Chiesa di Tutti i Santi
in Bagnarola, o della continuità
Gian Carlo Stival
Estratto dal volume "La Pieve di Tutti i Santi in Bagnarola"
edito a cura della Parrocchia di Bagnarola nel 1996 |
In una Breve Relazione intorno
alla Parrocchia di Bagnarola per
la Visita Pastorale
dei giorni 4-5-6 Settembre 1874,
indirizzata al
Vescovo di
Concordia Pietro Cappellari' l'Arciprete di Bagnarola don Antonio
Cicuto così
sintetizzava le vicende dell'edificio sacro: "La Chiesa
Parrocchiale intitolata a Tutti i Santi, di costruzione
immemorabile, ristaurata e
allungata di qualche metro alla facciata nel 1848, celebra per
antico uso la sua Dedicazione la Prima Domenica di Giugno".
È una notizia estremamente scarna, che conferma però i dati d'archivio, almeno
dal secolo XVI in poi. La parrocchiale di Tutti i Santi
appare sempre uguale e sempre
al medesimo posto, nel centro della Villa, con il proprio
campanile, circondata dal Cimitero. Non si brilla certamente per
fervori edilizi, almeno fino all'accennato intervento del
1848, ma tutto vi si compie su una linea di moderata conservazione
e continuità.
Le notizie sulla
chiesa dei secoli passati, dal 1500 in poi, vengono
soprattutto dai verbali delle
visite pastorali compiute dai vescovi di Concordia o dai loro
vicari. Non sempre l'interesse del visitatore si accentrava
sull'edificio, e quando lo riguardava, più spesso c'era la preoccupazione
di verificare l'ottemperanza a norme riguardanti particolari
(posizione della pietra sacra
sull'altare, collocazione del sacrario, copertura del
battistero...) più che l'edificio sacro in sé. Infatti il primo
verbale di visita
pastorale a noi pervenuto, del 19 giugno 1518, riguarda i
beni mobili della chiesa, e non d'edificio o gli altari; stessa
preoccupazione manifesta il
vicario del vescovo Pietro Querini il 30 marzo 1552
interessato più ai canoni d'affitto e di livello che la chiesa
doveva incassare che ad altro; analoghe le visite del 1555 e
del 1579.
Il visitatore
apostolico Cesare de Nores, il 17 ottobre 1584, appare più
interessato alla chiesa, ed ordina alcuni interventi strutturali.
La chiesa ha cinque altari; il
maggiore (dedicato a Tutti i Santi) è consacrato; ci sono poi:
l'altare del Santissimo Sacramento, consacrato, quello di
sant'Agata, consacrato, e quelli di sant'Antonio abate e della
Beata Maria, non consacrati. Il
Visitatore ordina la demolizione degli altari di
sant'Antonio e della Madonna, e
il trasporto delle pale e dei rispettivi titoli agli altari
del Sacramento e di sant'Agata, previo trasferimento del
Santissimo all'altar maggiore, in linea con la nuova sensibilità
tridentina. Ordina inoltre di
costruire il pulpito, di provvedere i cancelli per il fonte
battesimale, e di riparare la chiesa dove c'è bisogno: segno
evidente che la chiesa aveva una certa età. Trasferito il
Santissimo all'altar maggiore, fu necessario adattare l'altare del
Sacramento per accogliere sant'Antonio
abate, in cornu Evangelii, a ridosso del muro a sinistra
dell'apertura dell'arco
trionfale. In quell'occasione si coprì la pala del
Santissimo, riscoperta poi nel secolo scorso, e infine, nel 1899,
trasferita nella controfacciata della navata destra. Quella pala altro non era
che l'affresco di Pomponio Amalteo raffigurante la Pietà,
l'immagine della Vergine che accoglie il Figlio deposto dalla
croce.
