Gradisca d'Isonzo (GO),
1 Agosto 2009
Chiesa
dell'Addolorata
Santa Messa
il Friulano
in occasione
dell'Incontro annuale degli emigranti
friulani
organizzato dall'Ente Friuli nel Mondo
Gradisca d'Isonzo
http://it.wikipedia.org/wiki/Gradisca_d'Isonzo
Il toponimo
di Gradisca, comune nella regione, ha origini slovene: gradišče
("luogo fortificato") e per estensione, poi, mutato col
significato di paese, forte o castello. Il primo documento, ancora
oggi conservato, che parla dell'abitato risale al 1176 e descrive
Gradisca come un villaggio agricolo di sette famiglie, alcune di
origine slava altre di matrice latina, sottoposte alla
giurisdizione del Patriarca di Aquileia.
La storia tace per i successivi trecento anni, giungendo sino al
1420 quando la Repubblica di Venezia annette il Patriarcato di
Aquileia e di conseguenza anche Gradisca nel 1473.
La città è parte dello stato veneziano dal 1479 al
1511, periodo in cui viene consolidata attraverso una rifondazione
della stessa, ora infatti veniva concepita come un baluardo di
difesa della Serenissima (e della cristianità) contro i turchi. La
Repubblica di Venezia, infatti, aveva da poco occupato il Friuli e
si apprestava a organizzare il territorio in difesa dei propri
domini. Così facendo, nel giro di poco tempo, il borgo agricolo si
fortifica ed acquisisce importanza a tal punto che sembra che, nel
1500, Leonardo da Vinci si porti proprio a Gradisca (per incarico
del Senato Veneto), per mettere a punto nuove armi e sistemi di
difesa dell'avamposto.
Nel 1511, i lanzichenecchi di Massimiliano I prendono
possesso della fortezza: da questo momento Gradisca diventa
imperiale. Dal 1615 al 1617 Venezia tentò di riprendere il
controllo del territorio, dando inizio alla Guerra di Gradisca:
gli austriaci riuscirono a resistere agli attacchi veneziani e al
termine della guerra Gradisca diventò capitale della nuova Contea
di Gradisca, che in seguito sarà venduta da Ferdinando III, per
far fronte alle spese della Guerra dei Trent'anni, al principe
Giovanni Antonio di Eggenberg.
Tra il 1647 ed il 1717, sotto i Principi di Eggenberg,
Gradisca vive il suo periodo d'oro: l'abitato si arricchisce di
palazzi e di istituzioni pubbliche. Il piccolo Stato, amministrato
da uomini di valore come Francesco Ulderico della Torre
(discendente dalla famiglia dei Torriani, signori di Milano), ha
una propria autonomia anche in materia legislativa, monetaria e di
mensura. Nel 1717, con l'estinzione della linea maschile del
casato degli Eggenberg, la contea tornò ad essere asburgica.
Nel 1754, sotto il governo di Maria Teresa d'Austria,
la città e il suo territorio vengono fusi alla Contea di Gorizia,
venendo a formare una nuova entità statale: la Principesca Contea
di Gorizia e Gradisca.
Nel 1855, il feldmaresciallo Radetzky, governatore del
Lombardo-Veneto, consente l'abbattimento di parte delle mura della
fortezza, accogliendo una richiesta dei cittadini per dare alla
città maggior respiro: nel 1863 viene così creata la "Spianata",
un pregevole luogo di ritrovo che dall'inizio del XX secolo si
arricchirà di splendidi caffè e locali alla moda.
Nel 1914 scoppia la Prima guerra mondiale: i gradiscani vi
partecipano sotto l'uniforme austro-ungarica, principalmente sul
fronte orientale, molti disertano e fuggono verso l'Italia per
sfuggire l'arruolamento o per motivi ideologici e nazionali.
Durante la ritirata di Caporetto la città viene data alle fiamme
subendo gravi danni. Al termine della guerra, il 6 gennaio 1921,
la città viene annessa all'Italia.
