Le Filiali Slave della Pieve di
Tarcento
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Pradielis ♣ Da un documento
del 1847 risulta che la pieve di Tarcento conta 8.466 ab.
complessivi. Lusevera vicaria 1.889 ab., compresa Villanova delle
Grotte che conta 388. Riparto sinistro ab. 715 + 388, Riparto
destro 786. Ciseriis 2.543 ab. (Ciseriis 34, Coia 414,
Sammardenchia 424, Sedilis 823, Stella 361, Zomeais 181). Per
andare a Lusevera da Cesariis ci vogliono 40 minuti, da Pradielis
e da Vedronza 25minuti.
Nel 1852 i frazionisti di Pradielis s'impegnano a
collaborare per la costruzione della chiesa in Pradielis, centrico
di Vedronza e Cesariis. Si firmano tutti con croce. Era costume in
paese la pratica delle settimine, "vale a dire di distribuire a
suffragio dei defunti una data quantità di generi in vantaggio dei
poveri e non poveri sotto l'obbligo di questi di recitare un
Rosario". In un testamento del 1858 si precisava: "faccia
una cena, ossia settimina, secondo il costume del Borgo".
Ancora: "Le settimine, le quali consistono nel distribuire a
tutte le famiglie della Borgata alle quali apparteneva la persona
defunta pane di sorgoturco e minestra di legumi per il valore di
lire 60 circa con l'obbligo poi di tutte le famiglie partecipi di
questa distribuzione caritatevole di unirsi presso la famiglia che
fa la dispensa e di pregare un Rosario in suffragio di quell'anima
per la quale viene fatta la predetta distribuzione... Ora si
decide di cedere il valore di queste distribuzioni a favore
dell'erigenda chiesa". Il termine "settimina" può
significare l'ottava dalla morte e la cena la conclusione di una
collettiva minestrata, significativa pratica di socializzazione
del tutto "appettibile", specie se condita con un bel rosario.
La popolazione di Pradielis conta 440 abitanti per 66
nuclei familiari, da un minimo di 2 ad un massimo di 13 elementi
cd., per una media 7 per fam. e si tassano per la nuova chiesa.
"Tutti li sottoscritti segnati con croce perché illetterati".
Nel 1859 l'arciv. Casasola ordina che tutte le frazioni concorrano
ad ampliare e ricostruire la chiesa di Lusevera, fatiscente e solo
dopo, coll'aiuto anche di Lusevera, erigere quella di Pradielis.
La popolazione di Pradielis nel 1860 scrive alla Regia Delegazione
per la sua chiesa: "Tale progetto mosse principalmente dal vivo
religioso desiderio di avere nel villaggio una Chiesa onde tutti
possano con maggior facilità assistere alla Santa Messa e alle
Sacre Funzioni ponendo così in grado di concorrere anco le persone
d'ambo i sessi, impossibilitate per la tenera o grave loro età a
recarsi alla Chiesa Curaziale di Lusevera, situata al di là del
torrente Torre, sopra un colle ripidissimo, malamente gradinato e
distante da Pradielis m. 920".
Il pievano di Tarcento don Antonio Bonanni non è
d'accordo e sulla sua linea è pure il vicario generale Someda
secondo il quale Pradielis potrebbe essere erosa dal Torre, per
cui era bene non costruire chiese! Il pievano scrive anche al
Regio Commissariato nel 1861: "Non è meraviglia che alcuni
individui di Pradielis... per oggetto di culto non già religioso
ma a seconda del proprio capriccio.... abbiano tentato un ultimo
sforzo" per avere la chiesa. Per il pievano non è necessaria,
né conveniente, né possibile. Pradielis è il borgo più povero. Gli
abitanti della vicaria curata sono in 1.600. "Da tutto questo
si può conchiudere che la Chiesa in discorso non essere
un'assoluta necessità, ma un assoluto capriccio di alcuni
fomentatori di odii e di discordia per portare il vanto sopra
tutte le altre borgate". Il ponte di legno sul Torre può venir
trascinato via dalle piene, ma in due o tre giorni viene
ripristinato dalla Deputazione Provinciale e ciò capita una volta
ogni 1 o 2 anni.
