Le note storiche che seguono, sono state
interamente tratte dal volume “La comunità dei Visintin” San
Martino del Carso: storia, società, ambiente” opera di Dario
Mattiussi edito nel 1992 dall’Amministrazione Comunale di
Sagrado. Sono qui riportati alcuni piccoli brani, che non
pretendono di raccontare la storia del paese, ma solamente di
fornire al lettore qualche “immagine” sul territorio visitato
dal “Natisone”. Andrea Nicolausig
“La storia di una comunità è in gran parte la storia del suo
rapporto con l’ambiente, con il territorio in cui si stabilisce.
L’ambiente contribuisce a disegnare l’organizzazione sociale, le
forze economiche, le dimensioni stesse di una comunità poiché
spesso queste dipendono dalle risposte che l’organizzazione umana
riesce a dare ai problemi posti dalla natura. L’ambiente in cui si
inserisce la comunità di San Martino è il Carso. Slataper ne ha
lasciato una descrizione che meglio di ogni altra rende l’idea
delle difficoltà incontrate da decine e decine di generazioni
senza nome nel loro
confronto
quotidiano e spietato con il Carso. Scrive Slataper: “Il Carso è
un paese di calcari e di ginepri. Un grido terribile, impietrito.
Macigni grigi di piova e di licheni, scontorti, fendenti, aguzzi.
Ginepri aridi… La terra è senza pace, senza congiunture. Non ha un
campo per distendersi. Ogni suo tentativo è spaccato e inabissato.
Grotte fredde, oscure. La goccia, portando con sé tutto il
terriccio rubato, cade regolare, misteriosamente, da centomila
anni, e ancora centomila.” Per secoli, almeno fino al secondo
dopoguerra, l’atteggiamento del mondo urbano verso questo ambiente
è stato di aperto disprezzo. Il Carso era visto come un deserto di
rocce e di erba giallastra. (…) Con lo stesso disprezzo venivano
considerati gli abitanti di queste terre, condannati dalla natura
a sforzi inumani per sopravvivere; grazie al carsolino, anche il
bracciante friulano poteva trovare qualcuno da collocare in una
posizione inferiore nella scala sociale. Al di sotto ancora c’era
forse posto solo per le sue pecore, anch’esse abituate a
sopravvivere fra gli stenti.”
(…) “Alle incursioni dei Turchi sembra legata l’origine
della nostra comunità. Dai diari del Sanudo apprendiamo infatti
che in quell’anno (1499) il Contarini, capitano di Vicenza, inviò
cinquemila uomini in Friuli per fronteggiare le invasioni turche:
i vicentini. Negli anni che separano l’incursione del 1499 da
quella che nel 1511, secondo il Benussi, devastò la Carsia, i
vicentini sono già una presenza diffusa nelle nostre zone. (…) Nei
primi anni del 1500, invece, il cognome Visintini o Visintin
compare con eccezionale frequenza in una vasta zona che comprende
Savogna, Gabria, Vrh (San Michele), Sdraussina, Peteano.
(…) “Nel 1570 le terre imperiali vennero invase dal
conte di Porcia, abate di Moggio. (…) A S.Martino il Porcia giunse
il 2 maggio 1570. Più che della comunità e della sua vita
religiosa ci racconta dei beni della chiesa. La chiesa sorta sui
resti di una fortificazione precedente, gli appariva fra quelle in
migliori condizioni del Carso goriziano, forse perché di
costruzione più recente. Aveva finestre in vetro (un lusso) e due
altari. Il maggiore presentava una tela con la figura della
Madonna con il Bambino. Alla sua destra si osservava S. Martino e
alla sua sinistra S. Giorgio. L’altro altare era dedicato a
S.Antonio. La Messa si celebrava ogni terza domenica del mese e
nei giorni di S.Martino, S.Giovanni, S.Antonio, la terza di
Pasqua, la Pentecoste e il giorno della Dedicazione. Il curato
riceveva 10 staia di biada e 5 conge di vino. La vicinia lamentava
però che le frequenti piene dell’Isonzo impedivano spesso il
viaggio del sacerdote da Farra a S.Martino, così che gli abitanti
erano spesso costretti a rivolgersi (e a pagarlo) ad un altro
prete.”
