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Trieste, 27 Giugno 2004

TRIESTE (TS)
CAP:
34100 - Altitudine (s.l.m.): 2 m  - Abitanti: 218.394 - Superficie: 84,49 Kmq

     Sede di un Castelliere preistorico e crocevia di popolazioni venete, istre, carniche e gallo-celtiche, l'antica Tergeste fu, sin dall'antichità, un' importante centro di scambi commerciali. Dopo aspre lotte, nelle quali il popolo degli Istri fu sconfitto dalle legioni romane, la città entrò a far parte della "X Regio Venetia et Istria" e nel 56 a. C., ai tempi di Cesare, venne elevata a Colonia romana. Nel 33 a.C., per volere del Console Ottaviano, fu cinta da solide mura, di cui rimane soltanto la porta meridionale, il cosiddetto Arco di Riccardo. Durante il periodo traianeo e fino alla caduta dell'Impero Romano visse un lungo periodo di prosperità; fu data sistemazione alla zona del foro, fuori delle mura, in prossimità del mare, sorse il teatro e lungo la riviera numerose ville mentre ben tre acquedotti la rifornivano d'acqua. Il Cristianesimo, che penetrò discretamente nella società dal II sec. d. C., ebbe molti martiri anche a Trieste tra i quali Giusto, eletto patrono della città. Nel Medioevo fu assoggettata da Goti, Longobardi, Bizantini e Franchi e nel X secolo Lotario III la rese feudo vescovile.
     La città riscattò la sua libertà solo nel XII e XIII sec., quando si costituì libero comune. Tra i sec. XIII e XIV dovette subire frequenti atti di sottomissione alla Repubblica Veneta (terribile fu l'assedio - saccheggio del 1368); negatogli l'aiuto dei signori italici, nel 1382 cercò la protezione di Leopoldo III d'Asburgo, evento che segnò il destino politico di Trieste per oltre cinquecento anni.
     Nel 1719 per merito della lungimirante politica di Carlo VI fu dichiarata porto franco, istituto che conferì alla città un ruolo economico e culturale di grande importanza. Tale situazione di benessere fu ulteriormente sviluppata da Maria Teresa d'Austria che, concedendo immunità e franchigie, richiamò mercanti ed imprenditori da tutta Europa. Dopo l'invasione dei francesi tornò all'Impero austriaco che potenziò ulteriormente il porto, le industrie e le società di navigazione. In seguito al lento ed irreversibile declino dell'impero asburgico, il 3 novembre del 1918 Trieste passò all'Italia.
    Dopo l'armistizio del 1943, Trieste e la Venezia Giulia costituirono provincia a sé stante ma amministrata dal governo germanico. Dopo la liberazione dalle truppe tedesche, la città subì l'occupazione delle truppe Titine, per quaranta terribili giorni, finchè non passo sotto il controllo degli alleati. Tornò finalmente Italiana solo il 26 ottobre 1954. Nel 1977 il trattato di Osimo segnò definitivamente i confini con la Jugoslavia (Slovenia e Croazia).
     Oggi Trieste è al contempo il capoluogo della provincia meno estesa d' Italia ed anche capoluogo della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia.
     Molti furono i fattori che, nel corso dei secoli, concorsero a donarle quell'atmosfera così particolare e tanto cara ad alcuni tra i massimi nomi della cultura internazionale come James Joyce, Sigmund Freud, Rainer Maria Rilke, Giovanni Winckelmann, per non parlare dei suoi Umberto Saba, Scipio Slataper, Italo Svevo.

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Cattedrale di San Giusto
Messa in gregoriano

VERBUM RESONANS

DIECI ANNI DI CANTO GREGORIANO IN FRIULI VENEZIA GIULIA

Decennale dei Seminari Internazionali di Canto Gregoriano 1994/2004
Organizzato dall'USCI-FVG


 CAMPANE

 L'interno della Cattedrale di San Giusto, durante la celebrazione dell'Eucaristia,
 accompagnata dalla Schola Gregoriana della Polifonica "Jacopo Tomadini" di San Vito al Tagliamento

 CANTI
            

 VEDERE IL SERVIZIO >>>

TRIESTE (TS)
Monumenti e opere d'arte

Trieste è una città diversa dalle altre e come tale dev'essere visitata in modo diverso. Se anche è ricca di musei, ben forniti di opere d'arte antica e moderna, è solo girando per le sue strade, sostando nelle sue piazze che si riesce a conoscerla veramente, ad afferrare il significato di quell'aria strana, tormentosa - come la definì Umberto Saba - che circola ovunque e la rende in ogni parte viva.
Le sue strade sono un succedersi ininterrotto di palazzi, per lo più neoclassici, maestosi, severi eppure discreti, che le conferiscono un aspetto simile a quello di tante altre città europee: Vienna, Budapest, Lubiana, e che spesso, all'interno, nascondono splendidi arredamenti. Non si dimentichi che nell'Ottocento il collezionismo triestino fu un fenomeno di singolare importanza: i ricchi uomini d'affari, che giravano il mondo, avevano la possibilità di acquistare gli oggetti più disparati, quelli che poi, in parte, confluirono nelle ricchissime e varie collezioni dei musei.

Una passeggiata che partendo dalla stazione (punto d'arrivo anche per chi giunge in macchina) tocchi le Rive, piazza Unità, Cavana, piazza della Borsa, il Corso, piazza Goldoni e via Carducci, sarà sufficiente per entrare nello spirito della città. Ciò fatto, si potrà salire a San Giusto e visitare chiese e musei.

Partendo da piazza Libertà (o piazza della Stazione), si imbocca corso Cavour (bello il Palazzo delle Assicurazioni Generali, del Geringer, 1881) e si giunge al Canal Grande, scavato nel 1756 perché i velieri potessero scaricare le merci fin dentro la città. Il canale infatti giungeva fino alla chiesa di S. Antonio nuovo, mentre ora risulta interrato nell'ultimo tratto e, anche a causa del ponte fisso che impedisce il passaggio di navi a vela, non può essere frequentato che da piccole imbarcazioni.
Il canale, attraversato nel suo punto superiore da un ponte, detto Ponterosso, che dà il nome alla zona, scenograficamente chiuso dalla chiesa di S. Antonio, è fiancheggiato da bei palazzi, tra i quali il maggiore è quello che fa angolo con Riva III Novembre: è il Palazzo Carciotti, ora sede della Capitaneria di Porto, eretto su progetto di Matteo Pertsch e portato a termine nel 1806: molto imponente e articolata la facciata, dominata al centro da sei grandi colonne che si impostano sul rustico bugnato della parte inferiore e che terminano con una balaustrata sormontata da sei statue (Minerva, la Fama, la Giustizia, Mercurio, l'Abbondanza, Silvo, dello scultore A. Bosa), dietro la quale si alza su alto tamburo una cupola rivestita di rame: molto bella la parte di rappresentanza interna, soprattutto l'atrio, lo scalone adorno di statue e la sala circolare al piano nobile.

Proseguendo, mentre sulla destra si costeggia il mare (bacino di S. Giusto), a sinistra si ha l'Hotel de la Ville (arch. Giovanni Degasperi, 1839), oggi sede bancaria, dove il Verdi compose la sinfonia dello Stiffelio, e poi la chiesa di S. Nicolò dei Greci, piazzetta Tommaseo, con il celebre antico Caffè che fu centro di fermenti patriottici ed è tuttora luogo frequentato da artisti, e, dopo aver lasciato a destra il molo Audace, la grande piazza Unità, uno dei punti più belli della città.
La sua attuale sistemazione, con la vista che spazia sul mare e sulla affascinante costiera triestina, risale alla fine dell'Ottocento, quando vennero completati i lavori di abbattimento degli edifici che creavano una strettoia verso piazza della Borsa (la chiesa di S. Pietro, ad esempio, di cui venne salvato il solo rosone, prima portato nei Musei civici e poi montato sulla facciata della chiesa di S. Bartolomeo a Barcola, dove tuttora si trova) o di quelli che impedivano l'accesso al mare; Teatro Vecchio, le Prigioni, e la famosa locanda Grande nella quale l'8 giugno 1768 era stato assassinato il noto archeologo tedesco Giovanni Gioacchino Winckelmann.

