Abbazia di Rosazzo, 24 Dicembre
2007
Messa di Madins
La "Messa di Madins" o "Messa di Natale" nella chiesa di
San Pietro di Rosazzo, accompagnata dal Gruppo corale "Choro
et laboro" di Corno di Rosazzo,
diretto da Mariachiara Carpinetti. In attesa della mezzanotte, il coro
ha intrattenuto i fedeli con alcuni brani del classico repertorio
natalizio.
CANTO
A mezzanotte in punto è iniziata la Messa, celebrata da
Mons. Remo Bigotto
Rettore dell'Abbazia di Rosazzo...
CANTI
...mentre il coro intonava il Gloria, il Bambinello è
stato deposto nella mangiatoia
e il sistema di campane (recentemente portato in piena efficienza),
dall'alto della collina diffondevano il loro suono nei paesi
sottostanti...
CANTO
CANTO FINALE
Il Gruppo Vocale "Choro et laboro" nasce una dozzina d'anni fa ed
è diretto sin dalla sua fondazione dalla Maestra Mariachiara
Carpenetti. La cura degli accompagnamenti musicali sono affidati
al tastierista Massimiliano D'Osualdo. Inizialmente era un coro
femminile che animava le liturgie delle Parrocchie di Corno di
Rosazzo, Sant'Andrat e Visinale del Judrio.
Successivamente sono entrate a far parte di
questo "coro giovanile parrocchiale" anche delle voci maschili e
da allora è diventato un coro misto. L'attività svolta è
esclusivamente di animazione liturgica e di conseguenza il
repertorio è prevalentemente orientato verso brani di musica
liturgica e polifonia sacra (alternando a canti giovanili veri e
propri, anche messe e mottetti di autori classici dal '500 a
oggi).
Da alcuni anni, il gruppo ha iniziato ad
affrontare lo studio di uno specifico repertorio natalizio non
solo liturgico, ma anche di ispirazione tradizionale, oltre che
spiritual e gospel, anche pezzi in lingua spagnola, inglese,
gallese e scozzese: si svolgono infatti nel periodo natalizio, le
uniche esibizioni del "Choro et Laboro" non strettamente legate
all'animazione liturgica.
(Foto a risoluzione di stampa)
Abbazia di Rosazzo, 24 Dicembre 2007
Messa di Madins
accompagnata dal
Gruppo corale "Choro et
laboro"
di Corno di Rosazzo
diretto da Mariachiara Carpinetti
|
01 |
3.53 |
Adeste fidelis |
02 |
2.41 |
Kyrie |
03 |
3.31 |
Gloria |
04 |
1.07 |
Canto gregoriano |
05 |
9.24 |
Omelia di Mons.
Remo Bigotto |
06 |
2.51 |
Astro del Ciel |
07 |
2.11 |
Sanctus |
08 |
2.48 |
Alleluia |
09 |
2.02 |
Canto finale |
10 |
1.27 |
Fuori programma 1 |
11 |
3.06 |
Fuori programma 2 |
12 |
1.27 |
Fuori programma 3 |
13 |
1.27 |
Fuori programma 4 |
14 |
3.41 |
Fuori programma 5 |
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Anche in questa notte di Natale si è ripetuta la generosa iniziativa di
un gruppo di giovani di Manzano,
che al termine della cerimonia hanno offerto a tutti bevande calde e
vari tipi di "siops"...
...mi hanno promesso di farmi pervenire i loro nomi...
FRIUL DI UNE VOLTE
(Roberto Tirelli -
http://www.anaudine.it)
Le festività natalizie sono state
sempre particolarmente sentite in Friuli perché cadendo nel
cuore dell’inverno trovavano la famiglia (la grande famiglia
patriarcale) riunita attorno al “fogolar”.
Dato il
clima piuttosto freddo degli inverni d’un tempo non c’erano molti
lavori da fare all’esterno e, per l’occasione, spesso, erano
rientrati anche gli emigranti.
L’attesa veniva celebrata con le preghiere della
Novena, nove giorni durante i quali era cantata dal popolo e dai
cantori con le loro voci severe e rigorosamente maschili l’antica
melodia del “Missus”, sul testo latino dell’Annunciazione a Maria.
Il giorno della vigilia era considerato giorno di
penitenza, di astinenza e digiuno. “Fa vilie” – si diceva, ma ciò
non impediva alle donne di casa di preparare un cibo sostanzioso
per l’indomani, prendendo dal “camarin” alcune delle carni di
maiale insaccate da poco, in particolare il muset, accompagnandole
con la “brovada” giunta al punto giusto di acidità nei tini
riempiti di vinaccia e cucinata a lungo e a fuoco lento.
Era tradizione sacrificare un cappone con il quale fare
un bel brodo denso e condire con il grasso tutto ciò che si
poteva, perché se tutto l’anno si risparmiava almeno a Natale si
scacciava l’incubo della miseria. E avanzava qualcosa anche per i
poveracci con una generosità che oggi si è perduta, nonostante
l’abbondanza.
