SANT'ADALBERTO
A CORMONS
(Tratto da "Le chiese del Goriziano" - Testo di Gabriele Angeli)
Introduzione
storica
Nel suo opuscolo intitolato Notizie della Parrocchia e del
Decanato di Cormons (1897) Giacomo Pocar ha scritto: «nessun
luogo dell'Arcidiocesi di Gorizia, se si eccettui questa città
stessa, vanta tante chiese quante ne ha Cormons»; ma «altre chiese
v'erano ancora in Cormons nei secoli addietro»: S. Canziano, S.
Daniele, S. Martino, S. Leonardo...
Sebbene da allora il numero di queste chiese sia sceso
ulteriormente: da 16 a 14 unità, si tratta ancora di un insieme
quantitativamente rilevante che non solo contribuisce a
qualificare in maniera significativa -si direbbe quasi strategica-
la fisionomia urbana ed extraurbana della cittadina collinare, ma
rappresenta anche un segno tangibile di una religiosità
plurisecolare, giacché secondo la tradizione ecclesiastica Cormons
fu «stazione curata» già nel 450 d.C.
Se questa indicazione fosse fondata, sarebbe provata
l'esistenza di una pieve tardo-antica, cioè una chiesa rurale
retta da un presbyter con un popolo e un territorio propri, dotata
di una relativa autonomia dalla sede metropolitica di Aquileia per
quanto riguarda l'amministrazione dei servizi liturgici, a
cominciare dal battesimo. Data l'antichità dell'insediamento, è
assai probabile che qui abbia avuto luogo uno dei primi
esperimenti di istituto plebanale in Friuli.
I primi indizi riguardanti la presenza umana sul
territorio risalgono all'età protostorica: sulla vetta del monte
Quarin si sarebbe formato un insediamento (un castelliere o un
villaggio di capanne) documentato da alcuni resti materiali
dell'età del bronzo. Mentre l'antroponimo prelatino Cormòns
(forse da carmo «donnola», «ermellino»), araldico-totemico
(personale o etnico), attestato per la prima volta nella forma «Cormones»
nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono, rinvierebbe
all'esistenza di un'antica tribù celtica: i Galli Carmones
o Carmonenses.
Entrata a far parte del dominio di Roma con la
deduzione della colonia di Aquileia (181 a.C.), Cormons fu
sottoposta a una radicale riorganizzazione territoriale che faceva
perno su tre elementi: il colle, la strada pedemontana che da
Cividale (Forum Julii) proseguiva verso la valle del
Vipacco, le ville rustiche sparse.
Lo spostamento e lo sviluppo dell'insediamento verso la
pianura durante la lunga pax romana sono comprovati da una
serie di ritrovamenti archeologici (mosaici, monete, monili,
epigrafi ed elementi fittili) avvenuti in circostanze accidentali
e sporadiche intorno alla metà del XIX secolo nella cosiddetta
Braida dei Cappuccini (all'inarca là dove ora sorge l'ex
scuola elementare «Ippolito Nievo»), in un terreno limitrofo di
proprietà dei conti Del Mestri e nella località di S. Quirino.
(Delle tre epigrafi murate su un prospetto del palazzo Del
Mestri-Cumano-Perusini solo quella di un certo «VLPIVS» è frutto
di questi ritrovamenti; le restanti, invece, provengono da
Aquileia).
Già compreso nella linea fortificata eretta
dall'imperatore Marco Aurelio durante le invasioni di Quadi,
Marcomanni e Sarmati (167 d.C.), il colle venne nuovamente
rivalutato in chiave strategico-difensiva all'epoca delle
invasioni di Visigoti, Ostrogoti, Unni (V secolo) e Longobardi
(568-569).
Sotto l'occupazione longobarda la rocca divenne il
fulcro di un sistema di castra posto a difesa del ducato friulano
che resistette all'ondata avara del 610-611.
