biel lant a Messe a...

Duomo di Sant'Adalberto in Cormòns, 2 Aprile 2006

 MESSE GRANDE PAR FURLAN
In occasione della Fieste de Patrie dal Friûl

...le fumate de matine e il soreli del miezdì...


  SCAMPANOTADE

 Messe celebrade dai vicjaris des trê Diocesis furlanis


    
 CJANTS



 PREDICJE



 PREJERIS



 PARI NESTRI

                 
 MESSE CJANTADE DAL GROP CORAL "SANT ADALBERT"


 ...dopo Messe, dentri e fûr dal Domo...

 

 Altri servizi effettuati a Cormòns

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SANT'ADALBERTO A CORMONS
(Tratto da "Le chiese del Goriziano" - Testo di Gabriele Angeli)

Introduzione storica
     Nel suo opuscolo intitolato Notizie della Parrocchia e del Decanato di Cormons (1897) Giacomo Pocar ha scritto: «nessun luogo dell'Arcidiocesi di Gorizia, se si eccettui questa città stessa, vanta tante chiese quante ne ha Cormons»; ma «altre chiese v'erano ancora in Cormons nei secoli addietro»: S. Canziano, S. Daniele, S. Martino, S. Leonardo...
     Sebbene da allora il numero di queste chiese sia sceso ulteriormente: da 16 a 14 unità, si tratta ancora di un insieme quantitativamente rilevante che non solo contribuisce a qualificare in maniera significativa -si direbbe quasi strategica- la fisionomia urbana ed extraurbana della cittadina collinare, ma rappresenta anche un segno tangibile di una religiosità plurisecolare, giacché secondo la tradizione ecclesiastica Cormons fu «stazione curata» già nel 450 d.C.
     Se questa indicazione fosse fondata, sarebbe provata l'esistenza di una pieve tardo-antica, cioè una chiesa rurale retta da un presbyter con un popolo e un territorio propri, dotata di una relativa autonomia dalla sede metropolitica di Aquileia per quanto riguarda l'amministrazione dei servizi liturgici, a cominciare dal battesimo. Data l'antichità dell'insediamento, è assai probabile che qui abbia avuto luogo uno dei primi esperimenti di istituto plebanale in Friuli.
     I primi indizi riguardanti la presenza umana sul territorio risalgono all'età protostorica: sulla vetta del monte Quarin si sarebbe formato un insediamento (un castelliere o un villaggio di capanne) documentato da alcuni resti materiali dell'età del bronzo. Mentre l'antroponimo prelatino Cormòns (forse da carmo «donnola», «ermellino»), araldico-totemico (personale o etnico), attestato per la prima volta nella forma «Cormones» nella Historia Langobardorum di Paolo Diacono, rinvierebbe all'esistenza di un'antica tribù celtica: i Galli Carmones o Carmonenses.
     Entrata a far parte del dominio di Roma con la deduzione della colonia di Aquileia (181 a.C.), Cormons fu sottoposta a una radicale riorganizzazione territoriale che faceva perno su tre elementi: il colle, la strada pedemontana che da Cividale (Forum Julii) proseguiva verso la valle del Vipacco, le ville rustiche sparse.
     Lo spostamento e lo sviluppo dell'insediamento verso la pianura durante la lunga pax romana sono comprovati da una serie di ritrovamenti archeologici (mosaici, monete, monili, epigrafi ed elementi fittili) avvenuti in circostanze accidentali e sporadiche intorno alla metà del XIX secolo nella cosiddetta Braida dei Cappuccini (all'inarca là dove ora sorge l'ex scuola elementare «Ippolito Nievo»), in un terreno limitrofo di proprietà dei conti Del Mestri e nella località di S. Quirino. (Delle tre epigrafi murate su un prospetto del palazzo Del Mestri-Cumano-Perusini solo quella di un certo «VLPIVS» è frutto di questi ritrovamenti; le restanti, invece, provengono da Aquileia).
     Già compreso nella linea fortificata eretta dall'imperatore Marco Aurelio durante le invasioni di Quadi, Marcomanni e Sarmati (167 d.C.), il colle venne nuovamente rivalutato in chiave strategico-difensiva all'epoca delle invasioni di Visigoti, Ostrogoti, Unni (V secolo) e Longobardi (568-569).
