biel lant a Messe a...

Montenars (UD), 18 Marzo 2012

Santa Messa
 nel Giubileo Sacerdotale di don Dino Pezzetta

          La cerimonia si sarebbe dovuto svolgersi sul sagrato o all'interno della chiesa di Sant'Elena, e come si vede nelle foto qui sopra, la gente cominciava ad arrivare nel luogo stabilito ma trovava la porta della chiesa sbarrata sebbene mancasse un quarto d'ora alle 10. E' giunta poi la notizia che, a causa del maltempo, la cerimonia si sarebbe svolta all'interno del Centro Polifunzionale (luogo che noi conosciamo molto bene), fatto che comunque ha sconvolto tutti i miei piani operativi...

...non ho quindi avuto il tempo e il modo di predisporre un piano sicuro e affidabile per registrare la cerimonia, specialmente per quello che mi stava più a cuore: l'omelia da parte di don Dino incentrata sul perchè della sua scelta di farsi prete.

          La cerimonia ha quindi avuto inizio, con don Dino che rivolgendosi alla folta platea di amici ed estimatori giunti anche dalle varie parrocchie in cui aveva operato, scherzosamente asseriva che più che una Messa gli sembrava un teatrino. Effettivamente l'altare era stato allestito sul palco del molto confortevole e raccolto Centro Polifunzionale, con il Coro Parrocchiale diretto dalla maestra Sara Rigo, pronto per il canto d'apertura...

...i contributi audio che proponiamo, sono il risultato di elaborazioni digitali per attenuare gli "spari"
sul microfono della lettera "P" e rendere gli interventi più intellegibili possibile ...


                   
...il benvenuto del Direttore del C.P. Antonio Placereani,
il saluto di don Dino ed il canto d'inizio...


...alcune tipiche espressioni di don Dino...

A Montenars, domenica 18 marzo 2012,
don Dino ricorda insieme alla comunità i suoi 50 anni di prete.

 

PRETE PERCHE’