Nel 628 (o, forse, già nel 606), a causa
dell'aggravarsi della rottura politico-ecclesiastica con Roma,
rappresentata dallo scisma dei Tre Capitoli e
dall'insistenza sull'uso arbitrario del titolo di patriarca.
Fortunato, metropolita scismatico di Aquileia, trasferì la sede
patriarchina -non la titolarità- a Cormons.
Per oltre un secolo i patriarchi risiedettero nel
castello, ma secondo la tradizione pontificarono nella chiesa di
S. Giovanni Battista (vulgo S. Lucia): la memoria di quelle
solenni celebrazioni si sarebbe conservata per secoli nei
rintocchi di campana secondo intervalli stabiliti al tempo della
loro residenza. Nel 737, ricomposto il contrasto
politico-teologico con la chiesa di Roma, il patriarca Callisto,
con il benestare del re Liutprando e del duca Ratchis, si trasferì
a Cividale.
A livello locale, la profonda integrazione raggiunta
tra Romani e Longobardi - nel frattempo convertitisi al
cattolicesimo - è documentala da una crocetta in lamina d'oro (VIII
secolo) rinvenuta nel 1840 durante uno scavo all'interno del
castello. Durante le devastazioni ungariche (secoli IX-X) il
castello sul Quarin dovette rappresentare un valido rifugio per la
popolazione locale: la donazione (964) al patriarca della
sottostante località denominata «intercisas» da parte di Ottone I
rientra nel più vasto programma di ricostruzione materiale e
morale della regione friulana che gli imperatori sassoni avevano
affidato alla chiesa aquileiese dopo quei gravi sconvolgimenti.
Nel corso del XII secolo, quando le relazioni fra il
Patriarcato di Aquileia e i giusdicenti di Gorizia -vassalli e
avvocati dei patriarchi- si configurarono come un conflitto per la
supremazia regionale con implicazioni internazionali, il possesso
del castello divenne fondamentale per entrambe le parti.
Nonostante i ripe-tuti accordi (1202, 1281 e 1286),
questa accesa conflittualità perdurò fino alla fine del XIV
secolo, e il clima di generale insicurezza che caratterizzò quei
decenni è ben documentato dal proliferare alle pendici del colle
di cortine e cente: di S. Giovanni, di S. Maria, di Casa Neuhaus e
di S. Adalberto («centa maior»).
Al centro della «centa maior» era ubicata la pieve, la
chiesa battesimale matrice di tutte le altre chiese minori
dislocate nelle ville del distretto: Capriva, Corona, Mariano,
Medea e Moraro (in origine forse anche Versa, Mossa e Lucinico).
Da tempi immemorabili, i sacerdoti e i vicari delle cappelle
filiali dovevano recarsi alla matrice con i propri fedeli in
processione con le croci nelle ricorrenze della Purificazione di
Maria, della Domenica delle Palme, della Pasqua, del Sabato Santo,
del Battesimo e dell'Ascensione di Cristo. Questa articolata
struttura circoscrizionale si mantenne sostanzialmente inalterata
fino a quando le chiese filiali non furono innalzate a parrocchie:
alla fine del XIX secolo il Decanato di Cormons ne comprendeva
sette (Cormons, Brazzano, Capriva, Chiopris, Mariano, Medea e
Moraro), più due curazie indipendenti (Dolegna e Mernico) e cinque
vicariati (Borgnano, Corona, Nogaredo, Viscone e Ruttars).
Nella pieve di Cormons la cura d'anime non era
esercitata dal pievano, ma dal vicario per conto del patriarca di
Aquileia, che ne era il legittimo titolare. Tale regime giuridico
si conservò anche quando i conti di Gorizia -diventati signori
diretti del luogo- ne rivendicarono il giuspatronato, avviando con
i presuli aquileiesi un'accesa vertenza: è noto che essendo
rimasto vacante il beneficio con la morte del pievano Agapito
della Pergola (dicembre 1475), il vicario patriarcale annullò le
nomine avanzate dal conte di Gorizia e lanciò sulla pieve
l'interdetto.