Sembra impossibile ma prima del '900 non c'è pievano o
vicario che sia disposto a riconoscere una qualsiasi utilità al
decentramento. Tutte le argomentazioni vengono rovesciate
impietosamente ed illogicamente, senza speranza che gli interessi
umani (lasciamo perdere quelli dell'aldilà) possano incontrarsi in
una qualsiasi convergenza se non d'opposizione: non per nulla il
capitalismo è concorrenza e contrapposizione alla ricerca di un
medium che lascia regolarmente sul terreno il più debole. La
chiamano concorrenza, ma si tratta di sopruso che viola
sistematicamente qualsiasi regola di mercato. Se valessero le
regole non ci sarebbe concorrenza ma mediazione ed il mondo non si
svilupperebbe ancora darwinianamente. E dire che parroci e
cappellani si comportavano così anche nel medioevo, quando la
concorrenza era fra quelli che avevano e basta.
Nel 1967 la curia suggerisce la chiesa di Pradielis non
nel paese, ma a mezza strada con Cesariis. Il pievano di Tarcento
don Giacomo Nait propende per il luogo di Pradielis, che conta 632
ab. e Cesariis 369 ab. Scrivendo alla curia dice: "Il concorso
numeroso ed assiduo dei Pradielesi in proposito dimostra non
essere essi sotto l'incubo di otto o dieci caporioni... Essi sono
impazienti affatto di continuare il lavoro, prima che parte di
essi si portino quali mercenari in Alemagna". Si faceva già la
messa festiva al cimitero di Pradielis. Il sistema di paga del
curato, che poi passa ai cappellani, fa sì che alla partenza del
curato partano anche i cooperatori, perché non sono pagati da
nessuno. "La popolazione, la quale è costretta a procacciarsi
con indicibili sudori uno stentato mantenimento per circa dieci
mesi all'anno, è nell'assoluta impossibilità di subire e
corrispondere gli emolumenti di tre sacerdoti". Finalmente il
pievano, perso il controllo sulle Ville Slave, diventa ragionevole
e "capisce" i problemi e la loro soluzione. La dialettica tra gli
uni e gli altri di questi villaggi minaccia, come suggerisce
stoltamente la stessa curia, di erigere chiese a metà strada tra i
due villaggi, come in seguito si costruiranno le scuole
elementari, divenendo così il servizio adeguatamente fastidioso e
deficiente per gli uni e gli altri, quasi che ciò rispondesse ad
equità e giustizia.
Il vicario curato don Pietro Comelli accusa il pievano
Giacomo Nait di temere di perdere le 1.800 anime della curazia di
Lusevera e di brigare per staccare Pradielis e legarla a Tarcento,
dividendola da Lusevera. Si sente calunniato dai capp. don Isola e
don Pietro Marchetti: è detto mugnaio (praticò quel mestiere fino
ai 24 anni) e ladro. "Io sono più che persuaso che la guerra
accanita che si fa alla S. Chiesa, al Sommo Pontefice,
all'Episcopato ecc. la colpa in gran parte, è del clero. Se tutti
i sacerdoti avessero carità e che tutti fossero come un esercito
compatto in difesa del Supremo gerarca e nelle diocesi tutti
sostenitori impavidi del proprio Ordinario non esisterebbero tanti
scandali".
Da tre anni il Friuli faceva parte dell'Italia e gli
effetti si notano. Le tensioni sono l'unico stimolo per tanti
fatti accaduti che altrimenti sfuggirebbero alla cronaca se non
alla storia. L'auspicio all'esercito compatto è compromesso dal
rancio e dalle gelosie culinarie. Sappiamo che l'animale madre
allontana i figli dal cibo quando decide di nutrirsene e così
fanno pure i preti che sono detti padri. Non si avvede il nostro
vicario, zelante e vittima nello stesso tempo, quando auspica
nientemeno la solidarietà al vertice di quella piramide che non è
altro che il monumento alla vecchia dignità. Che si chiami Stato
Pontificio, Concordato od Otto per mille la sostanza è sempre
quella; non si può fare del bene senza mezzi! è dogma della chiesa
cattolica del terzo millennio. La verità zampilla da queste fonti
come "acqua viva" filtrata dalla sabbia degli spiccioli della
vedovella.
