nuove dal friuli e dal mondo

Abbazia di Rosazzo, 16 Luglio 2007

I colloqui dell'Abbazia 2007

“Il sequenziamento del genoma della vite:
ricerca presente ed applicazioni future”


     Il convegno, promosso dalla Fondazione Abbazia di Rosazzo, ha affrontato il delicato tema dell’ecologia della produzione viticola
     Se da un lato il settore viti-vinicolo rappresenta uno dei capisaldi della produzione ed esportazione agricola italiana, dall’altro vive di tradizioni, tipicità e culture legate al territorio e alla sua storia – radici da tenere in considerazione e da rispettare.
     Col tempo l’ecologia della produzione viticola è diventata insostenibile, causa i trattamenti chimici contro le malattie della vite che sono tra i più pesanti tra quelli praticati in agricoltura.
     Lunedì 16 luglio si è cercato di rispondere alla domanda se sia possibile o meno creare cloni di vite adatti a produzione enologiche con le attuali e ben definite caratteristiche di tipicità e qualità sensoriali, tali da coprire le esigenze dell’intero comparto nazionale e che nel contempo siano resistenti alle maggiori fitopatie di origine biotica e abiotica che attaccano la specie.
     Ne hanno discusso il prof. Michele Morgante, il dott. Giulio Colomba, seguiti da uno spazio riservato al dibattito.
     L’incontro è stato organizzato con il contributo della Regione Friuli Venezia Giulia.

     Fanno parte de ‘I colloqui dell’Abbazia’ una serie di incontri fortemente voluti e ideati dalla Fondazione Abbazia di Rosazzo con il preciso scopo di trattare argomenti di attualità e di interesse generale che abbiano ricadute specifiche nel territorio di riferimento.
     Il programma si inquadra in un progetto più ampio e definito di azioni concrete che hanno come fine la valorizzazione del territorio e il potenziamento delle sue intrinseche peculiarità, con l’impegno sempre maggiore rivolto alle problematiche contingenti e alla proposizione di soluzioni innovative.

Vite, è corsa al menoma
A TRENTO DICONO DI AVERLO GIÀ SEQUENZIATO,
MA IL PARCO SCIENTIFICO DI UDINE CONTESTA

I friulani a un passo dal traguardo.
A dire chi ha vinto saranno le pubblicazioni scientifiche.
Il passo successivo sarà la «supervite» resistente alle malattie
 

     NON È ANCORA persa la «battaglia» dell’Istituto di genomica applicata (Iga) del Parco scientifico di Udine per arrivare primo (in «cordata» col ministero delle risorse agricole, altre università italiane e il ministero della Ricerca scientifica francese) alla mappatura del patrimonio genetico della vite. Lo ha assicurato ad una folta platea di imprenditori del settore vitivinicolo, di enologi e studiosi del settore, lo stesso direttore dell’Iga, prof. Michele Morgante, nel corso di un interessante dibattito promosso lunedì 16 luglio dalla Fondazione Abbazia di Rosazzo nella sala della Palma del complesso abbaziale. Morgante ha riferito di non dare credito alle clamorose dichiarazioni del presidente della Provincia di Trento, Lorenzo Dellai, e dell’Istituto di ricerca di San Michele all’Adige, che il 20 marzo hanno annunciato di aver tagliato per primi, in collaborazione con alcuni istituti scientifici statunitensi, questo traguardo. Non è questa una mera «querelle» inerente a meriti scientifici: la conoscenza del menoma è il presupposto per creare varietà di vite resistenti alle più pericolose malattie che impongono al settore un larghissimo uso di prodotti chimici (le vigne occupano il 6% della superficie agraria europea, ma assorbono il 47% delle emissioni di pesticidi) e di patologie che in taluni casi non hanno ancora trovato dei rimedi chimici (come nel caso del «mal dell’esca»). Un grandissimo «business », quindi, se si pensa al fatturato del settore vinicolo e all’interesse che potrebbero generare queste varietà resistenti.
     «Sugli effettivi risultati raggiunti a Trento disponiamo solo di alcuni comunicati stampa – ha evidenziato Morgante  –. Una risposta si potrà dare solo al momento della pubblicazione dei lavori sulle riviste scientifiche. Io credo che i nostri risultati saranno più accurati perché abbiamo scelto materiali di partenza migliori».
     Anche la «cordata» a cui partecipa il Parco scientifico udinese è pronta comunque a tagliare a brevissimo il traguardo del sequenziamento del menoma della vite: i risultati, assicura Morgante, «saranno messi a disposizione quasi integralmente alla comunità scientifica internazionale attraverso internet. Questa ricerca si è giovata di fondi pubblici ed è giusto che i suoi frutti siano pubblici».
     «Top secret» sarà, invece, la fase successiva, molto più vicina alle «appetitose» future applicazioni commerciali: lo studio delle funzioni dei vari geni e l’identificazione di quelli che consentono, in alcune varietà di vite che però non producono vino buono, la resistenza a importanti malattie della pianta. Il passo successivo sarà il trasferimento di questi geni, attraverso la selezione naturale, ai vitigni più diffusi, creando nuove varietà che conservino tutte le pregiate caratteristiche dei vitigni di partenza ma siano anche resistenti alle patologie. «Stiamo già lavorando sulla peronospera presso l’azienda agricola Servadei dell’Università di Udine a S. Osvaldo, a partire da una varietà resistente ma che non produce buon vino», ha evidenziato Morgante, che ha anche chiarito che in questa ricerca non verranno assolutamente utilizzate tecniche Ogm, anche se esse permetterebbero di velocizzare molto il lavoro e di economizzare enormemente sui costi delle ricerche : «La normativa europea ce lo consentirebbe, ma il problema è l’accettazione di queste tecniche da parte dei consumatori».
     Secondo Morgante, l’ostracismo culturale verso gli organismi geneticamente modificati rischia paradossalmente di danneggiare quella biodiversità che a parole si vorrebbe difendere contrastando gli Ogm: «Con i costi delle ricerche "tradizionali" si riusciranno a ottenere varianti resistenti alle patologie di soli 2-3 vitigni, che soppianteranno immediatamente nella produzione tutti gli altri, per motivi economici. Usando le tecniche Ogm lo stesso risultato si potrebbe ottenere per 40-50 vitigni autoctoni, mantenendo così la biodiversità».
     Il direttore dell’Iga ha comunque «gelato » le aspettative dei viticoltori di risultati immediati: «Ci vorranno 5-10 anni per vederli», ha ammesso.
      Oltre alla lotta alle patologie, il sequenziamento del genoma della vite servirà anche alla tipizzazione delle diverse varietà di vitigni. «Analizzeremo 1200 varietà denominate in Italia – spiega Morgante – e verificheremo il loro patrimonio genetico. Molto spesso si dà un nome diverso a due cose uguali, come accade per il Tocai, conosciuto altrove come Sauvignonasse».
     Proprio quest’ultimo esempio, però, indica che probabilmente la genetica non basterà, da sola, a svelare perché un vino è buono e un altro no. Il Tocai è apprezzatissimo in Friuli e in Veneto, ma in Francia il Sauvignonasse è conosciuto come vitigno mediocre. Insomma, oltre che dai cromosomi, il successo di un vinosembra influenzato in modo determinante anche da quello che gli esperti chiamano alla francese "terroir", ovvero l’interazione tra il vitigno e l’ambiente.

(ROBERTO PENSA - La Vita Cattolica del 21 Luglio 2007)