Udine, 11 Luglio 2004
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Udine (UD)
CAP: 33100 - Altitudine (s.l.m.): 113 m. s.l.m. -
Abitanti: 94.808 - Superficie: 56,82 Kmq
La città
sorge al centro della regione Friuli-Venezia Giulia, in prossimità
di un ampio arco di colline moreniche, sulla via internazionale
che collega il sud con il nord-est d'Europa. Si narra che il colle
del Castello di Udine sia stato elevato con la terra trasportata
con gli elmi dei soldati di Attila, per permettere al feroce
condottiero di godere dall'alto dello spettacolo di Aquileia in
fiamme. Certo è che il territorio comunale è di antichissima
frequentazione: le testimonianze di vario genere rinvenute nelle
immediate vicinanze del castello dimostrano che fu sede di un
antico castelliere. Tuttavia il documento che per la prima volta
cita il nome di Udine risale al 983 quando l'imperatore Ottone II
di Germania donò a Rodoaldo, patriarca di Aquileia, il castello di
Udine e quelli di Buga, Fuganea, Groang e Braitan. Il "Castrum
Utini" viene menzionato successivamente in una carta del 1096 a
suggello della donazione del castello di Udine da parte dell'
Imperatore Ottone II al Patriarca di Aquileia. Dagli scavi
effettuati si può però supporre che già nel corso del II millennio
a.C. il colle fosse abitato in maniera più o meno stabile. Nel
1223 il Patriarca Bertoldo di Andechs-Merania concesse a Udine il
mercato che nel giro di pochi anni si trasferì nell'odierna Piazza
Matteotti. Nel XII e XIV secolo la città si estese notevolmente,
ma il suo volto mutò profondamente solo dal 1420 quando, assieme a
tutto il Friuli, si trovò a far parte della Repubblica Veneta.
Sotto il dominio veneziano la città subì le incursioni dei Turchi
(dal 1472 al 1499), partecipò alla guerra tra la Repubblica e
l'Imperatore Massimiliano (1508-1514) e a quella di Gradisca
(1615-1617) fra Veneti ed Imperiali. Nel 1797 il Friuli venne
occupato dalle truppe napoleoniche e, in seguito al trattato di
Campoformido, passò sotto il dominio della Casa d'Austria, la
quale, però, vinta più volte dai Francesi, ne riprese la stabile
signoria solo nel 1813. Falliti i moti liberali del 1848, il 2
ottobre 1866, la provincia di Udine venne annessa al Regno
d'Italia. Durante la Prima Guerra Mondiale (1915-1918) Udine fu
sede del Comando Supremo Italiano. L'attuale aspetto di Udine ha
naturalmente risentito delle guerre mondiali e particolarmente dei
bombardamenti avvenuti durante la Seconda.
Nel 1963 fu costituita la Regione Autonoma a Statuto
Speciale Friuli-Venezia Giulia.
Visitare Udine vuole dire quindi rivivere il suo
passato in una sorta di suggestivo itinerario che parte da Porta
Aquileia, con la sua caratteristica merlatura ghibellina, per
incontrare poi la Chiesa della Beata Vergine del Carmine di
origine cinquecentesca, ma arricchita nei secoli di antichi
tesori. La storia si respira non solo nelle chiese, ma anche
percorrendo le vie Aquileia, Vittorio Veneto, Manin,
Mercatovecchio e le sue piazze Duomo, San Giacomo e piazza
Libertà, definita anche "la più bella piazza veneziana in
terraferma", contornata dalla Loggia del Lionello (1448),
splendido esempio di gotico veneziano, e dal Loggiato di San
Giovanni e la Torre dell'Orologio, struttura cinquecentesca di
Giovanni da Udine. Fulcro della città di Udine rimane tuttavia il
Castello, costruito alla fine del XVI secolo e che attualmente è
sede dei Civici Musei e Gallerie di Storia ed Arte di Udine con le
sue numerose e prestigiose collezioni museali e dagli interni
impreziositi da affreschi di Pomponio Amalteo, da Grassi, da
Francesco Floreani e Giambattista Tiepolo.
Percorrendo via Mercatovecchio ricca di suggestivi
edifici storici, si sbuca nel vero cuore pulsante della città:
piazza Giacomo Matteotti, nota come piazza San Giacomo o Mercato
Nuovo, uno dei luoghi più frequentati della città in cui è
collocata la fontana di Giovanni da Udine (1543), allievo di
Raffaello, intorno alla quale ogni prima domenica del mese si
distribuisce un pittoresco mercatino dell'antiquariato. Attraverso
piazzetta Lionello, in cui si erge il Palazzo Comunale
dell'architetto friulano Raimondo D'Aronco, ci si sposta in piazza
del Duomo, dove si ammira il maestoso edificio sacro, intitolato a
Santa Maria, che racchiude sculture del Torretti, Bernardino da
Bissone e Daniele Antonini e preziosi affreschi, opera di
importanti artisti tra cui Vitale da Bologna, Pomponio Amalteo e
Giambattista Tiepolo.
http://www.turismo.fvg.it/
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CHIESA
CATTEDRALE DI UDINE
Messa in
gregoriano
VERBUM RESONANS
DIECI ANNI DI CANTO GREGORIANO IN FRIULI VENEZIA GIULIA
Decennale dei Seminari Internazionali di Canto Gregoriano 1994/2004
Organizzato dall'USCI-FVG
CAMPANE
L'interno del Duomo, prima
e durante la celebrazione dell'Eucaristia...
...animata dal
Coro "Officium Consort" di Pordenone
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Principali monumenti e opere d’arte
Ai
piedi del colle di origine morenica che si eleva di 26 metri dal piano
circostante e che per le sue caratteristiche naturali fu in origine
sede di vedetta romana, poi barbarica e longobarda, è situata, cuore
della città di Udine, piazza Libertà, già piazza del vino, poi
piazza Contarena ed in seguito piazza Vittorio Emanuele.
Il monumento più antico è la Loggia del Lionello, la
goticheggiante loggia pubblica che, eseguita a partire dal 1488 da
Bartolomeo delle Cisterne - architetto capodistriano - su disegno
dell'orafo veneziano Nicolò Lionello e compiuta nel 1457, subì
in epoche successive vari rimaneggiamenti finché, distrutta nel 1876
da un rovinoso incendio, fu di lì a poco rinnovata da Andrea Scala che
mantenne nel restauro le forme originarie.
L'edificio rientra nella tradizione dei palazzi loggiati veneziani:
sorretto da colonne nella parte bassa, vede invertita la distribuzione
dei pieni e dei vuoti in funzione di un pittorico gioco luministico.
La decorazione a fasce alterne in pietra bianca e rosa, la presenza
delle polifore trinate nel piano superiore, bastano a conferirgli un
carattere di raffinata e sobria eleganza.
Delle interessanti opere d'arte che l'abbellirono in passato, non
molto rimane: non gli affreschi cinquecenteschi che decoravano la
loggia con stemmi ed allegorie, distrutti dai rifacimenti; non la
bella Madonna con Bambino che Giovanni Antonio Pordenone dipinse nel
1516 e nella quale si avvertivano riflessi raffaelleschi: rovinata
dall'incendio del 1876 è stata infatti strappata dal muro, portata in
museo e sostituita con la copia che ancora si vede, del pittore
Giuseppe Ghedina.
Rimangono invece, agli angoli della facciata, due sculture: una bella
Madonna con Bambino sopra una mensola, sormontata da un elegante tetto
ornato di guglie attribuita a Bartolomeo Bon (ca. 1450);
un'allegoria simboleggiante l'Italia, lavoro diligente di Andrea
Flaibani (fine del secolo XIX).