Nel maggio del 1945, al termine del secondo conflitto mondiale, la
comunità gradiscana teme l'annessione alla Jugoslavia di Tito, ma
il 12 giugno dello stesso anno un nuovo compromesso tra lo stato
socialista e quello italiano mantengono la sovranità italiana sul
territorio.
Dal XVI secolo Gradisca fu sede di una piccola ma
fiorente comunità ebraica. Scomparse le due sinagoghe, a
testimonianza della presenza ebraica rimangono alcuni edifici del
ghetto settecentesco sull'attuale via Petrarca e il cimitero
ottocentesco di via del Campi.
Castello di Gradisca d'Isonzo, poderoso complesso di
fortificazioni, edificato dai Veneziani nell'ultimo decennio del
Quattrocento su progetto di tre architetti, Giovanni Contrin,
Giacomo di Francia e Giovanni Borella. In epoca austriaca subì
notevoli ampliamenti (XVI-XVII secolo) e successivamente venne
adibito a penitenziario (prima metà dell'Ottocento). Vi fu tenuto
prigioniero, fra gli altri, Federico Confalonieri. |
Diamo una ampia
sequenza dell'arrivo del corteo davanti all'antica Chiesa
dell'Addolorata,
dove la gran parte degli stendardi, gonfaloni e bandiere non hanno
potuto entrare per mancanza di spazio,
accompagnati dalla banda musicale... e dal Gruppo Scampanotadôrs dal
Gurizan
che operava sul campanile posto sul retro del vetusto complesso
edilizio...
BANDA E SCAMPANOTADÔRS
Le
Sante Messe par Furlan
presieduta da
don Maurizio Qualizza
e sostenuta dal Coro vocale di Farra d'Isonzo
che ha eseguito la Messa in friulano di Cecilia Seghizzi.
CANTO D'APERTURA
CANTO
Omelia di don Maurizio
Qualizza
Benvenuti, benvignus a duc!
Saludi dutis li autoritaz, senza podè
nomenà duc, ancja par no lassà fur qualchidun….e dut al popul di
Diu che l’è in Glesia e ancja fur...
La peraule dal Signor nus iuda ué a fa une riflession su chist,
disìn, nestri ciatasi insieme (convention disares ‘pre Belina mi
sa di asservimento alla potenza dominante…) …..Il libri da l’Esodo
che vin sintut nus ricuarda che jessi garantiz tal mangià, ta
ciasa, ta patria, no l’è dut, di simpri il popul jà mormorat, pa
robis materialis, ma la libertat, jessi fiis di Diu l’è plui
impuartant, no pol jessi metut in banda………Parzé il Signor non si
dismatea di noaltris, ma no come che dis un sfortunat proverbi
furlan…. “il Signor non si dismatea se no paje ué paie domàn..” ..
il Signor non si dismatea dal so amor, dai sioi fioi…
«Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi:
il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un
giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no
secondo la mia legge.
Cui che jà cognosut il Signor, nus dis San Pauli, nol
vif plui come i pagans, ma impronte la so vita in t’un altra
maniera…
No sposant chist materialism imperant, bevint fin a
inciocasi chist relativism che fas dut gris ancja la vita, come dì
senza savor, senza un bon savor che ti resta dentri, che ti resta
tal cur… ma a vistisi dal gnuf omp… O come che al dis l’apuestul:
“a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire
l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera
santità.”