Per molto tempo i pievani non risiedettero a Cormons:
nonostante i suoi sforzi per ottenere una abitazione ed esercitare
la cura d'anime, Pietro Ragno (1592-1608) dovette abitare a
Mariano fino a quando fu nominato arcidiacono patriarcale; così
anche il suo successore, il barone Luca Del Mestri (1609-1646),
che interpellato sulla questione dichiarò di non essere
giuridicamente obbligato alla residenza.
Solitamente, la carica di pievano venne affidata a
personalità di alto rango, che spesso risiedevano in luoghi assai
distanti dal centro collinare: ad esempio nel 1528 essa fu
assegnata da Clemente VII al celebre umanista pordenonese Girolamo
Rorario come ricompensa per i suoi numerosi servizi diplomatici.
Nonostante le ripetute riforme dell'ordinamento
ecclesiastico, fu soltanto nel 1734 che il parroco Francesco
Saverio de' Terzi potè risiedere a Cormons ed esercitare la cura
d'anime, mentre nel 1828 la facoltà di nominare il vicario passò
dalla locale comunità al vescovo di Gorizia.
Il periodo di relativa tranquillità che seguì alle
scorrerie turche (1477-78) non fece cessare l'importanza
strategica del centro; anzi, con il passaggio delle terre comitali
agli Asburgo (1497; 1500: ufficialmente), essa aumentò
ulteriormente.
Nel 1500 Massimiliano I confermò i ‘privilegi e
statuti' (serie di provvedimenti eterogenei riguardanti la vendita
di generi alimentari e la tutela di spazi coltivati) che la
comunità si diede a partire dal 1436.
Nel 1508, scoppiato il conflitto fra la Repubblica di
Venezia e l'impero, il castello e il borgo furono occupati dalle
truppe veneziane condotte da Bartolomeo d'Alviano; riconquistati
dagli austriaci l'anno seguente -a causa dei fatti bellici la
chiesa di S. Adalberto dovette essere riconciliata- nel 1511
ritornarono in mano veneziana; infine, ripresi dagli austriaci nel
1514, con il trattato di Worms vennero assegnati definitivamente
alla casa d'Asburgo (1521). Tre anni prima Massimiliano I
riconfermò gli antichi 'privilegi e statuti' ed esonerò la
comunità -prostrata dalla guerra- dal pagamento di qualsiasi
imposta per ben sei anni.
Verso la fine del XVI secolo un gruppo di Uscocchi si
rifugiò nella centa di S. Giovanni e per alcuni anni imperversò
incontrastato sulla popolazione con uccisioni e saccheggi.
All'epoca delle guerre gradiscane (1615-17), con
una sortita, le milizie veneziane riuscirono a sottrarre da un
luogo imprecisato del paese -forse dalla loggia (demolita nel XIX
secolo) - un pregevole baldacchino in metallo dorato, che fu posto
come trofeo di guerra sopra il gruppo scultoreo murato su un
angolo dell'ex Monte di Pietà a Palmanova.
Nel 1615, dopo aver rioccupato la cittadina sotto il
comando di Pompeo Giustiniani, esse intrapresero la ricostruzione
della rocca -demolita nel 1511 per ordine del Senato veneziano- ma
nel 1616 dovettero abbandonarla nuovamente.
Dopo questa data la secolare struttura difensiva andò
incontro a un lento e inesorabile declino: la popolazione -a
cominciare da PietroLuca Del Mestri nel 1719- vi asportò un gran
numero di pietre per costruire casolari e muraglie di cinta;
contemporaneamente, la vegetazione rigogliosa finì per ricoprirla
quasi interamente.
Nel corso del XIX secolo l'aspetto romantico assunto
dalle sue rovine stimolò la fantasia popolare, per la quale al suo
interno erano celati lo spadone gemmato di un fantomatico eroe
Arimanno e il busto di un'altrettanto fantomatica regina Bianca.
Anche a causa di questa leggenda, per diversi anni, «l'insana
febbre di cercatesori» fu all'origine di scavi clandestini
sconsiderati che hanno stravolto irrimediabilmente la ricca
stratigrafia del sito (C. Cumano, 1868).