Oggi lo splendido, enorme rettangolo della piazza è delimitato perfettamente da imponenti palazzi: in fondo, il Palazzo Comunale, la cui costruzione fu iniziata nel 1872 su progetto dell'architetto triestino Giuseppe Bruni (1827- 1877): è costituito da un corpo centrale aggettante, ornatissimo, sul quale si imposta la Torre dell'Orologio, e da due ali di più semplice fattura.
Da notare il ricchissimo gioco di luci e di ombre creato dalla ben calibrata disposizione dei vuoti e dei pieni. Sul lato nord est, il Palazzo Modello, eretto nel 1870 al posto della chiesa di S. Pietro su modello dello stesso Giuseppe Bruni (cui si deve anche l'idea della sistemazione urbanistica della piazza); casa Stratti, che ospita il Caffé degli Specchi, uno dei più antichi di Trieste, inaugurato nel 1839, oggi totalmente rimesso a nuovo; il Palazzo del Governo, del viennese E. Artmann (1904) con facciata rivestita di pietre bianche e mosaici e con un portico con loggia a tre arcate sporgente; sul lato opposto della piazza, Palazzo Pitteri (1780, costruzione di Ulderico Moro) ed il Palazzo del Lloyd Triestino del viennese E. von Ferstel (1880-1883), palazzo cioè della più antica società di navigazione d'Italia ed una delle più antiche del mondo.

Da piazza Unità si possono fare quattro passi tra le pittoresche vie di Cavana, che è la caratteristica parte vecchia della città; oppure, raggiungere a sinistra la vicinissima Piazza della Borsa, con l'imponente Palazzo della Borsa, dal profondo pronao e dalle enormi statue allegoriche, dovuto all'architetto marchigiano Antonio Mollari, vincitore del concorso bandito nel 1799 ed incaricato del lavoro nel 1802; il salone del primo piano è affrescato da Bernardino Bison.

Poco distante da piazza della Borsa (dove va visto anche il grande Palazzo del Tergesteo, con galleria, opera dell'arch. Buttazzoni, 1840, su disegno del milanese Pizzola), è il Teatro Verdi (il primo teatro d'Italia intitolato a Verdi) costruito su progetto del noto architetto veneziano Antonio Selva (autore del Teatro La Fenice di Venezia) e con facciata (1801) del triestino di origine tedesca Matteo Pertsch che ebbe a modello la Scala di Milano.

Si imbocca quindi il Corso Italia, detto anche semplicemente Corso, la maggior arteria cittadina, dal passeggio e dal traffico sempre intensissimi, fiancheggiato, anch'esso, da interessanti palazzi (tra cui, all'inizio, il Palazzo neoclassico progettato dal Pertsch; la Casa Ananian di G. Polli, ecc.). Si giunge quindi in Piazza Goldoni, nella quale più vie convergono e dalla quale partono la Scala dei Giganti che porta a San Giusto e la Galleria Sandrinelli, costruita nel 1904 e lunga 347 metri che, con il prolungamento della galleria di S. Vito (1912, lunga 481 metri) consente di raggiungere rapidamente la zona industriale.

Dalla piazza si giunge in Via Carducci, l'altra importante via cittadina, costruita sul letto di un torrente completamente coperto nel 1850 (ed infatti si chiamava via del Torrente). Alla fine del Settecento, un ponte gettato all'altezza dei Portici di Chiozza segnava il limite della città, oltre il quale iniziava la distesa degli orti. Via Carducci, con i suoi severi palazzi, con la sua ampiezza, con gli alberi che la abbelliscono, con i bei viali che da essa si dipartono (in particolare Viale XX Settembre, affettuosamente chiamato Viale oppure Acquedotto, perché in origine vi passava l'acquedotto teresiano) mostra a sufficienza l'impianto austriacheggiante che dominava la Trieste ottocentesca.

Il Colle di San Giusto.
Il cuore di Trieste, oggi, si è spostato in basso, ma certamente la Trieste antica è nata sul celebre colle, dal quale la vista spazia sulla città, sul golfo, e lontano, sul Carso: là dove ancora rimangono i più significativi monumenti, i più ricchi di storia e d'arte: la basilica romana, il castello, la cattedrale di San Giusto.
Il sito fu abitato fin dall'epoca romana, come testimoniano, sul grande piazzale del colle, i resti della basilica Forense del II secolo d.C., che doveva essere lunga 88 metri e larga 23,50, a giudicare dalle colonne superstiti (anche se solo limitatamente alle basi): due colonne sono state ricostruite in cotto con frammenti originali.
Della lontana, primitiva origine del Castello rimangono numerosi ricordi storici, così come delle sue molteplici distruzioni. Nel 1470 Federico III fece iniziare la costruzione di quello che è l'attuale castello e stabilì che le spese fossero sostenute dalla popolazione. La torre quadrata e l'edificio che ospita il Museo appartengono proprio a questo periodo. In seguito i veneziani, durante la loro breve occupazione del 1508, aggiunsero il bastione rotondo; gli Austriaci, ripresa Trieste l'anno seguente, ultimarono il lavoro intrapreso e fecero proseguire l'edificio sotto la direzione dell'architetto triestino Gerolamo Decio. Ampliamenti si ebbero a metà del Cinquecento e soprattutto nel primo decennio del Seicento, allorché il Castello, per opera di Pietro de Pomis, venne ultimato, con l'inglobamento delle costruzioni federiciane in tre ampi bastioni collegati con cortine.
Non ebbe però mai, il castello, funzioni militari (un po' come la fortezza di Palmanova); divenuto nel 1930 di proprietà comunale, fu attrezzato a scopo turistico (bellissima infatti è la passeggiata sulle mura che dà la possibilità di godere di un ampio panorama sui tetti della città, sul mare e sulla costiera, sul retrostante Carso), tanto che oggi nel suo capace cortile si proiettano films e si tengono spettacoli teatrali.

Fu anche creato il Museo del Castello, che pur contando qualche pezzo d'arte (una statua lignea di tipo friulano del XV secolo; una tela attribuita a Carlo Loth, ca. 1630, con il Trionfo di Venezia, ecc.) si qualifica soprattutto per la ricca raccolta di armi, molte delle quali provenienti da collezioni private; armi da taglio, da botta, da fuoco, dal secolo XVII in poi, oltre a corni da polvere e cartuccere: il tutto permette di seguire l'evoluzione storica delle armi.