Al piano superiore, la così detta "sala Ajace" prende il nome da una
statua del 1851 di Vincenzo Luccardi. Nella rifatta "sala del
Consiglio comunale" non rimangono che due dei tanti quadroni che in
epoca veneta furono fatti eseguire per celebrare la potenza della
Serenissima repubblica e che ora sono stati trasportati nel museo
della città: una tela del 1574, nella quale sono raffigurati il
Redentore che sostiene il globo, S. Rocco, S. Martino, i luogotenenti
e i deputati, dipinta dal sanvitese Pomponio Amalteo, buon
lavoro soprattutto piacevole per la bella visione a volo d'uccello di
Udine; un'altra tela del 1586 con soggetto analogo (Luogotenente che
rende omaggio al Redentore) dell'udinese Francesco Floreani.
Di fronte alla loggia del Lionello, sul terrapieno ai lati del colle
su cui sorge il castello, si hanno la Loggia e la Chiesa di San
Giovanni, erette su modello presentato, nel 1533, da Bernardino
da Morcote, lapicida ed architetto lombardo. La loro realizzazione
ha comportato il superamento di non poche difficoltà sia di ordine
urbanistico (poiché si trattava di chiudere la piazza sul lato del
colle) che pratico, in quanto già esisteva la torre dell'Orologio alla
quale loggia e chiesa avrebbero dovuto addossarsi. Ne sortì un'opera
felicissima, di sapore brunelleschiano per il nitore delle sue linee,
spartita da un ampio e monumentale arcone di tipo albertiano che
sottolinea l'ingresso alla chiesa di S. Giovanni, oggi tempietto dei
Caduti.
Ancora nella piazza, la Torre dell'Orologio (costruita da
Giovanni da Udine nel 1527), ricalcante lo schema della più nota
torre di piazza San Marco del lapicida lombardo Benedetto degli Astori
(in origine il leone era dorato): alla sommità i due mori che battono
le ore, sculture di Vincenzo Luccardi (1850).
Sul terrapieno della piazza fanno bella mostra di sé le due popolari
statue di Ercole e Caco, affettuosamente ribattezzate Florean e
Venturin dagli udinesi (secolo XVII, sculture di Angelo de Putti);
la colonna con la elegante statua di Giovanni Battista Comolli
(1819), eretta a ricordo del trattato di Campoformido; ai piedi del
terrapieno una fontana dall'armoniosa semplicità delle forme, per
lunghi anni creduta opera di Giovanni da Udine, quando invece
fu eseguita - pare - da maestro Cipriano lapicida su disegno del
bergamasco Giovanni Carrara (1542).
Da piazza Libertà si sale al Castello, si attraversa l'Arco,
sormontato dal Leone Veneto, che nel 1556 Andrea Palladio
progettò in onore del luogotenente veneziano Domenico Bollani,
congiungendosi alla loggia di S. Giovanni: opera notevole per
il senso di forza che sprigiona dal rustico bugnato e per il ricco
cornicione a triglifi, patere e bucrani; si percorre quindi la
Loggia detta del Lippomano dal nome del luogotenente che ne ordinò
la costruzione (1487), un lungo viadotto coperto, diviso in quattro
corpi ascendenti, legati da brevi scale che l'ininterrotta serie di
archi trilobi rende di sicuro piacevole effetto.
Si giunge così alla Chiesa di S. Maria, la più antica della
città, costruita in un luogo in cui già nell'VIII secolo doveva
esistere un edificio sacro: alcuni frammenti decorativi, tra cui un
Cristo Logos, ne presuppongono la costruzione in epoca longobarda,
sotto Liutprando, ma è anche possibile che addirittura in precedenza
sorgesse qui una chiesa. L'attuale costruzione risale tuttavia ai
secoli XII-XIII; importanti rimaneggiamenti avvennero nel Cinquecento,
mentre l'interno fu completamente trasformato in epoca neoclassica
(1797-1801).
I restauri di una settantina d'anni fa (1929-31) hanno tuttavia
permesso di recuperare, almeno all'interno, l'originario spirito
romanico. La facciata risale al 1513-1526 ed è stata eseguita da
Bernardino da Morcote su progetto di Gaspare Negro cui era
stato affidato l'incarico dopo il terremoto del 1511.
La facciata è divisa orizzontalmente in due parti: l'inferiore,
tripartita da lesene corinzie sormontate da capitelli dello stesso
ordine, presenta ai lati due finestre di notevole dimensione, mentre
nella parte centrale fa bella mostra di sé un ampio portale, ricco di
effetti chiaroscurali; la superiore ricorda molto da vicino
nell'impianto compositivo l'analoga parte del duomo di Cividale.
Anche il bel Campanile, sormontato dall'angelo girevole con l'indice
puntato ad indicare la direzione dei venti, che con i suoi 43 metri in
altezza domina la vasta pianura friulana ed è un po' il simbolo di
Udine e dell'intero Friuli, fu eseguito su progetto di Gaspare
Negro ma, forse per mancanza di denaro, la costruzione fu sospesa
dopo 48 giorni dall'inizio dei lavori (1515) all'altezza della cella
campanaria. I lavori furono ripresi nel 1539 ed ultimati l'anno
seguente: intanto però al Negro si era sostituito Giovanni da Udine,
cui si devono cella campanaria, tamburo e cupola emisferica.
L'interno della chiesa di S. Maria di Castello è a tre navate
divise da ampie arcate a tutto sesto; l'abside centrale e la laterale
destra conservano importanti affreschi, quasi del tutto scomparsi
invece nell'absidiola di sinistra. Affreschi medioevali, provenienti
da altri edifici, statuaria in legno e in pietra decorano la chiesa.
Nell'absidiola di destra, a fresco, sono raffigurati la Deposizione
dalla Croce nel catino, gli Apostoli nell'emiciclo, un offerente
(resto di un vasto velario) nel basamento, la Morte della Vergine ed
il Battesimo di Cristo sulla parete esterna sinistra.
La loro esecuzione può essere fatta risalire alla metà del XIII
secolo: ne furono validi autori artisti influenzati probabilmente, più
che dal l'arte aquileiese, da quella dell'Austria meridionale. Di
timbro occidentale sono il vivo gusto espressionistico e l'assoluta
mancanza di proporzioni, evidente soprattutto nel corpo del Cristo
staccato dalla croce da Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea, e nelle quinte
architettoniche simboleggianti Gerusalemme.
Ad un pittore del tardo Trecento paiono invece appartenere i guasti e
restauratissimi affreschi dell'abside centrale, che presenta varie
stratificazioni, dove si vedono l'Incoronazione della Vergine, la
teoria degli Apostoli, figure di Santi e la Dormitio Virginis.
Alla chiesa di S. Maria è addossata la Casa della Confraternita,
edificio medioevale restaurato nel 1930.
Domina il colle e la città di Udine l'ampio, maestoso Castello.
Da tempo immemorabile, certo prima ancora del periodo longobardo,
sorgeva sul colle di Udine un castello fortificato che nel 1222
divenne dimora del Patriarca. Ampliato e ristrutturato, ingrandito e
abbellito di torri e mura, gravemente danneggiato dal terremoto del
1348 ma in breve ricostruito, il castello venne completamente raso al
suolo dal terremoto del 1511.
Il progetto di ricostruzione venne affidato all'architetto Giovanni
Fontana, di origine lombarda ma abitante in Venezia. Il 2 ottobre
1517 si diede avvio alla costruzione, cui attesero con temporaneamente
più di cinquecento uomini. La complessità del lavoro, la vastità della
fabbrica e forse anche la difficoltà di reperire i fondi necessari,
fecero sì che la costruzione procedesse a rilento, tanto è vero che
quando nel 1519 il Fontana lasciò Udine dove si era trasferito per
dirigere i lavori, in pratica si erano terminati solo il pianterreno e
l'ammezzato. In seguito Giovanni da Udine, cui toccò, intorno
al 1547, di proseguire e concludere il palazzo, mutò forse il progetto
originario nella parte che ancora restava da costruire, inserendovi il
bello scalone esterno a due rampe sul lato nord, che conferì
all'edificio un aspetto di impronta decisamente romano-cinquecentesca,
diverso da quello proposto dal Fontana.
