Si intitola «In cammino» il nuovo disco
del coro Vôs de mont di Tricesimo, diretto da Marco Maiero, che
verrà presentato sabato 1 giugno nel duomo di Tricesimo, alle ore
20.45. Unico esempio in Friuli di coro d’autore, il Vôs de mont si
cimenta con sedici brani scritti come sempre dal suo direttore,
capaci di unire le fluenti e cantabili melodie di impronta popolare
con armonie che creano effetti vibranti tra consonanza e dissonanza.
Maiero, questo nuovo cd «In Cammino» viene dopo il precedente «Carezze»
del 2009. Che «cammino» hanno fatto Marco Maiero e il Vôs de Mont in
questi quattro anni? - «C'è stato sicuramente un cammino del coro,
con un miglioramento delle tecniche vocali ed espressive, un rinforzo
delle file (sulla carta siamo in 38). Per cui per fortuna ora il Vôs de
mont è in ottima salute. Altro cammino è stato quello nella ricerca
musicale di nuovi confini da raggiungere attraverso la voce, il racconto
e una musicalità più approfondita e ricercata».
ESTRATTO
Le sue musiche sono conosciute per le armonie molto consonanti e che
invogliano al canto. Da questo stilema è cambiato qualcosa? - «La
mia scommessa personale si è rivolta soprattutto alla ricerca di
un'unione tra la musica più colta ed elaborata e quella popolare, nel
senso di fruibile da un pubblico il più vasto possibile che possa
trovare in essa una comunione di emozioni. La scommessa fatta in questo
disco riguarda soprattutto una ricerca armonica un po' diversa, verso
sonorità un po' speciali e inusuali».
Il disco prende il nome dal titolo di uno dei brani. Cosa racconta?
- «È un canto natalizio che sta a ricordare il cammino di Giuseppe e
Maria alla ricerca di un'accoglienza che veniva negata. Ad ispirarmi
sono stati i ricordi di una poesia di Gozzano che richiamava proprio il
pellegrinaggio di Giuseppe e Maria, calato un po' più nel mondo moderno
dove tante sono le anime in ricerca di una casa nuova, di un'ospitalità
che si trovano spesso negata. Quindi c'è un parallelo tra la condizione
di questo Bene venuto al mondo 2000 anni fa e il bene che può essere
portato anche oggi da chi arriva da fuori».
Dei 16 brani cinque (più la celebre «Daûr san Pieri») sono in
friulano, gli altri in italiano. Come mai? - «La scelta del friulano
e dell'italiano è ormai un classico. Per raccontare alcune situazioni
molto particolari, legate al vissuto quotidiano, alle esperienze più
dirette con i giorni che viviamo nella nostra terra, ritengo
irrinunciabile la lingua friulana, la lingua madre, quella con cui
riesco ad esprimere con più concretezza certe situazioni. L'italiano
riguarda invece i messaggi che si vorrebbe fossero più universali. Tra i
brani in friulano, tengo a ricordare "Cjalcjut", che fa parte di una
trilogia dedicata agli sbilfs, gli spiritelli della tradizione friulana.
Il cjalcjut nello specifico è lo sbilf che arriva la notte e si appoggia
sullo stomaco mentre dormiamo e ci fa venire gli incubi. Lo sentiamo
ridere beffardamente durante il canto stesso. Alla fine però riusciamo
anche a dirgli: vattene via, vattene in là».
Il brano che apre il disco è «Sul nero», cui tiene particolarmente.
Perché? - «Perché è il canto più teso a trovare quell'unione, di cui
parlavo prima, tra una ricerca armonica inconsueta e la musicalità
popolare dalla cantabilità tranquilla. È un tentativo, questo, fatto in
mille altri modi da tanti altri armonizzatori. Questa potrebbe essere
solo la conferma che la tensione verso questo orizzonte potrebbe essere
possibile. Il canto è interessante anche perché descrive la metafora
della vita: come spesso si torna su una montagna pur sapendo cosa c'è
oltre la cima, ma ugualmente ogni volta si scopre qualcosa di nuovo,
così ugualmente ogni giorno, anche se ci sembra uguale agli altri, in
realtà ci presenta una novità. E per salire verso la cima ci si trova in
situazioni del tutto serene e tranquille, su prati che non suscitano
nessun timore, ma che spesso confinano con abissi profondi, come bocche
aperte ad aspettarci perché l'errore è sempre possibile nei nostri
giorni».
Musica, ma anche poesia in questo disco. A quali modelli si ispira?
- «Ringrazio per la definizione di poesia, io sono sempre un po' ritroso
a confermarlo. In effetti c'è la ricerca di una costruzione che sia il
più possibile efficace nel descrivere un messaggio e nello stesso tempo
abbia quei contenuti poetici che rendono il testo ancora più
affascinante. L'ispirazione precisa non c'è. Certamente il mio pallino è
sempre stato quello di unire i mondi musicali che, per conformismo,
restano spesso separati. Per tanto, sicuramente un occhio particolare
l'ho sempre tenuto ai cantautori della musica leggera, in cima ai quali
metterei Fabrizio De Andrè».
Il cd ha in copertina un'opera di Gianni Borta. - «Per un casuale
incontro è nata questa bella unione di culture. Con questa scelta
abbiamo voluto dare - in particolare ai chi ci governa - il messaggio di
una cultura che può essere unita e forte e vuole essere mantenuta come
aspetto assolutamente prioritario della vita dell'uomo. Unirsi può dare
più forza e un colore più luminoso, come la copertina del disco, alle
note del nostro coro».
...canto di
congedo...
Daûr San Pieri
...cantata da tutti...
Sore i roncs, daûr San Pieri,
cul sciroc o in Lui ch'al sà di fen,
ducj i siums si cìrin simpri,
ducj i siums 'e clamin ben.
E 'a consolin lis albàdis
che àn cricât il scûr dai dîs
che gjelôs al ten platât, di simpri,
il lusôr dal Paradîs.
Sore i roncs, daûr San Pieri,
cul sciroc o in Lui ch'al sà di fen,
ducj i siums si cìrin simpri,
ducj i siums 'e clamin ben.
E tal cûr timp di bussadis,
timp di un fûc mai dite a d'un,
distudât cui avostans, mai legris,
in te scune di un autun.
Sore i roncs, daûr San Pieri,
ducj i siums 'e clamin ben,
ducj i siums 'e clamin ben.