biel lant a Messe a...

Pradielis (Lusevera UD), 13 Luglio 2008


...panoramica all'entrata del paese...



 CAMPANE


...l'interno della parrocchiale...



 CANTO D'INIZIO


...don Antonio Villa durante l'omelia...



 CANTO



 CANTO FINALE


...il gruppo di signore che ha guidato l'Assemblea nei canti...

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     Prima di riprendere la strada del ritorno ho voluto oltrepassare il ponte de legno pedonale, per osservare  il paese dall'altra parte del torrente Torre, che in quel punto sembra semplicemente una roggia... Non ho resistito alla tentazione di registrare il rumore dell'acqua che scorre in quel letto rugoso di pietre e sassi, rumore che copriva il suono della campana del mezzodì che giungeva felpata dal lontano campanile, accompagnato dal cupo brontolio di un imminente temporale...
     Ho accettato senza convinzione il consiglio di una ragazza facente parte di un gruppo di escursionisti, che attraversando il ponte per raggiungere la loro auto al vicino parcheggio, mi ha avvertito dell'imminente pericolo... Ho appena fatto in tempo di raggiungere la mia Clio e caricare tutta l'attrezzatura, che è arrivato un diluvio...



... rumori della natura...

Campanile di Pradielis
(Tratto da www.altavaltorre.com)

     La costruzione della prima chiesa ed del primo campanile di Pradielis terminò nel 1884. Quel campanile, che si trovava sul piazzale antistante la chiesa, aveva un’altezza notevolmente inferiore all’attuale ed era anch’esso dotato di tre campane. Le prime due, che erano le più piccole, vennero fuse nel 1879 mentre la terza (cioè la maggiore) venne fusa nel 1884. Il peso complessivo delle tre campane raggiungeva circa 30 quintali. Terminata la sua funzione, con la costruzione del nuovo campanile, venne demolito nel 1930.  

   La chiesa venne gravemente danneggiata dagli eventi sismici del 1976 ed in seguito fu demolita. Di quella chiesa purtroppo non abbiamo conservato alcun ricordo storico.
La costruzione dell’attuale campanile di Pradielis iniziò nel 1902. A tale data infatti risale il primo progetto esecutivo modificato poi in corso d’opera.
     L’opera, che è diventata il simbolo della frazione, ha un’altezza fino alla sommità della cuspide di 47,50 metri. Alla base misura 6,30 x  6,30 metri e le fondamenta hanno una profondità di circa 8 metri. Lo spessore del muro sempre alla base misura 1,35 metri, dai 4,50 di altezza in poi misura 1,15 metri e oltre gli 8 metri la misura si riduce a 90 centimetri.
     Gli angoli sono costruiti da conci di pietra come pure in pietra lavorata risulta la cella campanaria. Sopra a questa si eleva la cuspide in calcestruzzo sostenuta da un tamburo poligonale.
     Per raggiungere l’orologio è necessario salire un centinaio di scalini e dopo altri 5 metri si può raggiungere la cella campanaria che misura un’altezza di 9 metri. La cuspide finale misura altri 9 metri.