Altre modifiche interne vi furono apportate nei secoli successivi per
adibirlo a vari usi: caserma, carcere, sede municipale.
Oggi il castello si presenta maestoso, possente nella sua struttura,
articolato dalla successione di finestrelle, balconi, finestre ed
arricchito nella parte centrale della facciata dal classico motivo dei
tre fornici affiancati da colonne e lesene che, pur nella
interpretazione sostanzialmente lombarda, richiama alla memoria gli
archi trionfali romani.
Dal 1906 il Castello è sede dei Civici Musei e Gallerie di Storia e
Arte di Udine. Riaperto al pubblico nel 1990, dopo la chiusura
imposta dal terremoto del 1976, è sede delle seguenti sezioni museali:
Lapidario; Museo Archeologico e Raccolte Numismatiche; Galleria di
Arte Antica; Galleria dei disegni e delle stampe; Museo Friulano della
Fotografia. La Galleria di Arte Antica, che occupa il piano nobile ed
ingloba il grande Salone del Parlamento, ricco di memorie storiche e
di affreschi e dipinti del XVI-XIX secolo, è costituita non tanto da
opere provenienti dal collezionismo privato (anche se esse non
mancano, e ce n'è di Bicci di Lorenzo, di Fiorenzo di
Lorenzo, di Bernardo Strozzi, la cui bellissima Berenice è
senz'altro uno dei pezzi migliori del museo), quanto da dipinti, o
statue, raccolti nelle chiese, nelle case, nei palazzi della regione
così da permettere al visitatore di seguire con sufficiente chiarezza
l'evoluzione dell'arte in questa zona, soprattutto nel periodo che va
dal XV al XVIII secolo.
Un'arte che può essere sostanzialmente definita veneta nella sua più
larga accezione anche se i pittori friulani, soprattutto nel
Quattro-Cinquecento, influenzati come sono dalla pittura e dalla
grafica tedesca, accentuano quel tono di nordicismo, quella secchezza
della linea che è anche nota peculiare dei minori artisti veneti.
Tra i pittori del Quattrocento possiamo ricordare Andrea Bellunello,
la cui grande tela (ben 284 per 908 cm) con la Crocifissione, Santi,
il Leone di San Marco e le insegne della città di Udine, fu eseguita
nel 1476 per la sala del Consiglio di Udine: il colore, per effetti
chimici, si è alterato per cui il quadro è scarsamente godibile; e
tuttavia compaiono ad evidenza i motivi dominanti l'arte di questo
rinnovatore della pittura friulana: asprezze di tipo nordico e durezza
di impaginazione; Domenico da Tolmezzo, il maggior intagliatore
del XV secolo, qui presente con una delle rare sue opere di pittura:
l'ancona di S. Lucia (1479), in cui neppure un aurorale respiro
rinascimentale avvertibile nella struttura architettonica riesce a far
dimenticare una certa rozzezza tecnica e la sordità del colore;
Vittore Carpaccio, che con la tela del Cristo e gli strumenti
della Passione dipinta nel 1496 per la chiesa di S. Pietro Martire di
Udine offrì, attraverso la nuova impaginazione che teneva conto dei
raggiungimenti di Antonello da Messina, motivi di profonda
meditazione ai pittori friulani.
Tra questi Giovanni Martini, di cui vediamo una lunetta con S.
Domenico, parte superiore della pala di S. Orsola dipinta nel 1507
sempre per la chiesa di S. Pietro Martire di Udine e ora a Brera;
Girolamo da Udine, la cui Incoronazione della Vergine, bella ma
assai guasta, è l'unica opera conosciuta (ca. 1507); Pellegrino da
San Daniele che nella maturità arricchì il proprio linguaggio
accostandosi alla maniera del Giorgione, del Pordenone e dei pittori
di scuola ferrarese, come è dato di vedere proprio nei dipinti
conservati in museo: una grande Annunciazione (1519) eseguita per la
Confraternita dei calzolai di Udine, e le portelle per l'organo del
duomo di Udine (1519-21) con la Consegna del pastorale a S. Ermacora e
i Dottori della Chiesa.
Il Cinquecento è ben rappresentato da un Eterno Padre (1527) di
Giovanni Antonio da Pordenone, da un'Estasi di S. Francesco di
Pomponio Amalteo, dipinta per la chiesa di S. Francesco di Udine
tra il 1560 ed il 1570, pregevole per l'impaginazione ampia e per la
delicatezza del panneggio; dai quadri di Sebastiano Florigerio e
Nicolò Frangipane, dalla splendida tavola con l'Adorazione dei Magi di
Ridolfo e Michele di Ridolfo del Ghirlandaio e da una tela con
l'Estasi di S. Francesco che viene comunemente attribuita al
Caravaggio e che proviene dalla chiesa di S. Giacomo di Fagagna,
da un quadrone del 1595 di Palma il Giovane con la Vergine e il
Bambino, S. Ermacora e S. Marco (che può essere interpretato come la
Dedizione di Udine a Venezia), nel quale è motivo degno di nota lo
scorcio con la delicata e attenta rappresentazione di piazza Libertà
con i suoi monumenti, il castello e la loggia di S. Giovanni.
Del Seicento, accanto a dipinti di maestri veneti operanti nella
regione, si ha una bella serie di quadri di Antonio Carneo: Il
giramondo, vivace ed immediato ritratto ricco nell'impasto cromatico,
tenuto su toni color marrone, ed esuberante nel tocco (1670), la
Meditazione, la Sacra Famiglia venerata dal luogotenente e dai
deputati (ca. 1667), grande quadro di maniera. Il museo inoltre
possiede alcuni ritratti di Sebastiano Bombelli.
Numerosi sono infine i dipinti dello splendido Settecento veneto, tra
cui la pianta prospettica di Udine (ca. 1650), opera di Giovanni
Battista Cosattini, ma a lungo attribuita al Carlevarijs, alcuni
dipinti del carnico Nicola Grassi, seguace del Piazzetta, tra
cui Loth e le figlie, l'Incontro di Giacobbe e Rachele (ca. 1730-40),
l'Adorazione dei Magi (ca. 1735) e i due grandi quadroni raffiguranti
Giacobbe discopre il pozzo e Rachele al pozzo, un tempo in palazzo
Fistulario, e quattro splendidi pezzi di Giambattista Tiepolo:
S. Francesco di Sales (ca. 1730-35) ed un Angelo custode (1737)
provenienti dalla chiesa (soppressa) di S. Maria Maddalena dei
Filippini di Udine, la Fortezza e la Sapienza (1740-43) che decorava
il soffitto del salone di palazzo Caiselli a Udine e il Consilium in
arena del 1749-50, eseguito in collaborazione con il figlio
Giandomenico. Celebre quadro che ricorda un particolare episodio: il
conte Filippo Florio, udinese, aveva fatto domanda nel 1740 per essere
ammesso quale cavaliere di giustizia nell'ordine di Malta e poiché il
priorato di Venezia aveva opposto rifiuto dicendo che i nobili di
Udine non avevano i requisiti necessari, si fece ricorso all'autorità
pontificia la quale, dopo alcuni anni, stabilì che la controversia
fosse discussa dal consiglio stesso dell'ordine di Malta. Alla seduta
partecipò, in qualità di rappresentante di tutta la nobiltà udinese e
difensore delle ragioni del Florio, il conte mons. Antonio di
Montegnacco nel settembre del 1748. Il Montegnacco ottenne la conferma
del diritto non solo del Florio, ma dell'intera nobiltà udinese, di
essere iscritta all'ordine di Malta e per ricordare l'avvenimento
commissionò al Tiepolo il dipinto fornendogli una lunga, dettagliata
descrizione di ciò che aveva visto.
