La storia di
Rosazzo è avvolta nella leggenda.
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Si racconta che ancora nell’800 attorno alla cela di un eremita
tedesco, l’Allemanno, ne sorgessero tante altre, occupate da
soldati
pentiti,
ritiratisi sul colle di Santa Caterina ad espiare le loro
malefatte. Certo è che nel 960 dalla Lombardia qui giunsero i
monaci regolari di Sant’Agostino e nel 1070 si inaugurò
l’imponente chiesa dedicata a San Pietro che ancor oggi sovrasta i
fiumi Judrio, Torre, Natisone e Isonzo, con tutta la piana che
scende fino alla chiesa madre di Aquileia. Una ventina d’anni
dopo, nel 1090, il monastero rosacense viene elevato al rango di
abbazia dal patriarca aquileiese Vodolrico di Ortenburg, un monaco
della svizzera San Gallo Gallo. Chiamato a guidare la nuova
comunità benedettina, che subentra ai canonici agostiniani, è
Geroldo, un sant’uomo della comunità di Millstatt in Carinzia. La
regola benedettina, ispirata alla preghiera ed al lavoro,
trasforma la zona selvaggia (‘in silvis’) in campagna coltivata,
diffonde la cultura, garantisce alle popolazioni istruzione
religiosa e formazione spirituale. Siamo nel medio evo, dove al
potere spirituale si affianca anche quello materiale. Ora il
monastero di Rosazzo gode di numerosi privilegi, riceve molte
donazioni da principi e patriarchi, amministra proprietà terriere,
esercita i poteri feudali. E lo stesso potere secolare imprime i
suoi tratti inconfondibili anche nel manufatto, sempre più simile
ad una fortezza, con le sue torri e ponte levatoio. Coinvolto
nelle lotte tra Aquileia e Cividale, tra Venezia e gli imperiali,
sempre più occupato da soldati che ne devono garantire la difesa,
Rosazzo rende difficile la vita ai monaci benedettini, ai quali
nel 1522 subentrano i domenicani. Dopo tre secoli abbondanti,
dunque, i benedettini
lasciano
Rosazzo ai frati di S.Domenico, che qui rimarranno due secoli e
mezzo, fino alla soppressione dell’abbazia stessa, nel 1773.
L’abbazia è diventata ormai una ‘commenda’ da sfruttare, data in
uso agli abati ‘commendatari’, per lo più nipoti di papi (Martino
V, Paolo III, Clemente VII, Gregorio XV, Alessandro VII). E rocca
da difende o da espugnare. Storia di violenze e di orrori. Durante
la guerra tra imperiali e veneziani, ai primi del ?500, le mura
dell’abbazia vennero smantellate e tutti coloro che vi avevano
cercato rifugio passati a fil di spada. A completare l’opera
dell’uomo provvide, nel 1509, un furioso incendio che, come
scriveva un teste oculare, il poeta Berni, la rese «stalla
naturale», e la chiesa in «una via, dove van le bestie e le
persone». Una ventina d’anni dopo la chiesa risorge per merito
dell’abate commendatario Giovanni Matteo Giberti e di Venceslao
Boiani, architetto cividalese. Del pittore veronese Francesco
Torbido sono gli affreschi del coro (la Trasfigurazione di Gesù,
la vocazione di Pietro e Andrea, la pesca nel lago di Genezareth,
li figure simboliche degli evangelisti). Nell’antico refettorio
dei monaci, invece, la Crocifissione è opera di Battista
dell’Angelo detto il Moro. Tutte opere che vengono inaugurate già
nel 1535, mentre gli altri lavori di restauro si concluderanno nel
1543. Due splendide bifore, raffiguranti nel capitolo le sante
Caterina d’Alessandria e Scolastica, sono molto più antiche (sec.XII?)
ed impreziosiscono con la loro età anche il chiostro. Con la
soppressione del patriarcato di Aquileia (nel 1751), l’Abbazia
cessa di essere ente ecclesiastico e viene concessa ai due
arcivescovadi: di Udine e Gorizia . Abate di Rosazzo rimane
l’arcivescovo di Udine, che nella persona di mons. Emanuele Lodi
interverrà sulle strutture e sulla rete viaria di collegamento con
i paesi limitrofi (1819-1847). Ancora mons. Giuseppe Nogara,
arcivescovo di Udine e abate di Rosazzo dal 1928 al 1956,
trascorreva l’intera estate in Abbazia, rappresentato dal siôr
Vicjari Pre Vigiòn Nadalutti, scomparso l’1 marzo 1979.
Merito di mons. Battisti, vescovo di Udine dal 1973, è
la rinascita di Rosazzo: suo l’interessamento perché l’edificio
venga incluso nelle opere da ripristinare secondo i criteri
antisismici, vigenti in Friuli dopo il sisma del maggio-settembre
1976. Il Genio Civile per il monastero e la Soprintendenza alle
Belle Arti hanno provveduto alla rinascita materiale. Quella
spirituale, sempre sotto l’impulso del ‘vescovo del terremoto’, si
ispira al ‘Progetto Rosazzo’, che ha preso l’avvio l’1 ottobre
1994, sotto la guida di don Dino Pezzetta, delegato arcivescovile
e rettore dell’Abbazia. La chiesa abbaziale viene inaugurata
nell’anno successivo, alla festa di S.Pietro. Ora il ‘monastero
delle rose’ opera come centro di cultura e di sperimentazione
religiosa, punto d’incontro umanistico e sociale, luogo in cui si
organizzano convegni, seminari, mostre, dibattiti: perché
l’Abbazia ridiventi luogo d’incontro fra le tre popolazioni
storiche, che qui si sono incrociate da secoli: la latina, la
germanica e la slava. |