     Sotto l'occupazione longobarda la rocca divenne il fulcro di un sistema di castra posto a difesa del ducato friulano che resistette all'ondata avara del 610-611.
     Nel 628 (o, forse, già nel 606), a causa dell'aggravarsi della rottura politico-ecclesiastica con Roma, rappresentata dallo scisma dei Tre Capitoli e dall'insistenza sull'uso arbitrario del titolo di patriarca. Fortunato, metropolita scismatico di Aquileia, trasferì la sede patriarchina -non la titolarità- a Cormons.
     Per oltre un secolo i patriarchi risiedettero nel castello, ma secondo la tradizione pontificarono nella chiesa di S. Giovanni Battista (vulgo S. Lucia): la memoria di quelle solenni celebrazioni si sarebbe conservata per secoli nei rintocchi di campana secondo intervalli stabiliti al tempo della loro residenza. Nel 737, ricomposto il contrasto politico-teologico con la chiesa di Roma, il patriarca Callisto, con il benestare del re Liutprando e del duca Ratchis, si trasferì a Cividale.
     A livello locale, la profonda integrazione raggiunta tra Romani e Longobardi - nel frattempo convertitisi al cattolicesimo - è documentala da una crocetta in lamina d'oro (VIII secolo) rinvenuta nel 1840 durante uno scavo all'interno del castello. Durante le devastazioni ungariche (secoli IX-X) il castello sul Quarin dovette rappresentare un valido rifugio per la popolazione locale: la donazione (964) al patriarca della sottostante località denominata «intercisas» da parte di Ottone I rientra nel più vasto programma di ricostruzione materiale e morale della regione friulana che gli imperatori sassoni avevano affidato alla chiesa aquileiese dopo quei gravi sconvolgimenti.
     Nel corso del XII secolo, quando le relazioni fra il Patriarcato di Aquileia e i giusdicenti di Gorizia -vassalli e avvocati dei patriarchi- si configurarono come un conflitto per la supremazia regionale con implicazioni internazionali, il possesso del castello divenne fondamentale per entrambe le parti.
     Nonostante i ripe-tuti accordi (1202, 1281 e 1286), questa accesa conflittualità perdurò fino alla fine del XIV secolo, e il clima di generale insicurezza che caratterizzò quei decenni è ben documentato dal proliferare alle pendici del colle di cortine e cente: di S. Giovanni, di S. Maria, di Casa Neuhaus e di S. Adalberto («centa maior»).
     Al centro della «centa maior» era ubicata la pieve, la chiesa battesimale matrice di tutte le altre chiese minori dislocate nelle ville del distretto: Capriva, Corona, Mariano, Medea e Moraro (in origine forse anche Versa, Mossa e Lucinico). Da tempi immemorabili, i sacerdoti e i vicari delle cappelle filiali dovevano recarsi alla matrice con i propri fedeli in processione con le croci nelle ricorrenze della Purificazione di Maria, della Domenica delle Palme, della Pasqua, del Sabato Santo, del Battesimo e dell'Ascensione di Cristo. Questa articolata struttura circoscrizionale si mantenne sostanzialmente inalterata fino a quando le chiese filiali non furono innalzate a parrocchie: alla fine del XIX secolo il Decanato di Cormons ne comprendeva sette (Cormons, Brazzano, Capriva, Chiopris, Mariano, Medea e Moraro), più due curazie indipendenti (Dolegna e Mernico) e cinque vicariati (Borgnano, Corona, Nogaredo, Viscone e Ruttars).
