Trieste, 27 Giugno 2004
|
|
TRIESTE (TS)
CAP: 34100 - Altitudine (s.l.m.): 2 m -
Abitanti: 218.394 - Superficie: 84,49 Kmq
Sede di un
Castelliere preistorico e crocevia di popolazioni venete, istre,
carniche e gallo-celtiche, l'antica Tergeste fu, sin
dall'antichità, un' importante centro di scambi commerciali. Dopo
aspre lotte, nelle quali il popolo degli Istri fu sconfitto dalle
legioni romane, la città entrò a far parte della "X Regio Venetia
et Istria" e nel 56 a. C., ai tempi di Cesare, venne elevata a
Colonia romana. Nel 33 a.C., per volere del Console Ottaviano, fu
cinta da solide mura, di cui rimane soltanto la porta meridionale,
il cosiddetto Arco di Riccardo. Durante il periodo traianeo e fino
alla caduta dell'Impero Romano visse un lungo periodo di
prosperità; fu data sistemazione alla zona del foro, fuori delle
mura, in prossimità del mare, sorse il teatro e lungo la riviera
numerose ville mentre ben tre acquedotti la rifornivano d'acqua.
Il Cristianesimo, che penetrò discretamente nella società dal II
sec. d. C., ebbe molti martiri anche a Trieste tra i quali Giusto,
eletto patrono della città. Nel Medioevo fu assoggettata da Goti,
Longobardi, Bizantini e Franchi e nel X secolo Lotario III la rese
feudo vescovile.
La città riscattò la sua libertà solo nel XII e XIII
sec., quando si costituì libero comune. Tra i sec. XIII e XIV
dovette subire frequenti atti di sottomissione alla Repubblica
Veneta (terribile fu l'assedio - saccheggio del 1368); negatogli
l'aiuto dei signori italici, nel 1382 cercò la protezione di
Leopoldo III d'Asburgo, evento che segnò il destino politico di
Trieste per oltre cinquecento anni.
Nel 1719 per merito della lungimirante politica di
Carlo VI fu dichiarata porto franco, istituto che conferì alla
città un ruolo economico e culturale di grande importanza. Tale
situazione di benessere fu ulteriormente sviluppata da Maria
Teresa d'Austria che, concedendo immunità e franchigie, richiamò
mercanti ed imprenditori da tutta Europa. Dopo l'invasione dei
francesi tornò all'Impero austriaco che potenziò ulteriormente il
porto, le industrie e le società di navigazione. In seguito al
lento ed irreversibile declino dell'impero asburgico, il 3
novembre del 1918 Trieste passò all'Italia.
Dopo l'armistizio del 1943, Trieste e la Venezia Giulia
costituirono provincia a sé stante ma amministrata dal governo
germanico. Dopo la liberazione dalle truppe tedesche, la città
subì l'occupazione delle truppe Titine, per quaranta terribili
giorni, finchè non passo sotto il controllo degli alleati. Tornò
finalmente Italiana solo il 26 ottobre 1954. Nel 1977 il trattato
di Osimo segnò definitivamente i confini con la Jugoslavia
(Slovenia e Croazia).
Oggi Trieste è al contempo il capoluogo della provincia
meno estesa d' Italia ed anche capoluogo della Regione Autonoma
Friuli-Venezia Giulia.
Molti furono i fattori che, nel corso dei secoli,
concorsero a donarle quell'atmosfera così particolare e tanto cara
ad alcuni tra i massimi nomi della cultura internazionale come
James Joyce, Sigmund Freud, Rainer Maria Rilke, Giovanni
Winckelmann, per non parlare dei suoi Umberto Saba, Scipio
Slataper, Italo Svevo.
http://www.turismo.fvg.it/
|
Cattedrale di San
Giusto
Messa in gregoriano
VERBUM RESONANS
DIECI ANNI DI CANTO GREGORIANO IN FRIULI VENEZIA GIULIA
Decennale dei Seminari Internazionali di Canto Gregoriano 1994/2004
Organizzato dall'USCI-FVG
CAMPANE
L'interno della Cattedrale
di San Giusto, durante la celebrazione dell'Eucaristia,
accompagnata dalla Schola Gregoriana della Polifonica "Jacopo Tomadini" di
San Vito al Tagliamento
CANTI
VEDERE IL SERVIZIO >>>
TRIESTE (TS)
Monumenti e opere d'arte
Trieste è una città
diversa dalle altre e come tale dev'essere visitata in modo diverso. Se
anche è ricca di musei, ben forniti di opere d'arte antica e moderna, è
solo girando per le sue strade, sostando nelle sue piazze che si riesce
a conoscerla veramente, ad afferrare il significato di quell'aria
strana, tormentosa - come la definì Umberto Saba - che circola
ovunque e la rende in ogni parte viva.
Le sue strade sono un succedersi ininterrotto di palazzi, per lo più
neoclassici, maestosi, severi eppure discreti, che le conferiscono un
aspetto simile a quello di tante altre città europee: Vienna, Budapest,
Lubiana, e che spesso, all'interno, nascondono splendidi arredamenti.
Non si dimentichi che nell'Ottocento il collezionismo triestino fu un
fenomeno di singolare importanza: i ricchi uomini d'affari, che giravano
il mondo, avevano la possibilità di acquistare gli oggetti più
disparati, quelli che poi, in parte, confluirono nelle ricchissime e
varie collezioni dei musei.
Una passeggiata che partendo dalla stazione (punto d'arrivo anche per
chi giunge in macchina) tocchi le Rive, piazza Unità,
Cavana, piazza della Borsa, il Corso, piazza
Goldoni e via Carducci, sarà sufficiente per entrare nello
spirito della città. Ciò fatto, si potrà salire a San Giusto e
visitare chiese e musei.
Partendo da piazza Libertà (o piazza della Stazione), si imbocca corso
Cavour (bello il Palazzo delle Assicurazioni Generali, del
Geringer, 1881) e si giunge al Canal Grande, scavato nel 1756
perché i velieri potessero scaricare le merci fin dentro la città. Il
canale infatti giungeva fino alla chiesa di S. Antonio nuovo,
mentre ora risulta interrato nell'ultimo tratto e, anche a causa del
ponte fisso che impedisce il passaggio di navi a vela, non può essere
frequentato che da piccole imbarcazioni.