     Alla costruzione del campanile partecipò quasi tutta la popolazione di Pradielis e di Vedronza. La maggioranza della manodopera non venne remunerata ad esclusione di alcune persone con professionalità specifiche (fabbro, scalpellini, muratori e falegname ).
      Della direzione lavori si occupò l’ingegner Giuseppe Del Pino di Magnano in Riviera.
     Le pietre con le quali è stato costruito il campanile provenivano da una cava di Vedronza e venivano trasportate a Pradielis con un grosso carro trainato da due buoi. Le pietre venivano poi modellate dalle abili mani degli scalpellini Giovanni Battista Culetto di Cesariis ( Contin ) e Giovanni Toffoletti di Tarcento. Giovanni Battista Culetto era un emigrante stagionale che si recava ogni anno in Germania. Dovendo eseguire i lavori sul campanile per parecchi anni rinunciò a recarsi all’estero e per questo fu uno dei pochi operai regolarmente retribuiti. Tutti gli arnesi da lavoro che gli scalpellini adoperavano furono preparati dal fabbro Libero Angeli di Vedronza.
     Buona parte degli interventi di carpenteria e di falegnameria furono eseguiti dal fabbriciere - cassiere Giuseppe Cher che si occupò anche di organizzare la festa dell’inaugurazione del campanile e delle campane (in allegato riportiamo il testo integrale di un articolo apparso sulla stampa riguardante la cerimonia di consacrazione delle campane).
     Le vecchie campane furono trasportate nell’antichissima fonderia di campane G.B. De Poli di Udine e rifuse aggiungendo altro bronzo per rimodellare quelle attuali che misurano all’orlo della bocca rispettivamente cm. 138 – 121 e 107. Le campane furono issate sul campanile dopo il 13 marzo del 1925 provenienti da Aprato di Tarcento dove furono consacrate dall’Arcivescovo. Risuonarono per la prima volta il 19 marzo dello stesso anno in occasione della festa di San Giuseppe patrono di Pradielis.
     I tristi eventi tellurici del 1976 provocarono forti oscillazioni alla parte più alta del campanile con lesioni alla muratura nonchè distacchi e scheggiature delle parti ornamentali in pietra. La lesione più importante era situata in una colonna della cella campanaria dove un concio era uscito dalla sua sede e solo per pochi centimetri rischiava di cadere a terra pregiudicando così la stabilità di tutta la parte sommatale del campanile.
     Con interventi eseguiti nel 1983/84 si è provveduto al consolidamento di tutta la sua struttura.

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Le Filiali Slave della Pieve di Tarcento

http://fauna31.files.wordpress.com/2008/03/ville-e-vicariati-slavi04.doc

 

Pradielis ♣ Da un documento del 1847 risulta che la pieve di Tarcento conta 8.466 ab. complessivi. Lusevera vicaria 1.889 ab., compresa Villanova delle Grotte che conta 388. Riparto sinistro ab. 715 + 388, Riparto destro 786. Ciseriis 2.543 ab. (Ciseriis 34, Coia 414, Sammardenchia 424, Sedilis 823, Stella 361, Zomeais 181). Per andare a Lusevera da Cesariis ci vogliono 40 minuti, da Pradielis e da Vedronza 25minuti.

Nel 1852 i frazionisti di Pradielis s'impegnano a collaborare per la costruzione della chiesa in Pradielis, centrico di Vedronza e Cesariis. Si firmano tutti con croce. Era costume in paese la pratica delle settimine, "vale a dire di distribuire a suffragio dei defunti una data quantità di generi in vantaggio dei poveri e non poveri sotto l'obbligo di questi di recitare un Rosario". In un testamento del 1858 si precisava: "faccia una cena, ossia settimina, secondo il costume del Borgo". Ancora: "Le settimine, le quali consistono nel distribuire a tutte le famiglie della Borgata alle quali apparteneva la persona defunta pane di sorgoturco e minestra di legumi per il valore di lire 60 circa con l'obbligo poi di tutte le famiglie partecipi di questa distribuzione caritatevole di unirsi presso la famiglia che fa la dispensa e di pregare un Rosario in suffragio di quell'anima per la quale viene fatta la predetta distribuzione... Ora si decide di cedere il valore di queste distribuzioni a favore dell'erigenda chiesa". Il termine "settimina" può significare l'ottava dalla morte e la cena la conclusione di una collettiva minestrata, significativa pratica di socializzazione del tutto "appettibile", specie se condita con un bel rosario.

La popolazione di Pradielis conta 440 abitanti per 66 nuclei familiari, da un minimo di 2 ad un massimo di 13 elementi cd., per una media 7 per fam. e si tassano per la nuova chiesa. "Tutti li sottoscritti segnati con croce perché illetterati". Nel 1859 l'arciv. Casasola ordina che tutte le frazioni concorrano ad ampliare e ricostruire la chiesa di Lusevera, fatiscente e solo dopo, coll'aiuto anche di Lusevera, erigere quella di Pradielis. La popolazione di Pradielis nel 1860 scrive alla Regia Delegazione per la sua chiesa: "Tale progetto mosse principalmente dal vivo religioso desiderio di avere nel villaggio una Chiesa onde tutti possano con maggior facilità assistere alla Santa Messa e alle Sacre Funzioni ponendo così in grado di concorrere anco le persone d'ambo i sessi, impossibilitate per la tenera o grave loro età a recarsi alla Chiesa Curaziale di Lusevera, situata al di là del torrente Torre, sopra un colle ripidissimo, malamente gradinato e distante da Pradielis m. 920".

