfitte",
dimenticando che per far questo la Vergine dovrebbe sfavorire
i nemici!), quello linguistico (presente soprattutto negli
affreschi di Jacun pitôr, con scritte bilingui). Ma anche
croci in ghisa (peraltro bellissime e meritevoli di essere
conservate, nonostante i danni operati dal tempo) a
testimoniare delle passate vicende storiche del territorio, e
statuine in gesso o in plastica a indicare come la devozione
popolare non sia interessata più che tanto al pregio artistico
quanto al contenuto simbolico dell'oggetto venerato.
Molte sono le possibili chiavi di lettura dei segni
devozionali, non ultima quella relativa alla comune affezione
per certe immagini sacre che non sono quelle dei Dottori della
Chiesa, o degli Apostoli o di santi teologi ma, oltre alla
Vergine e a Cristo, quelle più cordiali e rassicuranti di
santi protettori: in primo luogo S. Antonio abate, S. Antonio
da Padova, S. Rocco, S. Sebastiano, S. Floriano..., cui ci si
rivolgeva per chiedere protezione dai fulmini, dalla guerra,
dalla tempesta:
afulgure, a bello, a tempestate.
A motivare queste espressioni di fede è quasi sempre l'atavico
bisogno di protezione, ma anche il sincero sentimento di
riconoscenza per una grazia ricevuta e talvolta, come nel caso
di modeste cappelline erette in prossimità della propria
abitazione, il desiderio di avere un luogo per personale
devozione davanti a cui sostare anche solo per una preghiera a
fior di labbra o per un veloce segno di croce.
Oggi la sopravvivenza degli affreschi devozionali è
messa a dura prova, e con essa quella dei tanti segni di
religiosità popolare, perché come è stato scritto, la nostra
non è più una società sacrale ma laica e il "sacro" non occupa
più un posto privilegiato nel contesto sociale. La religione
non si esprime più in forma collettiva ma individuale, così
che, ad esempio, non c'è' più posto per le ancone negli spazi
cittadini dove ben altri simboli ostenta la società: monumenti
ai Caduti ed eventi patriottici, busti di uomini illustri,
opere d'arte, cabine telefoniche...
Insieme con l'abbandono di tante pratiche religiose (le
rogazioni ad esempio), si assiste in questi ultimi tempi con
preoccupante accelerazione al deperimento, alla scomparsa
addirittura di numerosi segni sacri che fino a pochi decenni
or sono costituivano parte integrante del paesaggio rurale e
del contesto urbano del Friuli.
La preziosa ricerca di Oddo Lesizza, nel farci
conoscere questi umili prodotti di arte e di fede, dai quali
emergono storie di emigrazione, di lavoro, di vita collettiva,
di associazionismo, aiuterà a prendere coscienza dei valori
storici, religiosi e sociali da essi trasmessi, e contribuirà
nel contempo alla salvaguardia di un patrimonio che non può e
non deve andare in rovina. |