Il canale, attraversato nel suo punto superiore da un ponte, detto
Ponterosso, che dà il nome alla zona, scenograficamente chiuso dalla
chiesa di S. Antonio, è fiancheggiato da bei palazzi, tra i quali il
maggiore è quello che fa angolo con Riva III Novembre: è il Palazzo
Carciotti, ora sede della Capitaneria di Porto, eretto su progetto
di Matteo Pertsch e portato a termine nel 1806: molto imponente e
articolata la facciata, dominata al centro da sei grandi colonne che si
impostano sul rustico bugnato della parte inferiore e che terminano con
una balaustrata sormontata da sei statue (Minerva, la Fama, la
Giustizia, Mercurio, l'Abbondanza, Silvo, dello scultore A. Bosa),
dietro la quale si alza su alto tamburo una cupola rivestita di rame:
molto bella la parte di rappresentanza interna, soprattutto l'atrio, lo
scalone adorno di statue e la sala circolare al piano nobile.
Proseguendo, mentre sulla destra si costeggia il mare (bacino di S.
Giusto), a sinistra si ha l'Hotel de la Ville (arch. Giovanni
Degasperi, 1839), oggi sede bancaria, dove il Verdi compose
la sinfonia dello Stiffelio, e poi la chiesa di S. Nicolò dei Greci,
piazzetta Tommaseo, con il celebre antico Caffè che fu centro di
fermenti patriottici ed è tuttora luogo frequentato da artisti, e, dopo
aver lasciato a destra il molo Audace, la grande piazza Unità,
uno dei punti più belli della città.
La sua attuale sistemazione, con la vista che spazia sul mare e sulla
affascinante costiera triestina, risale alla fine dell'Ottocento, quando
vennero completati i lavori di abbattimento degli edifici che creavano
una strettoia verso piazza della Borsa (la chiesa di S. Pietro,
ad esempio, di cui venne salvato il solo rosone, prima portato nei Musei
civici e poi montato sulla facciata della chiesa di S. Bartolomeo a
Barcola, dove tuttora si trova) o di quelli che impedivano l'accesso al
mare; Teatro Vecchio, le Prigioni, e la famosa locanda Grande nella
quale l'8 giugno 1768 era stato assassinato il noto archeologo tedesco
Giovanni Gioacchino Winckelmann.
Oggi lo splendido, enorme rettangolo della piazza è delimitato
perfettamente da imponenti palazzi: in fondo, il Palazzo Comunale,
la cui costruzione fu iniziata nel 1872 su progetto dell'architetto
triestino Giuseppe Bruni (1827- 1877): è costituito da un corpo
centrale aggettante, ornatissimo, sul quale si imposta la Torre
dell'Orologio, e da due ali di più semplice fattura.
Da notare il ricchissimo gioco di luci e di ombre creato dalla ben
calibrata disposizione dei vuoti e dei pieni. Sul lato nord est, il
Palazzo Modello, eretto nel 1870 al posto della chiesa di S. Pietro
su modello dello stesso Giuseppe Bruni (cui si deve anche l'idea
della sistemazione urbanistica della piazza); casa Stratti, che ospita
il Caffé degli Specchi, uno dei più antichi di Trieste,
inaugurato nel 1839, oggi totalmente rimesso a nuovo; il Palazzo del
Governo, del viennese E. Artmann (1904) con facciata
rivestita di pietre bianche e mosaici e con un portico con loggia a tre
arcate sporgente; sul lato opposto della piazza, Palazzo Pitteri
(1780, costruzione di Ulderico Moro) ed il Palazzo del Lloyd
Triestino del viennese E. von Ferstel (1880-1883), palazzo
cioè della più antica società di navigazione d'Italia ed una delle più
antiche del mondo.
Da piazza Unità si possono fare quattro passi tra le pittoresche vie di
Cavana, che è la caratteristica parte vecchia della città; oppure,
raggiungere a sinistra la vicinissima Piazza della Borsa, con
l'imponente Palazzo della Borsa, dal profondo pronao e dalle
enormi statue allegoriche, dovuto all'architetto marchigiano Antonio
Mollari, vincitore del concorso bandito nel 1799 ed incaricato del
lavoro nel 1802; il salone del primo piano è affrescato da Bernardino
Bison.
Poco distante da piazza della Borsa (dove va visto anche il grande
Palazzo del Tergesteo, con galleria, opera dell'arch. Buttazzoni,
1840, su disegno del milanese Pizzola), è il Teatro Verdi (il
primo teatro d'Italia intitolato a Verdi) costruito su progetto del noto
architetto veneziano Antonio Selva (autore del Teatro La Fenice
di Venezia) e con facciata (1801) del triestino di origine tedesca
Matteo Pertsch che ebbe a modello la Scala di Milano.
Si imbocca quindi il Corso Italia, detto anche semplicemente Corso, la
maggior arteria cittadina, dal passeggio e dal traffico sempre
intensissimi, fiancheggiato, anch'esso, da interessanti palazzi (tra
cui, all'inizio, il Palazzo neoclassico progettato dal Pertsch; la Casa
Ananian di G. Polli, ecc.). Si giunge quindi in Piazza Goldoni,
nella quale più vie convergono e dalla quale partono la Scala dei
Giganti che porta a San Giusto e la Galleria Sandrinelli, costruita
nel 1904 e lunga 347 metri che, con il prolungamento della galleria di
S. Vito (1912, lunga 481 metri) consente di raggiungere rapidamente la
zona industriale.
Dalla piazza si giunge in Via Carducci, l'altra importante via
cittadina, costruita sul letto di un torrente completamente coperto nel
1850 (ed infatti si chiamava via del Torrente). Alla fine del
Settecento, un ponte gettato all'altezza dei Portici di Chiozza segnava
il limite della città, oltre il quale iniziava la distesa degli orti.
