nuove dal friuli e dal mondo

San Pietro al Natisone, 28 Novembre 2007
Sala Consigliare del Comune

Serata organizzata dalla
Societât Filologjiche Furlane

Presentazione del libro di Oddo Lesizza

Segni devozionali delle Valli del Natisone
con una dotta relazione del dott. Paolo Pastres


Erano presenti (o sono intervenuti): l'autore Oddo Lesizza, il Sindaco di San Pietro Tiziano Manzini, il relatore dott. Paolo Pastres, il parroco Mons. Mario Qualizza, il Presidente della Filologica Lorenzo Pelizzo e il Direttore della stessa.

Presentazione - È con estrema soddisfazione che la Società Filologica Friulana presenta questo volume che raccoglie i Segni devozionali delle Valli del Natisone. L'opera intende trattare un tema particolarmente degno di attenzione, ma ancora poco indagato, com'è appunto lo studio dei "segni della fede" conservati nei paesi del nostro Friuli e, nel caso specifico, in quelli delle Valli del Natisone.Si tratta di un patrimonio inestimabile di arte e di fede che, soprattutto nei centri minori, sta via via deteriorandosi con il rischio di scomparire e di far perdere irrimediabilmente opere che per secoli sono state espressione della vita e del sentire religioso delle nostre genti. Il merito di aver realizzato questo importante censimento, che non ha la pretesa di essere esaustivo ma che ha il merito di raccogliere in un corpus unico il complesso dei manufatti delle Valli, è di Oddo Lesizza. Con passione, egli ha percorso in lungo e in largo l'intera zona di riferimento per individuare, fotografare e descrivere le numerose opere che questo territorio così ricco in storia ed arte ha da offrirci. Alla Comunità Montana Collie, Natisone e Torre va il nostro più sincero ringraziamento per aver compreso appieno l'importanza dell'iniziativa ed essere stata pronta a sostenerla. Con questo volume, la Società Filologica intende dare inizio ad una serie di pubblicazioni per documentare queste forme religiose popolari che costituiscono fondamentali testimonianze storiche, artistiche, culturali e religiose del Friuli di ieri per contribuire a tenerne viva la memoria ma soprattutto per far conoscere e valorizzare la nostra terra.
(Lorenzo Pelizzo
Presidente della Società Filologica Friulana)

Introduzione
(di
Giuseppe Bergamini)