All'inizio del XVII secolo la vita religiosa nel
territorio plebanale dovette scontare ancora alcuni effetti
negativi dovuti al ritardo dell'applicazione delle riforme
tridentine; in particolare, sono provate l'inadeguatezza di una
presenza pastorale del clero, anche se numeroso, e una cultura
scarsamente impregnata dei precetti evangelici, fortemente
contaminata da magia e superstizione: nel 1647, ad esempio, Lucia
di Tomba e Antonia Bevilaqua furono messe al rogo sulla pubblica
piazza perché giudicate come streghe. La situazione generale si
complicò ulteriormente allorché nel 1634 incominciarono a
manifestarsi numerosi casi di peste (il focolaio fu la Carniola).
Un graduale mutamento di indirizzo si ebbe solamente
con l'insediamento in loco di nuovi ordini religiosi -Cappuccini
(1614), Domenicani (1702; fig. 5) e Consorelle della Carità
(1714)- che attesero con successo alle necessità religiose,
educative e assistenziali della popolazione. Contemporaneamente,
si manifestarono diversi casi di conversione da parte di luterani,
turchi ed ebrei (a Cormons la comunità ebraica è documentata dal
XVI all'inizio del XX secolo; l'attività quasi esclusiva dei suoi
membri era l'usura): nel 1682, ad esempio, il rabbi Rafaele
Marchiano fu battezzato con il nome di Adalberto Maria
(probabilmente in onore del patrono). Dopo aver partecipato e
goduto della rinata vitalità ecclesiastica promossa con
l'istituzione dell'Arcidiocesi di Gorizia (1751-88) la condizione
religiosa della cittadina fu sconvolta duramente prima dalla
politica riformistica di Giuseppe II, quando tutti gli ordini
religiosi ivi presenti -eccetto i Domenicani- furono soppressi
(1785), poi da quella di Napoleone, che nel 1812 ne demanializzò i
beni. Con l'arrivo delle truppe napoleoniche si diffusero anche
parecchie malattie infettive: nel 1801 un'epidemia di vaiolo fece
oltre 22 morti (quasi tutti erano bambini tra i 2 e 15 anni).
Incorporata nel Regno d'Italia nel 1806, l'anno successivo Cormons
divenne sede di un Cantone del III Dipartimento di Gradisca, ma
con la fine repentina di Napoleone e del suo impero venne
assegnata all'Austria per effetto degli accordi del Congresso di
Vienna (1815).
I moti rivoluzionar! (1831-48) e le guerre di
indipendenza (1858-59) non ebbero ripercussioni significative
sugli abitanti, anche perché a Cormons i liberali italiani furono
veramente pochi: si rammentano i fratelli Tomadoni, Francesco
Locatelli, Costantino Cumano e Italo Bertossi.
Nel 1866, con l'armistizio stipulato tra Italia e
Austria proprio a Cormons e la successiva pace di Vienna, il
confine italo-austriaco fu nuovamente fissato sul Judrio. Nello
stesso anno, il clima religioso -non solo locale- ricevette nuovi
stimoli con l'arrivo da Udine delle Suore della Provvidenza,
chiamate dal parroco decano Antonio Marocco per fornire assistenza
scolastica alle fanciulle del luogo. Il 25 aprile 1897 (Iª
Domenica in Albis), in occasione del nono centenario del martirio
del patrono, il parroco Zernitz celebrò una messa solenne alla
quale partecipò la comunità, con in testa il podestà e i 15
consiglieri comunali; per l'occasione l'orchestra della Società
filarmonica cittadina eseguì componimenti di Mercadante sotto la
direzione del maestro Antonio Camaur; inoltre, alla fine del rito
il parroco consegnò al podestà 100 fiorini a beneficio dei poveri.