Via Carducci, con i suoi severi palazzi, con la sua ampiezza, con gli
alberi che la abbelliscono, con i bei viali che da essa si dipartono (in
particolare Viale XX Settembre, affettuosamente chiamato Viale oppure
Acquedotto, perché in origine vi passava l'acquedotto teresiano) mostra
a sufficienza l'impianto austriacheggiante che dominava la Trieste
ottocentesca.
Il Colle di San Giusto.
Il cuore di Trieste, oggi, si è spostato in basso, ma certamente la
Trieste antica è nata sul celebre colle, dal quale la vista spazia sulla
città, sul golfo, e lontano, sul Carso: là dove ancora rimangono i più
significativi monumenti, i più ricchi di storia e d'arte: la basilica
romana, il castello, la cattedrale di San Giusto.
Il sito fu abitato fin dall'epoca romana, come testimoniano, sul grande
piazzale del colle, i resti della basilica Forense del II secolo
d.C., che doveva essere lunga 88 metri e larga 23,50, a giudicare dalle
colonne superstiti (anche se solo limitatamente alle basi): due colonne
sono state ricostruite in cotto con frammenti originali.
Della lontana, primitiva origine del Castello rimangono numerosi ricordi
storici, così come delle sue molteplici distruzioni. Nel 1470 Federico
III fece iniziare la costruzione di quello che è l'attuale castello e
stabilì che le spese fossero sostenute dalla popolazione. La torre
quadrata e l'edificio che ospita il Museo appartengono proprio a questo
periodo. In seguito i veneziani, durante la loro breve occupazione del
1508, aggiunsero il bastione rotondo; gli Austriaci, ripresa Trieste
l'anno seguente, ultimarono il lavoro intrapreso e fecero proseguire
l'edificio sotto la direzione dell'architetto triestino Gerolamo
Decio. Ampliamenti si ebbero a metà del Cinquecento e soprattutto
nel primo decennio del Seicento, allorché il Castello, per opera di
Pietro de Pomis, venne ultimato, con l'inglobamento delle
costruzioni federiciane in tre ampi bastioni collegati con cortine.
Non ebbe però mai, il castello, funzioni militari (un po' come la
fortezza di Palmanova); divenuto nel 1930 di proprietà comunale, fu
attrezzato a scopo turistico (bellissima infatti è la passeggiata sulle
mura che dà la possibilità di godere di un ampio panorama sui tetti
della città, sul mare e sulla costiera, sul retrostante Carso), tanto
che oggi nel suo capace cortile si proiettano films e si tengono
spettacoli teatrali.
Fu anche creato il Museo del Castello, che pur contando qualche
pezzo d'arte (una statua lignea di tipo friulano del XV secolo; una tela
attribuita a Carlo Loth, ca. 1630, con il Trionfo di Venezia,
ecc.) si qualifica soprattutto per la ricca raccolta di armi, molte
delle quali provenienti da collezioni private; armi da taglio, da botta,
da fuoco, dal secolo XVII in poi, oltre a corni da polvere e cartuccere:
il tutto permette di seguire l'evoluzione storica delle armi.
La Basilica di San Giusto.
È la cattedrale di Trieste ed è anche l'edificio più famoso della città,
con la sua facciata irregolare, il raffinato ricamo del rosone, il tozzo
campanile. Riassume in sé quasi duemila anni di storia; sul luogo,
infatti, sorgeva già nel I secolo d.C. un vasto propileo in pietra di
Aurisina, con colonne distribuite in due avancorpi collegati da una
scalinata, sul tipo dell'altare di Pergamo: da esso si accedeva ad un
recinto sacro. Del propileo sono state rinvenute cinque colonne che si
vedono all'interno del campanile, parte della trabeazione, che è murata
nel campanile, la scalinata del loggiato e frammenti vari. Era un
edificio, a quanto si sa, unico nel suo genere in tutta l'Europa romana.
Nel V secolo quivi sorse una basilica paleocristiana a tre navate, con
pavimento a mosaico, per la quale ci si servì in qualche misura anche
delle strutture del propileo; nel VI secolo, all'epoca del vescovo
Frugifero, vennero apportate delle modifiche alla zona absidale.
Distrutta anche questa chiesa, alla metà dell'XI secolo venne costruito
e dedicato a S. Maria Assunta, probabilmente dal vescovo Adalgero di
Eichsstädt, un edificio a tre navate, in parte poggiante sulla
precedente costruzione. Sulla destra, in epoca carolingia secondo alcuni
studiosi, tra XI e XII secondo altri, venne edificato il Sacello di S.
Giusto, che fu poi allungato fino a formare una specie di chiesa
parallela e gemella. Nel XIV secolo, infine, entrambe le chiese furono
private di una navata: la chiesa di S. Maria Assunta della destra, S.
Giusto della sinistra: lo spazio che si creò divenne la navata centrale
dell'attuale chiesa, alla quale fu data anche la facciata che oggi
vediamo. Il lavoro, iniziato dal vescovo Rodolfo Pedrazzani (1303-1320)
fu ultimato sotto il vescovo Enrico de Wildenstein (1383-96) che
consacrò la nuova chiesa. Non ci furono in seguito modifiche
sostanziali. La facciata, forzatamente irregolare per aver dovuto
inglobare due differenti chiese, ha terminazione a salienti nella parte
destra, mentre nella sinistra si salda al campanile. È in corsi di
arenaria, il che permette un violento e sempre vario brulicare della
luce; al centro, il trecentesco rosone, con la sua delicata, leggera
orditura, data dalla doppia serie di esili colonnine a raggiera di cui
quelle esterne legate da un motivo a rosette quadrilobate e archetti
trilobati che crea un piacevole effetto di trina.