Il pievano di Tarcento don Antonio Bonanni non è d'accordo e sulla sua linea è pure il vicario generale Someda secondo il quale Pradielis potrebbe essere erosa dal Torre, per cui era bene non costruire chiese! Il pievano scrive anche al Regio Commissariato nel 1861: "Non è meraviglia che alcuni individui di Pradielis... per oggetto di culto non già religioso ma a seconda del proprio capriccio.... abbiano tentato un ultimo sforzo" per avere la chiesa. Per il pievano non è necessaria, né conveniente, né possibile. Pradielis è il borgo più povero. Gli abitanti della vicaria curata sono in 1.600. "Da tutto questo si può conchiudere che la Chiesa in discorso non essere un'assoluta necessità, ma un assoluto capriccio di alcuni fomentatori di odii e di discordia per portare il vanto sopra tutte le altre borgate". Il ponte di legno sul Torre può venir trascinato via dalle piene, ma in due o tre giorni viene ripristinato dalla Deputazione Provinciale e ciò capita una volta ogni 1 o 2 anni.

Sembra impossibile ma prima del '900 non c'è pievano o vicario che sia disposto a riconoscere una qualsiasi utilità al decentramento. Tutte le argomentazioni vengono rovesciate impietosamente ed illogicamente, senza speranza che gli interessi umani (lasciamo perdere quelli dell'aldilà) possano incontrarsi in una qualsiasi convergenza se non d'opposizione: non per nulla il capitalismo è concorrenza e contrapposizione alla ricerca di un medium che lascia regolarmente sul terreno il più debole. La chiamano concorrenza, ma si tratta di sopruso che  viola sistematicamente qualsiasi regola di mercato. Se valessero le regole non ci sarebbe concorrenza ma mediazione ed il mondo non si svilupperebbe ancora darwinianamente. E dire che parroci e cappellani si comportavano così anche nel medioevo, quando la concorrenza era fra quelli che avevano e basta.

Nel 1967 la curia suggerisce la chiesa di Pradielis non nel paese, ma a mezza strada con Cesariis. Il pievano di Tarcento don Giacomo Nait propende per il luogo di Pradielis, che conta 632 ab. e Cesariis 369 ab. Scrivendo alla curia dice: "Il concorso numeroso ed assiduo dei Pradielesi in proposito dimostra non essere essi sotto l'incubo di otto o dieci caporioni... Essi sono impazienti affatto di continuare il lavoro, prima che parte di essi si portino quali mercenari in Alemagna". Si faceva già la messa festiva al cimitero di Pradielis. Il sistema di paga del curato, che poi passa ai cappellani, fa sì che alla partenza del curato partano anche i cooperatori, perché non sono pagati da nessuno. "La popolazione, la quale è costretta a procacciarsi con indicibili sudori uno stentato mantenimento per circa dieci mesi all'anno, è nell'assoluta impossibilità di subire e corrispondere gli emolumenti di tre sacerdoti". Finalmente il pievano, perso il controllo sulle Ville Slave, diventa ragionevole e "capisce" i problemi e la loro soluzione. La dialettica tra gli uni e gli altri di questi villaggi minaccia, come suggerisce stoltamente la stessa curia, di erigere chiese a metà strada tra i due villaggi, come in seguito si costruiranno le scuole elementari, divenendo così il servizio adeguatamente fastidioso e deficiente per gli uni e gli altri, quasi che ciò rispondesse ad equità e giustizia.

Il vicario curato don Pietro Comelli accusa il pievano Giacomo Nait di temere di perdere le 1.800 anime della curazia di Lusevera e di brigare per staccare Pradielis e legarla a Tarcento, dividendola da Lusevera. Si sente calunniato dai capp. don Isola e don Pietro Marchetti: è detto mugnaio (praticò quel mestiere fino ai 24 anni) e ladro. "Io sono più che persuaso che la guerra accanita che si fa alla S. Chiesa, al Sommo Pontefice, all'Episcopato ecc. la colpa in gran parte, è del clero. Se tutti i sacerdoti avessero carità e che tutti fossero come un esercito compatto in difesa del Supremo gerarca e nelle diocesi tutti sostenitori impavidi del proprio Ordinario non esisterebbero tanti scandali".