Il Tiepolo in questo piccolo capolavoro si comporta da fotografo-
cronista scendendo tra la folla dei personaggi per fissarne con
simpatia, ma anche con sottile e pungente umorismo, certi umani
veristici atteggiamenti in un'atmosfera resa viva e animata
dall'intensa e guizzante pennellata e dalla sapiente distribuzione
della luce.
Un'intera sala è dedicata ai dipinti del carnico Nicola Grassi.
Nell'Adorazione dei Magi, così come nell'Incontro di Giacobbe con
Rachele, nell'Assunzione della Vergine come nell'Ultima Cena, è
possibile ritrovare quella pittura sempre robusta, ma ad un tempo resa
aggraziata dai prestiti piazzetteschi ed aggiornata sui modelli
illustri forniti dal Ricci, dal Pellegrini, dal Tiepolo, che si ammira
anche nei dipinti delle chiese carniche di Cabia e Sezza, di Tolmezzo
e di Ampezzo.
Chiudono il percorso espositivo opere di Francesco Chiarottini,
Giuseppe Bernardino Bison e Odorico Politi, appartenente
quest'ultimo in pieno al mondo ottocentesco.
Ad accrescere il prestigio del Museo contribuisce anche la Galleria
dei Disegni e delle Stampe che annovera pezzi di una certa importanza
quali i disegni di G. A. Pordenone, Luca Cambiaso, Federico Barocci,
Palma il Giovane, Agostino Caracci, Giulio Quaglio, Sebastiano Ricci,
Giambattista e Domenico Tiepolo, Francesco Chiarottini, Giuseppe
Morelli, Odorico Politi, Domenico Paghini, Michelangelo Grigoletti,
ecc.
La sezione stampe conta oltre tremila pezzi, dalle xilografie di fine
Quattrocento alle litografie ottocentesche; particolare attenzione è
stata dedicata, nell'esposizione, alla cartografia ed alla vedutistica,
soprattutto relativa al Friuli ed alla città di Udine. Spicca tra
tutti la grande veduta prospettica del 1661 Udine Metropoli del
Friuli, di Ruffoni-Gazoldi-Cosattini, edita in seconda edizione nel
1740: se ne conserva il rame inciso, ancora in ottimo stato.
Il Museo Archeologico, allogato al piano terra ed al mezzanino,
comprende una ricca collezione di manufatti aquileiesi tra cui
interessanti ambre e ceramiche. Dall'Italia meridionale provengono
terrecotte e vasi greci e magnogreci, mentre i recenti scavi
archeologici condotti in Udine e dintorni hanno permesso di recuperare
importanti documenti della storia e della preistoria del territorio.
Al Museo Archeologico si affianca il Gabinetto Numismatico, ricco d
oltre 60.000 monete e medaglie tra cui spiccano quelle delle zecche
romana e medioevale di Aquileia.
Nel piano inferiore, dietro la biglietteria, si può accedere alle
salette che nel XVI secolo erano riservate agli ufficiali e al corpo
di guardia. Nella parte più ampia, proprio sopra le carceri, è stata
collocata la collezione Ciceri, composta di varie sculture lignee che
risultano notevole espressione della religiosità popolare e della
tradizione artistica diffusa nell'arco alpino orientale, con chiari
influssi tedeschi e slavi.
Sull'erboso spiazzo al sommo del colle, da cui si gode un eccezionale
panorama sulla città, sulla aperta pianura fino al mare, sulle
ondulazioni moreniche e sulle lontane Alpi Carniche e Giulie, c'è da
ultimo da visitare la Casa della Contadinanza, ricostruzione di
un edificio che si trovava in via Vittorio Veneto nel quale si
riunivano i sindacati dei contadini friulani, dopo che, nel 1518, i
loro rappresentanti si erano rivolti al doge di Venezia per protestare
contro nuove imposte decise dal Parlamento della Patria del Friuli.
Prima del terremoto, nella casa della Contadinanza erano state
raccolte armi - non solo italiane - dal XVI al XVIII secolo, ora
collocate nella Villa Manin di Passariano.
Il Duomo.
Dove prima esisteva la chiesetta di S. Gerolamo (secolo XII), nel 1236
si incomincia ad edificare, per volere del patriarca Bertoldo di
Andechs, l'attuale cattedrale allora dedicata a S. Odorico e modellata
secondo esempi francescani (navata unica, abside semicircolare,
transetto sporgente). I lavori proseguirono sotto il patriarca
Gregorio di Montelongo, tanto che nel 1257 l'edificio era già adibito
al culto; nel corso degli anni varie furono le modifiche apportate,
finché con il patriarca Bertrando di S. Genesio, che nel 1335 consacrò
la chiesa con il titolo di S. Maria Maggiore, si attuò il progetto
trecentesco (probabilmente voluto dal patriarca Pagano della Torre,
1327-1332) che prevedeva la ristrutturazione di tipo cistercense.
Numerosi furono i rimaneggiamenti nei secoli: nel 1383 il duomo fu
allungato, nel XVI secolo si costruirono le cappelle laterali e
l'interno assunse l'aspetto di tempio a cinque navate, nel Settecento,
infine, venne quasi completamente trasformato, soprattutto ad opera di
Abondio Stazio e di Domenico Rossi. All'inizio del
Novecento, con un restauro forse un po' troppo ardito, si è provveduto
a ridare veste trecentesca alla facciata a salienti.
Annesso al duomo è il Campanile, tozza costruzione poggiante
sul preesistente battistero, iniziata nel 1441 da Bartolomeo delle
Cisterne su progetto di Cristoforo da Milano.
All'interno del campanile in cui verrà allogato il Museo del Duomo,
oltre a qualche lacerto di affresco della fine del Trecento, dovuto al
romagnolo Leonardo di Cagli, si può ammirare il bel sarcofago
del beato Bertrando, fatto costruire dopo il 1343 dal patriarca
Bertrando per contenere le spoglie dei martiri Ermacora e Fortunato e
divenuto tomba dello stesso Bertrando dopo la sua morte (1350): è
scultura dovuta con ogni probabilità al veneto De Santis.
Dei portali del duomo di Udine quello della Redenzione sulla facciata
contiene, nella lunetta, bassorilievi della Vita di Cristo, Nascita,
Crocifissione, Risurrezione e Agnus Dei: è opera di gusto nordico
della metà del XIV secolo. Il portale dell'Incoronazione vicino al
campanile fu eseguito nel 1395-96 da un maestro tedesco per l'ingresso
laterale. Venne spostato nella sede attuale durante la riforma
settecentesca del duomo. Le parti in rilievo sono di grande effetto:
belle, per la fresca ingenuità, le scene dell'Infanzia di Cristo
sull'architrave.
L'interno del duomo, grazie alla riforma settecentesca, ha acquistato
una ariosa grandiosità, che trova il suo compimento nel fastoso
presbiterio.
A sinistra la cappella di S. Marco, con altare di Giorgio Massari
(cui si deve il disegno degli altri due altari, delle cappelle che
seguono e delle tre corrispondenti sul lato destro) e pala di
Giovanni Martini (1501: S. Marco in trono con i Ss. Battista,
Stefano, Gerolamo, Ermacora, Antonio abate e Bertrando); nella
cappella seguente, pala di S. Giuseppe e predella con l'Adorazione dei
Magi e La fuga in Egitto risentono dell'influsso cimesco (Pellegrino
da San Daniele, 1500).