Matteo Sanudo I, il vescovo
riformatore per eccellenza, con i suoi verbali di visita completa,
un po' alla volta, l'immagine della chiesa: il
tabernacolo, sull'altar
maggiore (già il 13 settembre 1586), è in legno dorato; il
battistero è posto in luogo elevato ed è ben tenuto; vi ordina
un coperchio di legno; c'è un armadietto per gli olii santi
accanto all'altare maggiore, e
c'è una sacristia ben fornita di argenteria e paramenti. Problemi
invece presenta la canonica trascurata dal vicario, che viene
perciò sospeso a divinis. Gli altari della Madonna e di
sant'Antonio sono a posto; il maggiore ha, invece, perso la
consacrazione, perché era stata rimossa la mensa, ed erano state
asportate le reliquie. Il vescovo ordina che si riconsacri
e che si faccia anche un confessionale. Il vicario
Valerio Trapola il 29 aprile 1597 trova che l'altar maggiore non è
stato ancora riconsacrato, e insiste con l'ordine; comanda inoltre
che si provvedano un coperchio piramidale al sacrario (il luogo di
scarico di tutto ciò
che aveva avuto rapporti con il sacro, dall'acqua battesimale
agli olii, alle eventuali ceneri di immagini sacre
bruciate), una caldiera per il battistero, che si sistemi e
dipinga il travo che sosteneva il Crocifisso
sotto l'arco trionfale, e si intervenga sul pavimento e sulla
finestra
della sacristia.
Cose
regolarmente non eseguite; e tre anni dopo, il 7 giugno 1600, il
vescovo minaccia d'interdetto il cameraro e di sospensione a
divinis il curato se non
eseguiranno quanto precedentemente comandato; insiste
sulla riconsacrazione dell'altare e ordina di intervenire sul
tetto della chiesa, perché non piova dentro.
Il 22
agosto 1618 "sua Signora Illustrissima ha visto che le cose ordinate
nell'ultima visita dell'anno 1606" - di cui non è rimasto verbale
- "spetialmente della
sacristia, del Fonte Battesimale, et santuario non sono state in
alcuna parte essequite, sotto pretesto che non siano stati
dinari di poter fare esse
spese", e allora rincara la dose: non solo si faccia
quanto precedentemente ordinato, ma la "sacristia, che è in loco
basso, humido, et piccola, sij rifatta appresso il choro, dalla
parte di mezo giorno, di
congrua grandezza". Il 21 aprile 1625 l'altare maggiore
aspettava ancora la consacrazione, il battistero non era stato
portato vicino al muro come ordinato, ed il sacrario non era stato trasferito
"nel canton della chiesa"; inoltre il vescovo ordina che si sposti
di una quarta
la pietra sacra dell'altare di sant'Antonio.
L'arcivescovo Benedetto Cappello il 13 maggio 1648 interviene
ordinando il restauro del tabernacolo, sospendendo l'altare
maggiore finché non si saranno
eseguite le prescrizioni precedenti, e prescrivendo la rimozione
dell'immagine della Madonna dal suo altare; inoltre da
disposizione perché sul pulpito
sia collocata la croce con il Crocefìsso".
Il 17 maggio 1655 il
Visitatore non ordina nulla, se non che si ponga una grande
croce nel cimitero, e di rinforzarne il muro nell'angolo verso
la pubblica via; segno che finalmente le prescrizioni riguardanti
altare maggiore, battistero e sacrario erano state
eseguite. Il 18 maggio 1663
monsignor Cappello è di nuovo a Bagnarola, la cui chiesa trova
relativamente a posto;
ordina di dorare e adornare il tabernacolo, di dorare le
ali della pala e il paliotto dell'altar maggiore, e di sistemare
le scale
del campanile.
Il vescovo Agostino Premoli visita la chiesa d'Ognissanti di
Bagnarola il 2 giugno 1670;
ordina di sistemare l'immagine di sant'Antonio, di innalzare la
croce in cimitero; nel campanile trova i falegnami al
lavoro
per sistemare le scale.