Nel 1868 la gente di Pradielis scava le fondamenta della
nuova chiesa ed il sindaco Valentino Pinosa di Lusevera, insieme
ai consiglieri, si dice contrario a quella chiesa prima di un
esplicito permesso dalla curia ed avanza denuncia alla prefettura
di Udine. È pure contrario ad un prete stabile in Pradielis. La
colpa di tutto è del pievano "loro famoso compatriota... Che
cessi di proteggere e patrocinare la causa di Pradielis, giacché
purtroppo il rev.do Nait è colpa di tutti questi disordini ognor
più crescenti... il quale è deciso... di dividere la Curazia".
I nuovi istituti municipali continuano a solidarizzare con le
istituzioni religiose in quanto garantiscono quella
complementarietà socio-economica tradizionale ed indispensabile
all'ordine pubblico.
Nel 1872 giunge il sospirato permesso. Chi non è
d'accordo è il vicario curato di Lusevera che ha ereditato il
ruolo del pievano di Tarcento verso le sue filiali. Don Pietro
Comelli osserva che i Pradielesi non faticano tanto per "lo
spirito di Gesù Cristo", ma "per poter dire ai quattro
venti: noi soli in circa due anni abbiamo terminato la nostra
chiesa e voi Luseverani in tredici anni siete arrivasti a poco più
della metà". Aggiunge che i Luseverani hanno capito che
Pradielis intende staccarsi e perciò non capiscono il perché si
debba costruire a Lusevera una chiesa così vasta. "L'uomo della
montagna non ragiona. Quando ficca l'ostinato corno nel muro si
spezzerà sì, ma cedere giammai. Si ha veduto Pradielis pel
passato. Si piega lo slavo solo ai gendarmi ed ai carabinieri,
perché teme le multe e la prigione e alla verità più lampante
delle dimostrazioni e dei fatti, resiste fino alla morte. Se il
borgo di Pradielis si riconoscerà sorretto e protetto direttamente
o in via indiretta da Tarcento, mai in saecula saeculorum
dimetterà il pensiero di separarsi. Quel popolo, a preferenza
degli altri borghi, fa e tace".
La logica è ciò che manca ai preti prima che al popolo,
compreso quello slavo. Non è stato il pievano di Tarcento a temere
e censurare l'autonomia delle filiali? Come mai ora si vendica con
la filiale curata insinuando l'autonomia della subfiliale di
Pradielis? Gli Slavi sono le vittime sistematiche dei poteri prima
religiosi ed ora civili che all'origine li hanno accolti e
sistemati sulle loro terre per un rilancio economico del
territorio. Ora la loro "autonomia", magari sotto la bandiera
etnico-nazionale, è percepita come insubordinazione orgogliosa e
cocciuta, foriera del peggio. Torna l'ammonimento "spirituale" di
Carlo Marx: l'economia spiega la storia... occidentale cristiana.
Il vicario di Lusevera, propenso in un primo tempo ad
erigere la chiesa di Pradielis nel cimitero, nel 1871 cambia idea
e vede con favore una chiesa in Cesariis. Dunque non più a mezza
strada, ma come "fastidio" dei Pradielesi. Questi si rivolgono
alla curia scusandosi di non aver rispettato il decreto che
prescriveva prima la costruzione della chiesa di Lusevera, ampia
in funzione dell'intera Curazia, perché sono stati derisi dai
Luseverani. "Se avessimo obbedito, sarebbero nate tante contese
per cui molti saressimo morti per omicidi, molti saressimo stati
condannati ai lavori in Padova. Dall'altra parte avendosi fatta la
detta Chiesa Curaziale colla vendita di beni comunali e boschi di
proprietà di tutti... ci pare di non aver più obbligazioni per
detto conto". In poco tempo per i lavori della canonica,
piazzale e arredi i Pradielesi hanno speso lire austriache 21.525.
