Oggi siamo venuti per contraccambiare una
visita, come si fa tra buoni amici, dopo che il
20 Settembre scorso, a chiusura del Convegno
Balducci, e a Dicembre, in occasione della festa
di Natale, ci avete dato la possibilità di
raccontare i percorsi e le storie delle persone
che hanno abitato, come donne e uomini,
cittadine e cittadini, indipendentemente dal
loro essere utenti, operatori, soci di
cooperative o associazioni, assistenti sociali,
infermieri, medici, responsabili, i luoghi
dell'ex Ospedale Psichiatrico negli ultimi
decenni. Per questo desideriamo innanzitutto
dire la nostra gratitudine, per averci invitati,
a voi, comunità di Zugliano, a tutte le persone
accolte dal Centro Balducci, a tutti i
volontari, a te Pierluigi, e a chiunque ha
scelto di esserci, oggi, per passare insieme a
noi una giornata che ci piacerebbe mantenesse,
in tutti i suoi momenti, il carattere
dell'incontro e dello scambio nel segno
dell'amicizia, tra compagni di viaggio.
L'affinità che sentiamo è
data dalle singole esperienze che oggi si
incontrano, unendo i percorsi personali di tutti
coloro che quotidianamente vivono, troppo spesso
sulla propria pelle, la difficoltà del veder
riconoscere ad ogni uomo e ad ogni donna gli
stessi diritti.
Siamo credenti e non
credenti, tuttavia abbiamo accolto volentieri il
vostro invito a condividere con voi le nostre
riflessioni e testimonianze, per parlare di
diritti umani e uguaglianza sociale
nell'incontro di una comunità che celebra, a
Pentecoste, la possibilità della comprensione e
della vicinanza oltre ogni diversità, oltre che
la capacità di affermarlo con estrema
franchezza. Sperimentiamo infatti
quotidianamente che l'affermazione di tutti i
diritti umani passa attraverso l'accoglienza di
ogni diversità, vissuta non solo come
atteggiamento formale, ma come fondamento di
ogni relazione, nella quale ognuno ha diritto ad
essere compreso prima di tutto e soprattutto
come persona. Allo stesso modo intravediamo,
nell'esperienza quotidiana della vita
comunitaria, così come in tutti i percorsi dei
gruppi e delle associazioni, che esiste un solo
modo per cercare di afferrare qualcosa sulla
verità dell'essere umano: conoscere e fare
proprie le diversità che si incontrano,
ammettendo che, agli occhi dell'altro, ciascuno
di noi è il primo ad essere diverso.
La semplificazione e
l'omologazione sono dietro l'angolo, vengono
sempre più vendute come scorciatoie in nome di
valori quali ordine, regolamentazione, difesa
della propria tradizione, affermati spesso
con gesti violenti di separazione o
segregazione. Il manicomio ne era un esempio,
vale a dire la creazione di una città nella
città, parallela e invisibile da fuori, creata
prima di tutto per risolvere, con la rimozione
dagli occhi, il problema di coloro che, per
nascita o eccessiva fragilità di fronte a
sofferenze di cui non avevano colpa, erano
giunti ad essere classificati come "matti";
venivano così rinchiusi, fisicamente,
all'interno dei reparti o padiglioni, ma
soprattutto all'interno di una parola-marchio,
etichettati come appartenenti ad un'altra razza,
dai cui esemplari bisognava prima di tutto
difendersi. Il 20 settembre scorso, insieme a
voi, abbiamo ricordato in un cammino di
liberazione la capacità di tutti coloro che,
donne e uomini, dal passato ad oggi hanno colto
alcune intuizioni profetiche e hanno saputo
contrapporre gesti accoglienti a gesti violenti,
la curiosità alla dogmaticità, riuscendo a
trasformare un luogo di chiusura e separazione
in un luogo di integrazione sociale e continua
affermazione di diritti.
Sentirci accolti tra voi
oggi ha dunque per noi grande significato: vuoi
dire poter toccare con mano che queste parole
hanno valore anche più in grande, al di fuori
del piccolo quadrato di sant'Osvaldo,
soprattutto in un momento come questo, in cui
viviamo con grande disagio il pericolo reale e
costante che ogni diversità ci venga presentata
come minaccia per una non meglio precisata
incolumità o sicurezza. La nostra esperienza
riguarda più da vicino le persone che soffrono
di disagio psichico e che per questo sono state
vittime di discriminazioni o pregiudizi, ma
sappiamo che molti sono coloro che sono
costretti a vivere la propria diversità come
fosse un difetto, vedendosi negare la
possibilità di farne apprezzare la ricchezza.
Noi vogliamo invece
costruire e raccontare una storia diversa, in
cui avvicinandosi all'altro e cambiando il
nostro punto di osservazione, concentrandoci su
ogni singola storia e ogni singola persona,
ponendo gesti di tenerezza, cogliamo prima di
tutto un'umanità, vera e profonda, capace di
ricordarci che la costruzione e l'affermazione
dei diritti umani non è appannaggio di pochi, ma
compito di tutti, e che soltanto l'espressione
collettiva di tutte le donne e tutti gli uomini,
anche se diversi, detta in tutte le lingue,
riferita a tutti i mondi culturali, anche se
diversi, e compresa da tutte le menti, proprio
perché diverse, può realizzare questo sogno. |