Presenta tre porte: quella centrale ha degli stipiti particolari,
ricavati da una grande stele romana tagliata in due parti, a tre nicchie
e frontone, con i busti ad altorilievo di sei personaggi della famiglia
Barbia (inizio I secolo d.C.): l'ultimo personaggio in basso a destra fu
trasformato in un S. Sergio con l'alabarda simbolo di Trieste, Lapidi e
Stemmi abbelliscono la facciata: si guardi la lastra che porta lo stemma
e la tiara pontificia di Enea Silvio Piccolomini, che fu papa Pio II e
che nel 1448-50 era stato vescovo di Trieste; ed inoltre i tre busti in
bronzo (Pio II e i vescovi Rapicio, umanista, e Rinaldo Scarlicchio che
ritrovò le reliquie di S. Giusto) opera di Alberto Brestyanszhy
(1862) direttore del l'atélier dello scultore triestino Giuseppe
Capolino e suo successore.
Il campanile fu innalzato nel 1337 ad opera di Randolfo de'
Baiardi ed ultimato nel 1343 in guisa di massiccio torrione, cui
l'uso di grandi blocchi di arenaria adoperati per la costruzione
conferisce ancor più carattere di severa forza. Riveste il precedente
campanile romanico che a sua volta inglobava parte del propileo romano.
Vi è murato un fregio romano (dal frontone del propileo) con armi,
corazze; sopra la porta una figura di S. Giusto di epoca gotica (con
testa romana riadattata). Nella cella campanaria, dalla quale si gode un
magnifico panorama, cinque campane, tra le quali il celebre campanon del
peso di 4900 chilogrammi, fuso in Austria nel XIX secolo.
All'interno, la chiesa si presenta come una basilica cristiana a cinque
navate. Ha copertura lignea a carena di nave rovesciata (il soffitto fu
rifatto nel 1905) e capitelli di varia foggia e di varia epoca che
stanno a testimoniare il complesso iter costruttivo dell'edificio.
L'acquasantiera, modesto pezzo di plastica trecentesca, con decorazioni
a fogliami, a dentelli, a treccia, è sormontata da una statuetta in
bronzo di S. Giusto scolpita da Marcello Mascherini nel 1946.
Tra le tante opere d'arte di cui la chiesa è ricca, certamente i più
appariscenti sono i mosaici absidiali e parietali. L'abside dell'ex
chiesa dell'Assunta (prima a sinistra rispetto all'abside centrale) è
decorata con un mosaico raffigurante la Vergine in trono tra gli
Arcangeli Michele e Gabriele e, nella fascia inferiore, i dodici
Apostoli. È opera di maestranze venete-ravennati dell'inizio del XII
secolo, per certi raffronti abbastanza convincenti, sul piano
stilistico, con alcune figure dei primi mosaici di S. Marco o con
frammenti della basilica Ursiana di Ravenna (datati al 1112), mentre
l'iconografia porta ad un confronto con quelli di Torcello, dove però
maggiore è lo schematismo nell'esecuzione.
Seduta su un trono di aerea lievità e tenendo in braccio il Bambino
benedicente, la Vergine, ieratica sullo sfondo d'oro, domina la
composizione ed a lei si inchinano, reverenti, gli arcangeli. Nella
fascia inferiore si snoda la teoria degli Apostoli, disposti con la
solita visione bizantina, separati da una pianticella fiorita,
abbastanza diversificati nelle tipologie e negli atteggiamenti. Nella
parte destra una finestrella, murata nel 1438, interrompe la teoria
senza però troppo disturbare la composizione, anzi conferendole quasi
una nota di vivacità. Nell'abside dell'ex sacello di S. Giusto (primo a
destra rispetto all'abside centrale), c'è un altro mosaico che raffigura
il Cristo benedicente tra i Santi Giusto e Servulo. È mosaico più tardo
di quello dell'Assunta e va riferito al XIII secolo: presenta infatti un
carattere neoellenistico che però potrebbe anche essere dovuto a più
generose e diffuse inzeppature (Gioseffi) del restauro ottocentesco. Le
due figure sono isolate in una conca d'oro senza alcuna connotazione
spaziale. Cristo, che tiene nella sinistra un libro, calpesta con il
piede destro un serpente e con il sinistro un basilisco, il quale fatto
viene spiegato con un'inscrizione latina che corre sotto i piedi dei due
santi e che, in italiano, suona: Dio può ora regnare in eterno in
maestà: ecco Cristo che cammina sul serpente e sul basilisco. Ciò ha
portato a pensare che ci fosse un'allusione al Barbarossa il quale,
sconfitto a Legnano (dove anche trecento triestini avevano combattuto)
aveva dovuto sottomettersi a papa Alessandro III, nel 1177, a Venezia,
presente anche Bernardo vescovo di Trieste.
Nei sottostanti riquadri con lunetta contenuti entro archi a tutto
sesto, sono riapparsi alla luce, nel 1954, alcuni affreschi con storie
di San Giusto del 1230 ca., che restavano coperti da altri affreschi,
dello stesso soggetto, dipinti intorno alla metà del XIV secolo
(strappati, restaurati e conservati per ora in Museo: opera del così
detto Maestro di San Giusto). Raffigurano il martirio del Santo e sono
in pessimo stato di conservazione: sembrano appartenere alle stesse
maestranze artistiche che hanno lavorato nella chiesa di Muggia Vecchia.
Nella vicina piccola abside, detta di S. Apollinare, si notano affreschi
romanici molto sbiaditi con Storie di S. Apollinare; interessante, nello
zoccolo, il motivo del finto velario che si ritrova solo in pochissime
altre chiese della regione. I mosaici dell'abside centrale sono opera di
Guido Cadorin (1932) che nell'Incoronazione della Vergine
riprende il motivo degli affreschi che, nella stessa abside. Antonio
Baietto e Domenico Lu Domine, udinesi, avevano eseguito nel
1423 e che vennero distrutti alla metà dell'Ottocento; se ne conservano
solo due piccoli frammenti al Museo, oltre ad un disegno del pittore
triestino Gaetano Merlato che riproduce l'intera macchinosa
quattrocentesca Incoronazione.
Ancora, nella basilica, vanno visti gli affreschi della secentesca
cappella di San Giuseppe: Fuga in Egitto e Transito di S. Giuseppe nelle
pareti laterali, Gloria di S. Giuseppe nella cupoletta, dipinti tutti
nel 1706 dal fecondo comasco Giulio Quaglio che, forse
condizionato dalle esigue dimensioni del luogo, evita qui quel
gigantismo delle forme che anima tanti dei suoi affreschi in Udine.