(…) “Nel 1915, accolte con incredulità, cominciarono a diffondersi
voci di una possibile aggressione italiana. La fondatezza di quei
timori fu presto evidente anche ai contadini del Carso. Nei primi
giorni di maggio i soldati del Genio iniziarono a minare i ponti
sul’Isonzo. Centinaia di alberi furono abbattuti per realizzare
improvvisate barricate. Lunghissimi convogli di carri
trasportavano materiali dalla Bassa Friulana al Carso Isontino,
dove genieri, operai militarizzati e uomini della “territoriale”
lavoravano per fortificare le cime carsiche.”
L’evacuazione del paese fu molto meno rapida di quanto
si potesse pensare. La guerra era iniziata da una settimana e la
Quinta Armata di Boroevic era già schierata sul Carso, quando,
trascorsa anche la festività del Corpus Domini, il Comando
d’Armata diramò l’ordine di evacuazione. Il parroco e il Consiglio
degli Anziani, come quattro secoli prima, tornarono a
rappresentare le massime autorità del paese, e diressero l’esodo,
accolto con la stessa rassegnazione dell’annuncio della guerra.
Una lunga colonna di carri, trainati da buoi, trasportò le
famiglie di S.Martino e le loro masserizie lungo la strada del
Vallone verso Opacchiasella, Castegnevizza e infine Sesana. I
maschi adulti si attardarono a lungo sul Carso, lavorando per i
militari e sorvegliando campi e case. Si unirono agli altri solo
dopo i primi bombardamenti. I profughi raggiunsero in treno –quasi
un sogno per i bambini- Bruck an der Leitha, dove vennero
sistemati in un campo provvisorio.”
(…) “Di quanto intanto accadeva nel paese abbandonato,
i profughi non seppero quasi nulla fino al 1918. I giornali
tedeschi potevano essere letti solo dai più colti. Per la verità
su quei giornali abbondavano le descrizioni di S.Martino ma
nessuno avrebbe potuto riconoscervi il paese d’origine. Gli
inviati di guerra, italiani ed austriaci, concordarono nel
definire S.Martino come il campo di battaglia più terribile di
quel conflitto. Per 13 mesi le case e le doline di S.Martino
sopportarono una tempesta di fuoco senza precedenti. Il paese
scomparve. Le case vennero abbassate alle fondamenta dal tiro
delle artiglierie”.
(…) “Tornare sul Carso, come avrebbero voluto, non fu
possibile. L’amministrazione asburgica dispensava contributi ai
profughi, ma il Carso era ridotto ad un deserto di pietra.
Qualcuno sostiene che i bombardamenti abbiano abbassato la cima
del monte S.Michele di sette metri. E’ certamente un dato
esagerato, ma è ugualmente certo che i “Visintin” non trovarono
più nulla che potesse ricordare la vita passata. Non solo non
esistevano più le loro case, anche le doline erano quasi
scomparse: trasformate in cimiteri, in accampamenti o depositi
militari. Il terreno era cosparso di rifiuti e ovunque emergevano
resti di cadaveri insepolti o malamente coperti di pietrisco.
(…) Appena nell’aprile del 1920 iniziò la
ricostruzione vera e propria. I lavori, affidati a cooperative
edilizie, si protrassero a lungo. Nel 1922, nel paese erano
presenti solo sette nuclei familiari: una trentina di persone in
tutto. Solo nel 1925, con la costruzione della chiesa, decisamente
sovradimensionata rispetto alle esigenze della comunità, la
ricostruzione materiale poteva dirsi conclusa. La maggioranza
delle famiglie di S.Martino attese invece pazientemente la
ricostruzione delle proprie case, ricreando il paese dal nulla,
sulla base delle vecchie mappe catastali austriache.”
La chiesa, interamente ristrutturata in questi anni,
presenta nell’abside una pregevole tela del 1928, che rappresenta
il patrono San Martino. E’opera di Clemente Del Neri. La chiesa
conserva inoltre due statue votive raffiguranti la Madonna del
Rosario e il Sacro Cuore di Gesù.
San Martino del Carso
(Giuseppe Ungaretti)
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non m'è rimasto
neppure tanto
Ma nel mio cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese più straziato |
San Martino del
Carso - Uno dei muri, oggi...
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