Da tre anni il Friuli faceva parte dell'Italia e gli effetti si notano. Le tensioni sono l'unico stimolo per tanti fatti accaduti che altrimenti sfuggirebbero alla cronaca se non alla storia. L'auspicio all'esercito compatto è compromesso dal rancio e dalle gelosie culinarie. Sappiamo che l'animale madre allontana i figli dal cibo quando decide di nutrirsene e così fanno pure i preti che sono detti padri. Non si avvede il nostro vicario, zelante e vittima nello stesso tempo, quando auspica nientemeno la solidarietà al vertice di quella piramide che non è altro che il monumento alla vecchia dignità. Che si chiami Stato Pontificio, Concordato od Otto per mille la sostanza è sempre quella; non si può fare del bene senza mezzi! è dogma della chiesa cattolica del terzo millennio. La verità zampilla da queste fonti come "acqua viva" filtrata dalla sabbia degli spiccioli della vedovella.

Nel 1868 la gente di Pradielis scava le fondamenta della nuova chiesa ed il sindaco Valentino Pinosa di Lusevera, insieme ai consiglieri, si dice contrario a quella chiesa prima di un esplicito permesso dalla curia ed avanza denuncia alla prefettura di Udine. È pure contrario ad un prete stabile in Pradielis. La colpa di tutto è del pievano "loro famoso compatriota... Che cessi di proteggere e patrocinare la causa di Pradielis, giacché purtroppo il rev.do Nait è colpa di tutti questi disordini ognor più crescenti... il quale è deciso... di dividere la Curazia". I nuovi istituti municipali continuano a solidarizzare con le istituzioni religiose in quanto garantiscono quella complementarietà socio-economica tradizionale ed indispensabile all'ordine pubblico.

Nel 1872 giunge il sospirato permesso. Chi non è d'accordo è il vicario curato di Lusevera che ha ereditato il ruolo del pievano di Tarcento verso le sue filiali. Don Pietro Comelli osserva che i Pradielesi non faticano tanto per "lo spirito di Gesù Cristo", ma "per poter dire ai quattro venti: noi soli in circa due anni abbiamo terminato la nostra chiesa e voi Luseverani in tredici anni siete arrivasti a poco più della metà". Aggiunge che i Luseverani hanno capito che Pradielis intende staccarsi e perciò non capiscono il perché si debba costruire a Lusevera una chiesa così vasta. "L'uomo della montagna non ragiona. Quando ficca l'ostinato corno nel muro si spezzerà sì, ma cedere giammai. Si ha veduto Pradielis pel passato. Si piega lo slavo solo ai gendarmi ed ai carabinieri, perché teme le multe e la prigione e alla verità più lampante delle dimostrazioni e dei fatti, resiste fino alla morte. Se il borgo di Pradielis si riconoscerà sorretto e protetto direttamente o in via indiretta da Tarcento, mai in saecula saeculorum dimetterà il pensiero di separarsi. Quel popolo, a preferenza degli altri borghi, fa e tace".

La logica è ciò che manca ai preti prima che al popolo, compreso quello slavo. Non è stato il pievano di Tarcento a temere e censurare l'autonomia delle filiali? Come mai ora si vendica con la filiale curata insinuando l'autonomia della subfiliale di Pradielis? Gli Slavi sono le vittime sistematiche dei poteri prima religiosi ed ora civili che all'origine li hanno accolti e sistemati sulle loro terre per un rilancio economico del territorio. Ora la loro "autonomia", magari sotto la bandiera etnico-nazionale, è percepita come insubordinazione orgogliosa e cocciuta, foriera del peggio. Torna l'ammonimento "spirituale" di Carlo Marx: l'economia spiega la storia... occidentale cristiana.