Alle pareti interne della facciata quadri (già portelle dell'organo)
del primo Seicento dovuti a Maffeo Verona (Sposalizio della
Vergine e Transito di S. Giuseppe). Gli affreschi settecenteschi del
soffitto delle due cappelle sono del padovano Andrea Urbani.
Seguono la cappella della Madonna della Divina Provvidenza (con
dipinto quattrocentesco e decorazioni della volta di Andrea Urbani),
e la cappella delle Reliquie, con bassorilievi settecenteschi di
Giuseppe Torretti e belle statue di Giovanni Bonazza. Sulla
parete ha trovato sistemazione un grande Crocifisso in legno datato al
1473, opera vigorosa e drammatica recentemente attribuita
all'intagliatore sanvitese Bartolomeo dall'Occhio.
Sul lato destro della chiesa, nella cappella della Santissima Trinità,
si possono ammirare una pala di G. B. Tiepolo (1738) di
notevole fattura sia nella parte figurativa che nell'arioso paesaggio
ai piedi della croce; due portelle d'organo dipinte da Pomponio
Amalteo nel 1555, forse un po' troppo affollate di personaggi,
raffiguranti la Resurrezione di Lazzaro e La probatica Piscina,
affreschi di Andrea Urbani (1749) nella volta; più in là la
cappella dei Ss. Ermacora e Fortunato, con una pala di G. B.
Tiepolo e con affreschi di Andrea Urbani; la cappella dei Ss.
Giovanni Battista ed Eustachio con la bella pala d'altare di
Francesco Fontebasso (ca. 1750) ed affreschi - ancora -
dell'Urbani; infine la cappella del Santissimo, la più raffinata e
prestigiosa del duomo. Oltre ad un quadro di Pomponio Amalteo (Gesù
scaccia i mercanti dal Tempio, 1555), la ornano due begli angeli,
preziose sculture di Giuseppe Torretti e, soprattutto, dipinti
del Tiepolo: una paletta con la Resurrezione (ca. 1730) dalla
pennellata veloce e sicura e dal bel gioco luministico e affreschi con
angeli cantori, il Sacrificio di Isacco e l'Apparizione dell'angelo ad
Abramo, nei quali si attua la fusione tra l'elemento architettonico,
plastico, pittorico: lavoro giovanile (1726) nel quale il Tiepolo
mantiene in definitiva ancora una certa corposità delle figure,
accentuata dal chiaroscuro incisivo e dall'uso di colori accesi.
Di notevole importanza per la storia dell'arte friulana sono i due
monumentali organi: quello in "Cornu epistulae", opera di Piero
Nachini (1745), ha nella cantoria cinque dipinti con Storie dei
Ss. Ermacora e Fortunato, di Giovanni Antonio Pordenone (1528),
nelle quali si notano scorci arditissimi, particolari effetti
luministici, figure massicce, ottima impaginazione delle scene;
l'organo in "cornu evangelii", costruito originariamente da
Vincenzo de Columbis nel 1550 e rifatto da Francesco Dacci
nel 1758, porta nella cantoria dipinti relativi all'Infanzia e alla
Vita di Cristo, opera degli udinesi Giovanni Battista Grassi e
Francesco Floreani (1556).
La parte che più ha risentito della riforma settecentesca è il
presbiterio dominato dal monumentale complesso dell'altar maggiore del
Torretti (1718) che perfettamente si inserisce nello
scenografico ambiente. L'altare si presenta come un insieme
architettonico costituito dall'urna in cui giace la figura del beato
Bertrando nell'atto di risvegliarsi dal sonno della morte e da due
pilastri quadrangolari che lo fiancheggiano e su cui poggiano le
statue dell'arcangelo Gabriele e della Vergine; figure corpose
dall'ampio panneggio dove elemento primario diventa la linea nervosa
ed incisiva che crea una serie di piani sui quali scivola dolcemente
la luce. Magniloquenti sono anche i due altari del Nome di Gesù e del
Nome di Maria, con colonne tortili, progettati da Giuseppe Pozzo;
i mausolei Manin, con gruppi statuari di Giuseppe Torretti, Antonio
Corradini, Pietro Baratta, Tommaso Bonazza.
Davanti ai mausolei, i dossali lignei, riservati in origine l'uno al
patriarca, l'altro al luogotenente, che gli intagliatori Francesco
Picchi e Matteo Calderoni eseguirono intorno al 1720, su disegno del
Torretti: ogni dossale è diviso in sei riquadri, separati da telamoni
che delimitano Scene bibliche.
Le volte del presbiterio e del coro hanno affreschi del Dorigny
(1654-1742); distrutti nella parte della calotta, e del cupolino nel
1945, sono stati rifatti dall'udinese Fred Pittino qualche anno
fa.
Una porticina nascosta tra gli stalli del coro, dietro l'altar
maggiore, permette di arrivare alla cappella di S. Nicolò, nella quale
è stato riscoperto all'inizio del secolo il più importante ciclo
pittorico trecentesco dell'intero Friuli, dovuto a Vitale da
Bologna, giunto ad Udine nel 1348 per affrescare la cappella
maggiore del duomo con Storie dell'Antico e Nuovo Testamento di cui
rimangono alcuni riquadri, mutili, rinvenuti nei restauri del 1970
(Susanna al bagno, Flagellazione).
Nel 1349 su commissione della Fraterna dei Fabbri, affrescò la
cappella di S. Nicolò con Scene della vita del Santo, nelle quali
traspare il suo particolare giottismo: nei Funebri di S. Nicolò, ad
esempio, l'artista sembra non aver colto altro che l'aspetto esteriore
del ritmo architettonico delle figure di Giotto e del loro rapporto
con lo spazio retrostante. Le figure tese, ridotte ad un profilo
sempre più sottilmente trattato, hanno volti leggermente piegati quasi
a staccarsi dall'impianto architettonico generale.
La sagrestia del duomo conserva nei vari ambienti alcune opere d'arte
di notevole qualità: andranno visti gli affreschi del soffitto ed i
monocromi delle pareti con scene di storia della Chiesa friulana di
Pietro Antonio Novelli (1790) che si fece aiutare, per la
decorazione, dal quadraturista Giuseppe Morelli: l'Assunta in marmo di
Giuseppe Torretti; tele di G. B. Grassi, di G. A. Pordenone,
di Giacomo Secante (un bel trittico del 1559, con il Martirio dei
Ss. Giovanni Battista, Orsola e Caterina), del Tiepolo (una
Crocifissione e Santi del 1732 circa, non tutta di mano del maestro e
comunque non tra i suoi pezzi più rappresentativi); una tavoletta
della metà del Trecento, con l'Incoronazione della Vergine nella parte
centrale ed Episodi della vita di S. Nicolò (otto scene di miracoli
vivacemente narrate) ai lati: composizione di carattere fiabesco per
la preziosità delle vesti, i colori caldi e cantanti e l'espressione
sognante dei volti: due tavolette lunghe e strette della fine del
Trecento del primo Quattrocento con storie del Beato Bertrando (il
Beato Bertrando distribuisce il pane ai poveri e l'Uccisione del Beato
Bertrando).
Altre chiese: la Chiesa della Purità, di fronte all'ingresso
laterale del Duomo, era in origine un teatro e venne trasformato dal
1757 al 1760 dal capomastro Luca Andrioli, che tradusse,
impoverendoli, moduli massariani nella facciata, dividendo all'interno
il vano in due piani. Quello inferiore venne adibito a chiesa e si
presenta come una grande aula dal soffitto piuttosto basso.