     Nella pieve di Cormons la cura d'anime non era esercitata dal pievano, ma dal vicario per conto del patriarca di Aquileia, che ne era il legittimo titolare. Tale regime giuridico si conservò anche quando i conti di Gorizia -diventati signori diretti del luogo- ne rivendicarono il giuspatronato, avviando con i presuli aquileiesi un'accesa vertenza: è noto che essendo rimasto vacante il beneficio con la morte del pievano Agapito della Pergola (dicembre 1475), il vicario patriarcale annullò le nomine avanzate dal conte di Gorizia e lanciò sulla pieve l'interdetto.
     Per molto tempo i pievani non risiedettero a Cormons: nonostante i suoi sforzi per ottenere una abitazione ed esercitare la cura d'anime, Pietro Ragno (1592-1608) dovette abitare a Mariano fino a quando fu nominato arcidiacono patriarcale; così anche il suo successore, il barone Luca Del Mestri (1609-1646), che interpellato sulla questione dichiarò di non essere giuridicamente obbligato alla residenza.
     Solitamente, la carica di pievano venne affidata a personalità di alto rango, che spesso risiedevano in luoghi assai distanti dal centro collinare: ad esempio nel 1528 essa fu assegnata da Clemente VII al celebre umanista pordenonese Girolamo Rorario come ricompensa per i suoi numerosi servizi diplomatici.
     Nonostante le ripetute riforme dell'ordinamento ecclesiastico, fu soltanto nel 1734 che il parroco Francesco Saverio de' Terzi potè risiedere a Cormons ed esercitare la cura d'anime, mentre nel 1828 la facoltà di nominare il vicario passò dalla locale comunità al vescovo di Gorizia.
     Il periodo di relativa tranquillità che seguì alle scorrerie turche (1477-78) non fece cessare l'importanza strategica del centro; anzi, con il passaggio delle terre comitali agli Asburgo (1497; 1500: ufficialmente), essa aumentò ulteriormente.
     Nel 1500 Massimiliano I confermò i ‘privilegi e statuti' (serie di provvedimenti eterogenei riguardanti la vendita di generi alimentari e la tutela di spazi coltivati) che la comunità si diede a partire dal 1436.
     Nel 1508, scoppiato il conflitto fra la Repubblica di Venezia e l'impero, il castello e il borgo furono occupati dalle truppe veneziane condotte da Bartolomeo d'Alviano; riconquistati dagli austriaci l'anno seguente -a causa dei fatti bellici la chiesa di S. Adalberto dovette essere riconciliata- nel 1511 ritornarono in mano veneziana; infine, ripresi dagli austriaci nel 1514, con il trattato di Worms vennero assegnati definitivamente alla casa d'Asburgo (1521). Tre anni prima Massimiliano I riconfermò gli antichi 'privilegi e statuti' ed esonerò la comunità -prostrata dalla guerra- dal pagamento di qualsiasi imposta per ben sei anni.
     Verso la fine del XVI secolo un gruppo di Uscocchi si rifugiò nella centa di S. Giovanni e per alcuni anni imperversò incontrastato sulla popolazione con uccisioni e saccheggi.
      All'epoca delle guerre gradiscane (1615-17), con una sortita, le milizie veneziane riuscirono a sottrarre da un luogo imprecisato del paese -forse dalla loggia (demolita nel XIX secolo) - un pregevole baldacchino in metallo dorato, che fu posto come trofeo di guerra sopra il gruppo scultoreo murato su un angolo dell'ex Monte di Pietà a Palmanova.
     Nel 1615, dopo aver rioccupato la cittadina sotto il comando di Pompeo Giustiniani, esse intrapresero la ricostruzione della rocca -demolita nel 1511 per ordine del Senato veneziano- ma nel 1616 dovettero abbandonarla nuovamente.
     Dopo questa data la secolare struttura difensiva andò incontro a un lento e inesorabile declino: la popolazione -a cominciare da PietroLuca Del Mestri nel 1719- vi asportò un gran numero di pietre per costruire casolari e muraglie di cinta; contemporaneamente, la vegetazione rigogliosa finì per ricoprirla quasi interamente.