I figli crescono ed i genitori continuano a cucirgli
addosso panni infantili. All'appuntamento con il futuro si giunge
sempre in ritardo e si realizzano opere che sono regolarmente
fuori tempo. Solo il capriccio della gente cammina con i tempi,
magari zoppicando e se non fosse "viziosa" non si farebbe che
aggravare i problemi. La gerarchia, qualsiasi, costituisce la
sclerosi della società e peggiora col tempo, gravandola di un peso
esorbitante. Non se ne può fare a meno, come dei vecchi, ma i
greci proponevano di affidare la guida della città ai filosofi e
per i vecchi questi avevano sufficiente lucidità per togliere il
disturbo.
Don Antonio Comelli vic. cur. di Lusevera scrive al
vicario generale citando Pio IX: "Si vede chiaro che l'inferno
freme per il bene che ne deriverà dalla pace, per questo, come
ottimamente settimane fa diceva il Supremo Gerarca il Grande Pio
IX, i demoni passeggiano ora sulla terra". Conoscendo la
svolta di quel papa e della sua chiesa possiamo capire quale sarà
il conto. Fin che si trattava della lentissima evoluzione in un
passato praticamente immobile si poteva ancora apprezzare il
criterio del nihil innovetur, ma ora, di fronte ai ritmi
vertiginosi della società contemporanea i ritardi comporterà
l'ennesima vanificazione del messaggio evangelico. Non è compito
della chiesa salvare la storia umana, ma questo non significa
schierarsi con la parte peggiore, rinunciando alla funzione
profetica e di stimolo.
Nel 1872 il coop. di Pradielis don Pietro Muzzolini
viene "cacciato dall'invidia del curato" per far posto ad
un altro molto legato al vicario, tanto che ogni domenica pranza
con lui in Lusevera. La gente protesta e vuole il suo cooperatore.
Di per sé potrebbe essere testimonianza di accordo e di carità
cristiana tra il clero, ma viene letto come sottinteso avverso
alle rivendicazioni di Pradielis. L'anno dopo è benedetta la
chiesa ed il paese viene elevato a cappellania curata con un capp.
cur. residente, don Antonio Guion da Mersino, prete novello. La
gente riconoscente s'impegna a contribuire anche per la chiesa di
Lusevera
Nel 1877 il capp. cur. don Pietro Cher dice che
Pradielis, Vedronza, Cesariis e Musi non accettano per nulla di
sottostare a Lusevera. "Generalmente parlando il slavo è tenace
nelle sue opinioni, ma questi lo sono in grado superlativo. La sua
volontà è ferrea, nessun ostacolo lo atterrisce". Sono tutti
un sol uomo contro Lusevera. "Sarebbe sempre non fratello ma
schiavo di Lusevera ed è che da questa schiavitù tenta sottrarsi
con tutte le sue forze possibili". Ci sono errori contro la
fede seminati da certi maestri di un paese vicino. La gente
frequenta numerosa. Musi, Cesariis, Vedronza e Pradielis contano
1.300 ab..
Queste analisi sul carattere slavo si ripetono
inesorabili senza attenuazioni né contraddizioni; giocano tutte
attorno alla assonanza di slavo-schiavo, sia negli analisti che
negli analizzati. Ora si "equivoca" benevolmente sulla schiavitù,
ora ci si ribella alla Spartaco, ma, volenti o nolenti, in tale
schema rientra perfettamente la popolazione fino a configurarsi un
carattere che da condizioni di livellari non si sono ancora
districati dalla "minoranza" subita come minorità. Basta
psicanalizzare la lotta senza quartiere per la difesa del dialetto
locale, piuttosto che riconoscere la lingua ufficializzata
slovena. Non è il rifiuto della cultura slovena, ma la
subordinazione equivocata in quella qualifica.
Don Cher supplica l'arcivescovo a non mandarlo a
Montemaggiore di Taipana, perché è tisico (ha 32 anni) ed ha con
sé la madre pure tisica. Come ieri per il pievano, ora i funerali
di Pradielis sono riservati al vic. cur. di Lusevera e per il
battesimo si deve andare a Lusevera. Il capp. curato, fosse
ammalato o dispettoso, procede alle esequie in casa del defunto e
poi lascia procedere con funerali civili. La tensione tra preti
riflette quella tra popolazioni. I Luseverani prendono a sassate i
Pradielesi, perché hanno ottenuto un prete in loco. La
denuncia avanzata dai Pradielesi è sotto firmata con croci,
eccetto Giovanni Culetto, Giovanni Bettoja e Mattia Culetto.