A decorarlo venne chiamato Giambattista Tiepolo che nel 1759
affrescò il soffitto con l'Assunta nel riquadro centrale e Gloria di
Angeli nei due minori, mentre le pareti vennero dipinte a chiaroscuro
su fondo oro da Giandomenico Tiepolo con otto scene: nella
parete sinistra Eliseo e i fanciulli aggrediti dagli orsi, l'Ingresso
in Gerusalemme, Giacobbe morente che benedice i figli, la Disputa coi
dottori; a destra Nabucodonosor condanna i tre giovani alla fornace
ardente, il Trionfo di David, i Maccabei con la madre davanti ad
Antioco e Gesù tra i fanciulli. Entrambi i Tiepolo, padre e figlio,
vollero apporre la firma e Giandomenico aggiunse la data 1759.
A Giovan Battista Tiepolo appartiene anche la bella pala
dell'altar maggiore con l'Immacolata, purtroppo alterata dai restauri
ottocenteschi. Sul lato sinistro una bella acquasantiera con graziosi
putti sul fusto, proveniente dal duomo. opera di Giovanni di Biagio da
Zuglio, 1480.
A pochi passi dal duomo c'è anche la Chiesa di S. Francesco
(oggi sconsacrata ed adibita a luogo per esposizioni temporanee), una
delle prime edificate in Udine, essendone la costruzione iniziata nel
1260. Fu consacrata sotto il patriarca Gregorio di Montelongo nel
1266, quando tuttavia non era ancora ultimata. Subì nei secoli
ampliamenti e modifiche che portarono, alla fine del Settecento, ad un
completo snaturamento dell'edificio rivestito di forme barocche. Dopo
i bombardamenti dell'ultima guerra che la ridussero ad un ammasso di
rovine, fu restaurata e riportata nei limiti del possibile all'antica
struttura.
Oggi si presenta con pianta a croce latina, mattone a vista, facciata
a capanna nella quale campeggia, come d'uso, un rosone qui inserito in
un quadrato (1435); all'interno, navata unica articolata in tre
cappelle nella zona absidale e caratteristica copertura a carena di
nave. La affianca il bel Campanile a canna quadrata, che nonostante la
presenza nella loggia campanaria di bifore ad archi ogivali, appare
ancora legato a concezioni romaniche.
Trasportate altrove le numerose opere d'arte mobile che conservava,
sono rimasti in loco gli affreschi fatalmente in disastroso stato di
conservazione. Interessante il Lignum Vitae, l'albero della vita,
integrato pittoricamente nelle molte parti mancanti. Iconograficamente
riconducibile allo stesso soggetto di Sesto al Reghena o a quello del
refettorio di S. Croce a Firenze, pare doversi assegnare a maestranze
veneziane del secondo quarto del Trecento.
Tra gli altri affreschi trecenteschi (tra cui un bel S. Ludovico da
Tolosa, quasi identico a quello della chiesa francescana di Cividale
ed assegnabile a pittori riminesi), meritano un cenno le Storie di S.
Odorico (attualmente in restauro) appartenenti probabilmente ad un
maestro locale della fine del XIV secolo, in cui la componente
vitalesca si fonde con motivi desunti dal gotico internazionale, in un
insieme di chiaro e gustoso sapore popolano.
Il Santuario di S. Maria delle Grazie è tra i più celebri e
frequentati della regione. Dove ora sorge la grande basilica già nel
XII-XIV secolo esisteva una chiesetta dal titolo di San Gervasio. Si
deve ai frati Servi di Maria, giunti nel 1479 a Udine, l'ampliamento
della chiesa e la costruzione del convento: si ha notizia infatti di
innumerevoli lavori compiuti nel XVI e XVII secolo.
La chiesa attuale, tuttavia, ad aula ampia ed alta con coro
sopraelevato e con pronao di Valentino Presani (1851), risente
soprattutto dell'intervento di Giorgio Massari (1730) che
ripeté qui lo schema dei Gesuiti di Venezia. La basilica conserva
qualche opera d'arte di pregio. La più famosa è forse la Madonna con
Bambino e Santi, nell'altar maggiore, che Luca Monverde dipinse
nel 1522 in modo tanto egregio da far dire al Vasari che "se più
lungamente fusse vissuto, sarebbe stato eccellentissimo". Ancora vanno
viste due buone tele di Giuseppe Diziani nella cappella della
Vergine: Ester dinanzi ad Assuero e Giuditta con la testa di Oloferne;
qualche quadro di pittore secentesco locale (Vincenzo Lugaro, Eugenio
Pini) o di Domenico Tintoretto; affreschi di Gaspare Negro
(1518) nella vecchia cappella della Vergine e decorazione del soffitto
della navata di Lorenzo Bianchini (episodi della storia del Santuario,
fine Ottocento).
Per la natura stessa del luogo, le opere più interessanti sono però
quelle legate alla devozione popolare: il culto della Madonna delle
Grazie è legato alla venerata immagine, una tavoletta probabilmente
trecentesca che, si dice, il luogotenente Giovanni Emo, che era stato
"console generale" a Costantinopoli, aveva avuto in dono dal sultano
Mehemed II ed aveva portato con sé ad Udine nel 1479.
Alla pietà mariana si accompagna l'offerta, tra l'altro, di exvoto: la
raccolta di ex-voto in pittura e in oreficeria che il convento
possiede è la più importante della regione, nonostante vendite, furti,
normale deperimento l'abbiano decimata soprattutto per quanto riguarda
gli oggetti più antichi.
Particolarmente caratteristica la così detta maschera del diavolo,
quattrocentesca armatura di molto pregio, legata ad una curiosa
leggenda popolare.
Edificio di qualche pregio è la Chiesa di S. Giacomo, eretta
alla fine del Trecento, ma con facciata del 1525 dovuta a
Bernardino da Morcote che operò secondo i canoni dei lapicidi
lombardi del Cinquecento, sviluppando la facciata in altezza e
accentuando un gioco vibrante di luci e di ombre (che si addensano
nelle finestre, nel grande portale, nei fornici della torre) e
spezzando le linee sì da precorrere soluzioni manieristiche.
Elemento architettonico importante (ed insolito) è il poggiolo nel
quale trova posto una Madonna con Bambino in pietra di Giorgio da
Carona (1475): di lì veniva celebrata, durante il mercato del
sabato, una messa, in modo che "i rivendigoli e le rivendigole" non
venissero distratti dalle eventuali occupazioni né dovessero
abbandonare il banco di vendita.
All'interno la chiesa (cui nel 1774-78 venne addossata la facciata
della Cappella delle Anime che riprende - pur con mutato gusto - lo
stile della facciata cinquecentesca) conserva opere d'arte di maestri
locali (pale di Fulvio Griffoni, Antonio e Giacomo Carneo, affreschi e
dipinti di Pietro Venier) e qualche buona scultura tra cui la Donna
velata di Antonio Corradini, artista celebre per l'abilità con cui
lascia intravedere la presenza del corpo sotto la trasparenza delle
vesti.