Il vicario di Lusevera, propenso in un primo tempo ad erigere la chiesa di Pradielis nel cimitero, nel 1871 cambia idea e vede con favore una chiesa in Cesariis. Dunque non più a mezza strada, ma come "fastidio" dei Pradielesi. Questi si rivolgono alla curia scusandosi di non aver rispettato il decreto che prescriveva prima la costruzione della chiesa di Lusevera, ampia in funzione dell'intera Curazia, perché sono stati derisi dai Luseverani. "Se avessimo obbedito, sarebbero nate tante contese per cui molti saressimo morti per omicidi, molti saressimo stati condannati ai lavori in Padova. Dall'altra parte avendosi fatta la detta Chiesa Curaziale colla vendita di beni comunali e boschi di proprietà di tutti... ci pare di non aver più obbligazioni per detto conto". In poco tempo per i lavori della canonica, piazzale e arredi i Pradielesi hanno speso lire austriache 21.525.

I figli crescono ed i genitori continuano a cucirgli addosso panni infantili. All'appuntamento con il futuro si giunge sempre in ritardo e si realizzano opere che sono regolarmente fuori tempo. Solo il capriccio della gente cammina con i tempi, magari zoppicando e se non fosse "viziosa" non si farebbe che aggravare i problemi. La gerarchia, qualsiasi, costituisce la sclerosi della società e peggiora col tempo, gravandola di un peso esorbitante. Non se ne può fare a meno, come dei vecchi, ma i greci proponevano di affidare la guida della città ai filosofi e per i vecchi questi avevano sufficiente lucidità per togliere il disturbo.

Don Antonio Comelli vic. cur. di Lusevera scrive al vicario generale citando Pio IX: "Si vede chiaro che l'inferno freme per il bene che ne deriverà dalla pace, per questo, come ottimamente settimane fa diceva il Supremo Gerarca il Grande Pio IX, i demoni passeggiano ora sulla terra". Conoscendo la svolta di quel papa e della sua chiesa possiamo capire quale sarà il conto. Fin che si trattava della lentissima evoluzione in un passato praticamente immobile si poteva ancora apprezzare il criterio del nihil innovetur, ma ora, di fronte ai ritmi vertiginosi della società contemporanea i ritardi comporterà l'ennesima vanificazione del messaggio evangelico. Non è compito della chiesa salvare la storia umana, ma questo non significa schierarsi con la parte peggiore, rinunciando alla funzione profetica e di stimolo.

Nel 1872 il coop. di Pradielis don Pietro Muzzolini viene "cacciato dall'invidia del curato" per far posto ad un altro  molto legato al vicario, tanto che ogni domenica pranza con lui in Lusevera. La gente protesta e vuole il suo cooperatore. Di per sé potrebbe essere testimonianza di accordo e di carità cristiana tra il clero, ma viene letto come sottinteso avverso alle rivendicazioni di Pradielis. L'anno dopo è benedetta la chiesa ed il paese viene elevato a cappellania curata con un capp. cur. residente, don Antonio Guion da Mersino, prete novello. La gente riconoscente s'impegna a contribuire anche per la chiesa di Lusevera

Nel 1877 il capp. cur. don Pietro Cher dice che Pradielis, Vedronza, Cesariis e Musi non accettano per nulla di sottostare a Lusevera. "Generalmente parlando il slavo è tenace nelle sue opinioni, ma questi lo sono in grado superlativo. La sua volontà è ferrea, nessun ostacolo lo atterrisce". Sono tutti un sol uomo contro Lusevera. "Sarebbe sempre non fratello ma schiavo di Lusevera ed è che da questa schiavitù tenta sottrarsi con tutte le sue forze possibili". Ci sono errori contro la fede seminati da certi maestri di un paese vicino. La gente frequenta numerosa. Musi, Cesariis, Vedronza e Pradielis contano 1.300 ab..

Queste analisi sul carattere slavo si ripetono inesorabili senza attenuazioni né contraddizioni; giocano tutte attorno alla assonanza di slavo-schiavo, sia negli analisti che negli analizzati. Ora si "equivoca" benevolmente sulla schiavitù, ora ci si ribella alla Spartaco, ma, volenti o nolenti, in tale schema rientra perfettamente la popolazione fino a configurarsi un carattere che da condizioni di livellari non si sono ancora districati dalla "minoranza" subita come minorità. Basta psicanalizzare la lotta senza quartiere per la difesa del dialetto locale, piuttosto che riconoscere la lingua ufficializzata slovena. Non è il rifiuto della cultura slovena, ma la subordinazione equivocata in quella qualifica.

