Codroipo, 28 Luglio 2002
Alcune immagini durante la Santa Messa La Chiesa parrocchiale di Codroipo risale al XVIII secolo. Nel 1731 i capomastri Francesco e Pietro fu Luca Andrioli diedero il via alla ricostruzione (la consacrazione si ebbe nel 1752) realizzando un edificio ad unica navata, mosso da ampie cappelle laterali. La facciata liscia, timpanata, tripartita da quattro lesene, tiene conto delle modifiche che vi furono apportate nel 1847 dai conti Rota. All'interno, altare maggiore disegnato da Luca Andrioli e materialmente realizzato dall'udinese Francesco Zuliani nel 1765, arricchito dalle statue marmoree dei Santi Pietro e Leonardo che il vicentino Angelo Marinali aveva scolpito intorno al 1700 per la chiesa della Carità di Venezia, dove furono acquistate nel 1821. L'altare della Madonna del Rosario, ricco di marmi policromi, venne eseguito su progetto dell'architetto veneziano Giorgio Massari (secolo XVIII): l'alto fastigio sovraccarico di statue crea un senso di pesantezza tale da far pensare che il portogruarese Giambattista Bettini, scultore altarista che terminerà il lavoro nel 1763, abbia almeno in parte alterato il disegno originario. Al Bettini spettano anche gli altari di S. Giovanni Battista (1758) e di S. Antonio da Padova (1760); mentre Voltare di S. Antonio abate venne realizzato da Pietro Balbi di Portogruaro nel 1758; Voltare del Crocifisso, neoclassico, fu costruito su progetto dell'architetto Andrea Scala tra il 1850 ed il 1851. Pregevoli il serrato gruppo ligneo della Pietà nell'altare maggiore (volti nobilissimi, volumi torniti) di ottimo scultore del secolo XVI, ed il così detto Cristo nero - nell'altare del Crocifisso - della metà del secolo XV, scolpito per la chiesa di S. Fantin a Venezia, e portato a Codroipo all'inizio dell'Ottocento: lo scultore dovrebbe essere un maestro nordico: certamente non è quell'Alessandro Vittoria cui tradizionalmente è attribuito il lavoro. Tra le sculture in pietra, merita menzione una Madonna con Bambino, posta nell'atrio della porta ovest, di scuola lombardo-friulana dell'inizio del Cinquecento, secolo al quale appartengono anche l'acquasantiera ed il fonte battesimale. La pittura è ben rappresentata da dipinti di Pietro Politio allievo dell'Amalteo (Madonna dei Battuti, 1550, con interessanti note di abbigliamento nel gruppo delle devote), Gaspare Diziani (S. Giuseppe che appare ai Ss. Giovanni Evangelista, Pietro e Giovanni Battista, ca. 1765), Giuseppe Tominz goriziano (ritratto di mons. Gaspardis, in sagrestia, secolo XIX), Michelangelo Grigoletti (S. Francesco d'Assisi, 1838). Giovanni De Min di Belluno (affreschi nelle pareti laterali del coro, 1845: Orazione nell'orto e Resurrezione), Lorenzo Bianchini (Cuori di Gesù e di Maria, 1883, e pala con i Ss. Biagio e Rocco), Renzo Tubare (Assunta, 1958, nel lunettone del coro). Attira l'attenzione il recente dipinto del pittore milanese Gianfranco Brusegon (1990) raffigurante nei termini di un realismo fotografico mons. Giovanni Copolutti arciprete di Codroipo, il primate di Polonia Glemp ed una folla di fedeli in cui si riconoscono alcuni cittadini di Codroipo. Nelle altre località del Comune molti i luoghi di culto con opere d'arte. A Goricizza la Parrocchiale conserva un portale con intagli e bassorilievi del 1525, un fonte battesimale del 1518-20 ed una bella statua di S. Bartolomeo in pietra dipinta (ca. 1520) di Giovanni Antonio Pilacorte, oltre all’affresco di Renzo Tubare (1949) con il Martirio di S. Bartolomeo; nella Chiesa di lutizzo affreschi di Francesco Barazzutti nella volta del coro (1913, Gloria di S. Marco); a Biauzzo, nella Parrocchiale, Madonna del Rosario di Francesco Fontebasso (secolo XVIII), a Pozzo affreschi cinquecenteschi (Annuncia-zione) nel portico della Chiesetta votiva di S.Rocco, che conserva anche lavori di intaglio dell'inizio del XVI secolo, in parte rubati in parte collocati altrove; settecenteschi nella Chiesetta della Madonna di Loreto (processioni, con importanti