La Basilica di San Giusto.
È la cattedrale di Trieste ed è anche l'edificio più famoso della città, con la sua facciata irregolare, il raffinato ricamo del rosone, il tozzo campanile. Riassume in sé quasi duemila anni di storia; sul luogo, infatti, sorgeva già nel I secolo d.C. un vasto propileo in pietra di Aurisina, con colonne distribuite in due avancorpi collegati da una scalinata, sul tipo dell'altare di Pergamo: da esso si accedeva ad un recinto sacro. Del propileo sono state rinvenute cinque colonne che si vedono all'interno del campanile, parte della trabeazione, che è murata nel campanile, la scalinata del loggiato e frammenti vari. Era un edificio, a quanto si sa, unico nel suo genere in tutta l'Europa romana.
Nel V secolo quivi sorse una basilica paleocristiana a tre navate, con pavimento a mosaico, per la quale ci si servì in qualche misura anche delle strutture del propileo; nel VI secolo, all'epoca del vescovo Frugifero, vennero apportate delle modifiche alla zona absidale. Distrutta anche questa chiesa, alla metà dell'XI secolo venne costruito e dedicato a S. Maria Assunta, probabilmente dal vescovo Adalgero di Eichsstädt, un edificio a tre navate, in parte poggiante sulla precedente costruzione. Sulla destra, in epoca carolingia secondo alcuni studiosi, tra XI e XII secondo altri, venne edificato il Sacello di S. Giusto, che fu poi allungato fino a formare una specie di chiesa parallela e gemella. Nel XIV secolo, infine, entrambe le chiese furono private di una navata: la chiesa di S. Maria Assunta della destra, S. Giusto della sinistra: lo spazio che si creò divenne la navata centrale dell'attuale chiesa, alla quale fu data anche la facciata che oggi vediamo. Il lavoro, iniziato dal vescovo Rodolfo Pedrazzani (1303-1320) fu ultimato sotto il vescovo Enrico de Wildenstein (1383-96) che consacrò la nuova chiesa. Non ci furono in seguito modifiche sostanziali. La facciata, forzatamente irregolare per aver dovuto inglobare due differenti chiese, ha terminazione a salienti nella parte destra, mentre nella sinistra si salda al campanile. È in corsi di arenaria, il che permette un violento e sempre vario brulicare della luce; al centro, il trecentesco rosone, con la sua delicata, leggera orditura, data dalla doppia serie di esili colonnine a raggiera di cui quelle esterne legate da un motivo a rosette quadrilobate e archetti trilobati che crea un piacevole effetto di trina.
Presenta tre porte: quella centrale ha degli stipiti particolari, ricavati da una grande stele romana tagliata in due parti, a tre nicchie e frontone, con i busti ad altorilievo di sei personaggi della famiglia Barbia (inizio I secolo d.C.): l'ultimo personaggio in basso a destra fu trasformato in un S. Sergio con l'alabarda simbolo di Trieste, Lapidi e Stemmi abbelliscono la facciata: si guardi la lastra che porta lo stemma e la tiara pontificia di Enea Silvio Piccolomini, che fu papa Pio II e che nel 1448-50 era stato vescovo di Trieste; ed inoltre i tre busti in bronzo (Pio II e i vescovi Rapicio, umanista, e Rinaldo Scarlicchio che ritrovò le reliquie di S. Giusto) opera di Alberto Brestyanszhy (1862) direttore del l'atélier dello scultore triestino Giuseppe Capolino e suo successore.

Il campanile fu innalzato nel 1337 ad opera di Randolfo de' Baiardi ed ultimato nel 1343 in guisa di massiccio torrione, cui l'uso di grandi blocchi di arenaria adoperati per la costruzione conferisce ancor più carattere di severa forza. Riveste il precedente campanile romanico che a sua volta inglobava parte del propileo romano. Vi è murato un fregio romano (dal frontone del propileo) con armi, corazze; sopra la porta una figura di S. Giusto di epoca gotica (con testa romana riadattata). Nella cella campanaria, dalla quale si gode un magnifico panorama, cinque campane, tra le quali il celebre campanon del peso di 4900 chilogrammi, fuso in Austria nel XIX secolo.

All'interno, la chiesa si presenta come una basilica cristiana a cinque navate. Ha copertura lignea a carena di nave rovesciata (il soffitto fu rifatto nel 1905) e capitelli di varia foggia e di varia epoca che stanno a testimoniare il complesso iter costruttivo dell'edificio. L'acquasantiera, modesto pezzo di plastica trecentesca, con decorazioni a fogliami, a dentelli, a treccia, è sormontata da una statuetta in bronzo di S. Giusto scolpita da Marcello Mascherini nel 1946.

Tra le tante opere d'arte di cui la chiesa è ricca, certamente i più appariscenti sono i mosaici absidiali e parietali. L'abside dell'ex chiesa dell'Assunta (prima a sinistra rispetto all'abside centrale) è decorata con un mosaico raffigurante la Vergine in trono tra gli Arcangeli Michele e Gabriele e, nella fascia inferiore, i dodici Apostoli. È opera di maestranze venete-ravennati dell'inizio del XII secolo, per certi raffronti abbastanza convincenti, sul piano stilistico, con alcune figure dei primi mosaici di S. Marco o con frammenti della basilica Ursiana di Ravenna (datati al 1112), mentre l'iconografia porta ad un confronto con quelli di Torcello, dove però maggiore è lo schematismo nell'esecuzione.

Seduta su un trono di aerea lievità e tenendo in braccio il Bambino benedicente, la Vergine, ieratica sullo sfondo d'oro, domina la composizione ed a lei si inchinano, reverenti, gli arcangeli. Nella fascia inferiore si snoda la teoria degli Apostoli, disposti con la solita visione bizantina, separati da una pianticella fiorita, abbastanza diversificati nelle tipologie e negli atteggiamenti. Nella parte destra una finestrella, murata nel 1438, interrompe la teoria senza però troppo disturbare la composizione, anzi conferendole quasi una nota di vivacità. Nell'abside dell'ex sacello di S. Giusto (primo a destra rispetto all'abside centrale), c'è un altro mosaico che raffigura il Cristo benedicente tra i Santi Giusto e Servulo. È mosaico più tardo di quello dell'Assunta e va riferito al XIII secolo: presenta infatti un carattere neoellenistico che però potrebbe anche essere dovuto a più generose e diffuse inzeppature (Gioseffi) del restauro ottocentesco. Le due figure sono isolate in una conca d'oro senza alcuna connotazione spaziale. Cristo, che tiene nella sinistra un libro, calpesta con il piede destro un serpente e con il sinistro un basilisco, il quale fatto viene spiegato con un'inscrizione latina che corre sotto i piedi dei due santi e che, in italiano, suona: Dio può ora regnare in eterno in maestà: ecco Cristo che cammina sul serpente e sul basilisco. Ciò ha portato a pensare che ci fosse un'allusione al Barbarossa il quale, sconfitto a Legnano (dove anche trecento triestini avevano combattuto) aveva dovuto sottomettersi a papa Alessandro III, nel 1177, a Venezia, presente anche Bernardo vescovo di Trieste.
Nei sottostanti riquadri con lunetta contenuti entro archi a tutto sesto, sono riapparsi alla luce, nel 1954, alcuni affreschi con storie di San Giusto del 1230 ca., che restavano coperti da altri affreschi, dello stesso soggetto, dipinti intorno alla metà del XIV secolo (strappati, restaurati e conservati per ora in Museo: opera del così detto Maestro di San Giusto). Raffigurano il martirio del Santo e sono in pessimo stato di conservazione: sembrano appartenere alle stesse maestranze artistiche che hanno lavorato nella chiesa di Muggia Vecchia.

Nella vicina piccola abside, detta di S. Apollinare, si notano affreschi romanici molto sbiaditi con Storie di S. Apollinare; interessante, nello zoccolo, il motivo del finto velario che si ritrova solo in pochissime altre chiese della regione. I mosaici dell'abside centrale sono opera di Guido Cadorin (1932) che nell'Incoronazione della Vergine riprende il motivo degli affreschi che, nella stessa abside. Antonio Baietto e Domenico Lu Domine, udinesi, avevano eseguito nel 1423 e che vennero distrutti alla metà dell'Ottocento; se ne conservano solo due piccoli frammenti al Museo, oltre ad un disegno del pittore triestino Gaetano Merlato che riproduce l'intera macchinosa quattrocentesca Incoronazione.

Ancora, nella basilica, vanno visti gli affreschi della secentesca cappella di San Giuseppe: Fuga in Egitto e Transito di S. Giuseppe nelle pareti laterali, Gloria di S. Giuseppe nella cupoletta, dipinti tutti nel 1706 dal fecondo comasco Giulio Quaglio che, forse condizionato dalle esigue dimensioni del luogo, evita qui quel gigantismo delle forme che anima tanti dei suoi affreschi in Udine. Nella stessa cappella, la pala contenuta nel marmoreo altare eretto nel 1704, è del veneziano Sante Peranda (1566-1638), che nello Sposalizio della Vergine si rifà ad immagini tipiche del manierismo veneto.
Affreschi ancora, alquanto modesti, del muranese Sebastiano Santi nella cappella dell'Addolorata (1855: scene della vita di Gesù).