Da ricordare ancora la Chiesa di S. Pietro Martire con la pala
di Pomponio Amalteo (Martirio di S. Pietro), dipinti
cinquecenteschi ed affreschi nel soffitto dell'aula di Nicolò
Baldassini e Andrea Urbani, 1745, e sculture del Torretti;
la deliziosa settecentesca Cappella Manin, che le sculture e gli
altorilievi di Giuseppe Torretti, qui in una delle sue più alte
realizzazioni, impreziosiscono; la Chiesa di S. Cristoforo con
il bel portale maggiore di Bernardino da Bissone (1518); la deliziosa
Chiesa di S. Chiara dal soffitto affrescato nel 1699 da
Giulio Quaglio e l'annesso Collegio Uccellis nel cui refettorio si
trova un affresco di scuola emiliana del XIV secolo; la Chiesa di
S. Giorgio contenente la notevole pala del 1529 di Sebastiano
Florigerio, che mostra qui la sua adesione alle formule
pordenonesche; la Chiesa del Carmine il cui soffitto barocco è
il più scenografico tra quelli affrescati in Friuli; in una cappella
conserva il sarcofago del Beato Odorico da Pordenone, pregevole
scultura del veneziano Filippo de Santis, 1331, poggiante su
quattro robuste colonne: presenta nella faccia anteriore la
raffigurazione del corpo del Santo calato nella tomba alla presenza
del patriarca Pagano della Torre, di sacerdoti e del gastaldo di Udine
Bernardiggi; in quella posteriore Odorico predica e compie guarigioni
miracolose; figure di Santi e Annunciazione, quasi a tutto tondo,
all'estremità delle specchiature.
Tra i palazzi, il più celebre della città è certamente il Palazzo
Patriarcale, ora Arcivescovile, oggi sede del Museo Diocesano e
Gallerie del Tiepolo. È dovuto, nella sua attuale sistemazione,
principalmente all'architetto Domenico Rossi che, chiamato nel 1708
dal patriarca Daniele Delfino, apportò sostanziali modifiche al
preesistente edificio, costruendo l'ala con la biblioteca e la scala
in ovato, innalzando il corpo principale con il bel portale, ultimando
l'ala nord e infine, nel 1725, lo scalone d'onore. All'interno
conserva una serie stupenda di affreschi giovanili di Giambattista
Tiepolo che nel soffitto dello scalone d'ingresso all'inizio del
1726 dipinse la Caduta degli angeli ribelli: vi prevale il carattere
scenografico con un certo squilibrio derivante dalla presenza del
motivo a stucco in alcune parti della composizione (il che accentua
l'illusionismo prospettico ed il rilievo), dai colori grevi e da una
eccessiva tendenza al naturalismo. È tuttavia sorprendente come man
mano che si sale lo scalone, la scena acquisti maggior veridicità.
Negli anni successivi (1727-1728) l'artista realizzò nella galleria
dello stesso palazzo, entro ornati architettonici a stucco del
quadraturista Girolamo Mengozzi Colonna, la decorazione in
affresco con soggetti biblici: nei tre scomparti del soffitto della
Galleria sono dipinte le scene con Agar nel deserto, il Sacrificio di
Isacco, e il Sogno di Giacobbe, mentre sulla parete destra sono
raffigurati Abramo e gli angeli, Rachele che nasconde gli idoli e
l'Angelo che appare a Sara. I sei episodi principali sono alternati
con scene minori in chiaroscuro allo scopo di alleggerire l'insieme.
La struttura lunga, irregolare dell'ambiente e la sua esuberante
luminosità condizionarono in senso positivo l'artista costringendolo
ad adottare soluzioni nuove pur senza rinunciare al precedente credo.
Sostanziale trasformazione subisce il colore che, fattosi luminoso e
trasparente, si riallaccia in particolare alla tradizione veronesiana;
ma oltre a ciò egualmente nuovo è l'accostamento al dato reale che si
traduce in brani paesaggistici di sorprendente modernità e singolari
notazioni personali (si veda ad esempio, nella scena principale,
l'autoritratto nel Giovane con l'insolito copricapo e il ritratto
della moglie Cecilia nei panni di Rachele).
Ultimati i lavori nella galleria, nel 1729 il Tiepolo diede inizio
nella "sala del trono" dello stesso palazzo arcivescovile alla serie
dei ritratti dei Patriarchi di Aquileia e nello stesso anno passò ad
affrescare la "sala rossa" (già tribunale ecclesiastico) col Giudizio
di Salomone nel soffitto e i profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e
Daniele ai quattro angoli. Si passa poi nella "sala Gialla", priva di
particolarità artistiche, ed infine nella "sala Azzurra", il cui
soffitto è coperto da affreschi (grottesche e riquadri con scene
sacre) già assegnati a Giovanni da Udine ed ora ritenuti della
fine del secolo XVI.
Nella seguente stanza, la celebre Biblioteca patriarcale ricca di
migliaia di volumi, c'è qualche buona tela di Nicolò Bambini.
Al primo piano del Palazzo è esposta una ricca collezione di sculture
lignee che documentano l'evoluzione di quest'arte in Friuli dal XIII
al XVIII secolo: tra i pezzi più importanti, la statua di S. Eufemia
della metà del XIV secolo (da Segnacco), l'altarolo di S. Nicolò della
fine del XIII secolo (da Majano), sculture di Giovanni Martini,
Antonio Tironi, Francesco Floreani e un grande polittico
intagliato e dipinto, con dieci statue entro una struttura
architettonica di tipo gotico-fiammeggiante, opera di Domenico da
Tolmezzo (1488) già nella pieve di Invillino dove è ora sostituito
da una copia.
Ai lati del Palazzo Arcivescovile, due edifici di un certo interesse:
la Chiesa di S. Antonio abate, la cui facciata del 1731 è
dovuta a Giorgio Massari il quale, nell'eleganza delle
rifiniture e nell'esattezza delle proporzioni, contempera la
raffinatezza della decorazione barocca con la sobrietà delle nascenti
istanze neoclassiche; ed il Palazzo della Provincia (Antonini-Belgrado),
che all'interno è affrescato con Scene storiche e mitologiche del
comasco Giulio Quaglio (1698) e che ha una ricca quadreria.
Edificio di notevole peso culturale è il Monte di Pietà, ora
sede della Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, iniziato già nel
1556-67 da Francesco Floreani, ma radicalmente rinnovato ed ampliato,
a partire dal 1663, dal milanese Bartolomeo Rava il cui progetto fu
quindi controllato da Jacopo Benoni.
Nella sua monumentale facciata, classicismo palladiano e barocco
trovano una loro felice intesa: la parte inferiore in bugnato rustico
si apre in cinque solenni arcate impostate su robusti pilastri; la
superiore, intonacata, è caratterizzata dalla presenza di due grandi
trifore con balaustra a tre aperture a tutto sesto divise da lesene.
Incorporata nel palazzo è la graziosa Cappella, completamente
affrescata nel 1694 da Giulio Quaglio, con un notevole altare
(1694), con bassorilievo nel paliotto di Giovanni Comin (Salita
al Calvario) e gruppo marmoreo con la Pietà di Enrico Merengo (Heinrich
Meyring), che si offre con i suoi larghi piani sereno alla luce.
Palazzo Antonini, ora sede della Banca d'Italia, fu realizzato
da Andrea Palladio nel 1556 su commissione del conte Floriano
Antonini. La costruzione, che si protrasse fino al XVII secolo, pur
non rispecchiando compiutamente il progetto del Palladio, che per i
molteplici impegni a Vicenza e Venezia non ebbe la possibilità seguire
i lavori personalmente (di qui le critiche mossegli per alcune
incongruenze e storture stilistiche dell'edificio), rimane egualmente
una valida testimonianza della sua geniale tematica.
Robusto e gentile ad un tempo, il palazzo offre nella sua facciata
principale una parte centrale ornata da sei possenti semicolonne
ioniche dal fusto ad alti blocchi rusticamente sbozzati; tra queste si
inseriscono la porta d'ingresso e le finestre che illuminano l'atrio.
Sopra la trabeazione del primo ordine si slanciano invece sei lisce
colonne corinzie, tra i cui piedistalli si alternano le balaustre dei
poggioli di cinque grandi finestroni che danno luce al salone. Alla
severità della fronte si contrappone la facciata posteriore,
ingentilita da due logge sovrapposte, l'inferiore a colonne ioniche,
la superiore corinzie, ariosamente aperta sul giardino.
