Vite, è corsa al menoma
A TRENTO
DICONO DI AVERLO GIÀ SEQUENZIATO,
MA IL PARCO SCIENTIFICO DI UDINE CONTESTA
I
friulani a un passo dal traguardo.
A dire chi ha vinto saranno le pubblicazioni scientifiche.
Il passo successivo sarà la «supervite» resistente alle malattie
NON È ANCORA persa la
«battaglia» dell’Istituto di genomica applicata (Iga) del Parco
scientifico di Udine per arrivare primo (in «cordata» col ministero
delle risorse agricole, altre università italiane e il ministero della
Ricerca scientifica francese) alla mappatura del patrimonio genetico
della vite. Lo ha assicurato ad una folta platea di imprenditori del
settore vitivinicolo, di enologi e studiosi del settore, lo stesso
direttore dell’Iga, prof. Michele Morgante, nel corso di un interessante
dibattito promosso lunedì 16 luglio dalla Fondazione Abbazia di Rosazzo
nella sala della Palma del complesso abbaziale. Morgante ha riferito di
non dare credito alle clamorose dichiarazioni del presidente della
Provincia di Trento, Lorenzo Dellai, e dell’Istituto di ricerca di San
Michele all’Adige, che il 20 marzo hanno annunciato di aver tagliato per
primi, in collaborazione con alcuni istituti scientifici statunitensi,
questo traguardo. Non è questa una mera «querelle» inerente a meriti
scientifici: la conoscenza del menoma è il presupposto per creare
varietà di vite resistenti alle più pericolose malattie che impongono al
settore un larghissimo uso di prodotti chimici (le vigne occupano il 6%
della superficie agraria europea, ma assorbono il 47% delle emissioni di
pesticidi) e di patologie che in taluni casi non hanno ancora trovato
dei rimedi chimici (come nel caso del «mal dell’esca»). Un grandissimo
«business », quindi, se si pensa al fatturato del settore vinicolo e
all’interesse che potrebbero generare queste varietà resistenti.
«Sugli effettivi
risultati raggiunti a Trento disponiamo solo di alcuni comunicati stampa
– ha evidenziato Morgante –. Una risposta si potrà dare solo al momento
della pubblicazione dei lavori sulle riviste scientifiche. Io credo che
i nostri risultati saranno più accurati perché abbiamo scelto materiali
di partenza migliori».
Anche la «cordata» a cui partecipa il Parco scientifico udinese è
pronta comunque a tagliare a brevissimo il traguardo del sequenziamento
del menoma della vite: i risultati, assicura Morgante, «saranno messi a
disposizione quasi integralmente alla comunità scientifica
internazionale attraverso internet. Questa ricerca si è giovata di fondi
pubblici ed è giusto che i suoi frutti siano pubblici».
«Top secret» sarà, invece, la fase successiva, molto
più vicina alle «appetitose» future applicazioni commerciali: lo studio
delle funzioni dei vari geni e l’identificazione di quelli che
consentono, in alcune varietà di vite che però non producono vino buono,
la resistenza a importanti malattie della pianta. Il passo successivo
sarà il trasferimento di questi geni, attraverso la selezione naturale,
ai vitigni più diffusi, creando nuove varietà che conservino tutte le
pregiate caratteristiche dei vitigni di partenza ma siano anche
resistenti alle patologie. «Stiamo già lavorando sulla peronospera
presso l’azienda agricola Servadei dell’Università di Udine a S.
Osvaldo, a partire da una varietà resistente ma che non produce buon
vino», ha evidenziato Morgante, che ha anche chiarito che in questa
ricerca non verranno assolutamente utilizzate tecniche Ogm, anche se
esse permetterebbero di velocizzare molto il lavoro e di economizzare
enormemente sui costi delle ricerche : «La normativa europea ce lo
consentirebbe, ma il problema è l’accettazione di queste tecniche da
parte dei consumatori».
Secondo Morgante, l’ostracismo culturale verso gli organismi
geneticamente modificati rischia paradossalmente di danneggiare quella
biodiversità che a parole si vorrebbe difendere contrastando gli Ogm:
«Con i costi delle ricerche "tradizionali" si riusciranno a ottenere
varianti resistenti alle patologie di soli 2-3 vitigni, che
soppianteranno immediatamente nella produzione tutti gli altri, per
motivi economici. Usando le tecniche Ogm lo stesso risultato si potrebbe
ottenere per 40-50 vitigni autoctoni, mantenendo così la biodiversità».
Il direttore dell’Iga ha comunque «gelato » le aspettative dei
viticoltori di risultati immediati: «Ci vorranno 5-10 anni per vederli»,
ha ammesso.
Oltre alla lotta alle patologie, il sequenziamento del genoma
della vite servirà anche alla tipizzazione delle diverse varietà di
vitigni. «Analizzeremo 1200 varietà denominate in Italia – spiega
Morgante – e verificheremo il loro patrimonio genetico. Molto spesso si
dà un nome diverso a due cose uguali, come accade per il Tocai,
conosciuto altrove come Sauvignonasse».
Proprio quest’ultimo esempio, però, indica che probabilmente la
genetica non basterà, da sola, a svelare perché un vino è buono e un
altro no. Il Tocai è apprezzatissimo in Friuli e in Veneto, ma in
Francia il Sauvignonasse è conosciuto come vitigno mediocre. Insomma,
oltre che dai cromosomi, il successo di un vinosembra influenzato in
modo determinante anche da quello che gli esperti chiamano alla francese
"terroir", ovvero l’interazione tra il vitigno e l’ambiente.
(ROBERTO
PENSA -
La Vita Cattolica
del 21 Luglio 2007) |