Per quanto riguarda le opere mobili, da segnalare un bel polittico con la Crocifissione al centro, sei santi a piena figura entro archetti trilobati ed altri a mezzo busto nei pennacchi fra gli archi, eseguito da Paolo Veneziano (o più probabilmente dalla sua bottega) per l'altar maggiore (così almeno vuole la tradizione) nel secondo quarto del secolo XIV. Oggi fa parte del tesoro di S. Giusto.

Nella cappella di S. Servolo, una Madonna allattante, tempera su tavola di un madonnero veneto del XVII secolo. Una tela di Benedetto Carpaccio (1541), figlio del più celebre Vittore e particolarmente attivo in Istria, rappresenta la Vergine che allatta Gesù, con i santi Giusto (che tiene in mano il modelletto della città di Trieste) e Sergio ai lati: dipinto di modesta esecuzione, ma non spiacevole.

Due opere di scultura si impongono sulle altre: il bellissimo Compianto sul Cristo morto (arte tedesca della prima metà del XV secolo); piccolo capolavoro per l'eleganza e l'equilibrio che dominano il serrato e drammatico gruppo delle espressive figure; il trittico, in legno dorato, con S. Agostino al centro, S. Sebastiano e Gesù adolescente (proveniente dal convento di S. Bernardino a Portorose) opera che nell'impianto architettonico e nell'intaglio delle figure, si mostra prossima ad analoghi modelli giuliani della fine del XVI o dell'inizio del XVII secolo. Il Tesoro della Cattedrale, piuttosto ricco, è costituito da notevoli pezzi d'arte. Tra gli altri, il velo di S. Giusto, dipinto su seta del XIII secolo con l'immagine del santo (arte di corte costantinopolitana); un'urna in lamina d'argento, con motivi a girali e grappoli e, sui lati minori, un rigido crocifisso (secolo XIII); il Crocifisso dei Battuti (secolo XIII); il Crocifisso di Alda Giuliani, in argento dorato, datato 1383; e poi busti reliquiari (in parte rubati qualche anno fa), candelabri, lampade ed altri oggetti, oltre alla celebre alabarda in ferro battuto (che è il simbolo della città) che secondo una leggenda cadde sulla piazza maggiore di Trieste nell'ottobre del 303, allorché San Sergio fu decapitato in Siria.

A sinistra della basilica, sorge il Battistero di San Giovanni, costruito (1380) sul luogo dell'antico battistero paleocristiano, recentemente riportato all'aspetto originario.
A destra, la Chiesetta di S. Michele al Carnale (così detta perché adibita a cappella mortuaria fino al 1829), semplice e graziosa costruzione del XIII secolo, con campaniletto a vela e una cripta ad arcate: incastonati sulla facciata, interessanti frammenti di plutei paleocristiani. Chiese e monumenti notevoli. La mancanza di un valido Medio Evo e di un Rinascimento, unita all'esplosione - demografica, economica ed artistica - sette-ottocentesca ed agli eventi dolorosi delle due ultime guerre, fa sì che Trieste non abbondi - come altre città - di monumenti singolari o per pregi artistici o per significato storico, né di chiese arricchite di opere d'arte nel corso dei secoli.

Dell'età romana rimangono l'Arco di Riccardo (nei pressi della chiesa di S. Maria Maggiore), il cui nome ha oscura origine, costruzione di grosse pietre, con trabeazione a tre fasce, che dovrebbe risalire al 33 a.C., quando Augusto fece costruire le mura; la cavea semicircolare del Teatro Romano (nell'omonima via) che gli scavi riportarono in luce una quarantina d'anni fa (dieci statue che ornavano il proscenio sono state collocate in Museo). Risale al I-II secolo d.C. ed era in origine posto fuori delle mura, in riva al mare che all'epoca si spingeva fin là. Resti di mosaici paleocristiani sono stati ritrovati nel 1963 durante occasionali scavi in via Madonna del Mare: è stata quindi rimessa in luce una parte della pavimentazione di quella che doveva essere una basilica paleocristiana cimiteriale, essendo situata fuori dell'antica cerchia di mura. I mosaici, che hanno motivi geometrici e risultano vieppiù interessanti per le iscrizioni che recano, sono su due strati sovrapposti, l'uno del V, l'altro dell'inizio del VI secolo d.C.

Dopo San Giusto, la chiesa più interessante è S. Maria Maggiore (in via del Teatro Romano); vi si giunge salendo una monumentale, moderna scalinata, iniziata nel 1627; la chiesa nella concezione si ispira alla vignolesca chiesa del Gesù in Roma: da quella tuttavia si discosta nell'organizzazione interna dello spazio che risulta qui frazionato dalla suddivisione in tre navate (anziché pianta ad aula). La facciata, dinamicamente articolata, sembra dovuta al gesuita architetto (oltre che pittore e trattatista) Andrea Pozzo (1647-1709), trentino di nascita ma romano per formazione culturale, che l'avrebbe eseguita nei primissimi anni del Settecento. All'interno, nell'abside il grande affresco con l'Immacolata Concezione, dipinto da Sebastiano Santi nel 1842; buone tele sugli altari e nelle pareti (una Madonna della Salute è attribuita al Sassoferrato, un S. Ignazio al Maffei); monocromi a tempera di G. B. Bison rappresentanti gli Evagelisti nei pennacchi della cupola (inizio XIX secolo), una Madonna con Bambino in pietra del friulano Pietro Bearzi, 1853, splendidi banchi intagliati.

La vicina Chiesetta di S. Silvestro, pesantemente restaurata nel 1927 e liberata dalle sovrastrutture barocche, risale al secolo XII inoltrato: la tradizione vuole sia stata edificata sulla casa delle Sante Eufemia e Tecla, che affrontarono il martirio nel 254, casa poi dedicata a S. Silverstro, papa all'epoca di Costantino. Oggi è un tempio delle comunità evangeliche elvetica e valdese.

Un piccolo scrigno di opere d'arte è il Monastero di San Cipriano, in via delle Monache, dal 1426 abitato dalle Benedettine. Non è tanto la chiesetta dalla modesta facciata fine Settecento e dall'interno ad unica navata a suscitare ammirazione, quanto tutto il complesso conventuale, nel quale sono stati mantenuti ambienti di rara suggestione, quali l'antica cucina o il forno per il pane, ed inoltre dipinti di un qualche pregio (il migliore, tuttavia, il celebre trittico di S. Chiara, di Paolo Veneziano e aiuti, è ora al Museo Sartorio), sculture in legno (tra cui una gran croce trilobata trecentesca, con S. Giovanni, Madonna e Angelo dipinti alle estremità: un grande Crocifisso; una Madonna dell'inizio del XV secolo, di scuola tirolese, con Bambino del XVI secolo: un Vesperbild di scuola friulana, inizio XVI secolo), argenterie (in genere sei-settecentesche, ma con anche una bella croce astile del XIV-XV secolo).