Il 31
dicembre 1683 il visitatore incaricato da mons. Premoli, lo scolastico
Ventura de Venturis, ci informa che in chiesa ci sono l'altare
maggiore, quello di
sant'Antonio abate e quello del Santissimo Rosario, nel quale c'è
la pratica di recitare il Rosario, come da documento
datato Roma 21 maggio 1682; per
il momento non si parla più dell'altare della Madonna (Annunziata). Il visitatore delegato, Daniele Campanili,
il 10 novembre 1689, trova più o meno tutto in ordine: parla dell'altare
maggiore, di quello di sant'Antonio e di quello dell'Annunziata;
non fa cenno dell'altare del Rosario; per il cimitero raccomanda
almeno una croce di legno.
Il pievano di
San Stino, Pietro Manzoni, su delega di mons. Premoli,
compie
la visita a Bagnarola il 12 agosto 1690; nel verbale si parla di
tre altari (maggiore,
sant'Antonio e san Sebastiano, Beata Maria Vergine
del Rosario), tutti e tre con
confraternita annessa. Ordina di portar fuori della chiesa
i banchi vecchi, indecenti e piccoli, di sistemare e rifare il
tetto
della chiesa, e di erigere la famosa croce in mezzo al cimitero.
Il nuovo
vescovo Paolo Vallaresso, l'anno stesso del suo arrivo in diocesi,
visita il 21 ottobre 1693 la parrocchiale di Bagnarola e ci
informa di un movimento
devozionale in atto, che porterà all'erezione di due
nuovi altari: all'atto della
visita, in chiesa ci sono l'altare maggiore dedicato a
tutti i Santi (con confraternita annessa, quella del Santissimo
Sacramento), l'altare di sant'Antonio
abate (con due confraternite, quella di sant'Antonio, e quella -
nuova - della Beata Vergine della Cintura), e l'altare
della Beata Vergine del Rosario, già dell'Annunciazione (con due
confraternite: del rosario e dell'Annunziata); anche monsignor
Vallaresso si occupa della
croce in cimitero, almeno appesa al muro della
chiesa, perché vi sia un segno che indichi il luogo sacro. Ma
intanto, nel 1701,
Antonio Francesco Zamolo aveva dipinto quella che sarà la
pala dell'altare della Madonna
della Cintura, raffigurandovi in alto fra i
santi Agostino e Monica, ed in
basso san Giovanni Battista, patrono dell'ordine
agostiniano, e san Nicola da Tolentino, il più rappresentativo e
conosciuto dei santi
dell'ordine. Dell'eventuale nuovo altare non si parla nel
verbale di visita del 9 settembre 1700, mentre in occasione
della visita dello stesso
vescovo Vallaresso del 20 settembre 1705 gli altari
risultano essere quattro: il maggiore, con il tabernacolo di legno
esternamente dorato, quello della Beatissima Vergine del Rosario o
dell'Annunciazione, quello di
sant'Antonio abate e quello che si erige in
onore della Beata Vergine della Consolazione (o Madonna della Cintura),
tutti e quattro sono mantenuti o da redditi propri o da elemosine;
il vescovo inoltre raccomanda
di ripulire l'altare della Madonna del Rosario
e dell'Annunziata dalla sporcizia: segno evidente che la
convivenza fra le due confraternite non giovava alla cura
dell'altare stesso. Tra l'altro, le diverse divozioni
comportavano le relative processioni mensili: due la prima
domenica del mese (Rosario al mattino, Annunziata il pomeriggio),
sant'Antonio la seconda, il Santissimo la terza, la Madonna della
Cintura la quarta, "poi l'altre commandate da Santa Chiesa".
Fra Giacomo
Maria Erizzo, vescovo di Concordia dal 1724, visita
Bagnarola il 13
ottobre 1726: la chiesa ha i quattro altari del 1705, ed
il presule appare preoccupato
molto della posizione delle pietre sacre
sugli altari,
delle grate dei confessionali, della ridipintura dei banchi.