L’è fazil dismantea i patimenz da emigraziòn, specie mi par di ve
capit li ultimis generazions, ches da valise elettroniche…., disin
che za la tiarza generazion no gi interessa plui di tant dal Friul…..ma
poiassi sol su li robis che si tocin, che si viodin che si gjoldin
no dà futur……….Aué iò crodi sin clamaz a fissà il nestri voli e il
nestri cur, la nestra attenzion su chel Fogolar che lo l’è in prin
chista organizzazion, ma l’è la base di dut, che se no jè, nuja
pol stà in pis, la famea, il fogolar familiar…
Il vescul padovàn che a Udin si l’è fat furlàn, no si
l’è mai stracat di sberlà, ancja in dì di ué che il Friul l’è stat
ricostruit, che li ciasis si tornin a tirà su, ma se ven il
taramot ta famea, no si tira su plui nuja… sirin, come sai che
vualtris za fasesu, - lui ai sintut ieri tal convegni- sirin di
tegnì adun chista perla, chist valor, la famea, la fede, l’amor pa
vita, servì la pas…
Chist ciatasi insieme si fas a Gardiscja, non a cas...
ca vin il Centro immigrati… il nestri pais, jà dovut subì la
presinza di chista struttura che l’è lada via via doventant una
ciossa par tanc simpriplui incomprensibil pa mancjanza di una
filosofia che meti al centro la persona, e cusìì dentri chei murs
ancja se jan il cellular, il calcetto e mangin forsi ben, si
consume un dolor che l’è non sol chel da lontananza da propriis
radriis, ma l’è il no jessi calcolaz personis, forsi no saludàs pa
strade, lassas cussì a fa nuje parzé mancja un progjet… Il Friuli
potrebbe oggi davvero dare un segno, valorizzando tutti i fogolârs,
ma contraccambiando con la solidarietà per quello che un tempo ha
ricevuto o anche per quello che non avesse ricevuto, perché la
storia deve sempre insegnare a crescere in umanità e in civiltà.
Benedetto XVI ci richiama costantemente "a principi di giustizia
nella distribuzione della ricchezza e delle opportunità di
sviluppo
di
fronte al premere delle disuguaglianze e della povertà, al
persistere e al riprodursi, in tormentate regioni, di condizioni
di guerra e di estrema sofferenza e umiliazione", parla di un
allarme razzismo che è sempre dietro l’angolo e ci ricorda che
aver presenti e perseguire questi obiettivi fa crescere la società
e porta la gioia. Il "rispetto della dignità umana in tutte le sue
forme e in tutti i luoghi" implica più che mai "la coscienza e la
pratica della solidarietà, cui non possono restare estranee, anche
dinanzi alle questioni più complesse, come quella delle migrazioni
verso l'Europa, che comunque no son chei qutuardis milion di int
che sol da l’Italie l’è lade pal mont, chel l’è stat un Esodo
biblico, anzit plui grant, une vore plui grant di chel di Mosé e
dai Ebreos!”
Friul tal Mont, dà un segnal di amicizia, di
comprensiòn, di solidarietat e il Signor continuarà a benedì il
Friul, chista nestra tiara di Aquileia. Crodi che la diviarsitat,
vivi la caritat a l’è un regal! Solo con una globalizzazione della
solidarietà, in una “convivialità delle differenze” come amava
dire e soprattutto praticare don Tonino Bello, potrà garantire al
Friuli e ai friulani un futuro e questo anche per i fogolârs
che sono innanzitutto, come ho già ricordato non si è
mai stancato di testimoniare il Vescovo del terremoto, monsignor
Battisti, la propria famiglia, le famiglie del
nostro Friuli.
E cu li peraulis di ‘pre Belina, vi disi “Mandi”, ancja
se cà tal Gurizzan no si use masse,
Us disi “mandi”
che al vul di “restait cun Diu” tal ben e tal mal tai dis di
fieste e tai dis di burlasc…“mandi” che al vul di, “Us raccomandi”
venasti prej il Signor pal uestri prisint e il uestri avignì…
Cun chist spirit, grazie di vé scjelzut Gardiscja par chist
incuintri, di gnof, di cur, Benvignuz a duc! Amen |
PREJERIS
REGJINE DAI FOGOLÂRS
RINGRAZIAMENTI E CANTO
FINALE
Benvignus a duc!