Don Cher supplica l'arcivescovo a non mandarlo a Montemaggiore di Taipana, perché è tisico (ha 32 anni) ed ha con sé la madre pure tisica. Come ieri per il pievano, ora i funerali di Pradielis sono riservati al vic. cur. di Lusevera e per il battesimo si deve andare a Lusevera. Il capp. curato, fosse ammalato o dispettoso, procede alle esequie in casa del defunto e poi lascia  procedere con funerali civili. La tensione tra preti riflette quella tra popolazioni. I Luseverani prendono a sassate i Pradielesi, perché hanno ottenuto un prete in loco. La denuncia avanzata dai Pradielesi è sotto firmata con croci, eccetto Giovanni Culetto, Giovanni Bettoja e Mattia Culetto.

Nel 1878 il capp. curato don Antonio Paussa ottiene la facoltà di tenere il SS.mo Sacramento. Nel 1880 si dice che da 4 anni il curato ha dovuto servire la destra del Torre, senza ricevere un centesimo. Nel 1887 don Domenico Toso ottiene il diritto di battezzare nella chiesa di Pradielis, anche se l'acqua benedetta la deve prendere da Lusevera in segno di subordinazione e ciò fino al 1900, quando sarà concessa la facoltà di benedirla sul posto. L'intenzione è quella di conservare la fatidica unità, ma di quella ormai non sopravvive che la maschera, una specie di sottile malizia "cristiana".

Nel 1900 il Riparto di Pradielis conta 1.035 ab. e Cesariis 400 ab. con chiesa e canonica. Il capp. cur. don Giulio Chiarandini dà suggerimenti per la sistemazione della pieve di Tarcento per quanto riguarda la vicaria di Lusevera. Suggerisce una curazia indipendente per Pradielis e dice che i Cesarini non ce la fanno a mantenere un prete, anche se lo vorrebbero come maestro a lire 300 annue, versate dal comune cui spettava la nominava il titolare. "Per quanti anni potrebbe egli sostenere le mansioni di un maestro insieme a quelle di cappellano di Cesariis, in questi bei tempi di progresso in cui tutto si vuole laicizzare?" E porta l'esempio di Villanova, dove al capp. maestro è stata preferita una maestra "sebbene senza patente... Il volere l'unità di cura fra i due riparti, fra loro tanto avversi, è un pestar l'acqua nel mortaio". Meglio fare di Tarcento forania, di Pradielis curazia indipendente e finirla con Lusevera. Il buon senso nasce da "questi tempi di progresso"; basta accorgersi per tempo, prima che si sia versato altro "sangue". Mancano i soldi, che finora venivano anche dalla funzione di maestro; peccato che ora si laicizzi la società e la cultura. Sorprende l'incompatibilità tra insegnamento e funzione di prete, vista sotto l'aspetto del tempo; probabilmente si trattava di quelle classi plurime che riempivano una stanza di capre e cavoli, dove la disciplina risultava più complicata della didattica.

Don GB. Cruder vic. di Lusevera pensa che per ottenere la pace sia necessario riunificare la vicaria, erigendola in parrocchia e staccarla da Tarcento, da dove proviene tutto il male; è dello stesso parere anche il vicario generale. Il 1905 è l'anno fatidico: i Pradielesi chiedono di staccarsi da Lusevera e promuoversi a vicaria indipendente. Il pievano di Tarcento don Leonardo Sbuelz informa il capp. cur. di Pradielis don Luigi Venuti (1902-1905), dell'impatto sconvolgente dei "tempi di progresso". Due giovani, rappresentanti dei Pradielesi, gli si presentano in canonica con un certo cipiglio per dirgli fra l'altro: "Ci levino il Prete da Pradielis, consumino i loro sacramenti, ma la Chiesa non la chiuderanno, perché l'abbiamo fatta noi, ed io, io monterò sul pulpito a predicare il Socialismo". Il pievano li caccia fuori e minaccia di chiamare i carabinieri. "Faccia pure venire i carabinieri che anch'io sono stato carabiniere e non ho paura. Ora noi abbiamo aperto gli occhi e non ci lasceremo giocare da alcuno come toccò ai nostri poveri vecchi". Il pievano... "non mi sarà dato mai e poi mai più oltre prestarmi a favore di gente che fa tanto strazio della verità e che preferisce la dottrina dei socialisti alla Religione Cattolica Apostolica Romana".