notazioni di vita di popolo) nella quale si trovano alcuni gradevoli ex voto e novecenteschi nella Parrocchiale di S. Giustina (decorazione di Mario Sgobaro, 1938-39, completata nel 1941-42 dagli affreschi di Giovanni Saccomani); a Beano, nella Chiesa parrocchiale di S. Martino, portale (1509) e splendida acquasantiera (1519) di Giovanni Antonio Pilacorte, notevole per il senso delle proporzioni, la bontà dell'ideazione e della realizzazione (specie nei putti musicanti addossati al fusto); a Lonca affreschi del primo Cinquecento (tracce) all'esterno della Parrocchiale e buon trittico ligneo con figure dipinte firmato dall'udinese Bernardino Blaceo (1537; Madonna in trono con Bambino, e i Santi Giovanni Battista e Caterina; nella cimasa l'Eterno Padre, nelle volu-te due angeli); a Rivolto due buoni lavori sia nella Parrocchiale che nella Chiesetta di S.Cecilia. Nella prima, l'altar maggiore settecentesco è di Giuseppe Torretti mentre i due angeli a lato sembrano essere di mano di Orazio Marinali; l'altare di S. Valentino, in legno dorato e dipinto, è una delle opere più rappresentative dell'intaglio barocco in Friuli. Risale al 1676 ed è dovuto al gemonese Giovanni Vincenzo Comuzzo: fastoso nella sua struttura, sovrabbondante nell'ornamentazione, ricco di elementi fitomorfi, e di putti, telamoni, angioletti, stupefacente per lo scintillio dell'oro e la complessa architettura a doppio frontone, è «cornice» del dipinto del camice Osvaldo Gortanutti che campeggia all'interno e che rappresenta la Madonna con Bambino, S. Valentino e Santi. Nella chiesa, anche una bella pala di Antonio Balestra veronese (Immacolata, primo e secondo decennio del secolo XVIII). Nella Chiesetta di S. Cecilia, altare con pala marmorea raffigurante S. Cecilia che suona, per anni ritenuta opera del Torretti, buon lavoro, invece di Adeodato Parlotti (1796) ed affreschi nelle vele del coro con gli Evangelisti (Antonio da Firenze, fine secolo XV). Tra le numerose ville della zona, Villa Colloredo Mels a Muscletto di Codroipo (secolo XVII). Villa Kechler a S. Martino (secolo XVII), con barchesse, giardino con statue ed ampio e suggestivo parco e soprattutto Villa Manin a Passariano, una delle più note del Veneto, divenuta di proprietà pubblica in quanto acquistata con legge del 1969 dalla Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia. Il primo nucleo della costruzione risale al secolo XVI, allorché Antonio Manin, entrato in possesso della gastaldia di Sedegliano, fece erigere a Passariano una casa padronale, rispondente più alle esigenze della vita agricola che di rappresentanza, sfruttando un edificio preesistente che rimase così inglobato nella barchessa di sinistra. Spettò al nipote Ludovico, secondo la tradizione, nel secolo successivo, il compito di apportare una sostanziale trasformazione all'edificio, tenendo presente la lezione del Palladio che era riuscito a rendere accessibili e cordialmente umane le sue classiche architetture, facendole vivere nella luce atmosferica in armonioso rapporto con l'ambiente naturale. È comunque probabile che il Manin si sia avvalso della consulenza di Baldassarre Longhena o di Giuseppe Sardi, zio di Domenico Rossi, l'architetto che nei primi anni del Settecento attuerà la definitiva e geniale sistemazione del complesso, imprimendogli un andamento del tutto nuovo per vivacità ed articolazione. È sua infatti l'idea di sopraelevare il nucleo gentilizio e le barchesse che da questo si dipartono, di creare l'esedra, in forma di ferro di cavallo, raccordata alle barchesse mediante quinte scenografiche con portali e nicchioni. Elemento dominante sul grandioso insieme è la casa padronale a tre piani con terminazione timpanata al centro, la cui facciata acquista una gradevole animazione luministica in virtù delle semicolonne che sostengono la bella balconata, delle cornici aggettanti, delle profilature in pietra, delle parti rientranti. Al salone, che si sviluppa per un'altezza di tre piani, si accede