Il 9 ottobre 1765, in occasione della visita di monsignor Alvise
Maria Gabrieli troviamo cinque altari: il
maggiore (dichiarato privilegiato con decreto di papa
Clemente XIII, con la confraternita del Santissimo
Sacramento); a sinistra, guardando l'altar maggiore, i due altari
di sant'Antonio e dell'Annunciazione; a destra l'altare "della
Beata Maria Vergine sotto il titolo dei Cinturati" (con
confraternita) e quello del
Rosario, sul quale c'è un tabernacolo che serve da repositorio, o,
come si disse poi,
Sepolcro; sulla porticina di questo tabernacolo c'è
un'immagine che il vescovo
ordina di togliere; nella stessa occasione viene ordinato
di appendere sopra il tabernacolo sull'altar maggiore un
"conveniente Baldachino per la
dovuta venerazione al Divin sacramento" (la Corona,
dalla quale si faceva scendere poi il grande damasco
rosso), che in sacrestia si
procuri un lavello decente e che vi si conservi
un solo Crocifisso. Verso la fine del secolo, poco è cambiato
all'interno della
chiesa; il vescovo benedettino Giuseppe Maria Bressa vi
trova i soliti cinque altari, con le rispettive confraternite; di
nuovo c'è il tabernacolo che è
di marmo, con due porticine. Il parroco don Livio Bucchetti
in una sua relazione del 1781 insiste sulla mancanza di documenti
relativi alla fondazione della chiesa, e afferma: "Dalle Croci
ch'esistono in essa si
presume consecrata né si ha traccia del tempo: nella prima
Domenica di Giugno si celebra la Consecrazione".
Un accurato ed elegante disegno del pubblico perito e notaio
Carlo Peloi di San Vito nel
Catastico del 23 giugno 1800 presenta la chiesa
d'Ognissanti così com'era
stata per secoli, forse - dalla tipologia - dal '400, e come sarà
fino al 1848: navata unica, con presbiterio leggermente
più stretto della navata, sacristia a sud del presbiterio, due cappelle
laterali sporgenti a metà circa della nave, due ampie monofore ed
una porta sulla parete meridionale, porta principale ad occidente,
verso il campanile; una grande finestra rettangolare (relativamente recente)
nella parte alta del muro absidale a levante. Il cimitero è tutto
intorno alla chiesa, con due entrate in corrispondenza delle porte
della chiesa, delimitate ciascuna da due pilastrini. A sud, in
corrispondenza dell'attuale triangolo in cui insiste il monumento
ai Caduti, la piazzetta. Il
campanile è l'attuale: le case
accanto al campanile sono della confraternita di sant'Antonio
abate, così come i terreni retrostanti e l'attuale parcheggio (ad
eccezione di un piccolissimo lotto di proprietà del
Comune); pure della
confraternita di sant'Antonio sono tre casette sul sito
dell'attuale Delegazione Municipale, ad est della casa canonica.
Mons. Carlo
Fontanini il 5 ottobre 1829 troverà quasi tutto regolare,
ad
eccezione dei banchi, che gli appaiono indecentes et
irregulares, e
che ordina siano
fatti nuovi e della stessa dimensione.
Nel 1848, essendo parroco don Domenico Brovedani, la chiesa
viene "ristaurata e allungata
di qualche metro alla facciata", nell'occasione del
restauro viene scoperto l'affresco di Pomponio Amalteo, la
Deposizione dalla Croce, "al fianco sinistro dell'imboccatura
dell'abside, già coperto da un
altare e dimenticato". La chiesa ha ancora cinque altari, con i
medesimi titoli del secolo precedente, se non si vuole
sottolineare il fatto che l'arciprete don Antonio Cicuto indica
l'altare della Cintura come altare dei santi Agostino e Monica. Il
restauro comporta anche la realizzazione del soffitto, sul quale
Domenico Fabris di Osoppo
dipingerà "una visione dell'Apocalisse, o la gloria dei Santi",
immortalando anche il piviale del prezioso paramento in terzo che
la
chiesa possiede.
Nella relazione del 28 ottobre 1889 don Antonio Cicuto
pasticcia un po' con i titoli
degli altari che sono sempre cinque, tutti in marmo: il maggiore,
quello della Beata Vergine del Rosario, quello di sant'Antonio
abate, quello della Beata Vergine del Carmine e sant'Agostino
(che sarebbe quello della Cintura}, e quello di san Francesco di
Sales, dal Cicuto stesso sostituito al titolo dell'Annunziata:
forse un tentativo da
parte dell'arciprete filosofo di ammodernare in qualche modo le
devozioni, superando un esasperato culto mariano che vedeva
tre altari su cinque dedicati alla Madonna. In occasione del suo giubileo sacerdotale
Cicuto chiederà ai parrocchiani di pensare alla facciata della
chiesa parrocchiale.