     Nel corso del XIX secolo l'aspetto romantico assunto dalle sue rovine stimolò la fantasia popolare, per la quale al suo interno erano celati lo spadone gemmato di un fantomatico eroe Arimanno e il busto di un'altrettanto fantomatica regina Bianca. Anche a causa di questa leggenda, per diversi anni, «l'insana febbre di cercatesori» fu all'origine di scavi clandestini sconsiderati che hanno stravolto irrimediabilmente la ricca stratigrafia del sito (C. Cumano, 1868).
     All'inizio del XVII secolo la vita religiosa nel territorio plebanale dovette scontare ancora alcuni effetti negativi dovuti al ritardo dell'applicazione delle riforme tridentine; in particolare, sono provate l'inadeguatezza di una presenza pastorale del clero, anche se numeroso, e una cultura scarsamente impregnata dei precetti evangelici, fortemente contaminata da magia e superstizione: nel 1647, ad esempio, Lucia di Tomba e Antonia Bevilaqua furono messe al rogo sulla pubblica piazza perché giudicate come streghe. La situazione generale si complicò ulteriormente allorché nel 1634 incominciarono a manifestarsi numerosi casi di peste (il focolaio fu la Carniola).
     Un graduale mutamento di indirizzo si ebbe solamente con l'insediamento in loco di nuovi ordini religiosi -Cappuccini (1614), Domenicani (1702; fig. 5) e Consorelle della Carità (1714)- che attesero con successo alle necessità religiose, educative e assistenziali della popolazione. Contemporaneamente, si manifestarono diversi casi di conversione da parte di luterani, turchi ed ebrei (a Cormons la comunità ebraica è documentata dal XVI all'inizio del XX secolo; l'attività quasi esclusiva dei suoi membri era l'usura): nel 1682, ad esempio, il rabbi Rafaele Marchiano fu battezzato con il nome di Adalberto Maria (probabilmente in onore del patrono). Dopo aver partecipato e goduto della rinata vitalità ecclesiastica promossa con l'istituzione dell'Arcidiocesi di Gorizia (1751-88) la condizione religiosa della cittadina fu sconvolta duramente prima dalla politica riformistica di Giuseppe II, quando tutti gli ordini religiosi ivi presenti -eccetto i Domenicani- furono soppressi (1785), poi da quella di Napoleone, che nel 1812 ne demanializzò i beni. Con l'arrivo delle truppe napoleoniche si diffusero anche parecchie malattie infettive: nel 1801 un'epidemia di vaiolo fece oltre 22 morti (quasi tutti erano bambini tra i 2 e 15 anni). Incorporata nel Regno d'Italia nel 1806, l'anno successivo Cormons divenne sede di un Cantone del III Dipartimento di Gradisca, ma con la fine repentina di Napoleone e del suo impero venne assegnata all'Austria per effetto degli accordi del Congresso di Vienna (1815).
     I moti rivoluzionar! (1831-48) e le guerre di indipendenza (1858-59) non ebbero ripercussioni significative sugli abitanti, anche perché a Cormons i liberali italiani furono veramente pochi: si rammentano i fratelli Tomadoni, Francesco Locatelli, Costantino Cumano e Italo Bertossi.
     Nel 1866, con l'armistizio stipulato tra Italia e Austria proprio a Cormons e la successiva pace di Vienna, il confine italo-austriaco fu nuovamente fissato sul Judrio. Nello stesso anno, il clima religioso -non solo locale- ricevette nuovi stimoli con l'arrivo da Udine delle Suore della Provvidenza, chiamate dal parroco decano Antonio Marocco per fornire assistenza scolastica alle fanciulle del luogo. Il 25 aprile 1897 (Iª Domenica in Albis), in occasione del nono centenario del martirio del patrono, il parroco Zernitz celebrò una messa solenne alla quale partecipò la comunità, con in testa il podestà e i 15 consiglieri comunali; per l'occasione l'orchestra della Società filarmonica cittadina eseguì componimenti di Mercadante sotto la direzione del maestro Antonio Camaur; inoltre, alla fine del rito il parroco consegnò al podestà 100 fiorini a beneficio dei poveri.