Nella stessa cappella, la pala contenuta nel marmoreo altare eretto nel
1704, è del veneziano Sante Peranda (1566-1638), che nello
Sposalizio della Vergine si rifà ad immagini tipiche del manierismo
veneto.
Affreschi ancora, alquanto modesti, del muranese Sebastiano Santi
nella cappella dell'Addolorata (1855: scene della vita di Gesù).
Per quanto riguarda le opere mobili, da segnalare un bel polittico con
la Crocifissione al centro, sei santi a piena figura entro archetti
trilobati ed altri a mezzo busto nei pennacchi fra gli archi, eseguito
da Paolo Veneziano (o più probabilmente dalla sua bottega) per
l'altar maggiore (così almeno vuole la tradizione) nel secondo quarto
del secolo XIV. Oggi fa parte del tesoro di S. Giusto.
Nella cappella di S. Servolo, una Madonna allattante, tempera su tavola
di un madonnero veneto del XVII secolo. Una tela di Benedetto
Carpaccio (1541), figlio del più celebre Vittore e particolarmente
attivo in Istria, rappresenta la Vergine che allatta Gesù, con i santi
Giusto (che tiene in mano il modelletto della città di Trieste) e Sergio
ai lati: dipinto di modesta esecuzione, ma non spiacevole.
Due opere di scultura si impongono sulle altre: il bellissimo Compianto
sul Cristo morto (arte tedesca della prima metà del XV secolo); piccolo
capolavoro per l'eleganza e l'equilibrio che dominano il serrato e
drammatico gruppo delle espressive figure; il trittico, in legno dorato,
con S. Agostino al centro, S. Sebastiano e Gesù adolescente (proveniente
dal convento di S. Bernardino a Portorose) opera che nell'impianto
architettonico e nell'intaglio delle figure, si mostra prossima ad
analoghi modelli giuliani della fine del XVI o dell'inizio del XVII
secolo. Il Tesoro della Cattedrale, piuttosto ricco, è costituito da
notevoli pezzi d'arte. Tra gli altri, il velo di S. Giusto, dipinto su
seta del XIII secolo con l'immagine del santo (arte di corte
costantinopolitana); un'urna in lamina d'argento, con motivi a girali e
grappoli e, sui lati minori, un rigido crocifisso (secolo XIII); il
Crocifisso dei Battuti (secolo XIII); il Crocifisso di Alda Giuliani, in
argento dorato, datato 1383; e poi busti reliquiari (in parte rubati
qualche anno fa), candelabri, lampade ed altri oggetti, oltre alla
celebre alabarda in ferro battuto (che è il simbolo della città) che
secondo una leggenda cadde sulla piazza maggiore di Trieste nell'ottobre
del 303, allorché San Sergio fu decapitato in Siria.
A sinistra della basilica, sorge il Battistero di San Giovanni,
costruito (1380) sul luogo dell'antico battistero paleocristiano,
recentemente riportato all'aspetto originario.
A destra, la Chiesetta di S. Michele al Carnale (così detta
perché adibita a cappella mortuaria fino al 1829), semplice e graziosa
costruzione del XIII secolo, con campaniletto a vela e una cripta ad
arcate: incastonati sulla facciata, interessanti frammenti di plutei
paleocristiani. Chiese e monumenti notevoli. La mancanza di un valido
Medio Evo e di un Rinascimento, unita all'esplosione - demografica,
economica ed artistica - sette-ottocentesca ed agli eventi dolorosi
delle due ultime guerre, fa sì che Trieste non abbondi - come altre
città - di monumenti singolari o per pregi artistici o per significato
storico, né di chiese arricchite di opere d'arte nel corso dei secoli.
Dell'età romana rimangono l'Arco di Riccardo (nei pressi della
chiesa di S. Maria Maggiore), il cui nome ha oscura origine, costruzione
di grosse pietre, con trabeazione a tre fasce, che dovrebbe risalire al
33 a.C., quando Augusto fece costruire le mura; la cavea semicircolare
del Teatro Romano (nell'omonima via) che gli scavi riportarono in
luce una quarantina d'anni fa (dieci statue che ornavano il proscenio
sono state collocate in Museo). Risale al I-II secolo d.C. ed era in
origine posto fuori delle mura, in riva al mare che all'epoca si
spingeva fin là. Resti di mosaici paleocristiani sono stati ritrovati
nel 1963 durante occasionali scavi in via Madonna del Mare: è stata
quindi rimessa in luce una parte della pavimentazione di quella che
doveva essere una basilica paleocristiana cimiteriale, essendo situata
fuori dell'antica cerchia di mura. I mosaici, che hanno motivi
geometrici e risultano vieppiù interessanti per le iscrizioni che
recano, sono su due strati sovrapposti, l'uno del V, l'altro dell'inizio
del VI secolo d.C.
Dopo San Giusto, la chiesa più interessante è S. Maria Maggiore
(in via del Teatro Romano); vi si giunge salendo una monumentale,
moderna scalinata, iniziata nel 1627; la chiesa nella concezione si
ispira alla vignolesca chiesa del Gesù in Roma: da quella tuttavia si
discosta nell'organizzazione interna dello spazio che risulta qui
frazionato dalla suddivisione in tre navate (anziché pianta ad aula). La
facciata, dinamicamente articolata, sembra dovuta al gesuita architetto
(oltre che pittore e trattatista) Andrea Pozzo (1647-1709),
trentino di nascita ma romano per formazione culturale, che l'avrebbe
eseguita nei primissimi anni del Settecento. All'interno, nell'abside il
grande affresco con l'Immacolata Concezione, dipinto da Sebastiano
Santi nel 1842; buone tele sugli altari e nelle pareti (una Madonna
della Salute è attribuita al Sassoferrato, un S. Ignazio al
Maffei); monocromi a tempera di G. B. Bison rappresentanti
gli Evagelisti nei pennacchi della cupola (inizio XIX secolo), una
Madonna con Bambino in pietra del friulano Pietro Bearzi, 1853,
splendidi banchi intagliati.