(Voce Isontina del 1 Agosto 2009)
Non è un caso che la VIª Convention dei Friulani nel Mondo si
tenga in questo fine settimana a Gradisca d'Isonzo. L'evento,
infatti, parla sempre di un'emigrazione avvenuta nel tempo e che
si perpetua per generazioni nella memoria, nel bisogno di
ricordare, celebrare, ritrovarsi e rivedere i luoghi delle
origini, gustare anche se per pochi giorni le proprie radici. Ma
stavolta parla e si celebra in una città che ha dovuto subire la
presenza di un Centro immigrati che è andato via via
trasformandosi in qualcosa, per molti, di sempre più
incomprensibile per la mancanza di un'idea guida o di un progetto
che metta al centro la persona.
Anche la grande emigrazione avvenuta in Italia nei
secoli XIX e XX ha avuto come punto d'origine la diffusa povertà
di vaste zone dell'Italia e la voglia di riscatto d'intere fasce
della popolazione, all'emigrazione odierna si aggiungono i fattori
di tante guerre dimenticate, specie in Africa, di dittature,
persecuzioni, senza contare l'imperante colonialismo che sotto
altre vesti è ancora molto forte sul continente nero,
impoverendolo in modo drammatico. Questo continente tanto vilipeso
subì anch'esso la nostra immigrazione verso gli inizi del XIX
secolo e proprio da quelle regioni, i cui abitanti, incontriamo
oggi, sempre più numerosi, per le nostre contrade. Certo si è
fatto anche del bene, forse non lo fanno tante persone, volti,
storie umane che qui fanno lavori che nessuno vuole più fare, o
che travasano affetto e attenzioni forse proprie solo dei legami
di sangue, verso un pianeta, quello degli anziani sempre più
abbandonato a se stesso proprio dentro le mura domestiche? Se
questa festa aiutasse a prendere coscienza su queste emergenze
della nostra storia presente, sul dovere della solidarietà,
certamente unito alla giustizia, alla sicurezza, al rispetto delle
leggi, allora sarebbe già un grande passo, perché la nostra
emigrazione portò via oltre due terzi della popolazione italiana,
(si parla di 24 milioni di persone) questo non succede certo oggi
in maniera così eclatante per i paesi citati, anche se ogni giorno
ci viene impresso un marcato ed esagerato allarmismo. Il Friuli
potrebbe oggi davvero dare un segno, valorizzando tutti i fogolârs,
ma contraccambiando con la solidarietà per quello che un tempo ha
ricevuto o anche per quello che non avesse ricevuto, perché la
storia deve sempre insegnare a crescere in umanità e in civiltà.
Benedetto XVI ci richiama costantemente "a principi di
giustizia nella distribuzione della ricchezza e delle opportunità
di sviluppo di fronte al premere delle disuguaglianze e della
povertà, al persistere e al riprodursi, in tormentate regioni, di
condizioni di guerra e di estrema sofferenza e umiliazione", parla
di un allarme razzismo che è sempre dietro l'angolo e ci ricorda
che aver presenti e perseguire questi obiettivi fa crescere la
società e porta la gioia. Il "rispetto della dignità umana in
tutte le sue forme e in tutti i luoghi" implica più che mai "la
coscienza e la pratica della solidarietà, cui non possono restare
estranee, anche dinanzi alle questioni più complesse, come quella
delle migrazioni verso l'Europa, le responsabilità e le scelte dei
governi", ci ricorda lo stesso pontefice, sentinella sempre vigile
su quei segnali sempre più preoccupanti che si affacciano in modo
sempre più numeroso e virulento.
Solo con una globalizzazione della solidarietà, in una
"convivialità delle differenze" come amava dire e soprattutto
praticare con stile personale don Tonino Bello, potrà garantire al
Friuli un futuro per i fogolârs che sono innanzitutto, come non si
è mai stancato di testimoniare il Vescovo del terremoto, monsignor
Battisti, la propria famiglia, le famiglie del nostro Friuli.
Benvenuti a tutti! Don Maurizio Qualizza |
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