Il "fûc" accende il paesaggio friulano
(Servizi a cura
di Erika Adami
- La Vita Cattolica del 6 Gennaio 2007)
La cultura contadina tradizionale è scomparsa, ma i falò continuano ad
essere accesi. Felli: «Sono percepiti come fortemente identitari.
Significano la compattezza della comunità attorno a un codice comune»
IN FRIULI-VENEZIA GIULIA, nei giorni dell’Epifania, rivivono antichi
riti in cui si fondono tradizioni pagane e cristiane. Il fuoco, dal mare
alle montagne, è protagonista. Elemento rituale, arde in molte località
e accende il paesaggio con le luci di piccoli e grandi falò. La
tradizione delle pire di fuoco ha origini antichissime, pare celtiche.
Senz’altro «precristiane», conferma Veronica Felli,
dottoranda in Antropologia culturale all’Università di Udine e
presidente dell’Areas, Associazione di ricerche
etno-antropologichesociali: «È la cultura contadina ad aver prodotto i
fuochi rituali, che si collocavano in un momento dell’anno critico, in
cui si chiude un tempo vecchio e si dà il via a uno nuovo. Queste cesure
temporali erano considerate, da una parte, pericolose, perché esponevano
la comunità ai rischi del nuovo, dall’altra, propiziatrici».
L’accensione delle pire era un rito che allontanava gli
influssi malefici invocando la benevolenza delle divinità. Il
cristianesimo fa sua questa tradizione. Ancor oggi alla vigilia
dell’Epifania vengono accesi i «pignarûi», grandi falò propiziatori
dalle denominazioni diverse in base all’elemento che del rito si vuole
accentuare: quando si dà importanza al fuoco si parla di «foghera», «fogarissa»,
quando il nome dipende dalla forma del falò ecco allora «baraca», «cabossa
», «casera», «casote», se dipende dal materiale di combustione, si ha il
«paiarili» o la «fueade». Mentre le pire bruciano, in base
all’orientamento di fumo e faville, si traggono previsioni sul nuovo
anno. Attorno, la gente mangia la tradizionale pinza (una focaccina con
farina di mais, pinoli, fichi secchi e uvetta: la frutta secca, sinonimo
di abbondanza, ne fa un cibo propiziatorio), bevendo vin brulé.
L’accensione dei «pignarûi» è diffusa in tutta la
regione esclusa la parte orientale, più interessata dai fuochi estivi di
San Giovanni, e la Carnia, che non li conosce se non sotto forma dei
falò della «femenate», come nella zona di Paularo: i coscritti preparano
un traliccio, che viene riempito di materiale combustibile molto
leggero, perché dev’essere sospeso. Sulla sommità, una gerla capovolta o
una figura antropomorfa femminile. Importanti «la velocità di
combustione e il vaticinio sulla direzione delle faville, non su quella
del fumo, interpretata invece nei pignarûi», spiega Felli.
Le «formule», che anticamente invocavano abbondanza,
caratterizzano le «cidulas» o «cidulis » (rotelle infuocate di piccole
dimensioni, accompagnate da accoppiamenti augurali, che i coscritti
lanciano in Carnia e Canal del Ferro in diverse occasioni dell’anno).
«Il primo lancio è dedicato al patrono o patrona del paese. Le
successive "cidulis" sono dedicate alla classe di coscritti che ha
organizzato il lancio e alle coppie di fidanzati del paese, quelle
ufficiali e poi quelle "clandestine", con la formula “in onôr”, “par
onôr“, “in favôr” seguita dal nome della persona ». Le origini dei
dischi di legno arroventati andrebbero ricercate nell’area tedesca del
decimo secolo, con la successiva mediazione delle popolazioni slovene.
Si chiamano anche «scaletis » (a Moggio, Chiusaforte, Pontebba), «sturletis»
(a Dordolla), «rochetis» (a Venzone), «pirulas » (a Paularo), «sciba» (a
Camporosso). Diversi, da località a località, il tipo di legno, la
forma, la tecnica di lancio.
Il fuoco è, dunque, il vero protagonista dell’Epifania.
«Consentiva anche la propagazione del benessere alla comunità tutta». È
il caso del «pignarûl»: «Spesso i tizzoni venivano portati dai bambini,
di corsa, attraverso i campi, lo facevano ripetendo formule
beneauguranti. La cenere del falò cosparsa nei campi, nelle stalle o in
punti particolari delle abitazioni si riteneva portasse bene e
garantisse un buon anno. E i carboni servivano per riaccendere il fuoco
nuovo nelle case». In tal modo «si estendeva la benedizione dalla
comunità, che aveva partecipato all’elaborazione del fuoco, al
territorio della stessa».
Rispetto al passato i riti invernali hanno perso la
componente della questua. «I fuochi venivano allestiti per lo più da
gruppi di bambini e ragazzini, che andavano di casa in casa a chiedere
la legna per il fuoco, dando in cambio un buon augurio per l’anno nuovo.
La questua era una forma di ridistribuzione del bene e serviva a
ricompattare la comunità, aveva un valore sociale fortissimo».