Il perbenismo del pievano è la quintessenza del timore o reverenza che si è riusciti ad inculcare nelle popolazioni in genere e slave in particolare lungo i secoli. Anche con l'Italia laica ed anticlericale si intende ventilare il braccio secolare dell'arma dei carabinieri, che nei secoli fedele, lo sarà più che mai nelle Valli del Friuli orientale, dove le nuove leve fanno l'apprendistato come in un poligono di tiro, inculcando il rispetto della legge su popolazioni tradizionalmente defilate. Ma questa volta, grazie alla stessa Italia più che mai aperta, non gli riesce l'inghippo, perché chi gli sta di fronte è tanto religioso quanto e più di lui italico: tiene ancora in casa la divisa da carabiniere e potrebbe rimettersela per spaventare il pievano, ha viaggiato per le germanie, ha appreso a leggere, scrivere e far di conto dal maestro prete, guarda con simpatia e stima al socialismo, il vero diavolo "che passeggia ora sulla terra". La chiesa "l'abbiamo fatta noi" è l'eco lontanissima delle lotte popolari per rivendicare il diritto di nomina dei propri preti visto che li pagano. Non sono mai riusciti a capire la disinvoltura gerarchica che fa loro pagare il conto dei propri abusi più che di un servizio pastorale.

Il capp. cur. don Luigi Venuti chiarisce al pievano. La gente non è disposta a chiedere perdono di nulla. "Le espressioni: piuttosto che dare un centesimo a Lusevera (anzi rivendicano 10.000 lire) ci facciamo protestanti, socialisti, ebrei, prenderemo una religione che ci costi meno ecc. sono all'ordine del giorno e sulla bocca di tutti.... I Pradielesi sono già d'intesa con un contale di Villa Santina della Carnia che verrà a far propaganda di socialismo al momento che il cappellano se ne andrà pei fatti suoi e che in quel giorno faranno festa anche ai loro animali, dando loro da mangiare musnie (polenta condita) come fecero quando si ribellarono da don Pietro Comelli". È gente che mette in atto le parole che dice: "Quando si tratta per fino di seppellire per anni e anni i loro morti da soli piuttosto che cedere o lasciar venire ad assistere ai funerali il Vicario di Lusevera, da cui dicevano d'essere svincolati per l'affranco di cinquanta napoleoni, è prova bastante per indovinare l'avvenire di Pradielis". Pradielis sarebbe obbligata a due terzi di 200 lire a Lusevera e Cesariis a 300 lire verso Pradielis. Meglio sopprimere ogni diritto e dovere vicendevoli.

I Pradielesi il giorno di S. Michele non suonano le campane e chiudono la sacrestia e gli armadi degli arredi per impedire al vicario di Lusevera di celebrare, tanto che questi dovette andare a Cesariis e si sospetta la connivenza di don Luigi Venuti. D'altra parte il cappellano è fra l'incudine ed il martello: i fedeli che gli impediscono ogni collaborazione con Lusevera, pena il rifiuto di pagarlo ed i calunniatori che lo vogliono in cattiva luce presso i superiori. Deve intervenire l'arcivescovo mons. Pietro Zamburlini a risolvere l'inghippo, concedendo a Pradielis il titolo di vicaria indipendente da Lusevera e soggetta solo a Tarcento.