Esempio di architettura neoclassica è la Chiesa di S. Antonio nuovo, che chiude scenograficamente la zona del canale. Costruita tra il 1825 ed il 1849, è l'opera più significativa dell'architetto Pietro Nobile, uno dei massimi esponenti del neoclassico triestino, che già nel 1808 ne aveva steso il progetto. La facciata ha un pronao con sei robuste colonne ioniche che sorreggono un ampio frontone e, con la retrostante cupola, ricordano da vicino il Pantheon.
L'edificio, per ragioni economiche, non poté essere realizzato nel materiale e con la decorazione prevista dal suo autore (i cassettoni nell'interno della cupola e sugli arconi sono in gran parte finti in chiaroscuro, tutte le parti esterne, ora ricoperte di malta, avrebbero dovuto essere in pietra d'Istria, il timpano avrebbe dovuto portare nell'interno un bassorilievo), sicché non può mostrare nella sua compiutezza la vera idea dell'architetto. Comunque, anche così povero, questo tempio rimane indiscutibilmente - e nonostante l'opposto parere di Camillo Boito che lo condannò dicendo "fosse brutto, almeno!" - uno dei monumenti più significativi dell'epoca neoclassica, e di notevole valore soprattutto da un punto di vista urbanistico (Walcher). All'interno, dipinti ottocenteschi del Grigoletti, dello Schiavoni e del Politi, oltre ad un affresco di Sebastiano Santi con l'Ingresso di Gesù in Gerusalemme.
Ricordiamo ancora la Chiesa di S. Spiridione, in piazza S. Antonio, progettata dal milanese Carlo Maciacchini ed aperta al culto nel 1868: dedicata al culto serboortodosso, è una costruzione movimentata, splendida per le fastose decorazioni a mosaico sia all'esterno che all'interno, per le pitture, per le icone postbizantine provenienti per la maggior parte dall'area slava mediterranea; la Chiesa evangelica, innalzata dallo Zimmermann nel 1875 in stile neogotico; il Tempio Israelitico, in via Donizetti, costruito nel 1902 su progetto di Ruggero e Arduino Berlam, ispirato alle rovine di Baalbek; la Chiesa di S. Nicolò dei Greci (culto greco ortodosso) in Riva III Novembre, eretta nel 1786 e nel 1819 rinnovata da Matteo Pertsch che lasciò nella facciata delimitata dai due campanili una chiara impronta del suo stile.
Ricchissimo l'arredo liturgico. Due grandi tele del pittore di Pirano Cesare Dell'Acqua danno tono alle pareti laterali (la Predica del Battista, 1852 e Cristo tra i fanciulli, 1854), ma è l'iconostasi il fulcro di tutto il luogo sacro. Opera di ignoto intagliatore, simile a quella eseguita per la vecchia chiesa di S. Spiridione nel 1794 da Sebastiano Treppan, arricchita da dipinti a tempera su tavola con fondo oro (bottega del pittore greco Giorgio Trigonis, che operò a Trieste dal 1786 al 1833), da tele, da coperture in argento lavorato a sbalzo, si carica di valori spirituali ed allo stesso tempo artistici e costituisce un unicum in regione.

Ancora da ricordare la settecentesca chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo a Barcola, che nel 1930 ha subìto pesanti trasformazioni, tra l'altro con la collocazione in facciata del bel rosone seicentesco proveniente dalla distrutta chiesa di S. Pietro in Piazza Grande. All'interno, elegante altare maggiore di Giovanni Comin ed Enrico Merengo, eseguito alla fine del XVIII secolo per la cappella della Madonna della Pace di Venezia. Venne acquistato nel 1826 per la Cappella del Sacramento della Basilica di S. Giusto, dove rimase fino al 1840. Interessante il paliotto del Comin con la raffigurazione delle anime purganti e le statue a tutto tondo che sormontano la mensa.

I Musei.
Civici Musei di Storia e Arte e Orto Lapidario (via Cattedrale 15). Dal 1925 sono allogati nell'edificio eretto alla fine del Settecento ma ristrutturato da Giovanni Battista de Puppi nel 1837 ed acquistato dal Comune nel 1915. Nati come "museo misto", cioè per la raccolta ed esposizione di opere archeologiche, d'arte, etnografiche, eccetera, vanno oggi precisando - in fase di ristrutturazione - la loro specializzazione esclusivamente archeologica (dalla preistoria all'epoca romana con appendice nel Medioevo, con materiali riguardanti sia la città che il territorio). Nell'atrio, nelle salette del pianterreno e del primo piano sono esposti marmi romani, materiale egizio di epoche e provenienze diverse (stele funerarie, vasi, bronzetti ed anche una mummia); oggetti d'arte del Gandhara (dono della spedizione italiana nel Karakorum, guidata dal Giuliano Ardito Desio e di cui faceva parte anche il triestino Antonio Marussi); materiale preistorico di varie zone, ma soprattutto ritrovato nella zona carsica ad opera di Carlo Marchesetti. Ben documentata è la vita dei castellieri, cioè dei centri abitati alla fine dell'età del bronzo nel Veneto, in Friuli e nell'Istria (i castellieri carsici o istriani si differenziano comunque di molto da quelli friulani, essendo veri e propri villaggi fortificati difesi da muraglioni a secco, mentre quelli friulani sono generalmente circondati da argini di terra o da corsi d'acqua): una intera sala è dedicata proprio a Santa Lucia di Tolmino (oggi Most na Soøi, in Slovenia, alla confluenza dell'Isonzo con l'Idria), il centro più importante della civiltà dei castellieri. È esposto poi un discreto numero di bronzetti a figura umana di epoca romana (molti di essi sono di provenienza regionale), di oggetti in bronzo, ambra, terracotta, avorio, di culture e di epoche diverse. Le ceramiche greche e italiote, da VII al II secolo a.C., molte delle quali riccamente decorate, occupano un'intera stanza: provengono in gran numero, per eredità, dalla famosa Raccolta Fontana, confluita in buona parte nei Musei di Berlino.

Dall'entrata del Museo Civico si accede anche all'Orto Lapidario (che ha un accesso anche da piazza della Cattedrale) sorto nel 1834 nel luogo in cui si trovava uno dei cimiteri della città di Trieste (soppresso nel 1829), per volontà di Domenico Rossetti, che desiderava fossero unificate ed esposte convenientemente al pubblico le raccolte archeologiche che si erano accumulate in piazza Grande e nelle case dei privati. Nei quattro ripiani sono raccolti, con criteri ancora forzatamente ottocenteschi, marmi romani provenienti da Trieste, dall'Istria, dal Friuli: rocchi di colonna, cippi, urne, frantoi, anfore, epigrafi, monumenti funerari, frammenti di bassorilievi e di architetture. C'è anche un sarcofago egizio in granito rosso della XX Dinastia (ca. 1000 a.C.).
Nel quarto ripiano va visto il così detto tempietto di Winkelmann, con il monumento funebre dell'illustre archeologo tedesco. Il monumento è opera del canoviano Antonio Bosa (1833) che nel bassorilievo ha voluto simbolicamente rappresentare l'attività culturale del Winckelmann. Nel tempietto (1847) con pronao ad imitazione di quelli greci, in origine solo gliptoteca, ci sono sculture e mosaici romani.