La vicina Chiesetta di S. Silvestro, pesantemente restaurata nel
1927 e liberata dalle sovrastrutture barocche, risale al secolo XII
inoltrato: la tradizione vuole sia stata edificata sulla casa delle
Sante Eufemia e Tecla, che affrontarono il martirio nel 254, casa poi
dedicata a S. Silverstro, papa all'epoca di Costantino. Oggi è un tempio
delle comunità evangeliche elvetica e valdese.
Un piccolo scrigno di opere d'arte è il Monastero di San Cipriano,
in via delle Monache, dal 1426 abitato dalle Benedettine. Non è tanto la
chiesetta dalla modesta facciata fine Settecento e dall'interno ad unica
navata a suscitare ammirazione, quanto tutto il complesso conventuale,
nel quale sono stati mantenuti ambienti di rara suggestione, quali
l'antica cucina o il forno per il pane, ed inoltre dipinti di un qualche
pregio (il migliore, tuttavia, il celebre trittico di S. Chiara, di
Paolo Veneziano e aiuti, è ora al Museo Sartorio), sculture in legno
(tra cui una gran croce trilobata trecentesca, con S. Giovanni, Madonna
e Angelo dipinti alle estremità: un grande Crocifisso; una Madonna
dell'inizio del XV secolo, di scuola tirolese, con Bambino del XVI
secolo: un Vesperbild di scuola friulana, inizio XVI secolo), argenterie
(in genere sei-settecentesche, ma con anche una bella croce astile del
XIV-XV secolo).
Esempio di architettura neoclassica è la Chiesa di S. Antonio nuovo,
che chiude scenograficamente la zona del canale. Costruita tra il 1825
ed il 1849, è l'opera più significativa dell'architetto Pietro Nobile,
uno dei massimi esponenti del neoclassico triestino, che già nel 1808 ne
aveva steso il progetto. La facciata ha un pronao con sei robuste
colonne ioniche che sorreggono un ampio frontone e, con la retrostante
cupola, ricordano da vicino il Pantheon.
L'edificio, per ragioni economiche, non poté essere realizzato nel
materiale e con la decorazione prevista dal suo autore (i cassettoni
nell'interno della cupola e sugli arconi sono in gran parte finti in
chiaroscuro, tutte le parti esterne, ora ricoperte di malta, avrebbero
dovuto essere in pietra d'Istria, il timpano avrebbe dovuto portare
nell'interno un bassorilievo), sicché non può mostrare nella sua
compiutezza la vera idea dell'architetto. Comunque, anche così povero,
questo tempio rimane indiscutibilmente - e nonostante l'opposto parere
di Camillo Boito che lo condannò dicendo "fosse brutto, almeno!" - uno
dei monumenti più significativi dell'epoca neoclassica, e di notevole
valore soprattutto da un punto di vista urbanistico (Walcher).
All'interno, dipinti ottocenteschi del Grigoletti, dello
Schiavoni e del Politi, oltre ad un affresco di Sebastiano
Santi con l'Ingresso di Gesù in Gerusalemme.
Ricordiamo ancora la Chiesa di S. Spiridione, in piazza S.
Antonio, progettata dal milanese Carlo Maciacchini ed aperta al
culto nel 1868: dedicata al culto serboortodosso, è una costruzione
movimentata, splendida per le fastose decorazioni a mosaico sia
all'esterno che all'interno, per le pitture, per le icone postbizantine
provenienti per la maggior parte dall'area slava mediterranea; la
Chiesa evangelica, innalzata dallo Zimmermann nel 1875 in
stile neogotico; il Tempio Israelitico, in via Donizetti,
costruito nel 1902 su progetto di Ruggero e Arduino Berlam,
ispirato alle rovine di Baalbek; la Chiesa di S. Nicolò dei Greci
(culto greco ortodosso) in Riva III Novembre, eretta nel 1786 e nel 1819
rinnovata da Matteo Pertsch che lasciò nella facciata delimitata
dai due campanili una chiara impronta del suo stile.
Ricchissimo l'arredo liturgico. Due grandi tele del pittore di Pirano
Cesare Dell'Acqua danno tono alle pareti laterali (la Predica del
Battista, 1852 e Cristo tra i fanciulli, 1854), ma è l'iconostasi il
fulcro di tutto il luogo sacro. Opera di ignoto intagliatore, simile a
quella eseguita per la vecchia chiesa di S. Spiridione nel 1794 da
Sebastiano Treppan, arricchita da dipinti a tempera su tavola con
fondo oro (bottega del pittore greco Giorgio Trigonis, che operò
a Trieste dal 1786 al 1833), da tele, da coperture in argento lavorato a
sbalzo, si carica di valori spirituali ed allo stesso tempo artistici e
costituisce un unicum in regione.
Ancora da ricordare la settecentesca chiesa parrocchiale di S.
Bartolomeo a Barcola, che nel 1930 ha subìto pesanti trasformazioni,
tra l'altro con la collocazione in facciata del bel rosone seicentesco
proveniente dalla distrutta chiesa di S. Pietro in Piazza Grande.
All'interno, elegante altare maggiore di Giovanni Comin ed
Enrico Merengo, eseguito alla fine del XVIII secolo per la cappella
della Madonna della Pace di Venezia. Venne acquistato nel 1826 per la
Cappella del Sacramento della Basilica di S. Giusto, dove rimase fino al
1840. Interessante il paliotto del Comin con la raffigurazione delle
anime purganti e le statue a tutto tondo che sormontano la mensa.
I Musei.