Nel 1878 il capp. curato don Antonio Paussa ottiene la
facoltà di tenere il SS.mo Sacramento. Nel 1880 si dice che da 4
anni il curato ha dovuto servire la destra del Torre, senza
ricevere un centesimo. Nel 1887 don Domenico Toso ottiene il
diritto di battezzare nella chiesa di Pradielis, anche se l'acqua
benedetta la deve prendere da Lusevera in segno di subordinazione
e ciò fino al 1900, quando sarà concessa la facoltà di benedirla
sul posto. L'intenzione è quella di conservare la fatidica unità,
ma di quella ormai non sopravvive che la maschera, una specie di
sottile malizia "cristiana".
Nel 1900 il Riparto di Pradielis conta 1.035 ab. e
Cesariis 400 ab. con chiesa e canonica. Il capp. cur. don Giulio
Chiarandini dà suggerimenti per la sistemazione della pieve di
Tarcento per quanto riguarda la vicaria di Lusevera. Suggerisce
una curazia indipendente per Pradielis e dice che i Cesarini non
ce la fanno a mantenere un prete, anche se lo vorrebbero come
maestro a lire 300 annue, versate dal comune cui spettava la
nominava il titolare. "Per quanti anni potrebbe egli sostenere
le mansioni di un maestro insieme a quelle di cappellano di
Cesariis, in questi bei tempi di progresso in cui tutto si vuole
laicizzare?" E porta l'esempio di Villanova, dove al capp.
maestro è stata preferita una maestra "sebbene senza patente...
Il volere l'unità di cura fra i due riparti, fra loro tanto
avversi, è un pestar l'acqua nel mortaio". Meglio fare di
Tarcento forania, di Pradielis curazia indipendente e finirla con
Lusevera. Il buon senso nasce da "questi tempi di progresso";
basta accorgersi per tempo, prima che si sia versato altro
"sangue". Mancano i soldi, che finora venivano anche dalla
funzione di maestro; peccato che ora si laicizzi la società e la
cultura. Sorprende l'incompatibilità tra insegnamento e funzione
di prete, vista sotto l'aspetto del tempo; probabilmente si
trattava di quelle classi plurime che riempivano una stanza di
capre e cavoli, dove la disciplina risultava più complicata della
didattica.
Don GB. Cruder vic. di Lusevera pensa che per ottenere
la pace sia necessario riunificare la vicaria, erigendola in
parrocchia e staccarla da Tarcento, da dove proviene tutto il
male; è dello stesso parere anche il vicario generale. Il 1905 è
l'anno fatidico: i Pradielesi chiedono di staccarsi da Lusevera e
promuoversi a vicaria indipendente. Il pievano di Tarcento don
Leonardo Sbuelz informa il capp. cur. di Pradielis don Luigi
Venuti (1902-1905), dell'impatto sconvolgente dei "tempi di
progresso". Due giovani, rappresentanti dei Pradielesi, gli si
presentano in canonica con un certo cipiglio per dirgli fra
l'altro: "Ci levino il Prete da Pradielis, consumino i loro
sacramenti, ma la Chiesa non la chiuderanno, perché l'abbiamo
fatta noi, ed io, io monterò sul pulpito a predicare il
Socialismo". Il pievano li caccia fuori e minaccia di chiamare
i carabinieri. "Faccia pure venire i carabinieri che anch'io
sono stato carabiniere e non ho paura. Ora noi abbiamo aperto gli
occhi e non ci lasceremo giocare da alcuno come toccò ai nostri
poveri vecchi". Il pievano... "non mi sarà dato mai e poi
mai più oltre prestarmi a favore di gente che fa tanto strazio
della verità e che preferisce la dottrina dei socialisti alla
Religione Cattolica Apostolica Romana".
