Per noi friulani della pianura, quando
parliamo di "sclâs", ci riferiamo agli abitanti delle
Valli del Natisone (o Slavia friulana), gente particolarmente
orgogliosa della propria identità, che è riuscita a mantenere
intatte le proprie usanze e tradizioni. Essi sono molto fieri
della propria lingua, tanto che a volte potrebbero sembrare
scortesi, perchè non esitano ad esprimersi nel "loro
sloveno" anche in presenza di terze persone... Ma non
abbiamo anche noi friulani questa abitudine? Non abbiamo anche
noi la presunzione di ritenere il friulano una lingua
comprensibile a tutti? A me è successo tante volte...
In passato c'era una reciproca diffidenza tra
furlans e sclâs, impressioni che avevo recepito ascoltando i
discorsi scambiati tra le persone anziane dei nostri paesi. Ma
dopo la guerra, per vari motivi le cose sono man mano cambiate,
e questo anche grazie alla… forza dell’amore, che si
sà, è in grado di spostare anche le montagne. Infatti molti
giovani friulani hanno risalito le vallate del Natisone in cerca
della loro "biele sclavute". Questi temerari hanno
corso parecchi rischi, prima di riuscire ad accattivarsi le
simpatie dei giovani maschi locali, che giustamente cercavano di
difendere il loro territorio. Naturalmente, le giovani
valligiane, quasi tutte con il diploma di "maestra",
erano attirate dalla possibilità di stabilirsi in pianura,
mentre difficilmente una friulana accettava di sposare un "sclâf",
amenochè non fosse disposto a scendere in pianura.
Il miei primi contatti con i "sclâs",
li ho avuti quando in autunno li vedevo scendere nei nostri
paesi con i loro carretti carichi di prodotti da scambiare con
"blave" (granoturco), prodotti che potevano essere
castagne, mele, susine, oppure (di nascosto) bottiglioni di
grappa, prodotta in distillerie clandestine nascoste nelle zone
più impervie, per sottrarsi al "naso" della Guardia
di Finanza. Quando ero apprendista sarto, per l’acquisto del
carbone per il grosso ferro da stiro, lo zio Cinio si riforniva
da un vecchietto abitante in un paesino sperduto "in
sclavanie". Solo lui riusciva a produrre un carbone
"cotto" al punto giusto, in grado di non emettere fumo
da legna incombusta.
Il punto di contatto più importante tra le
comunità della Slavia friulana ed i furlans è sempre stato
Cividale del Friuli. Infatti, al mercato del sabato, la
"ponte di citât" veniva invasa dalle genti delle
Valli, che scendeva carica dei suoi prodotti e rientrava dopo
aver speso il ricavato in attrezzi ed altri prodotti di cui
necessitava, e riservando un parte per un piccolo deposito in
banca…!
Anche per gli abitanti dei nostri paesi,
specialmente di una certa età, era diventata una tradizione
essere presenti il Sabato al mercato di Cividale, anche se non
avevano niente da vendere o da comperare. Mi ricordo una specie
di barzelletta, raccontata proprio da un "sclâf",
che, proveniente da Calla, si era stabilito a Leproso. Si tratta
di un friulano, rivolto ad un altro friulano appena tornato dal
mercato di Cividale, che gli chiede: Arie tante int a Cividât?
– E l’altro risponde: Era pôcja int ma un grum di sclâs…!
(C’era tanta gente a Cividale? – C’era poca gente ma molti
slavi…!)
Dai discorsi che ascoltavo da piccolo, i miei
paesani consideravano "i sclâs" persone facilmente
raggirabili negli affari, ma spesso poi si scopriva che erano
proprio loro a risultare gabbati… E’ anche facile capire il
perché: mentre per i miei paesani, spesso l’unico periodo
vissuto lontano dal loro paese era stato in occasione della
ferma militare, gran parte della gente delle Vallate del
Natisone aveva trascorso parecchi anni all’estero per ragioni
di lavoro, conosceva almeno una lingua straniera, oltre al
"sclâf" al "talian", ed il più delle volte
al "furlan".
Un grande contributo al miscliç (miscelamento,
fusione, integrazione) è stato il vero e proprio
"esercito" di giovani che ogni mattina scendevano
dalle valli, per recarsi a lavorare nella "zona della
sedia". Si può immaginare il grande sacrificio di questi
poveretti (maschi e femmine) che dovevano alzarsi due o tre ore
prima per essere puntuali all'apertura delle fabbriche. Questa
manodopera era particolarmente tenuta in considerazione dagli
imprenditori del "triangolo della sedia", tanto da
favorirli fornendo loro il furgoncino per recarsi sul posto di
lavoro. Il veicolo era condotto dall’operaio geograficamente
più lontano, che la mattina scendeva e caricava nei vari paesi
gli altri operai, e la sera rifaceva la strada inversa.
Naturalmente questo comportava immensi
sacrifici specialmente nella stagione invernale, tanto che piano
piano molti si sono accasati in pianura o comunque vicino al
posto di lavoro, con il conseguente lento spopolamento della
Vallate del Natisone. Se si considera che da sempre quella zona
è stata interessata dal doloroso fenomeno dell’emigrazione
(sicuramente più massiccia di quello che aveva interessato la
pianura), si può benissimo capire che la situazione era
piuttosto critica.