Nel 1899
il successore di Cicuto, don Antonio Agnolutto, compie
quella
che per la chiesa di Bagnarola fu una vera rivoluzione: su progetto
dell'ing. Saccardo alla precedente chiesa vengono sventrate le
pareti laterali, formate in qualche modo della colonne, e
quindi costruite due navate
laterali con due cappelle; due cappelle aperte verso l'altare
maggiore affiancano il vecchio presbiterio, viene aggiunto il
coro, con due sacristie e un corridoio di raccordo. Il nuovo
edifìcio fu consacrato dal
vescovo di Padova mons. Giuseppe Callegari, su licenza di
mons. Isola, il 28 ottobre 1899. Nella nuova chiesa ancora cinque
altari: il maggiore, Rosario, sant'Antonio abate (con l'immagine
però di sant'Antonio di
Padova, che scalzerà l'antico titolare), Maria santissima dei
Fiori (che evidentemente prende il posto dell'Annunziata), la
Cintura. La riforma devozionale di don Antonio Cicuto, come
tante altre iniziative, con
l'introduzione del Culto di san Francesco di Sales, non
venne continuata dal nipote don Agnolutto che preferì tornare al
precedente. L'affresco dell'Amalteo
venne staccato dal luogo in cui si
trovava e collocato nella
contraffacciata della navata destra a cura
dell'Ufficio Regionale per la
Conservazione dei Monumenti nazionali.
Monsignor Isola il 17 novembre 1905 trovò qualcosa che non funzionava anche nella nuova chiesa: la mensa dell'altare della Madonna
(quale?) era rotta e
doveva essere riparata: ordinò inoltre di togliere la
statuetta in gesso di sant'Antonio
di Padova (che però ritornerà cresciuto
e prenderà il posto del vegliardo Abate) e infine di far sparire il
quadro di Don Bosco
dalla chiesa (don Agnolutto aveva un legame particolare con il
fondatore e la congregazione del Salesiani, e a Bagnarola
aveva dato vita all'associazione dei Cooperatori Salesiani,
ai tempi del Cicuto, ma poi evidentemente li aveva abbandonati,
così come le altre
Compagnie istituite
dal Cicuto, a favore di organizzazioni più classiche',
le Figlie di Maria,
la Scuola del Santissimo, e in seguito il
Terz'Ordine
Francescano).
La chiesa pievanale d'Ognissanti di Bagnarola affrontava così
il XX secolo, abbellita con
una decorazione nella zona presbiterale e nella
cupola che, nei colori - grigio
ed oro - e nei temi, era esaltazione del mistero eucaristico;
nessuna rivoluzione interna, se si esclude la comparsa
della statua di san Francesco d'Assisi che si piazzava al posto
della Madonna del Rosario,
destinata a comparire solo in occasione dell'annuale
processione. Un intervento riguardò la zona delle gradinate
d'accesso al presbiterio.
Infine il terremoto del 6 maggio 1976 rivelò impietosamente
tutta la fragilità statica
dell'intervento Saccardo-Agnolutto del 1899: le colonne
(brandelli del muro perimetrale della vecchia chiesa, arrotondati
con calcinacci e malte)
cedettero impietosamente, le navate laterali si staccarono dalla
principale, l'arco trionfale si aprì. Incominciava, con tutta la
pazienza dei fedeli costretti a soluzioni d'emergenza, prima in
Asilo e poi nella sala parrocchiale, un'opera di ricostruzione,
più che di semplice restauro, che il parroco don Arduino
Michieli volle completata con
elementi di prestigio, quali le porte maggiori di bronzo di A.
Boatto e il recupero dell'ottocentesco organo. Ed è cronaca dei
nostri giorni. |