Il momento centrale delle celebrazioni natalizie era
naturalmente la messa di mezzanotte che era preceduta, però, dai
canti del mattutino, detti “madins”. Tra il cjantà madins e la
messa veniva rotto il digiuno della vigilia e chi in casa chi
all’osteria, oltre ad una tazza di brodo caldo si concedeva un
altro piatto tipico della vigilia, le trippe, sostanzioso piatto
che aiutava a non sentire il gelo delle chiese, non di rado
buttate giù anche con uno o più “decimins di sgnape”.
L’astuzia della gente giocava così la prescrizione
della Chiesa che stabiliva allora, per la comunione, il digiuno
dalla mezzanotte, per cui sino a che l’ultima campana non chiamava
i fedeli al sacro rito vi era il trionfo della gastronomia dei
semplici. Da qualche altra parte invece s’usavano brodo e trippe
dopo la messa e in precedenza si faceva in casa la veglia o
“vegle” ove la parte maggiore era riservata agli anziani, ai loro
ricordi e racconti.
Prima di andare alla messa di mezzanotte sul fogolar,
al fine di tenere al calduccio la casa veniva posto un grosso
ciocco detto “nadalin” e destinato a bruciare per buona parte
della festa. Il fare tardi alla messa notturna non esimeva dal
levarsi di buon mattino per assistere ad altre tre messe, cui era
data facoltà al sacerdote di celebrare in questo giorno, per poi
ritrovarsi tutti attorno alla tavola per il pranzo. Non
s’indulgeva molto ai piaceri della tavola poiché nel primo
pomeriggio vi erano i vesperi, altro appuntamento importante che
chiudeva i doveri religiosi. Il resto della giornata festiva
veniva poi passato nel porgere e ricevere gli auguri con parenti
ed amici, in un vicendevole susseguirsi di visite in casa.
Queste erano le principali tradizioni della pianura,
mentre in alcune località di montagna vi erano delle varianti
derivate da culture diverse. La sera della vigilia, ad esempio, vi
era l’esecuzione di antichi canti da parte di un gruppo di cantori
che passavano di casa in casa per la questua annuale e a portare
gli auguri. In altri paesi bambini vestiti di bianco portavano in
corteo una stella, simboleggiante la cometa dei re magi, ricevendo
in cambio di espressioni beneaugurati dolci e denaro.
La notte di Natale veniva considerata come magica, per
taluni fenomeni che si diceva accadessero come lo sbocciare di
fiori tra la neve. Oppure era ritenuta favorevole allo scambio di
sentimenti amorosi.
Una tradizione che univa tutti era l’allestimento del
presepio con il muschio a far da tappeto erboso e le statuine con
i vari personaggi cui la tradizione friulana dava un nome
particolare, la cui memoria, non essendo scritta, ma solo
tramandata oralmente, è andata purtroppo perduta.
In tutte le case e nelle chiese quasi si faceva a gara
per rendere sempre più ricca e più bella la rappresentazione della
nascita di Gesù Bambino. Le festività natalizie continuavano sette
giorni dopo con l’usanza legata al Capodanno del dare ai bimbi il
“bon principi” secondo il detto “bon principi da l’an dami un
carantan” ed anche qui in cambio degli auguri. Una festa, però,
più grande ancora nella storia del Friuli era considerata
l’Epifania che veniva chiamata “Pasche Tafanie”, cioè dal punto di
vista liturgico quasi una seconda Pasqua. Ad essa erano legati i
riti dell’acqua e del fuoco, benedetti alla vigilia, retaggio di
secoli e civiltà lontane.
I fuochi epifanici che sulle colline si chiamano
“pignarui” e nella bassa pianura “pan e vin”, ma hanno anche altri
nomi spesso paese per paese, bruciando le stoppie vecchie,
permettevano l’esercizio dell’arte divinatoria circa il divenire
dell’anno seguendo la direzione del fumo.
In tutto il Friuli il 6 gennaio si celebrano riti
antichissimi quali la messa dello spadone in Cividale o del
tallero a Gemona, ma anche in ogni paese esistono dei richiami al
passare del tempo e agli auspici circa l’immediato futuro di quel
che sarà l’annata agraria. Tant’è vero che per fissare il
calendario si procede alla proclamazione delle feste mobili a
cominciare dalla Pasqua. Ed inizia anche il tempo del Carnevale
che si chiuderà alle Ceneri.
Un richiamo alla funzione purificatrice delle acque
lustrali è dato dalla tradizionale benedizione dei bambini che
viene
appunto data il giorno dell’Epifania. In alcuni luoghi sempre in
questa data si festeggia l’arrivo dei tre re che sempre di casa in
casa portano i loro auguri per il nuovo anno.
Da Natale come vuole la saggezza antica incominciano ad
allungarsi le giornate dopo il solstizio d’inverno e in Friuli è
particolarmente significativa la simbologia della luce solare che
deriva dalla antica Aquileia e forse da più lontano ancora.
Così come nell’Epifania si riscoprono radici comuni a quelle dei
principali popoli europei. |
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