Civico Museo Sartorio (largo Giovanni XXIII).
Nella villa Segrè-Sartorio [già esistente nel 1791 ma rifatta e modificata su progetto (1838) dell'architetto Nicolò Pertsch che si attenne ai principi che informano le opere del suo più celebre padre, Matteo, rifacendosi però anche al gusto del Piermarini] ha sede il Museo destinato a diventare, nel piano di ristrutturazione dei civici musei cittadini, importante pinacoteca e funzionale sede per le arti minori.
Al piano terra quattro sale sono state attrezzate a museo della ceramica: nelle bacheche sono esposti notevoli oggetti di provenienza italiana (Faenza, Bassano e poi veneti, liguri, marchigiani, ecc.) e straniera. Particolarmente nutrito il gruppo di ceramiche uscito dalle manifatture triestine (attive particolarmente tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo) con prodotti degli artisti Giacomo Balletti, Pietro Lorenzi, Mattia Filipuzzi e della fabbrica Santini & Saniboldi.
In quattro locali al piano terra è ospitata dal 1994 (ma in forma provvisoria) la Collezione Stavropulos, circa centocinquanta tra sculture, dipinti, disegni donati alla città da Socrate Stavropulos (1882-1960). Non manca qualche pezzo antico (una testa arcaica da Cipro, secolo VI a.C.; sculture lignee dell'inizio del XVI secolo dell'intagliatore tedesco Veit Stoss; dipinti su tavola di scuola fiamminga del Rinascimento), ma le opere - non sempre omogenee per qualità - appartengono soprattutto all'Otto-Novecento europeo, con nutrita presenza di autori triestini (Mascherini, Veruda, Levier) ed ungheresi.
Al primo piano, in stanze che nell'arredamento rispecchiano il gusto di una ricca famiglia della Trieste ottocentesca (con mobili, librerie, tappeti, tavole imbandite) sono esposti dipinti di Martin Johann Schmidt, Albrecht Adam, Alexander von Bensa, Magnus Brasch ed altri maestri contemporanei del XIX secolo. Nutrita anche la presenza di opere di artisti triestini (Giovanni Guglielmo Sartorio, Giuseppe Bernardino Bison, Arturo Rietti, Pietro Lucano, Carlo Wostry, Antonio Polli), friulani e veneti (Michelangelo Grigoletti, Ludovico Lipparini, Ippolito Caffi) dell'Ottocento, così come non mancano dipinti dei maggiori maestri veneti del Settecento, Francesco Zugno, Gaspare Diziani, Michele Marieschi e di Domenico Tiepolo, presente con un delizioso ritratto di Pifferaio eseguito probabilmente intorno al 1770.
Dello stesso Domenico è una severa Testa di vecchio orientale esposta nell'atrio del secondo piano del Museo, in cui è allogata la collezione Rusconi-Opuich, che comprende oltre duemilacinquecento pezzi dall'arte antica al nostro secolo: quadri, miniature, icone, stampe e disegni, oreficerie, tessuti, strumenti musicali, ceramiche, ecc., di notevole interesse storico ed artistico.
In una stanza appositamente climatizzata è esposta l'opera trecentesca più significativa della città, l'imponente trittico di Santa Chiara (1328-30), già nel convento delle Clarisse di S. Maria della Cella di Trieste. Nella parte centrale, in trentasei piccoli riquadri, sono narrati episodi della Vita di Cristo e di Maria, oltre alla Morte di S. Chiara e alle Stimmate di S. Francesco; nelle portelle laterali, all'esterno le figure dei santi Cristoforo e Sergio, all'interno figure di Santi, la Madonna della Misericordia, la Sottomissione di giovani monacande al vescovo di Trieste. L'opera è assegnata al noto maestro Paolo Veneziano, la cui mano, si vede nelle robuste figure delle portelle, e ad un suo stretto collaboratore (forse il fratello maggiore Marco) per le scenette della parte centrale, nelle quali è prevalente il gusto meramente decorativo proprio della cultura miniaturistica veneziana. Da ricordare infine la collezione di disegni di Giambattista Tiepolo, una delle più importanti del mondo. Posseduta in origine da un incisore veneziano, Antonio Viviani, morto nel 1854, fu venduta dai suoi eredi a Isola d'Istria ad un antiquario triestino che commerciò poi i disegni singolarmente, finché il barone Giuseppe Sartorio non riuscì a recuperarli quasi tutti (1893). Furono i suoi eredi a donarli nel 1910 al comune di Trieste. Finirono poi a Lubiana nel 1916 e ritornarono in Italia nel 1941. Sono pezzi di notevole freschezza, di grande valore, spesso anche molto spiritosi (nelle caricature), essenziali per la comprensione della poetica del maestro.

Civico Museo di Storia Patria e Civico Museo Morpurgo (via Imbriani 5).
Nel palazzo Morpurgo, costruito dopo il 1875 su progetto di Giovanni Berlam (che vi lavorò insieme con il figlio Ruggero), modesto esempio di architettura tardo neoclassica, al primo piano ha trovato alloggio (dopo i bombardamenti sulla precedente sede di villa Basevi) una parte almeno del materiale del Civico Museo di Storia Patria.
In cinque stanze è esposta un'ampia documentazione storicoartistica della città: dal plastico della chiesa di S. Antonio nuovo progettata da Pietro Nobile ad immagini di chiese triestine scomparse, ad ottocenteschi dipinti dei tre Tominz (Giuseppe, Alfredo e Augusto), di Gatteri, Scomparini e Veruda, a sculture di Giovanni Mayer e Antonio Camaur.
Il museo è attualmente visitabile su richiesta. Nel 1991 al primo piano del palazzo è stata trasferita l'imponente collezione del Civico Museo Teatrale "Carlo Schmidl", in origine allogata nel mezzanino del Teatro Verdi.
Costituito nel 1924, con l'unione di una imponente donazione del musicologo ed editore Carlo Schmidl e dell'Archivio del Teatro Verdi, ed arricchito in seguito con acquisti o lasciti, il Museo Teatrale è ora secondo in Italia al solo Museo della Scala di Milano. Vanta migliaia di volumi, manoscritti, spartiti d'opere liriche, libretti, biografie, caricature, autografi, scenografie, ecc. che documentano, attraverso quella triestina, la vita musicale italiana di due secoli almeno. Eccezionale, tra le altre cose, la raccolta completa dei manifesti del Teatro Verdi dal 1839 ad oggi. Vi sono anche strumenti musicali ed un centinaio di quadri del XIX e XX secolo: tra essi, particolarmente significativi il quadrone di maniera, del triestino Giuseppe Lorenzo Gatteri (Traslazione delle spoglie di Vincenzo Bellini da Parigi a Catania) ed i ritratti di Natale Schiavoni ed Umberto Veruda.
Al secondo piano del palazzo si trova il Museo Civico Morpurgo de Nilma, voluto dal donatore Mario Morpurgo de Nilma che all'uopo regalò anche il palazzo con testamento del 1941. Purtroppo il sequestro dei beni Morpurgo, determinato da motivi razziali il 22 ottobre 1943, due mesi prima della morte del proprietario, fece sì che - nonostante l'intervento delle autorità triestine per salvare l'intero patrimonio - molto della raccolta andasse disperso. Il Museo Morpurgo, in fondo, non è altro che un appartamento tipico nel suo arredamento della ricca Trieste fine Ottocento: mobili, tappeti, ceramiche, porcellane, libri, dipinti, disegni, creano un ambiente particolare da valutarsi più che nei singoli pezzi nel suo insieme, ben difficilmente rintracciabile altrove: tanto è vero che di esso ci si è più volte serviti per ambientare scene di filmati televisivi. Tra le cose più interessanti una ricca raccolta di stampe giapponesi.

Museo della Fondazione Giovanni Scaramangà di Altomonte (via Filzi 1).
In un edificio del 1837, opera dell'architetto Antonio Buttazzoni, ha sede la fondazione voluta da Giovanni Scaramangà di Altomonte: vi sono raccolti cinquemila pezzi di materiale vario (dai quadri alle miniature, dai tessuti ai paramenti sacri, dalle medaglie e monete alle porcellane), frutto di una vita di ricerche, e soprattutto l'importantissima collezione di libri e di stampe riguardanti il passato di Trieste: sono proprio queste ultime, circa 1.300, a dare un tono alla collezione e a renderla quanto mai preziosa per gli studiosi locali. Unici nel loro genere i sei vivaci acquerelli, frutto della giovanile attività di pittore dell'architetto Pietro Nobile, illustranti momenti dell'occupazione francese della città nel 1797.

Galleria Nazionale di Arte Antica (piazza Libertà 7).
Recentemente aperta al secondo piano del palazzo Economo in cui ha sede la Soprintendenza regionale, conserva opere pittoriche a fresco, su tela, su tavola, su rame acquistate in tempi recenti. Si tratta di dipinti di scuola norditaliana oltre che fiorentina, romana e napoletana, dal XV al XIX secolo. Spiccano lavori di Andrea Schiavone, Gianantonio e Francesco Guardi, Giovanni Maria Crespi e disegni del Canaletto. Vi sono inoltre un salone piemontese (acquistato dalla famiglia Economo nell'immediato primo dopoguerra, pare dal castello di Racconigi) e, nella sala VII, dipinti di artisti triestini (Eugenio Scomparini, Antonio e Giuseppe Lonza, Giuseppe Barison, Guido Grimani, Giuseppe Pogna) che ornavano il caffè della Stazione.