Un'ampia relazione storica che sintetizza le vicende delle frazioni interessate viene stesa dai sac. Giovanni Londaro e Giovanni Culino ed inviata all'arcivescovo ed in copia al pievano Leonardo Sbuelz. "La vicinia del 9 settembre 1737 e decreto Patriarcale del 28 aprile 1738 che diedero i natali alla chiesa e cappellania di S. Giorgio di Lusevera; la transazione del 2 febbraio 1780 che ne determinò gli uffici; il Capitolato del 18 aprile 1847 che, sistemandone le attribuzioni e gli emolumenti giusta le esigenze dei nuovi tempi, vi aggiunse un cooperatore, il quale ricevuto alloggio e vitto e servitù dal Capp. Curato e stipendiato dal Comune, disimpegnasse l'ufficio di maestro di scuola elementare; i successivi contratti coi Curati eletti fino al 1859; l'arcivescovile decreto del 24 agosto del 1859 che si compiace della concorde proposta di presentare un piano regolatore della Curazia ed intanto autorizzava l'ampliamento della Chiesa di Lusevera e consentiva all'erezione di una Chiesa in Pradielis; i comizi del 4 dicembre e contratto del 5 dicembre 1860 che provvedono la Curazia di un secondo cooperatore in speciale assistenza delle borgate a destra del Torre e fissano l'emolumento per i tre sacerdoti della Cura; le quietanze del 26 agosto del 1863 per lire 408 e del 29 aprile del 1863 per altre lire 312 esborsate dal rappresentante di Pradielis al quitanzante Pietro Gasparo deputato comunale e cassiere per la rifabbrica della Chiesa di Lusevera in quel solo anno 1863, oltre le 495 giornate di mano d'opera prestata fino a quell'epoca; l'arcivescovile decreto del 21 giugno 1864 che in contemplazione del volonteroso concorso manuale e pecuniario di Pradielis ecc. concedeva di costruire la Chiesa di Pradielis; le 6.918 lire dei legnami per la Chiesa ecc.; il compromesso del 22 gennaio 1866 che rimette all'ordinario la sistemazione della Curazia ecc.". La casa canonica a Pradielis è del 1867. Nel 1905 le tensioni campanilistiche sono all'estremo: Cesariis si è staccata da Pradielis e divenuta cappellania di Lusevera. Lusevera deride i Pradielesi e si minacciano scontri. Si propone: 1- nessuno scambio tra Lusevera e Pradielis; 2- niente affranchi; 3- si rimandi un prete per la buona dottrina. "Lusevera, onde appagare la sua sete di dominio sulle altre borgate, da circa mezzo secolo non cessa di arrabbattarsi affinché la Curazia venga smembrata dalla Pieve di Tarcento e costituita in Parrocchia. Pradielis, pur consentendo all'unità della Curazia, non cessò mai dal volerla filiale della sua chiesa matrice, la Pieve di Tarcento".

Si tratta della tristissima condizione dei polli di Renzo: appesi per i piedi usano la testa per beccarsi a vicenda, quasi non condividessero lo stesso destino. Assistere per l'ennesima volta alla stessa scena ripetuta dovunque, fa pensare che si tratti di una cosa seria, appunto, spacciati. Il religioso non è mai servito a liberare qualcuno o qualcosa, ma è la quintessenza della subordinazione, camuffata dalla devozione a Dio a beneficio di chi comanda. La religione è placebo od oppio dei popoli, mentre la fede sprizza da sotto le tribolazioni di colui "qui contra spem in spem credidit" (Rm 4,18). Se la fede "servisse a qualcosa" ci sarebbe sempre qualcuno che ne ricaverebbe un brevetto da depositarsi in esclusiva per venderti il decotto: santuari, indulgenze, santi miracolosi ecc.; se in invece "non serve a niente" allora diventa quella spes che trae dal nulla la salvezza eterna. In questo senso è "dono di Dio", inventata da nessuno e non commerciabile.

Nel 1906 i Pradielesi rifiutano ogni affranco alla curazia di Lusevera. Sono senza prete. La maestra Vegni, madre di don Enos Vegni, scrive e fa scrivere le lettere dai suoi scolari per richiedere un sacerdote. Secondo il pievano di Tarcento, don GB. Cruder a Lusevera sarebbe inadatto, perché imprudente. Sul decreto per Pradielis del 1906 avrebbe detto: "Da parte del Pievano e della Curia venne consumato un alto tradimento in danno della Vicaria". Anche la gente sarebbe contro di lui. Meglio lasciarlo perdere. Il decreto istituiva due vicarie separate: Pradielis e Lusevera, soggette solo a Tarcento.

Capp. curato dal 1906 al 1911 è don Giovanni Foschia da Campoformido che, evidentemente, non conosce il particolare linguaggio locale. Del suo periodo non abbiamo notizie. Invece del successore don Pietro Rossi senior da Interneppo presente dal 1912 al 1922, abbiamo molti dati personali riportati altrove.