Nella chiesa abbaziale di Rosazzo, il 29 giugno 2012,
festa di S.Pietro, don Dino ricorda i suoi 50 anni di
prete e i 12 vissuti con Rosazzo e Oleis, insieme ai
tanti amici d’impegno e di passioni.
PRETE A ROSAZZO
Tre i luoghi in
cui mi
è
stato chiesto di ricordare i miei 50 anni di prete. A
Montenars, la mia attuale comunità, l’ho fatto nello stesso
giorno (18 marzo) in cui sono stato ordinato sacerdote nel
’62. Nel secondo, Rosazzo-Oleis, lo faccio oggi, con voi,
nella chiesa dell’Abbazia, dove sono stato rettore e parroco
per 12 anni, fino al giugno del 2006. Nel terzo a giorni,
domenica 1 luglio, a Osoppo, con la comunità dove sono nato
e nella festa della sua patrona S.Colomba, nella stessa
chiesa in cui il vescovo Zaffonato mi ha ordinato prete 50
anni fa.
Ai miei amici di
Montenars, che mi conoscono appena da due anni e mezzo a
questa parte, ho raccontato perché e come mi sono fatto
prete, quale è stata la mia formazione e la scelta (a 22-23
anni). Ho parlato degli anni della Germania e di Milano, ma
anche del terremoto, degli anni della ricostruzione a Osoppo,
della scoperta di Peonis, dei due anni e mezzo a Villalta,
del decennio di conduzione dello Scuole di teologia per
laici e della Formazione dei nuovi diaconi.
Oggi, nella
chiesa in cui per tanti anni ho celebrato i misteri della
nostra fede ed incontrato tante confessioni cristiane, e in
mezzo ai tanti fratelli che con me hanno condiviso passioni,
speranze, difficoltà, vorrei ricordare la mia vita di prete,
e in particolare quei 12 anni vissuti con voi a Rosazzo, dal
1° maggio del 1994 al 30 giugno del 2006.
Confessavo a
Montenars: «Non mi riesce proprio facile ricordare questi
50 anni di vita vissuta in luoghi e impegni tanto diversi (Osoppo
e Roma, Germania e Svizzera, Milano, Rosazzo, ora Montenars),
e in atmosfere ecclesiali così differenti (prima del
Concilio, nel travaglio del dopo Concilio, in una chiesa
prima coraggiosa, poi incerta e timorosa nei tempi nuovi che
avanzano). Mi è difficile in particolare spiegarvi perché e
come mi sono fatto e rifatto prete. Per facilitarmi il
compito prendo a prestito – dai profeti dell’Antico
Testamento – un’immagine che tutti conosciamo: l’amore fra
due persone, che per la Sacra Scrittura è l’amore di Dio per
il suo popolo, e per me, qui, è il mio amore per la chiesa.
Così, quando sentite “Chiesa”, pensate a “Donna”, e in chi
vi parla un prete non celibe ma “ammogliato”, seppur con una
Donna un po’ particolare».
«Mi sono
“innamorato” dunque - già lo dicevo a Montenars - a 22-23
anni, dopo non pochi dubbi e pene. Erano gli anni in cui
stava cambiando il mondo e con esso anche la chiesa.
Quell’ottobre del ‘58 c’ero anch’io, arrivato a Roma per gli
studi teologici, in piazza S.Pietro ad aspettare che si
affacciasse il nuovo papa (Giovanni XXIII). E poi a sperare
nella svolta. La quale arrivò (nel Natale del ‘61) con
l’annuncio del Concilio Ecumenico: tutti i vescovi dell’orbe
a Roma per lasciarsi interrogare dal mondo che cambia e
cercare insieme le risposte del Vangelo». Io mi sono fatto
prete perché c’è stato il Concilio. E continuato ad esserlo
perché la chiesa di cui mi sono innamorato è – è chiamata ad
essere quella del Concilio. Se si nega il Concilio, mi si
toglie la Compagna della mia vita. In parole povere, mi si
costringe a divorziare.
A Rosazzo arrivo
il 1° maggio del 1994, dopo diverse esperienze. A mani nude
ma con un progetto: il “Progetto Rosazzo”. Me lo aveva
sollecitato alcuni mesi prima l’arcivescovo Battisti, e la
Diocesi, nei suoi diversi Consigli, lo aveva condiviso,
seppur senza eccessivo entusiasmo. Il vescovo ci credeva
davvero e di fronte alle resistenze, anche aspre, che si
manifestavano mi incalzava: “Fallo per me!”.
L’idea di fondo
di quel piano: l’Abbazia, appena restaurata, era chiamata a
svolgere un ruolo di primo piano, da cantina della Mensa
arcivescovile a riferimento della nuova Europa (Rosazzo
punto d’incrocio di popoli latini-slavi-germanici che stanno
riscoprendo le comuni radici di civiltà). E luogo d’incontro
e di programmazione per le comunità diocesane impegnate
nella nuova evangelizzazione (questa è la sede e sede delle
8 scuole di teologia per laici e del lla decina dei diaconi
che si stava compattando). Sul piano locale, è un’Abbazia
che ritorna a parlare, più che vigne e cantine, di anima e
di spirito nella grande area industriale e imprenditoriale
del Manzanese.