     In questi ultimi anni è di molto cresciuta la sensibilità nei confronti dei segni di devozione sparsi nel territorio - affreschi, ancone stradali, "maine", capitelli, crocifissi, statuette - considerati non più come espressioni quasi folcloristiche da contrapporre ai monumenti d'arte colta, utili solamente per lo studio e la ricostruzione dell'ambiente rurale.
     In effetti il Friuli, che pur vanta corpose sculture romane, splendidi suggestivi colorati mosaici paleocristiani; architetture, sculture, stucchi e oreficerie di epoca longobarda; affreschi romanici nella cripta della Basilica di Aquileia o gotici nel duomo di Udine o in quello di Spilimbergo; grandi altari lignei rinascimentali rutilanti d'oro, pitture magniloquenti di Giovanni Antonio Pordenone, palazzi progettati dal Palladio e suggestive ville perse nella pianura, corposi dipinti di Antonio Carneo e Nicola Grassi, leggiadri affreschi di Giovanni Battista Tiepolo..., si caratterizza proprio per quelle espressioni, che sono ad un tempo prodotto di cultura e di devozione, ad uso di una popolazione un tempo povera, in gran parte illetterata, priva quasi sempre di mezzi, ma ricca di fede, vere e proprie spie per la miglior comprensione dell'intera società friulana di ieri e di oggi.
     Non è che queste espressioni fossero state del tutto ignorate in passato: è del 1951, ad esempio, un prezioso "Elenco dei tabernacoli, ancone, nicchie, emblemi religiosi esistenti nel territorio della Pieve di Gemona fuori delle Chiese" apparso nel Bollettino della Pieve Arcipretale di Gemona, ma è soprattutto dopo il terremoto del 1976 che, nella generale riscoperta delle "radici" della friulanità sono apparsi con ritmo quasi frenetico gli studi sulla storia, sull'arte e in genere sulla cultura del Friuli e di conseguenza anche sui segni di devozione. Studi che, per quanto ci riguarda, hanno portato alla riscoperta, alla rivisitazione ed alla catalogaziene degli affreschi devozionali, promossa dapprima dalla Provincia di Pordenone, e poi da numerosi comuni e associazioni culturali friulane. La stessa Società Filologica Friulana si è fatta promotrice, nel 1985, attraverso la rivista "Sot la nape", del censimento di tutti i segni di devozione popolare, nell'intento di salvaguardare e far conoscere - e proteggere attraverso una legge regionale che ne favorisse il restauro e la conservazione - un patrimonio di cultura di cui il Friuli era ed e fortunatamente ancora ricco.
     Da allora ad oggi sono stati pubblicati numerosi articoli, opuscoli, libri e perfino calendari sull'argomento, alcuni riguardanti affreschi di un solo comune (Moimacco, ad esempio) o di un più ampio comprensorio (icone votive del Medio Friuli, 2002; Murales friulani, 2003), altri invece rivolti ad una pluralità di segni devozionali (Cera ima volta la pietà popolare. Segni religiosi e preghiere del Friuli occidentale, 1992; Religiosità popolare a Tiezzo. Chiesette, capitelli, dipinti, 1993; La devozione popolare nella pedemontana spilimberghese, 2005; Cruos di mont. Mainos di Cjargno. Segni della devozione popolare in Carnia; Religiosità popolare in Valcanale, 2005, eccetera). La Società Filologica Friulana ha pubblicato in proprio, nel 1997, il volume
Arte e devozione Popolare. Manuale per lo studio e la conservazione delle arti in Friuli.
     Non sono mancati neppure studi dedicati anche al più conosciuto interprete di quest'arte particolare, Giacomo Meneghini di Nimis, meglio conosciuto con il più familiare nome di Jacun pitòr con cui talvolta soleva firmare i suoi affreschi (altre volte, in omaggio alla parlata slava delle popolazioni della Valli del Natisone per le quali soprattutto lavorava, si firmava "Jacop Malar").
     In questo contesto culturale si colloca il lavoro condotto con cura meticolosa da Oddo Lesizza, una capillare appassionata ricerca nei sette comuni delle Valli del Natisone (Drenchia, Grimacco, Pulfero, San Leonardo, San Pietro al Natisone, Savogna, Stregna) e in quelli contigui - e per tanti versi culturalmente affini - di Prepotto e Torreano, che ha portato alla catalogazione di tutti i segni di devozione ancora esistenti in loco. Non c'è nel lavoro di Lesizza il desiderio di esaltare un affresco o un manufatto di grande impatto visivo o ricco di storia a scapito di un'ancona in rovina o di un piccolo oggetto mal conservato, non c'è alcun condizionamento di carattere estetico o culturale ma solo la volontà di schedare quanto ancora esiste ed è testimone vivo della religiosità del popolo delle Valli. Ed ecco pertanto comparire ancone, nicchie, affreschi, stampe e litografie, croci e crocifissi in ghisa o in legno, sagome, statue in legno, in marmo, in gesso, in plastica, oggetti da bancarella di santuario. Non quindi soltanto affreschi con "santi alle finestre" - rappresentati sulle facciate delle case a rassicurare, proteggere, benedire, ammonire - attraverso il cui studio possono essere recuperati aspetti importanti del nostro passato, quello artistico (perché per quanto essi siano quasi sempre prodotto di artigiani più che di artisti, vi vengono spesso filtrati motivi desunti dall'arte maggiore, a testimonianza di come questa fosse riuscita ad interessare anche gli strati più umili della popolazione), quello storico - cronachistico (per alcune scritte che ricordano eventi bellici, ad esempio quella dell'affresco del 1916 raffigurante la Madonna con Bambino presente a Savogna, voluta dal 3° Genio Telegrafisti:"... Salvaci o Vergine dalle sconfitte", dimenticando che per far questo la Vergine dovrebbe sfavorire i nemici!), quello linguistico (presente soprattutto negli affreschi di Jacun pitôr, con scritte bilingui). Ma anche croci in ghisa (peraltro bellissime e meritevoli di essere conservate, nonostante i danni operati dal tempo) a testimoniare delle passate vicende storiche del territorio, e statuine in gesso o in plastica a indicare come la devozione popolare non sia interessata più che tanto al pregio artistico quanto al contenuto simbolico dell'oggetto venerato.
    Molte sono le possibili chiavi di lettura dei segni devozionali, non ultima quella relativa alla comune affezione per certe immagini sacre che non sono quelle dei Dottori della Chiesa, o degli Apostoli o di santi teologi ma, oltre alla Vergine e a Cristo, quelle più cordiali e rassicuranti di santi protettori: in primo luogo S. Antonio abate, S. Antonio da Padova, S. Rocco, S. Sebastiano, S. Floriano..., cui ci si rivolgeva per chiedere protezione dai fulmini, dalla guerra, dalla tempesta:
afulgure, a bello, a tempestate.
     A motivare queste espressioni di fede è quasi sempre l'atavico bisogno di protezione, ma anche il sincero sentimento di riconoscenza per una grazia ricevuta e talvolta, come nel caso di modeste cappelline erette in prossimità della propria abitazione, il desiderio di avere un luogo per personale devozione davanti a cui sostare anche solo per una preghiera a fior di labbra o per un veloce segno di croce.
     Oggi la sopravvivenza degli affreschi devozionali è messa a dura prova, e con essa quella dei tanti segni di religiosità popolare, perché come è stato scritto, la nostra non è più una società sacrale ma laica e il "sacro" non occupa più un posto privilegiato nel contesto sociale. La religione non si esprime più in forma collettiva ma individuale, così che, ad esempio, non c'è' più posto per le ancone negli spazi cittadini dove ben altri simboli ostenta la società: monumenti ai Caduti ed eventi patriottici, busti di uomini illustri, opere d'arte, cabine telefoniche...
     Insieme con l'abbandono di tante pratiche religiose (le rogazioni ad esempio), si assiste in questi ultimi tempi con preoccupante accelerazione al deperimento, alla scomparsa addirittura di numerosi segni sacri che fino a pochi decenni or sono costituivano parte integrante del paesaggio rurale e del contesto urbano del Friuli.
     La preziosa ricerca di Oddo Lesizza, nel farci conoscere questi umili prodotti di arte e di fede, dai quali emergono storie di emigrazione, di lavoro, di vita collettiva, di associazionismo, aiuterà a prendere coscienza dei valori storici, religiosi e sociali da essi trasmessi, e contribuirà nel contempo alla salvaguardia di un patrimonio che non può e non deve andare in rovina.