Tempio di Cargnacco (UD), 28
Gennaio 2007
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Cargnacco, vedere il precedente servizio del
26
Gennaio 2003>>>
POZZUOLO DEL FRIULI - Cargnacco non è soltanto un toponimo
friulano. Dai primi anni del dopoguerra è anche un simbolo nel cuore dei
reduci di Russia. E' il luogo dove don Carlo Caneva, cappellano con le
truppe dell'ARMIR, ha voluto erigere un tempio in memoria di chi non è
più tornato dal fronte del Don e nella cui cripta, rimasta lungamente
vuota, soltanto in anni recenti si è potuta deporre la salma di un
soldato italiano, finalmente restituita dall'ex Unione Sovietica. Il
sogno di don Caneva si è così realizzato, quando ormai le speranze
sembravano svanite e le file dei superstiti di quella tragica epopea si
erano già rarefatte. Anche il cappellano di Cargnacco non c'è più. E'
morto nel 1992. A 10 anni di distanza il Comune ha voluto rendergli
omaggio, dedicandogli la piazza davanti al tempio. Ieri, nel giorno
dedicato al ricordo della battaglia di Nikolajewka, è stata scoperta la
targa che porta il suo nome. Molte le autorità presenti. "La giornata
della memoria, che si celebra in ricordo della Shoah - ha detto il
Sindaco Sergio Beltrame - serva a mantenere vivo il ricordo di tanti
olocausti, tra cui anche quello che questo tempio e i suoi mosaici
rappresentano." Il presidente provinciale dell'Associazione alpini,
Roberto Toffoletti, ha invece espresso rammarico per l'oblio riservato
ai ventenni di sessant'anni fa. Tra i presenti anche alcuni superstiti.
"Sono partito a vent'anni dal mio paese, San Giovanni al Natisone, con
il battaglione "Cividale" - ha ricordato Firmino Micheloni, classe '22 -
e sono tornato nel '46 dopo essere stato ferito e aver superato una
lunga prigionia. Dei 40mila italiani rinchiusi a Tambov, siamo tornati
appena in 1.200".
(Rossano Crivello - Gazzettino del 27 gennaio 2003)
...estratti audio dai discorsi
iniziali...
...l'inizio della cerimonia...
...al centro, il Coro Polifonico "Voci del Friuli"
che ha accompagnato la Messa...
...preghiera del "disperso in
Russia"...
...flash in libertà...
...tra i reduci dalla Russia
presenti a Cargnacco c'era il mio compaesano Leopoldo Monutti...
Tempio di Cargnacco
www.sacrariomuseotempiocargnacco.org
A meno di dieci chilometri da Udine sorge il Tempio di Cargnacco,
dedicato alla Madonna del Conforto, in memoria dei centomila che dalla
tragica campagna di Russia non sono tornati.
Don Carlo Caneva, cappellano della Tridentina e alla cui tenace volontà
si deve la costruzione di questa che sarà chiamata la «Redipuglia dell'A.R.M.I.R.»,
così racconta di quando e come venne ideata l’iniziativa:
«Alpino fu
il primo che ne maturò l'idea: il colonnello Ezio Leonarduzzi comandante
il Battaglione Tolmezzo. Prigioniero nel lager di Susdal, mi diceva
spesso: “I russi non ci restituiranno mai le salme dei nostri morti ne
rispetteranno i cimiteri di guerra ove noi abbiamo sepolto quelli caduti
in combattimento o le fosse comuni in cui essi hanno interrato,
accatastato, le decine di migliaia dei nostri, deceduti in prigionia. Se
torniamo, dobbiamo fare qualcosa perché la loro memoria ed i loro nomi
non siano dimenticati. Dobbiamo ottenere dai russi almeno una salma di
un nostro caduto ignoto, che tutti li rappresenti”.