Ricordo bene i
primi mesi di Rosazzo, impiegati ad illustrare il Progetto,
a confrontarmi con la popolazione di Manzano, i presbiteri
della Forania, i diversi gruppi aperti al futuro che avanza,
la Fondazione che mons. Battisti voleva affiancarmi per
favorire l’iniziativa. E poi incontri con tante comunità,
gruppi, parrocchie, istituzioni. Con a fianco, fin dalla
prima ora, le Suore Pastorelle, in testa Suor Luigia, che
condivideranno con generosità problemi e sogni.
Iniziai a fare
il parroco nel ‘78 a Peonis, comunità piccola e povera, ma
che mi disvela i lineamenti del Crocifisso e mi insegna a
fare il prete. Poi, per 2 anni e mezzo, a Villalta, comunità
aperta che si lascia muovere dal vento del Concilio. Ora mi
ritrovo in un’abbazia che ha ospitato, nell’arco di un
millennio, le tre famiglie monastiche più rilevanti nella
nostra storia (agostiniani, benedettini, domenicani). Ed a
pregare in una basilica dove incontro i massimi dignitari
delle chiese sorelle d’Oriente e comunità protestanti di
Trieste, Germania, Austria, Ungheria. E nel mese di agosto,
accolgo con gioia masse di cristiani pentecostali del Ghana,
Nigeria, Camerun, che qui trovano spazi e veri amici che
assistono con emozione alle loro manifestazioni – per noi
spesso incomprensibili – di fede autentica. 12 anni di vita
vissuta di corsa, schivando trappole e saltando ostacoli, a
fianco di amici veri, forse preparando le condizioni che mi
porteranno alle difficoltà fisiche del tracollo. Non è
questo il luogo di fare la storia di quei 3/5 del mio
sacerdozio, i più belli e impegnativi della mia vita di
prete, e tanto meno fare bilanci, che a me non spettano. Ma
in questa chiesa, che ci ha visti insieme in tante
occasioni, voglio confidarvi due emozioni, che hanno inciso
nel mio spirito solchi profondi.
La prima è
l’esperienza vissuta come in famiglia, la famiglia allargata
di Oleis. Abbiamo condiviso le tante gioie e i dolori che il
buon Dio ci ha riservato. Se a Peonis quelle donne che
portavano la Madonna della Salute sulle macerie del
terremoto avevano commosso e, senza saperlo, pure costretto
a diventare il loro parroco, e Villalta mi ha travolto con
il suo entusiasmo, ora un’altra piccola comunità, Oleis,
continuava ad insegnarmi a fare il prete: 10 anni a Peonis+
2,5 a Villalta+12 a Oleis=24,5, la metà dei miei 50 anni a
capo di una comunità.
La seconda
esperienza è quella di Vetren. 10 anni di passioni per i
bambini sfortunati della Bulgaria, vissuti a fianco di
amici veri e credenti autentici che hanno fatto del
volontariato uno stile di vita, gente determinata che
testimonia, con scelte coraggiose e inedite, gli ideali del
Vangelo. Grazie fratelli, perché senza di voi il mio
sacerdozio sarebbe stato più disincarnato, forse avrebbe
preso la brutta piega del teologo, o del manager, o
dell’equilibrista, magari dell’esibizionista. E grazie anche
per l’insistenza con la quale mi avete incalzato perché
scrivessi, approfittando della malattia, della grande
avventura bulgara, legata a doppio filo ai progetti e
attività dell’Abbazia.
Prima di
concludere con l’Eucaristia (rendimento di grazie al Padre
fonte di ogni bene), vi comunico che io continuo ancora a
sognare. Ho iniziato a farlo scegliendo di fare il prete, ho
continuato a farlo a fianco del grande sognatore Battisti, e
continuo a sognare a Montenars, nel paese del sognatore
massimo pre Checo Placereani. Chiesa sognata e sempre
attesa, e che un giorno arriverà. Sentivamo dal Vangelo di
un paio di domeniche fa che essa è un piccolo seme, il più
piccolo di tutti i semi. Il seminatore lo depone nelle
viscere del terreno. E cresce, cresce, fino a diventare un
albero che darà riparo agli uccelli del cielo. Gesù: «E
voi, alla fine della vostra giornata, dite: Siamo servi
inutili. Abbiamo fatto quel che dovevamo». Servi inutili
– speriamo non dannosi.
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Nelle vesti di WebMaster e curatore di questo sito, mi
permetto di segnalare alcuni link a pagine che
documentano l'impegno di don Dino in varie iniziative
ecumeniche, senza contare il suo apporto come "guida
spirituale" della ONLUS "Per Vetren, documentate nello
spazio dedicato alla benemerita Associazione
all'interno do
questo sito>>>
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