Il perbenismo del pievano è la quintessenza del timore o
reverenza che si è riusciti ad inculcare nelle popolazioni in
genere e slave in particolare lungo i secoli. Anche con l'Italia
laica ed anticlericale si intende ventilare il braccio secolare
dell'arma dei carabinieri, che nei secoli fedele, lo sarà più che
mai nelle Valli del Friuli orientale, dove le nuove leve fanno
l'apprendistato come in un poligono di tiro, inculcando il
rispetto della legge su popolazioni tradizionalmente defilate. Ma
questa volta, grazie alla stessa Italia più che mai aperta, non
gli riesce l'inghippo, perché chi gli sta di fronte è tanto
religioso quanto e più di lui italico: tiene ancora in casa la
divisa da carabiniere e potrebbe rimettersela per spaventare il
pievano, ha viaggiato per le germanie, ha appreso a leggere,
scrivere e far di conto dal maestro prete, guarda con simpatia e
stima al socialismo, il vero diavolo "che passeggia ora sulla
terra". La chiesa "l'abbiamo fatta noi" è l'eco
lontanissima delle lotte popolari per rivendicare il diritto di
nomina dei propri preti visto che li pagano. Non sono mai riusciti
a capire la disinvoltura gerarchica che fa loro pagare il conto
dei propri abusi più che di un servizio pastorale.
Il capp. cur. don Luigi Venuti chiarisce al pievano. La
gente non è disposta a chiedere perdono di nulla. "Le
espressioni: piuttosto che dare un centesimo a Lusevera (anzi
rivendicano 10.000 lire) ci facciamo protestanti, socialisti,
ebrei, prenderemo una religione che ci costi meno ecc. sono
all'ordine del giorno e sulla bocca di tutti.... I Pradielesi sono
già d'intesa con un contale di Villa Santina della Carnia che
verrà a far propaganda di socialismo al momento che il cappellano
se ne andrà pei fatti suoi e che in quel giorno faranno festa
anche ai loro animali, dando loro da mangiare musnie (polenta
condita) come fecero quando si ribellarono da don Pietro Comelli".
È gente che mette in atto le parole che dice: "Quando si tratta
per fino di seppellire per anni e anni i loro morti da soli
piuttosto che cedere o lasciar venire ad assistere ai funerali il
Vicario di Lusevera, da cui dicevano d'essere svincolati per
l'affranco di cinquanta napoleoni, è prova bastante per indovinare
l'avvenire di Pradielis". Pradielis sarebbe obbligata a due
terzi di 200 lire a Lusevera e Cesariis a 300 lire verso Pradielis.
Meglio sopprimere ogni diritto e dovere vicendevoli.
I Pradielesi il giorno di S. Michele non suonano le
campane e chiudono la sacrestia e gli armadi degli arredi per
impedire al vicario di Lusevera di celebrare, tanto che questi
dovette andare a Cesariis e si sospetta la connivenza di don Luigi
Venuti. D'altra parte il cappellano è fra l'incudine ed il
martello: i fedeli che gli impediscono ogni collaborazione con
Lusevera, pena il rifiuto di pagarlo ed i calunniatori che lo
vogliono in cattiva luce presso i superiori. Deve intervenire
l'arcivescovo mons. Pietro Zamburlini a risolvere l'inghippo,
concedendo a Pradielis il titolo di vicaria indipendente da
Lusevera e soggetta solo a Tarcento.