          Non mi riesce proprio facile, cari amici, ricordare insieme a voi questi 50 anni di vita vissuta in luoghi e impegni tanto diversi (Osoppo e Roma, Germania e Svizzera, Milano, Rosazzo, ora Montenars), e in atmosfere ecclesiali così differenti (prima del Concilio,  nel travaglio del dopo Concilio, in una chiesa prima coraggiosa, poi incerta e timorosa nei tempi nuovi che avanzano). Mi è difficile in particolare spiegarvi perché e come mi sono fatto e rifatto prete. Per facilitarmi il compito prendo a prestito – dai profeti dell’Antico Testamento – un’immagine che tutti conosciamo: l’amore fra due persone, che per la Sacra Scrittura è l’amore di Dio per il suo popolo, e per me, qui, è il mio amore per la chiesa. Così, quando sentite “chiesa”, pensate a “donna”, e in chi vi parla un prete non celibe ma “ammogliato”, seppur con una Donna un po’ particolare.
          Mi sono “innamorato” dunque  a 22-23 anni, dopo non pochi dubbi e pene. Erano gli anni in cui stava cambiando il mondo e con esso anche la chiesa. Quell’ottobre del ‘58 c’ero anch’io, arrivato a Roma per gli studi teologici, in piazza S.Pietro ad aspettare che si affacciasse il nuovo  papa (Giovanni XXIII). E poi a sperare nella svolta. La quale arrivò (nel Natale del ‘61) con l’annuncio del Concilio Ecumenico: tutti i vescovi dell’orbe a Roma per lasciarsi interrogare dal mondo che cambia e cercare insieme le risposte del Vangelo. 
          Nella mia formazione teologica all’università Gregoriana, con docenti  impegnati nei lavori conciliari, io scelsi l’indirizzo ecumenico, specificamente protestante luterano. E questa passione mi accompagnerà per tutta la vita: nel lavoro professionale (di traduttore di testi), nelle frequentazioni ecumeniche (i miei più cari amici sono teologi luterani, calvinisti, valdesi e cristiani ortodossi), negli studi (dopo i primi cinque anni di teologia a Roma, continuerò gli studi di specializzazione in una università protestante luterana in Germania).
          Se il mio viaggio di nozze lo feci a Camaldoli (20-26 marzo), ospite dei frati di quel monastero, la luna di miele la trascorsi in Germania. Anni belli e un po’ avventurosi, dove ho imparato l’indipendenza  economica e la libertà intellettuale, ad affrontare i rischi e ad apprezzare le complessità (anche della mia “donna” che avevo a fianco).
          Nell’autunno del ‘66, al mio primo impegno ufficiale in Diocesi, arriva la doccia gelata. Tre parroci (Latisana, S.Daniele, Udine) nell’arco di tre giorni mi fanno subito capire che tra la chiesa ideale e quella reale la differenza è grande. Di me,  “sposo novello”, non c’è bisogno. Uno dei tre parroci, uomo stimato, mi congeda con queste parole: “Qui non abbiamo bisogno di preti protestanti” (in verità, in quegli anni di vacche grasse, non si sentiva nemmeno la mancanza di preti).
          Nel seminario di Gorizia invece avevano bisogno, ma più che di preti,  di un docente  di teologia e in quello di Udine di un insegnante di storia della filosofia. Belli quei quattro anni trascorsi con giovani di cui condividevo, le aspettative e al cui fianco vivrò i tormenti della nuova generazione.  Anche in Friuli stava arrivando il 68.
          A Milano sbarcai nell’autunno del ’70, e per mia scelta. Ritenevo, non a torto, che quella città sarebbe diventata l’epicentro di grandi sommovimenti, dove avrei potuto vivere  da protagonista. Arrivai giusto in tempo per partecipare alle marce contro la guerra nel Viet Nam, respirare il clima studentesco della Statale, impegnarmi con i profughi cileni del golpe di Pinochet, confrontarmi con i Cristiani per il Socialismo, partecipare ai dibattiti del Referendum sul divorzio. Sei anni e mezzo vissuti con amici dalle stesse passioni e dall’identica fede. Qui il mio “matrimonio” ora si allarga ad una famiglia vera, autentica, impegnata nella solidarietà radicale, povera e quindi libera, un po’ utopista e quindi evangelica. Direi: un secondo viaggio di nozze, non di sei giorni come a  Camaldoli ma di sei-sette anni trascorsi in quel monastero a cielo aperto che è stato il gruppo dei tanti amici di Milano, riuniti permanentemente in via Lippi con  ospiti del grande mondo politico internazionale ed ecclesiale.
          Il fine corsa arriverà improvviso il 6 maggio del ’76, la notte del terremoto del Friuli, e proprio dov’era iniziato il viaggio, nel mio paese di Osoppo, tra morti e macerie, disperazione e speranze. Ho sempre pensato che, gira e rigira, dovevo arrivare proprio qui, giusto in tempo, per venir sottoposto  alla prova di Giobbe.
          Due anni prima avevo tradotto con grande trasporto  “Il Dio crocifisso” di Jürgen Moltmann, dove il grande teologo, partendo dalla sua esperienza di internato in un campo di prigionia, di giovane sconfitto su tutti i fronti, si inoltra nel  mistero del male e della presenza-assenza di Dio nei drammi dell’uomo. Evidentemente non poteva bastarmi  un libro a risolvere il problema (insolubile) della presenza del male, a giustificare un Padre che pare  insensibile alle sofferenza dei suoi figli, a vedere Dio accanto ai corpi martoriati dei due fratellini morti abbracciati. Ma sarà proprio questa “prova di Giobbe” ad aiutarmi ad intravedere i lineamenti del Padre sul volto del Crocifisso che lo invoca tra le lacrime dalle  tenebre del Golgotha.
          Questo Dio dal volto umano mi ha aiutato, poco a poco, a riscoprire anche tratti più umani nella mia “donna”. Che ora incomincio a vederla incarnata nella mia gente accampata sotto le tende, nelle baracche, impegnata nella faticosa attraversata del deserto della ricostruzione. E poi, nel novembre del ’78, in una comunità piccola, povera e dispersa, Peonis, che nella festa della Madonna della Salute porta in processione, sulle spalle di tutte donne, la statua della sua patrona e confidente tra le macerie del paese. E  divento il suo parroco (la mia prima nomina ufficiale in terra udinese).
          La mia “donna” ora diventa Peonis, cui si aggiungeranno qualche anno più tardi anche le sorelle Trasaghis e Braulins. Qui mi insegnano a fare  il prete. E qui inizia la grande avventura delle Scuole di Teologia per i Laici. Dieci anni di passioni, con una decina di scuole sparse lungo tutto il Friuli dai monti al mare, tra gente che non solo vuol rialzarsi dalle macerie del terremoto ma si apre con coraggio ad un futuro  che si profila sempre più povero di preti, in una chiesa piramidale che priva di preti si affloscia su se stessa ma che il Concilio la vuole chiesa di popolo. Dieci anni di primavera, sempre temendo i grigiori dell’autunno e le gelate dell’inverno.
          Dopo l’intermezzo di Villalta, comunità aperta che respira a pieni polmoni lo spirito conciliare, inizia l’esperienza dei dodici anni nell’abbazia di Rosazzo, con la piccola comunità di Oleis e la grande Europa dei popoli. Troppo lunga per essere vista come un “viaggio di nozze” e che pure mi sta disvelando dimensioni insospettate nella mia “donna”. Qui trovo tanta umanità, amici veri e credenti autentici, persone che fanno del volontariato uno stile di vita, gente determinata che testimonia, con scelte coraggiose e inedite, gli ideali del Vangelo, credenti di confessioni diverse (ancora una volta i luterani di Trieste, gli evangelici di Berlino, gli ortodossi della Bulgaria) quali compagni di viaggio sulle vie della nuova Europa. E tanta voglia di perdersi  perché altri guadagnino.
          E poi, come sempre, la nuova gelata, improvvisa. Questa volta  investe il mio corpo. Sulla soglia della settantina, anche lui ha qualcosa da rivendicare. Ictus, emorragie, ernie, scompensi cardiaci. E finalmente un intervento radicale al cuore che mi fa concludere: è venuto il tempo di fermarmi là dove ho incominciato il viaggio, e riposare, direi appagato, a fianco della mia “compagna”.
          Ma di nuovo questa “donna”, inseparabile e imprevedibile, si ripresenta in nuove fattezze, quelle di una comunità, anch’essa piccola e aperta ai nuovi tempi: Montenars, paese di 600 anime ad una quindicina di km dal mio paese di nascita, su in montagna. E’ da due anni che stiamo camminiamo insieme, mano nella mano, come due innamorati. Che non sia, ancora una volta, un viaggio di nozze? Ci risentiremo fra una decina d’anni, al 60° anniversario di matrimonio. Speriamo soltanto di rimanere giovani, e innamorati come cinquant’anni fa. 

...alla Preghiera del Fedeli vi proponiamo solo gli estratti audio più comprensibili,
compresa la lettura del messaggio inviato dal vescovo ortodosso bulgaro Galaktion...


                   


...don Dino alla Consacrazione...


         
 CANTI


...dopo la Comunione, l'intervento del rappresentante del Comune di Montenars...


...e la consegna di alcuni omaggi per il festeggiato compresa una pergamena scritta dai bambini...

...dopo la Benedizione, il canto di chiusura...



 AVE O VERGJINE


...gli applausi dei presenti...