Civici Musei di Storia e Arte e Orto Lapidario (via Cattedrale
15). Dal 1925 sono allogati nell'edificio eretto alla fine del
Settecento ma ristrutturato da Giovanni Battista de Puppi nel
1837 ed acquistato dal Comune nel 1915. Nati come "museo misto", cioè
per la raccolta ed esposizione di opere archeologiche, d'arte,
etnografiche, eccetera, vanno oggi precisando - in fase di
ristrutturazione - la loro specializzazione esclusivamente archeologica
(dalla preistoria all'epoca romana con appendice nel Medioevo, con
materiali riguardanti sia la città che il territorio). Nell'atrio, nelle
salette del pianterreno e del primo piano sono esposti marmi romani,
materiale egizio di epoche e provenienze diverse (stele funerarie, vasi,
bronzetti ed anche una mummia); oggetti d'arte del Gandhara (dono della
spedizione italiana nel Karakorum, guidata dal Giuliano Ardito Desio
e di cui faceva parte anche il triestino Antonio Marussi);
materiale preistorico di varie zone, ma soprattutto ritrovato nella zona
carsica ad opera di Carlo Marchesetti. Ben documentata è la vita
dei castellieri, cioè dei centri abitati alla fine dell'età del bronzo
nel Veneto, in Friuli e nell'Istria (i castellieri carsici o istriani si
differenziano comunque di molto da quelli friulani, essendo veri e
propri villaggi fortificati difesi da muraglioni a secco, mentre quelli
friulani sono generalmente circondati da argini di terra o da corsi
d'acqua): una intera sala è dedicata proprio a Santa Lucia di Tolmino
(oggi Most na Soøi, in Slovenia, alla confluenza dell'Isonzo con l'Idria),
il centro più importante della civiltà dei castellieri. È esposto poi un
discreto numero di bronzetti a figura umana di epoca romana (molti di
essi sono di provenienza regionale), di oggetti in bronzo, ambra,
terracotta, avorio, di culture e di epoche diverse. Le ceramiche greche
e italiote, da VII al II secolo a.C., molte delle quali riccamente
decorate, occupano un'intera stanza: provengono in gran numero, per
eredità, dalla famosa Raccolta Fontana, confluita in buona parte nei
Musei di Berlino.
Dall'entrata del Museo Civico si accede anche all'Orto Lapidario (che ha
un accesso anche da piazza della Cattedrale) sorto nel 1834 nel luogo in
cui si trovava uno dei cimiteri della città di Trieste (soppresso nel
1829), per volontà di Domenico Rossetti, che desiderava fossero
unificate ed esposte convenientemente al pubblico le raccolte
archeologiche che si erano accumulate in piazza Grande e nelle case dei
privati. Nei quattro ripiani sono raccolti, con criteri ancora
forzatamente ottocenteschi, marmi romani provenienti da Trieste,
dall'Istria, dal Friuli: rocchi di colonna, cippi, urne, frantoi,
anfore, epigrafi, monumenti funerari, frammenti di bassorilievi e di
architetture. C'è anche un sarcofago egizio in granito rosso della XX
Dinastia (ca. 1000 a.C.).
Nel quarto ripiano va visto il così detto tempietto di Winkelmann, con
il monumento funebre dell'illustre archeologo tedesco. Il monumento è
opera del canoviano Antonio Bosa (1833) che nel bassorilievo ha
voluto simbolicamente rappresentare l'attività culturale del Winckelmann.
Nel tempietto (1847) con pronao ad imitazione di quelli greci, in
origine solo gliptoteca, ci sono sculture e mosaici romani.
Civico Museo Sartorio (largo Giovanni XXIII).
Nella villa Segrè-Sartorio [già esistente nel 1791 ma rifatta e
modificata su progetto (1838) dell'architetto Nicolò Pertsch che
si attenne ai principi che informano le opere del suo più celebre padre,
Matteo, rifacendosi però anche al gusto del Piermarini] ha sede il Museo
destinato a diventare, nel piano di ristrutturazione dei civici musei
cittadini, importante pinacoteca e funzionale sede per le arti minori.
Al piano terra quattro sale sono state attrezzate a museo della
ceramica: nelle bacheche sono esposti notevoli oggetti di provenienza
italiana (Faenza, Bassano e poi veneti, liguri, marchigiani, ecc.) e
straniera. Particolarmente nutrito il gruppo di ceramiche uscito dalle
manifatture triestine (attive particolarmente tra la fine del XVIII e
l'inizio del XIX secolo) con prodotti degli artisti Giacomo Balletti,
Pietro Lorenzi, Mattia Filipuzzi e della fabbrica Santini &
Saniboldi.
In quattro locali al piano terra è ospitata dal 1994 (ma in forma
provvisoria) la Collezione Stavropulos, circa centocinquanta tra
sculture, dipinti, disegni donati alla città da Socrate Stavropulos
(1882-1960). Non manca qualche pezzo antico (una testa arcaica da
Cipro, secolo VI a.C.; sculture lignee dell'inizio del XVI secolo
dell'intagliatore tedesco Veit Stoss; dipinti su tavola di scuola
fiamminga del Rinascimento), ma le opere - non sempre omogenee per
qualità - appartengono soprattutto all'Otto-Novecento europeo, con
nutrita presenza di autori triestini (Mascherini, Veruda, Levier)
ed ungheresi.
Al primo piano, in stanze che nell'arredamento rispecchiano il gusto di
una ricca famiglia della Trieste ottocentesca (con mobili, librerie,
tappeti, tavole imbandite) sono esposti dipinti di Martin Johann
Schmidt, Albrecht Adam, Alexander von Bensa, Magnus Brasch ed altri
maestri contemporanei del XIX secolo. Nutrita anche la presenza di opere
di artisti triestini (Giovanni Guglielmo Sartorio, Giuseppe
Bernardino Bison, Arturo Rietti, Pietro Lucano, Carlo Wostry, Antonio
Polli), friulani e veneti (Michelangelo Grigoletti, Ludovico
Lipparini, Ippolito Caffi) dell'Ottocento, così come non mancano
dipinti dei maggiori maestri veneti del Settecento, Francesco Zugno,
Gaspare Diziani, Michele Marieschi e di Domenico Tiepolo,
presente con un delizioso ritratto di Pifferaio eseguito probabilmente
intorno al 1770.