Un'ampia relazione storica che sintetizza le vicende
delle frazioni interessate viene stesa dai sac. Giovanni Londaro e
Giovanni Culino ed inviata all'arcivescovo ed in copia al pievano
Leonardo Sbuelz. "La vicinia del 9 settembre 1737 e decreto
Patriarcale del 28 aprile 1738 che diedero i natali alla chiesa e
cappellania di S. Giorgio di Lusevera; la transazione del 2
febbraio 1780 che ne determinò gli uffici; il Capitolato del 18
aprile 1847 che, sistemandone le attribuzioni e gli emolumenti
giusta le esigenze dei nuovi tempi, vi aggiunse un cooperatore, il
quale ricevuto alloggio e vitto e servitù dal Capp. Curato e
stipendiato dal Comune, disimpegnasse l'ufficio di maestro di
scuola elementare; i successivi contratti coi Curati eletti fino
al 1859; l'arcivescovile decreto del 24 agosto del 1859 che si
compiace della concorde proposta di presentare un piano regolatore
della Curazia ed intanto autorizzava l'ampliamento della Chiesa di
Lusevera e consentiva all'erezione di una Chiesa in Pradielis; i
comizi del 4 dicembre e contratto del 5 dicembre 1860 che
provvedono la Curazia di un secondo cooperatore in speciale
assistenza delle borgate a destra del Torre e fissano l'emolumento
per i tre sacerdoti della Cura; le quietanze del 26 agosto del
1863 per lire 408 e del 29 aprile del 1863 per altre lire 312
esborsate dal rappresentante di Pradielis al quitanzante Pietro
Gasparo deputato comunale e cassiere per la rifabbrica della
Chiesa di Lusevera in quel solo anno 1863, oltre le 495 giornate
di mano d'opera prestata fino a quell'epoca; l'arcivescovile
decreto del 21 giugno 1864 che in contemplazione del volonteroso
concorso manuale e pecuniario di Pradielis ecc. concedeva di
costruire la Chiesa di Pradielis; le 6.918 lire dei legnami per la
Chiesa ecc.; il compromesso del 22 gennaio 1866 che rimette
all'ordinario la sistemazione della Curazia ecc.". La casa
canonica a Pradielis è del 1867. Nel 1905 le tensioni
campanilistiche sono all'estremo: Cesariis si è staccata da
Pradielis e divenuta cappellania di Lusevera. Lusevera deride i
Pradielesi e si minacciano scontri. Si propone: 1- nessuno scambio
tra Lusevera e Pradielis; 2- niente affranchi; 3- si rimandi un
prete per la buona dottrina. "Lusevera, onde appagare la sua
sete di dominio sulle altre borgate, da circa mezzo secolo non
cessa di arrabbattarsi affinché la Curazia venga smembrata dalla
Pieve di Tarcento e costituita in Parrocchia. Pradielis, pur
consentendo all'unità della Curazia, non cessò mai dal volerla
filiale della sua chiesa matrice, la Pieve di Tarcento".
Si tratta della tristissima condizione dei polli di
Renzo: appesi per i piedi usano la testa per beccarsi a vicenda,
quasi non condividessero lo stesso destino. Assistere per
l'ennesima volta alla stessa scena ripetuta dovunque, fa pensare
che si tratti di una cosa seria, appunto, spacciati. Il religioso
non è mai servito a liberare qualcuno o qualcosa, ma è la
quintessenza della subordinazione, camuffata dalla devozione a Dio
a beneficio di chi comanda. La religione è placebo od oppio dei
popoli, mentre la fede sprizza da sotto le tribolazioni di colui
"qui contra spem in spem credidit"
(Rm 4,18).
Se la fede "servisse a qualcosa" ci sarebbe sempre qualcuno che ne
ricaverebbe un brevetto da depositarsi in esclusiva per venderti
il decotto: santuari, indulgenze, santi miracolosi ecc.; se in
invece "non serve a niente" allora diventa quella spes che
trae dal nulla la salvezza eterna. In questo senso è "dono di
Dio", inventata da nessuno e non commerciabile.
Nel 1906 i Pradielesi rifiutano ogni affranco alla
curazia di Lusevera. Sono senza prete. La maestra Vegni, madre di
don Enos Vegni, scrive e fa scrivere le lettere dai suoi scolari
per richiedere un sacerdote. Secondo il pievano di Tarcento, don
GB. Cruder a Lusevera sarebbe inadatto, perché imprudente. Sul
decreto per Pradielis del 1906 avrebbe detto: "Da parte del
Pievano e della Curia venne consumato un alto tradimento in danno
della Vicaria". Anche la gente sarebbe contro di lui. Meglio
lasciarlo perdere. Il decreto istituiva due vicarie separate:
Pradielis e Lusevera, soggette solo a Tarcento.
Capp. curato dal 1906 al 1911 è don Giovanni Foschia da
Campoformido che, evidentemente, non conosce il particolare
linguaggio locale. Del suo periodo non abbiamo notizie. Invece del
successore don Pietro Rossi senior da Interneppo presente dal 1912
al 1922, abbiamo molti dati personali riportati altrove. |