Un titolo insolito, attinto coraggiosamente dalla sapienza di don Primo
Mazzolari che, preparando la Pasqua con un gruppo di operai a Bozzolo,
nel Giovedì santo del 1958 ha affermato che «Giuda è uno dei personaggi
più misteriosi che troviamo nella passione del Signore. Mi accontento di
domandare pietà per il nostro fratello Giuda. Non vergognatevi di
assumere queste fratellanza!».
Dal lavoro si evince in modo forte propria queste dimensione: la
fratellanza con un uomo che è del nostro sangue. Non c'è spazio per il
giudizio, né per la comoda delazione che nella Tradizione ha ridotto
Giuda ad autore solitario della morte del Giusto. In quest'opera Giuda
ci viene proposto come fratello e compagno nella difficile scalata della
fede. Con lui sperimentiamo la tragica verità di un confine sottile che
separa, nelle nostre vite, l'amore dall'abisso, la consolazione dalla
disperazione. Una linea tracciata dall'autore da un susseguirsi di
sguardi che, scena dopo scena, indicano che non sono le parole a
contare, né i gestì, né le complicità. Ciò che conte davvero è la
sintonia, la tensione che lega in modo indissolubile due destini. Lo
sguardo di Gesù sembra inseguire Giuda, lo cerca, lo attraversa, lo
riscalda. E questo diventa insopportabile per lui chi ha già pronunziato
dentro di sé la sua sentenza. Il peccato di Giuda non è il Tradimento ma
quello di non essersi lasciato riscaldare dallo sguardo di colui che lo
ha chiamato sinceramente, e proprio per questo, "insopportabilmente"
amico anche nel momento della consegna.
In quest’opera c'è un unico capitolo privo di sguardi,
quello in cui si contempla il male che abita Giuda, nostro fratello. È
il varco che conduce all'altra regione, quella che si apre oltre i
confini dello sguardo di chi ama: qui «la creazione cola in rivoli di
colore senza vita, senza riflessi a colmare un bacile nero, senza luce.
In quel bacile... te mia dimora». La morte ci viene presentata come
de-creazione, decolorazione, di-sperazione...
Il messaggio è tragico ma molta attuale. Quando la
nostra vira decide di non lasciarci circondare dalla forza di uno
sguardo e di sottrarsi alla creatività dell'Amore, lì si apre sempre un
abisso, unico luogo dove neppure Dio potrà mai raggiungerci. Mazzolari
conclude la sua famosa omelia con queste parole: «II più grande dei
peccato non è quello di vendere Cristo, è quello di disperare. Ci
sarebbe stato un posto anche per Giuda se avesse voluto, se si fosse
portato ai piedi del Calvario, se lo avesse guardato almeno da un
angolo, da una svolta della strada della «via crucis». La salvezza
sarebbe arrivata anche per lui».
Ma l'autore, che in tutto il racconto non ha mai
abbandonato la postazione dello sguardo dell'Amore, ha voluto "vedere"
un poco più in là. La corda della disperazione trasformata prima in
edera e poi in una ghirlanda fiorita, sembra dirci una verità che si può
intuire solo leggendo il vangelo in controluce: chi, anche solo per un
istante, ha visto Dio negli occhi, potrà mai perdersi per sempre? (don
Ivan Bettuzzi)
...la voce narrante di Fabio
Turchini...
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