Morì durante il viaggio di ritorno dalla prigionia, senza avere la
soddisfazione di vedere con i suoi occhi la realizzazione di quello
ch'era stato il desiderio del suo grande cuore di alpino e di friulano.
Ma altri alpini si impegnarono ad attuarlo e formarono subito un
comitato con il compianto colonnello Zacchi, già comandante il
Battaglione Cividale, il colonnello Francesconi, il dottor Muratti,
l'allora maggiore Lovatelli, primo capo di stato maggiore della rinata «Julia».
Presidente del comitato fu il senatore Tartufoli, padre di un caduto
alpino della Cuneense, e segretario il sottoscritto, ex cappellano della
Tridentina. E alpino fu pure l'architetto, ideatore del progetto e
direttore dei lavori: il compianto Giacomo Della Mea, già tenente in
Russia nel Battaglione Tolmezzo.
Tutte le Divisioni alpine che parteciparono alla campagna di Russia vi
furono rappresentate, ma quella che diede il maggior contributo in
uomini ed in mezzi fu la «Julia».
I suoi automezzi portarono tutte le pietre, la ghiaia e la sabbia. Vere
montagne di materiale che per quattro anni i quindici pionieri, che la «Julia»
aveva messo a disposizione, facevano inghiottire alle betoniere ed ai
montacarichi.
L'8° alpini volle per sé l'onore di preparare la prima pietra, ricavata
da una roccia in vetta al Monte Canin e posata, con grande cerimonia, il
9 ottobre 1949.
E quando l'11 settembre 1955 il Tempio fu solennemente inaugurato, toccò
agli alpini della «Julia» fare gli onori di casa alle migliaia di reduci
dal fronte russo di tutte le armi ed ai congiunti dei Caduti e dei
Dispersi accorsi da ogni parte d'Italia.
Già nella sua maestosa semplicità, con i soli scudi che nella cripta
ricordano le dieci grandi unità dell'ARMIR è un silenzioso monumento a
ricordo dei centomila che non sono tornati ed un monito ai vivi perché
la tragedia della guerra non abbia più a devastare la nostra Patria e ad
inghiottire la nostra gioventù nei suoi sanguinosi vortici.
Ma quando ci si sofferma ad ammirare le scene eternate negli artistici
mosaici, nelle tre grandi vetrate istoriate e nella prima delle quattro
grandi sculture ceramicate con le quali è completato l'interno del
Tempio, e soprattutto quando si sfogliano i diciotto volumi che nella
cripta contengono già 90.000 nominativi dei 100.000 nostri soldati
Caduti e Dispersi in Russia, non è possibile non sentire gli occhi umidi
ed il cuore gonfio. Addirittura non sembra possibile che degli uomini,
nostri fratelli, abbiano potuto (e saputo) soffrire tanto.
Di quante lacrime, di quanti sospiri è testimone il Tempio di Cargnacco
nel silenzioso continuo pellegrinaggio dei congiunti dei Dispersi da
ogni parte.
La terza domenica di settembre, nella Giornata Nazionale del Disperso in
guerra (che si celebra dal 1950) le migliaia di presenti, congiunti e
reduci, uniti in una cerimonia che tocca i più alti vertici della
commozione, diventano i protagonisti di quella che ben sì può chiamare
l'apoteosi del dolore».
Da quell'11 settembre 1955 dovevano trascorrere ben trentacinque
lunghi anni, prima che l'avello predisposto da Don Carlo Caneva nella
cripta del Tempio potesse accogliere la salma del «Soldato ignoto»
simbolo delle «centomila gavette di ghiaccio».
Soltanto il 2 dicembre 1990 una delegazione sovietica, nell'ambito del
nuovo corso instaurato nell'URSS dalla perestroika di Gorbaciov
consegnava ufficialmente all'Italia la salma di un soldato ignoto,
rinvenuta dal generale Gavazza in uno dei pochi cimiteri militari
italiani che non sono stati distrutti nell'epoca staliniana.
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