     Il 6 luglio 1912 Cormons ottenne il titolo di città; titolo che fu poi confermato dallo Stato italiano con R.D. in data 7 agosto 1936. Scoppiata la 1'3 guerra mondiale, il 24 maggio 1915 la città fu occupata dall'esercito italiano quasi senza alcuna resistenza. Al suo arrivo, per manifestare la loro benevolenza, gli abitanti -alcuni per reale simpatia, altri per prudenza- esposero il tricolore italiano alle finestre delle case, sul campanile e sulla statua bronzea di Massimiliano I. Ciononostante, l'atteggiamento degli occupanti fu profondamente sospettoso e sostanzialmente ostile, soprattutto nei confronti di persone influenti e sacerdoti: don Desiderio Spagnul e don Nicolo Zanella furono arrestati e trasferiti a Cremona, mentre numerosi civili vennero internati nella fortezza di Belvedere (Firenze). A causa dell'internamento di altri sacerdoti del Decanato -allora retto da don Giuseppe Peteani- tutte le curazie rimasero vacanti, fuorché il capoluogo e Borgnano. Nell'ottobre del '17, durante la ritirata delle truppe italiane, la città venne sottoposta a una serie di incursioni aeree e cannoneggiamenti che causarono alcuni morti e danni a parecchi edifici: nella chiesa di S. Giovanni Battista, ad esempio, crollò il tetto e si rovinarono gli affreschi.
     A guerra conclusa (1918) le autorità militari e civili di occupazione dovettero affrontare non pochi problemi: sistemazione dei senzatetto, ricostruzione di edifici distrutti o danneggiati, disoccupazione dilagante, ecc.; parimenti, anche la cura d'anime dovette essere riorganizzata.
     A livello locale, la generale ripresa religiosa che contrassegnò la diocesi tra la fine degli anni '20 e l'inizio degli anni '30 è documentata dall'insediamento (1928) dei Francescani nel convento e nella chiesa di S. Leopoldo -già dei Domenicani- e da solenni celebrazioni pubbliche: l'incoronazione del Santuario di Rosa Mistica (20 settembre 1931: festa della B. V. Addolorata), la visita pastorale (con il concorso di ben 8.000 persone) e la processione della Madonna della Cintura (4 settembre 1932: 16ª Domenica dopo la Pentecoste), anche essa con grande seguito di gente. (Ugualmente solenne fu la processione che si tenne il 6 settembre 1891: nel pomeriggio, cantati i Vespri, la statua della Madonna sfilò per le vie del paese preceduta da 50 fanciulle vestite di bianco che intonavano inni in Suo onore spargendo fiori e seguita da una moltitudine di persone che gridavano esultanti «Viva la Vergine»; più tardi la banda locale si esibì in soavi concerti).
     Il 2 giugno 1931 la chiesa di S. Adalberto venne insignita del titolo di arcipretale e il parroco (Francesco Ballaben) fu nominato prelato domestico di Sua Santità (titolo meramente onorifico). Scoppiata la 2ª guerra mondiale, durante i tragici momenti che seguirono il fatidico 8 settembre 1943, anche a Cormons furono numerosi i casi di cooperazione tra popolo e clero per salvare vite umane: indipendentemente dallo schieramento d'appartenenza!
     Nel secondo dopoguerra mons. Angelo Magrini, prima, e mons. Giuseppe Trevisan, poi, cercarono gradualmente di ricostruire il tessuto della pratica religiosa e delle sue forme associative: sorsero l'oratorio parrocchiale, gli scouts, numerose organizzazioni ricreative e sportive e furono riesumate antiche feste popolari come quella di S. Giovanni Battista (24 giugno). Negli ultimi anni, grazie alla collaborazione fra Parrocchia, Comune ed enti vari, si è potuto concludere il recupero e la valorizzazione della centa di S. Adalberto, dove nel 2001 è stata istituita l'omonima Raccolta d'Arte Sacra, che raccoglie il ricco patrimonio storico-artistico della Parrocchia.