Il 6 luglio 1912 Cormons ottenne il titolo di città;
titolo che fu poi confermato dallo Stato italiano con R.D. in data
7 agosto 1936. Scoppiata la 1'3 guerra mondiale, il 24 maggio 1915
la città fu occupata dall'esercito italiano quasi senza alcuna
resistenza. Al suo arrivo, per manifestare la loro benevolenza,
gli abitanti -alcuni per reale simpatia, altri per prudenza-
esposero il tricolore italiano alle finestre delle case, sul
campanile e sulla statua bronzea di Massimiliano I. Ciononostante,
l'atteggiamento degli occupanti fu profondamente sospettoso e
sostanzialmente ostile, soprattutto nei confronti di persone
influenti e sacerdoti: don Desiderio Spagnul e don Nicolo Zanella
furono arrestati e trasferiti a Cremona, mentre numerosi civili
vennero internati nella fortezza di Belvedere (Firenze). A causa
dell'internamento di altri sacerdoti del Decanato -allora retto da
don Giuseppe Peteani- tutte le curazie rimasero vacanti, fuorché
il capoluogo e Borgnano. Nell'ottobre del '17, durante la ritirata
delle truppe italiane, la città venne sottoposta a una serie di
incursioni aeree e cannoneggiamenti che causarono alcuni morti e
danni a parecchi edifici: nella chiesa di S. Giovanni Battista, ad
esempio, crollò il tetto e si rovinarono gli affreschi.
A guerra conclusa (1918) le autorità militari e civili
di occupazione dovettero affrontare non pochi problemi:
sistemazione dei senzatetto, ricostruzione di edifici distrutti o
danneggiati, disoccupazione dilagante, ecc.; parimenti, anche la
cura d'anime dovette essere riorganizzata.
A livello locale, la generale ripresa religiosa che
contrassegnò la diocesi tra la fine degli anni '20 e l'inizio
degli anni '30 è documentata dall'insediamento (1928) dei
Francescani nel convento e nella chiesa di S. Leopoldo -già dei
Domenicani- e da solenni celebrazioni pubbliche: l'incoronazione
del Santuario di Rosa Mistica (20 settembre 1931: festa della B.
V. Addolorata), la visita pastorale (con il concorso di ben 8.000
persone) e la processione della Madonna della Cintura (4 settembre
1932: 16ª Domenica dopo la Pentecoste), anche essa con grande
seguito di gente. (Ugualmente solenne fu la processione che si
tenne il 6 settembre 1891: nel pomeriggio, cantati i Vespri, la
statua della Madonna sfilò per le vie del paese preceduta da 50
fanciulle vestite di bianco che intonavano inni in Suo onore
spargendo fiori e seguita da una moltitudine di persone che
gridavano esultanti «Viva la Vergine»; più tardi la banda locale
si esibì in soavi concerti).
Il 2 giugno 1931 la chiesa di S. Adalberto venne
insignita del titolo di arcipretale e il parroco (Francesco
Ballaben) fu nominato prelato domestico di Sua Santità (titolo
meramente onorifico). Scoppiata la 2ª guerra mondiale, durante i
tragici momenti che seguirono il fatidico 8 settembre 1943, anche
a Cormons furono numerosi i casi di cooperazione tra popolo e
clero per salvare vite umane: indipendentemente dallo schieramento
d'appartenenza!
Nel secondo dopoguerra mons. Angelo Magrini, prima, e
mons. Giuseppe Trevisan, poi, cercarono gradualmente di
ricostruire il tessuto della pratica religiosa e delle sue forme
associative: sorsero l'oratorio parrocchiale, gli scouts, numerose
organizzazioni ricreative e sportive e furono riesumate antiche
feste popolari come quella di S. Giovanni Battista (24 giugno).
Negli ultimi anni, grazie alla collaborazione fra Parrocchia,
Comune ed enti vari, si è potuto concludere il recupero e la
valorizzazione della centa di S. Adalberto, dove nel 2001 è stata
istituita l'omonima Raccolta d'Arte Sacra, che raccoglie il ricco
patrimonio storico-artistico della Parrocchia.
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