Tipico esempio di architettura dei primi decenni del nostro secolo è
il Palazzo del Comune, sorto per opera del friulano Raimondo
D'Aronco, forse la più significativa figura d'architetto che
l'Italia abbia espresso nel primo periodo della sua unità; fu iniziato
nel 1911 e ultimato nel 1932. Costruito tra continui pentimenti,
grandioso, fastoso, ricco di soluzioni geniali, curato fin nei minimi
particolari architettonici o scultorei che siano, il palazzo è viva
testimonianza della fervida capacità inventiva di questo singolare
rappresentante del Liberty.
Altri palazzi interessanti sul piano artistico sono il Palazzo
Antonini Mangilli del Torso (sorto alla fine del XVI secolo,
affreschi settecenteschi di Andrea Urbani e Francesco Chiarottini,
o Giuseppe Morelli); Palazzo Daneluzzi Brai da (affreschi
di Giulio Quaglio, 1695); Palazzo Beretta (sede degli
Uffici Regionali, con affreschi del 1709 e stucchi barocchi di
altissima qualità); Palazzo Antivari Kechler, ottocentesco
(architettura di Giuseppe Jappelli, decorazioni neoclassiche);
Casa Cavazzini (ciclo di affreschi di Afro Basaldella, 1937);
Palazzo Attimis Maniago (affreschi di Giulio Quaglio,
1696); Casa Politi (affreschi di Odorico Politi, 1815-18); Palazzo
Brazzà (affreschi di Andrea Urbani, 1785); Palazzo Caiselli
(affreschi di Marino Urbani e G. B. Canal, 1803, e di Ferdinando
Simoni, secolo XIX); Palazzo Mantica-Chizzola (scultura di
Carlo da Carona, secolo XVI, e affreschi di Francesco Chiarottini,
1790 ca. e di Giambattista Canal, 1807); Palazzo della Porta
(affreschi di Giulio Quaglio, 1692); Palazzo Strassoldo (sede
della Banca del Friuli: affreschi di Giulio Quaglio, 1692, entro
spettacolari stucchi dei comaschi Lorenzo Retti e Giovan Battista
Bareglio).
Nel Palazzo delle Manifestazioni, moderna struttura costruita su
progetto di Gianni Avon, è ubicata la Galleria d'Arte Moderna,
inaugurata nel 1983. In realtà la sua nascita data alla fine
dell'Ottocento, allorché un commerciante udinese, Antonio Marangoni,
ha lasciato erede di tutte le sue sostanze il Comune di Udine con
l'obbligo di acquistare ogni anno quadri di giovani pittori meritevoli
per formare in città una "Galleria".
Ora sono più di duemila - tra sculture e pitture - le opere possedute,
quattrocento delle quali in esposizione: preziosi documenti delle
vicende dell'arte in regione fino ai nostri giorni oltre che
capolavori di maestri dell'arte nazionale ed internazionale. Tra gli
artisti locali, ben rappresentati i maestri della Scuola friulana
d'avanguardia (Filipponi, Pittino, Modotto, Grassi), i
"tradizionalisti" Pellis e Davanzo, i fratelli Dino,
Mirko e Afro Basaldella e i protagonisti dell'ultimo dopoguerra,
da Pizzinato a Zigaina, ad Alviani.
Tra gli altri, i veneti Ciardi, Favretto, Brass, Nono, Tito, Milesi,
Cargnel e, per venire a tempi a noi più vicini, Spazzapan,
Carena, Vedova, Guidi ma anche Modigliani, Sironi, Cagli e
Fontana.
Fa parte integrante della Galleria d'Arte Moderna, la Collezione
Astaldi, che ne costituisce anzi il nucleo più prestigioso,
ponendosi ad un tempo come specchio di un collezionismo colto,
raffinato, intelligente e dal gusto preciso, e come silloge della
cultura figurativa italiana dall'immediato primo dopoguerra agli anni
Sessanta. Si tratta di centonovantatré pezzi, tra dipinti, disegni,
grafiche e sculture, raccolti nel corso di una vita dalla scrittrice
tricesimana Maria Luisa Costantini Astaldi e dal marito, il
costruttore romano Sante Astaldi, e pervenuti nel 1983 al Comune di
Udine per lascito testamentario. Da Severini a Santomaso,
attraverso Morandi, Campigli, Sironi, Arturo Martini, ecc.,
l'arte del Novecento italiano della Scuola Romana di Scipione, Mafai e
Pirandello è ampiamente documentata, con particolare rilievo alla
Metafisica per la presenza di sei opere di Giorgio de Chirico e
quindici di Savinio.
Notevole anche la collezione d'arte americana, degli anni Settanta,
opere pittoriche, grafiche e sculture donate dal FRIAM - Friuli Art
and Monuments - comitato che si era creato negli USA dopo il terremoto
del 1976: tra esse, lavori di Andre, Lichtenstein, Rosenthal, De
Kooning, Segal, Christo.
Da ultimo, progetti originali o modellini di opere architettoniche, in
particolare dell'architetto gemonese Raimondo D'Aronco (1857-
1932), protagonista della stagione liberty in Italia e in Turchia, di
cui il museo possiede migliaia di disegni che ne documentano in
maniera pressoché completa la vasta attività. Inoltre sono presenti
opere di Cesare Miani, Ettore Gilberti, Provino Valle, Cesare
Scoccimarro, Pietro Zanini, Ermes Midena, Angelo Masieri, Gianni Avon,
Marcello D'Olivo e Gino Valle: una vera e propria storia
dell'architettura friulana da un secolo a questa parte.
Di notevole interesse per la vita culturale della città sono anche il
Museo Friulano di Storia Naturale, che ha sede in Palazzo
Giacomelli (attualmente chiuso); la Biblioteca Civica ospitata nel
secentesco Palazzo Bartolini; la Biblioteca del Seminario e la
Biblioteca Arcivescovile, ricchissime tutte di codici miniati, di
incunaboli, di preziosi libri antichi; l'Archivio di Stato che
conserva le memorie della passata storia del Friuli.
Un cenno, da ultimo, ai monumenti di piazzale XXIV Luglio: il
Tempio Ossario, costruito dopo la prima guerra mondiale su
progetto di Provino Valle e Alessandro Limongelli
(secondo modelli rinascimentali: all'interno sculture di Aurelio
Mistruzzi, 1939; in facciata quattro statue - l'Alpino, il Fante,
l'Aviatore e il Marinaio - di Silvio Olivo che le progettò nel
1938 e le eseguì nel 1950); il Monumento alla Resistenza costruito da
Gino Valle e Federico Marconi (1959-1969), particolarmente suggestivo
e altamente simbolico; ne fa parte integrante una scultura in ferro di
Dino Basaldella.
Nelle frazioni: a Beivars, bel trittico rinascimentale nella Chiesa
di S. Giacomo: vi si ammirano le figure di S. Orsola e la Vergine
e i Ss. Giacomo, Silvestro papa, Daniele e Agostino dipinte
rispettivamente da Giacomo Secante e Bernardino Blaceo
(1560); nella Chiesa parrocchiale di Cussignacco dipinti di
Giuseppe Angeli veneto (dolcissima Madonna con Bambino e Santi,
secolo XVIII), Pietro Venier (secolo XVIII) e Leonardo Rigo
(fine secolo XIX), oltre ad una acquasantiera rinascimentale con putti
addossati al fusto similmente a quelli eseguiti dal Pilacorte o
da Carlo da Carona.
Informazioni tratte da:
GUIDA ARTISTICA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA
(a cura di Giuseppe Bergamini
)
dell'Associazione fra le Pro Loco del Friuli-Venezia Giulia
http://www.prolocoregionefvg.org |