Civico Museo Revoltella. Galleria d'Arte Moderna (via Diaz 27).
Voluto dal barone Pasquale Revoltella (1795-1869), personaggio di prim'ordine nella Trieste commerciale dell'Ottocento (conosciuto anche in campo europeo per essere stato tra l'altro vicepresidente della compagnia universale per il taglio dell'Istmo di Suez), che lasciò al Comune le sue collezioni d'arte, aperto al pubblico nel 1872, Museo ha sede nel fastoso palazzo Revoltella, progettato dall'architetto berlinese Federico Hitzig (1811-1881) e costruito tra il 1852 ed il 1858 sotto la direzione dell'ingegnere triestino Giuseppe Sforzi. L'esigenza di trovare più ampi spazi per contenere l'accresciuto numero di opere d'arte ha indotto all'acquisto dei contigui palazzi Brunner e Basevi: Carlo Scarpa e Carlo Vattolo hanno nel 1983 redatto un progetto di ristrutturazione degli ambienti, anche alla luce delle moderne esigenze museali, che ha trovato compimento dopo più di vent'anni di lavori. Il Palazzo Revoltella, la cui facciata scandita in senso orizzontale da due cornici marcapiano è impreziosita dalla grande trifora aggettante, dall'ornamentazione del sottotetto e dalle quattro statue che lo scultore Francesco Bosa mise a suo coronamento, conserva all'interno, nella struttura, negli arredi, le caratteristiche peculiari di un'abitazione triestina dell'Ottocento.
La ricchissima collezione di dipinti offre una esauriente visione d'insieme su tutta la pittura mitteleuropea dell'Otto-Novecento. Non mancano opere di protagonisti italiani (quali Mosè Bianchi, Burri, Caffi, Cantatore, Capogrossi, Carrà, Casorati, Cassinari, Emma Giuseppe e Guglielmo Ciardi, Cremona, De Chirico, De Nittis, De Pisis, Fattori, Guttuso, Induno, Kaufmann, Nono, Sironi, Tito, Tosi, Vedova), il che permette anche un utile ripensamento sul percorso dell'arte nazionale di un secolo e mezzo almeno: ma il Museo assolve anche all'importante compito di far conoscere e, attraverso il confronto, valorizzare, i maggiori artisti del Friuli-Venezia Giulia, spesso altrimenti poco noti.
Per numero di opere, oltre che per validità, posto preminente hanno, tra i pittori del XIX secolo, il palmarino Giuseppe Bernardino Bison (1762-1844) che per vent'anni visse a Trieste e che, malgrado l'innegabile conformismo relativamente ai modi della pittura veneziana del XVIII secolo (dai Tiepolo ai Guardi, dal Canaletto a M. Ricci), in una parte della sua copiosissima e pur sempre pregevole produzione pervenne tuttavia anche ad esiti diversamente caratterizzati: è il caso di certe tempere con episodi di vita quotidiana nei quali il consueto tocco guardesco risulta controllato e disciplinato dal cromatismo crudo e stridente di derivazione neoclassica (Firmiani); Giuseppe Lorenzo Gatteri (1829-1884), fecondo autore di scenografici e teatrali quadri di carattere storico; Giuseppe Tominz, goriziano (1790- 1866) attraverso i cui ritratti, che risentono della composita formazione culturale, riemerge la società mercantile e borghese della città di Trieste, nella quale si era stabilito intorno al 1830; Umberto Veruda (1868-1904), che ebbe esperienze europee e tradusse in italiano e veneziano l'Ottocento francese (Molesi) portando in una Trieste retrograda e provinciale novità che non vennero subito recepite.
Bene concorrono a completamento del discorso regionale cui si è fatto cenno, anche le opere dei friulani o giuliani Pietro Fragiacomo, Michelangelo Grigoletti, Giovanni Luigi Rose, Augusto ed Alfredo Tominz per quanto riguarda il XIX secolo. E, per il Novecento, i cartellonisti Dudovich e Orell, l'aereopittore Crali e poi Scomparini, Rietti, De Finetti, Lucano, Bergagna, Levier, Stultus, Bolaffio, Timmel, Nathan, Daneo, Carà, Cernigoj, Afro, Music, Anzil, Marussig, Zigaina, Perizi, Sbisà, Wostry, Alviani: personaggi talora ignoti al grande pubblico ma validissimi interpreti delle istanze artistiche locali e internazionali.
Tra gli scultori, accanto a Canova, Gemito, Rosso, Manzù, Messina, Pomodoro, si possono ricordare l'ottocentesco triestino Giuseppe Capolino ed i contemporanei Mayer, Selva e Mascherini, oltre agli udinesi Mirko e Dino Basaldella.
Civico Museo del Risorgimento (via XXIV Maggio). Ha sede nella Casa del Combattente, dignitoso palazzo turrito che l'architetto Umberto Nordio costruì nel 1931-32 e che il pittore Carlo Sbisà decorò a fresco dal 1933 al 1935 con figure stile Novecento allegoriche di otto città; Trieste, Aquileia, Gorizia, Fiume, Zara, Spalato, Pola, Parenzo e della Madre Italia (salone centrale).
Presso l'ingresso, sotto il portico, c'è il Sacrario di Oberdan con cimeli ed un bel monumento dovuto allo scultore triestino Attilio Selva (1931); nelle sale, una ricca documentazione (autografi, ritratti, fotografie, manifesti, bandiere, elmi, fazzoletti, ecc.) del Risorgimento triestino, dall'età garibaldina fino al 1918; particolare spazio è riservato al martire dell'irredentismo Guglielmo Oberdan cui è dedicata un'intera sala.
Museo della Resistenza (Ratto della Pileria 1). Trieste ha il triste primato di essere stata la sede dell'unico lager nazista in Italia. Dopo l'occupazione del 1943, i nazisti infatti trasformarono la Risiera di San Sabba, cioè il vecchio opificio attrezzato per la pilatura del riso, in un campo di concentramento nel quale, dalla notte del 21 giugno 1944, quando furono giustiziati circa quaranta partigiani slavi, al 28 aprile 1945, funzionò il forno crematorio.
Riconosciuto oggi come monumento nazionale, il complesso è stato adattato a museo dall'architetto triestino Romano Boico il quale ha creato un ingresso in cemento armato lungo ben 45 metri che, con le sue alte muraglie, suscita un senso di angoscia, mentre il cortile sembra quasi trasformarsi in una basilica a cielo aperto. Gli edifici, nella loro stessa nudità, diventano eloquenti testimonianze di tragici eventi. Nell'ex officina vengono officiate le sacre funzioni secondo il rito cattolico, ortodosso ed ebraico. Ispirata ai caduti, una bella scultura di Marcello Mascherini (1975) ha figure fortemente allungate e stilizzate che tendono le braccia al cielo.
Dal 1997 è istituito il Civico Museo di Guerra per la Pace "Diego de Henriquez", attualmente in fase di allestimento nella dismessa caserma "Duca delle Puglie". Nella sede provvisoria dell'ex caserma "Bellemo" viene intanto riordinato e catalogato l'imponente patrimonio di armi, modelli navali, quadri, documenti, libri raccolti da Diego de Henriquez (1909-1974) in una vita da collezionista e lasciati in dono alla città.