dall'ampia scalinata che digrada nel cortile d'onore chiuso anteriormente da un muretto nel quale si apre l'elegante e maestoso cancello in ferro battuto e bronzo. La facciata posteriore della villa guarda su un vasto parco, realizzato secondo il gusto francese, dove i verdi prati, le maestose piante e le tante statue e fontane che lo animano rievocano uno scenario caro al mitico mondo dell'Arcadia. All'esterno della villa, addossata alla barchessa orientale, sorge la cappella a pianta centrale (ot- tagono irregolare), la cui facciata con colonne binate, architrave e timpano, riflette i caratteri dell'arte palladiana. Eretta nei primi decenni del Settecento, molto probabilmente dallo stesso Domenico Rossi, è un esempio di come architettura, scultura, pittura, se perfettamente integrate, possano dar vita ad un armonioso insieme. Oltre che come pregevole opera architettonica, Villa Manin è importante anche per le opere d'arte settecentesche che conserva. In una sala a levante, nel 1708, il parigino Ludovico Dorigny affresca nel soffitto, entro il tondo centrale, il Trionfo della primavera e nei quattro ovati minori che lo attorniano l’Allegoria dell'Amore, della Gloria, della Ricchezza, dell'Abbondanza. La sua pittura dai colori freddi e smaglianti che predilige figure eleganti su sfondo di limpidi cieli ed adotta soluzioni spericolate (amorini e ninfe su nubi che vanno al di là della cornice) risulta nel complesso accademica e convenzionale. Alle pareti, in monocromo su sfondo dorato, dipinge alcune scene con Apollo e Marte, Venere e Bacco, Giudizio di Paride, e Pan e Siringa tra varie figure allegoriche. Rese gradevoli dal chiaroscuro di gusto francese, dalla precisione linearistica, da un mirabile equilibrio, ad esse si ispirerà il giovane Tiepolo chiamato ad operare nell'Arcivescovado di Udine nel 1726-30. Nella Cappella Manin il veneziano tiepolesco Fontebasso dipinge in due quadroni monocromi Scene della vita di Adamo ed Eva. Ma più importante è la decorazione in marmo realizzata nella cappella da Giuseppe Torretti, il maggior scultore veneto del Settecento, che tanti scolari o seguaci lasciò anche in Friuli dove a lungo operò. A lui si debbono l'altare di destra con un Miracolo di Sant'Antonio e quello di sinistra con il Transito di S. Giuseppe, armonica sintesi di linea e volume. L'altare maggiore, con Madonna con Bambino e i Ss. Ludovico e Andrea ai lati, rivela sicura padronanza della materia e nitore classicheggiante della forma: è stato di recente attribuito a bottega dei Marinali. In precedenza lo si riteneva eseguito dal Torretti al quale comunque spetta lo scenografico velario. Nella splendida Sagrestia lo scultore lascia ancora un Crocifisso nel quale rinuncia all'esuberanza formale esteriore, una Madonna con Bambino che rappresenta nel linearismo concitato e scattante e nel panneggio morbido e fluente una delle sue migliori realizzazioni, e due pannelli raffiguranti l'uno l'Immacolata Concezione con i suoi effetti, l'altro l’Addlorata con le sue cause. La Villa Manin, che è divenuta sede di manifestazioni d'arte di grande prestigio (basti pensare alle Mostre del Tiepolo del 1971 e dei Longobardi del 1990), contiene anche una zona museale di qualche interesse per il turista, comprendente una raccolta di carrozze antiche e un'armeria con pezzi provenienti dalla Casa della Contadinanza di Udine; le varie sale sono state arredate con mobili d'epoca (ad esempio la così detta Camera di Napoleone, che qui firmò il trattato di Campoformido nel 1797) e con dipinti del Museo di Udine. La Villa ospita inoltre l'importante Centro regionale per l'inventario e la catalogazione del patrimonio culturale ed ambientale del Friuli-Venezia Giulia, cui dopo il terremoto è stata annessa una Scuola di restauro, con laboratorio, allo scopo di preparare quel personaggio tecnico specifico di cui la Regione (ma meglio sarebbe dire l'Italia tutta) sente urgentemente bisogno.
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