Eppure, «pur essendo cambiati gli attori del rito, la
tradizione continua con una certa forza». La cultura contadina
tradizionale in Friuli è scomparsa, ma i fuochi rituali continuano ad
essere accesi. Perché? «Sono percepiti come fortemente identitari –
risponde Felli –. Significano la compattezza della comunità attorno a un
codice comune. E aggreganti, tanto che il fuoco del falò epifanico è
stato utilizzato più volte in tempi recenti allo scopo di sensibilizzare
l’opinione pubblica o per rendere noti problemi e temi sociali, per
esempio per protestare contro le discariche».

Festa di «pignarûi» e «cidulas»
Il falò più suggestivo è il «Pignarûl grant» di Tarcento, che arde su
un’altura, tra le rovine del «cjscjelat». All’imbrunire del 6 gennaio
(la giornata si apre, alle 11, con la Messa solenne nel Duomo), dalle
17.15, un corteo di centinaia di figuranti in costume medievale percorre
le strade del paese fino ai piedi del Colle di Coia, dove, alle 19, il
Vecchio venerando accende il rogo. Altri e più piccoli falò brillano
nelle frazioni vicine della conca tarcentina, punteggiando la notte. Ad
anticipare la festa, venerdì 5, alle 19, i rappresentanti delle borgate,
i pignarûlars, muniti di fiaccola, partecipano alla spettacolare corsa
con i carri infuocati per conquistare l’ambito palio.
Ad illuminare la notte di Paularo è, il 5 gennaio, alle
17, la fiamma di un’altra grande pira detta «Falò della femenate». In
questo caso si osserva la direzione presa dalle scintille per predire
l’andamento dell’anno. La «femenate» è una vecchia padrona di casa alla
quale, con diverse filastrocche, viene chiesta un po’ di farina e cibo
in cambio del fuoco propiziatorio. Sempre alla Carnia e all’Epifania è
legata la tradizione delle «cidulas». A Comeglians (sabato 6 gennaio,
dalle 17) i giovani lanciano dalla cima di alture delle rotelle di legno
infuocate, che illuminano la notte con imprevedibili traiettorie. Frasi
beneauguranti, legate soprattutto all’amore, accompagnano il volo.
Fuochi epifanici anche a Orzano (il 6 gennaio, alle 20)
con la «fugarele»; a Udine, alla Casa dell’Immacolata (il 6 gennaio,
alle 19); a San Vito al Tagliamento, a Sesto al Reghena e Cordenons,
dove sulla cima del falò viene posto un fantoccio con le fattezze di
strega.

Cerimonie religiose e rievocazioni storiche
IL 6 GENNAIO antiche cerimonie religiose di grande suggestione riportano
alla luce gesti e riti le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Particolarmente significativa è la Messa dello Spadone di
Cividale,
che sarà celebrata alle 10.30 nel Duomo. Seguirà, alle 11.30, una
spettacolare rievocazione storica in costume con centinaia di figuranti,
che per tutta la giornata riporterà Cividale ai fasti medievali.
La capitale longobarda, il giorno dell’Epifania,
ospita, infatti, la rievocazione della solenne investitura del patriarca
Marquardo Von Randeck, avvenuta il 6 luglio 1366. Il diacono di Cividale
con il capo coperto da un elmo piumato stringe in una mano la spada
(quella originale, offerta dai cividalesi al patriarca in occasione del
suo ingresso nella città ducale) e nell’altra un prezioso Evangeliario
del XII secolo. Benedetta la folla ribadisce il doppio potere, temporale
e spirituale.
Anche a
Gemona
il 6
gennaio si ripete una sentita cerimonia religiosa: la Messa del Tallero,
preceduta e seguita da un corteo storico in costume. La tradizionale
Epifania del Tallero inizia alle 9.45, quando il centro storico della
città pedemontana inizierà ad animarsi al suono dei tamburi che
saluteranno l’arrivo delle dame e dei cavalieri sotto la loggia di
palazzo Boton. Verso le 10.15 il corteo storico accompagnerà il sindaco
Gabriele Marini lungo via Bini fino al Duomo di Santa Maria Assunta per
la celebrazione della Messa del Tallero. Durante la sacra
rappresentazione, che affonda le sue radici nel medioevo, il primo
cittadino di Gemona, nelle vesti di Capitano del popolo, consegnerà un
tallero d’argento di Maria Teresa d’Austria all’arciprete, mons. Gastone
Candusso, a nome dell’intera comunità: anche in questo caso la
sottomissione del potere temporale a quello spirituale. La presentazione
del tallero presso la loggia di palazzo Boton, il saluto ai gonfaloni
delle delegazioni ospiti, l’animazione medioevale che anticipa e chiude
il cerimoniale richiamano ogni anno moltissimi visitatori.
E a
Stolvizza
di Resia
il 6
gennaio, alle 16.30, è in programma la rappresentazione della discesa
della stella cometa dal Püsti Özd alla parte più alta del paese.
All’arrivo della stella si animerà un presepe vivente tra giochi d’acqua
e dolci musiche.
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