Museo Civico di Storia Naturale (piazza Attilio Hortis 4).
Ha sede nel palazzo della biblioteca civica (ex casa Maurizio Biserini, già Accademia di Commercio e Nautica) costruito intorno al 1817 dall'architetto Pietro Nobile: edificio di severa dignità, decorato con semplicità secondo i canoni di un blando classicismo, con interessante scalone.
Al primo piano, la Biblioteca Comunale, con più di trecentomila volumi, cui è annesso l'Archivio Diplomatico.
Il Museo Civico di Storia Naturale, fondato da E. Koch nel 1846 e passato al Comune nel 1852, occupa il terzo piano e la metà posteriore del primo. È costituito da collezioni zoologiche, botaniche, antropologiche, geologiche e mineralogiche di grande interesse scientifico e didattico.
Soprattutto ricca la sezione riguardante la fauna ittica, di provenienza anche orientale, ma soprattutto adriatica: tra le curiosità, lo scheletro di uno dei sei capodogli arenati nel 1853 a Cittanova d'Istria ed uno squalo di più di cinque metri catturato nel Quarnaro. I grandi mammiferi sono anche ben rappresentati, così come gli uccelli e i rettili. Ricchissime le collezioni entomologiche tra cui, splendida, quella di farfalle europee. Di una certa importanza la sezione mineralogica, con materiale ritrovato soprattutto nelle grotte della regione, da cui provengono anche numerosi fossili e manufatti preistorici. Da non dimenticare la bella esposizione di dipinti del triestino Sivini riguardanti la flora del Carso e di diapositive riproducenti essenze alpine. Il Museo possiede inoltre alcuni erbari di notevole valore. Sezione staccata del Museo può essere considerato l'Orto Botanico sito alla periferia della città, ormai in collina (via Marchesetti 2), dedicato alla flora regionale, con particolare riguardo alle piante del Carso, dei monti dell'Istria e delle Alpi Giulie.

Civico Museo del Mare (via di Campo Marzio 1).
Nell'antico complesso del Lazzaretto di San Carlo (eretto tra il 1724 ed il 1731) su progetto di un certo architetto Michelucci che si sarebbe servito del modello del Lazzaretto di Messina), opportunamente ristrutturato a cura dell'arch. Umberto Nordio, è stato recentemente trasportato il Museo del Mare, sito fino a pochi anni fa in piazzale Hortis, di fronte al Museo di Storia Naturale.
Unico nel suo genere in Italia, il Museo - che è tuttora in fase di completamento -raccoglie modelli di imbarcazioni (dalle galere romane alle navi moderne), strumenti atti alla navigazione, ed una sezione della pesca (fondata già nel 1904) nella quale sono esposti modellini di barche ed attrezzi per la pesca.
Acquario marino (Riva Nazario Sauro). Ha sede nel Palazzo fatto da Giorgio Polli (1913) che ospitava fino a poco fa la grande pescheria. È stato progettato da G. Müller nel 1934 ed ampliato in seguito. Consta di 45 vasche contenenti acqua marina riscaldata secondo le esigenze dei pesci che vi sono contenuti. Le specie esposte, provenienti da tutte le parti del mondo (soprattutto dai tropici) sono bellissime, per cui aggirarsi per le stanze dell'acquario, a tu per tu con quell'universo silenzioso e multicolore, suscita sempre un misto di stupore, curiosità, ammirazione.
Per trentun anni, dal 1953, è stato ospite simpaticissimo dell'acquario il noto pinguino Marco che, per la gioia dei bambini, circolava libero per i corridoi essendosi perfettamente adattato al luogo. Alla sua morte, il Lloyd Triestino ha donato alla città una nuova coppia di pinguini.

Museo Ferroviario (stazione di Campo Marzio).
Aperto al pubblico nel 1984, raccoglie cimeli relativi al trasporto su rotaia dal 1857, anno dell'inaugurazione della Meridionale Trieste-Vienna, ad oggi.
I dintorni. Per dieci chilometri si snoda la spettacolare riviera triestina con la sua strada ricavata dal calcare e l'arenaria, con le sue coste alte e rocciose sulle quali pini marittimi, acacie, ginestre, ulivi, crescono rigogliosi. Questa costiera, diversa nel suo genere da ogni altra, offre, qualunque sia la stagione dell'anno, uno scenario sempre vario e sorprendente di luci e colori, di forme inedite e imprevedibili: macchie gialle di ginestra a primavera, cespugli e arbusti dalle rosse bacche in autunno, vigneti che scendono digradando sino al mare dove si aprono le tranquille insenature di Grignano, Duino, Sistiana trasformate in deliziosi porticcioli turistici.

Il luogo più celebre della costiera è Miramare, ancora in comune di Trieste, dove su uno sperone di roccia che si protende sul mare fu iniziata nel 1856, per volere dell'arciduca Ferdinando Massimiliano Giuseppe d'Asburgo (fratello minore dell'imperatore Fancesco Giuseppe I) la costruzione del Castello dalle bianche torri immortalato dal Carducci nella famosa ode.
Vuole la leggenda, romantica quanto si conviene all'ambiente, che l'arciduca, sorpreso un giorno dalla bufera in mare, avendo trovato rifugio nella piccola baia di Grignano fosse rimasto talmente attratto dall'incanto del luogo da desiderare di erigere colà la propria dimora che purtroppo un avverso destino non gli avrebbe poi concesso di godere a lungo. Il progetto fu steso dall'architetto Carlo Junker, secondo il così detto stile eclettico, ed è un esempio di articolata residenza principesca dell'Ottocento.
Contemporaneamente, sempre per volere di Massimiliano, veniva spianato lo sperone roccioso ricoperto di terra di riporto. Si creava così un grande parco che per la sua estensione (22 ettari) è uno dei maggiori dell'Italia settentrionale. Vi sono stati importati alberi da tutto il mondo: abeti dalla Spagna e dall'Himalaya, cedri dall'Africa del nord e dal Libano, cipressi e sequoie dall'America. Una parte è stata strutturata a giardino all'italiana e scende con ampi gradoni piacevolmente verso il mare.

Il Castello, che dal 1931 al '37 fu residenza del duca d'Aosta e dal 1943 al '48 fu sede di diversi comandi militari stranieri, divenuto di proprietà dello Stato, dal 1955 è stato definitivamente destinato a Museo sotto la tutela della Soprintedenza. Nelle sue venti e più stanze si ha la possibilità di trovare un arredamento d'epoca, spesso scherzoso e talvolta bizzarro (ad esempio Massimiliano volle che la sua stanza da letto venisse arredata come la cabina di una nave; la cosiddetta Saletta Novara, riproduce il quadrato di poppa della nave austriaca che portava tale nome, ecc.). Il tutto va apprezzato più che altro come testimonianza del gusto ottocentesco, dal momento che non vi è un pezzo d'arte che si imponga per importanza sugli altri: molti, invece, i momenti di storia che la visita al castello permette di rivivere. Interessante, tra le altre, la Sala di Cesare Dell'Acqua così chiamata dal nome del pittore istriano (1821-1905) che narrò attraverso i numerosi quadri dipinti (cui va aggiunta la decorazione del soffitto) i fatti salienti di Miramare e della vita di Massimiliano. Si differenzia dalle altre, lo studio del duca d'Aosta, allestito con mobili tipici del ventennio.

In alto, a 350 metri d'altezza, con splendida vista panoramica sul golfo di Trieste, svetta la moderna struttura del Santuario di Monte Grisa, costruito - su progetto di Antonio Guacci (1963-1967) - per ottemperare al voto fatto il 30 aprile 1945 del vescovo di Trieste quando, al concludersi dell'ultima guerra, la minaccia di distruzione incombeva sulla città. Complessa, ardita costruzione, in cemento armato, conserva nel suo suggestivo interno un bel Crocifisso di Marcello Mascherini.

Tra le chiesette delle frazioni carsiche, un cenno almeno a quella della Madonna della Salvia, vicino a Contovello, nel cui presbiterio, costolonato alla gotica, si conservano affreschi con Santi ed Evangelisti attribuiti al "friulano" Gian Paolo Thanner e datati al 1520 circa: sembrano però opera di un maestro sloveno a conoscenza della cultura italiana. Sono l'unico esempio di pittura di tal genere nel territorio carsico italiano.

 

 Informazioni tratte da: 
 GUIDA ARTISTICA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA 
(
a cura di Giuseppe Bergamini )
dell'Associazione fra le Pro Loco del Friuli-Venezia Giulia
http://www.prolocoregionefvg.org