DON ROSSO, Il pentagramma
di Dio
(Di Flavio Vidoni da IL
GAZZETTINO del 16 Febbraio 2001)
Dopo
don Gilberto Pressacco e dopo monsignor Albino Perosa, il mondo
friulano del pentagramma - ma in senso lato l'intera cultura di
questa regione - ha perso con don Oreste Rosso, scomparso
venerdì scorso all'età di novant'anni, un altro sacerdote
musicista, fortemente legato alle radici popolari di questa
espressione artistica. Oltre che compositore, don Oreste Rosso
era un grande animatore e divulgatore della musica, fortemente
convinto delle sue grandi possibilità di formazione culturale e
spirituale, soprattutto per i giovani e soffriva della
trascuratezza delle istituzioni per quanto riguarda la sua
divulgazione nelle scuole. E proprio dell'insegnamento della
musica aveva fatto uno degli scopi primari della sua vita,
dedicandovisi con entusiasmo e tanta semplicità, con
disponibilità e pazienza e, soprattutto, con tanto amore.
Come compositore, al centro della sua
ispirazione e del la gran mole di lavoro eseguito (sono
centinaia le sue opere), è stata la musica sacra, ma grande
passione e partecipazione ha posto anche in una lunghissima
serie di brani profani. Ben trentacinque sono le Messe cui ha
dato sonorità (di cui 19 in latino o italiano e le altre in
friulano), a partire da quel la In onore dell'Addolorata composta
nel 1938 a San Giorgio di Nogaro dove era cappellano per finire
con l'incompiuta Messe par furlan del 1982 di cui ci ha
lasciato il Signôr vê dûl di nô e il Gloria non
terminato. Si contano poi a decine i mottetti, gli inni e i
canti per la liturgia e per le varie occasioni comunque legate
alla vita ecclesiale.
Si può dire - come ricorda la professoressa
Elena Scuricini Toso che ne ha curato la biografia per Svuai
(Voli), la raccolta delle sue composizioni edita dal coro
"Amici del Malignani" da lui fondato nel 1977 e
diretto per diversi anni - che don Oreste Rosso abbia scritto
musica per una vita, da quando, giovanissimo, iniziò a
studiarla nel seminario udinese per diplomarsi infine al
Conservatorio di Venezia.
Il suo inconfondibile stile di composizione
era frutto non tanto di un'impostazione accademica, bensì dello
studio personale della musica antica e moderna. Oreste Rosso fu
infatti sempre uno studioso appassionato e attento, un
conoscitore profondo della tradizione musicale colta e popolare.
In quest'ultimo campo egli profondeva un
amore quasi pari a quello che manifestava in ogni occasione (e
in ogni Messa da lui celebrata) verso la Madonna, un amore
filiale nei confronti della tradizione musicale friulana (ma
anche delle aree confinanti, nelle quali coglieva naturali
affinità). E altresì grande era il suo rispetto per la musica
colta degli autori friulani, che studiò con grande ammirazione
di discepolo, a cominciare da Jacopo Tomadini, animato
evidentemente da una riconosciuta affinità spirituale. E fu
proprio don Oreste Rosso a recuperare tra i moltissimi inediti
del grande musicista friulano dell'Ottocento, conservati
nell'Archivio capitolare di Cividale, i 66 Fioretti alla Madonna
e al Sacro Cuore e i quattro mottetti per soli e coro con
accompagnamento di arpa e organo dei quali curò la
pubblicazione nei volumi Fioretti e Anima Christi editi
dall'associazione Amici del Malignani.
Il rinnovamento della liturgia, maturato con
il Concilio ecumenico Vaticano II, lo vide - assieme al
compianto don Placerani - tra i massimi sostenitori. L'adesione
del sacerdote si tradusse, nel suo caso, nel contributo attivo
del musicista, che sui testi in friulano compose ben 17 tra
Messe cantate, Messe con mottetti o con canti di
accompagnamento. E tra queste figura anche la Messe celtiche,
costruita su motivi raccolti dalla voce del popolo e
armonizzata a quattro voci dispari con accompagnamento d'organo.
E tra i suoi numerosi canti dedicati alla
Madonna, certamente uno dei più suggestivi ed eseguiti nelle
nostre chiese è Suspir da l'anime, che don Oreste
scrisse nel 1940 su un testo di Antonio Chiaruttini. Resta
memorabile, a proposito di questo canto mariano, l'effetto che
fece a un importante inviato di un quotidiano nazionale, negli
anni Cinquanta, quando lo sentì echeggiare in una strada di
Adelaide, in Australia. Ne seguì l'eco e scoprì una
processione con la statua della Madonna attorno a una piccola
chiesetta. Non fu tanto la sorpresa dell'evento - in quel luogo
così remoto - a muovergli le corde del sentimento per
l'articolo che poi scrisse, ma proprio la musica che aveva
ascoltato e di cui volle conoscere anche le parole per
riportarle in bella evidenza nel suo reportage dalla terra dei
canguri.
La semplicità d'animo e l'umiltà che lo
contraddistinguevano, indussero più volte don Oreste Rosso a
partecipare al Festival della canzone friulana che un tempo si
teneva a Pradamano (prima della sua ripresa, negli ultimi anni,
a cura di Dario Zampa), ottenendo più volte premi e
segnalazioni. Ma don Oreste scrisse volentieri, rivestendole di
garbo e di arguzia, canzoni per i bambini, che propose al
festival Il Grillo d'oro di San Giovanni al Natisone,
alla Sagre dai Gris di Feletto Uniberto, al concorso La cetra
dei piccoli di Cividale del Friuli.
Nel campo della musica profana, poi,
rivestono un carattere particolare, tra tutte le composizioni di
don Rosso, quelle ispirate ad alcune liriche di Novella
Cantarutti, la poetessa friulana di Navaròns, una delle voci
più singolari della poesia contemporanea della regione. Tra
spirito poetico ed espressione musicale nasce infatti una
perfetta simbiosi artistica, con la musica che
"rilegge" in maniera quasi onomatopeica, i rapidi
scorci paesaggistici, le riflessioni, gli stati d'animo
contenuti nei versi poetici.
Una produzione vastissima, quella di don
Oreste Rosso e non tutta conosciuta. Gli Amici del Malignani,
pubblicando il pur ponderoso volume Svuai (edizioni Pizzicato),
hanno potuto metterne sulla carta soltanto una minima parte,
seppure la più significativa, aprendo il libro proprio con le
note di Aquilèe, ritenuto una specie di "inno
nazionale" dei friulani, che don Rosso compose su un testo
del carnico Enrico Fruch.
Classe 1911, don Oreste Rosso era sì un
musicista, ma prima di tutto era un prete, un prete di campagna,
come amava definirsi. Nato a Martignacco, dove è stato sepolto
nei giorni scorsi, era stato consacrato sacerdote nel 1935, a
soli 24 anni. Da allora, la parrocchia è sempre stata il centro
della sua attività. E stato cappellano a Moruzzo, Palmanova,
San Giorgio di Nogaro, Codroipo, Camino di Buttrio e dal 1964 al
1975 nelle carceri udinesi di via Spalato, dove fece
un'esperienza dura, ma feconda di approfondita indagine
dell'animo umano che ancor più affinò le sue doti innate di
sensibilità e comprensione. È stato successivamente parroco a
Colugna, Caporiacco e infine a Passariano, dove lo scorso 8
dicembre ha celebrato la sua ultima Messa.