Dello stesso Domenico è una severa Testa di vecchio orientale esposta
nell'atrio del secondo piano del Museo, in cui è allogata la collezione
Rusconi-Opuich, che comprende oltre duemilacinquecento pezzi dall'arte
antica al nostro secolo: quadri, miniature, icone, stampe e disegni,
oreficerie, tessuti, strumenti musicali, ceramiche, ecc., di notevole
interesse storico ed artistico.
In una stanza appositamente climatizzata è esposta l'opera trecentesca
più significativa della città, l'imponente trittico di Santa Chiara
(1328-30), già nel convento delle Clarisse di S. Maria della Cella di
Trieste. Nella parte centrale, in trentasei piccoli riquadri, sono
narrati episodi della Vita di Cristo e di Maria, oltre alla Morte di S.
Chiara e alle Stimmate di S. Francesco; nelle portelle laterali,
all'esterno le figure dei santi Cristoforo e Sergio, all'interno figure
di Santi, la Madonna della Misericordia, la Sottomissione di giovani
monacande al vescovo di Trieste. L'opera è assegnata al noto maestro
Paolo Veneziano, la cui mano, si vede nelle robuste figure delle
portelle, e ad un suo stretto collaboratore (forse il fratello maggiore
Marco) per le scenette della parte centrale, nelle quali è prevalente il
gusto meramente decorativo proprio della cultura miniaturistica
veneziana. Da ricordare infine la collezione di disegni di
Giambattista Tiepolo, una delle più importanti del mondo. Posseduta
in origine da un incisore veneziano, Antonio Viviani, morto nel 1854, fu
venduta dai suoi eredi a Isola d'Istria ad un antiquario triestino che
commerciò poi i disegni singolarmente, finché il barone Giuseppe
Sartorio non riuscì a recuperarli quasi tutti (1893). Furono i suoi
eredi a donarli nel 1910 al comune di Trieste. Finirono poi a Lubiana
nel 1916 e ritornarono in Italia nel 1941. Sono pezzi di notevole
freschezza, di grande valore, spesso anche molto spiritosi (nelle
caricature), essenziali per la comprensione della poetica del maestro.
Civico Museo di Storia Patria e Civico Museo Morpurgo (via
Imbriani 5).
Nel palazzo Morpurgo, costruito dopo il 1875 su progetto di Giovanni
Berlam (che vi lavorò insieme con il figlio Ruggero), modesto
esempio di architettura tardo neoclassica, al primo piano ha trovato
alloggio (dopo i bombardamenti sulla precedente sede di villa Basevi)
una parte almeno del materiale del Civico Museo di Storia Patria.
In cinque stanze è esposta un'ampia documentazione storicoartistica
della città: dal plastico della chiesa di S. Antonio nuovo progettata da
Pietro Nobile ad immagini di chiese triestine scomparse, ad
ottocenteschi dipinti dei tre Tominz (Giuseppe, Alfredo e
Augusto), di Gatteri, Scomparini e Veruda, a sculture di
Giovanni Mayer e Antonio Camaur.
Il museo è attualmente visitabile su richiesta. Nel 1991 al primo piano
del palazzo è stata trasferita l'imponente collezione del Civico Museo
Teatrale "Carlo Schmidl", in origine allogata nel mezzanino del Teatro
Verdi.
Costituito nel 1924, con l'unione di una imponente donazione del
musicologo ed editore Carlo Schmidl e dell'Archivio del Teatro
Verdi, ed arricchito in seguito con acquisti o lasciti, il Museo
Teatrale è ora secondo in Italia al solo Museo della Scala di Milano.
Vanta migliaia di volumi, manoscritti, spartiti d'opere liriche,
libretti, biografie, caricature, autografi, scenografie, ecc. che
documentano, attraverso quella triestina, la vita musicale italiana di
due secoli almeno. Eccezionale, tra le altre cose, la raccolta completa
dei manifesti del Teatro Verdi dal 1839 ad oggi. Vi sono anche strumenti
musicali ed un centinaio di quadri del XIX e XX secolo: tra essi,
particolarmente significativi il quadrone di maniera, del triestino
Giuseppe Lorenzo Gatteri (Traslazione delle spoglie di Vincenzo
Bellini da Parigi a Catania) ed i ritratti di Natale Schiavoni ed
Umberto Veruda.
Al secondo piano del palazzo si trova il Museo Civico Morpurgo de Nilma,
voluto dal donatore Mario Morpurgo de Nilma che all'uopo regalò anche il
palazzo con testamento del 1941. Purtroppo il sequestro dei beni
Morpurgo, determinato da motivi razziali il 22 ottobre 1943, due mesi
prima della morte del proprietario, fece sì che - nonostante
l'intervento delle autorità triestine per salvare l'intero patrimonio -
molto della raccolta andasse disperso. Il Museo Morpurgo, in fondo, non
è altro che un appartamento tipico nel suo arredamento della ricca
Trieste fine Ottocento: mobili, tappeti, ceramiche, porcellane, libri,
dipinti, disegni, creano un ambiente particolare da valutarsi più che
nei singoli pezzi nel suo insieme, ben difficilmente rintracciabile
altrove: tanto è vero che di esso ci si è più volte serviti per
ambientare scene di filmati televisivi. Tra le cose più interessanti una
ricca raccolta di stampe giapponesi.
Museo della Fondazione Giovanni Scaramangà di Altomonte (via
Filzi 1).
In un edificio del 1837, opera dell'architetto Antonio Buttazzoni,
ha sede la fondazione voluta da Giovanni Scaramangà di Altomonte: vi
sono raccolti cinquemila pezzi di materiale vario (dai quadri alle
miniature, dai tessuti ai paramenti sacri, dalle medaglie e monete alle
porcellane), frutto di una vita di ricerche, e soprattutto
l'importantissima collezione di libri e di stampe riguardanti il passato
di Trieste: sono proprio queste ultime, circa 1.300, a dare un tono alla
collezione e a renderla quanto mai preziosa per gli studiosi locali.
Unici nel loro genere i sei vivaci acquerelli, frutto della giovanile
attività di pittore dell'architetto Pietro Nobile, illustranti momenti
dell'occupazione francese della città nel 1797.
Galleria Nazionale di Arte Antica (piazza Libertà 7).
Recentemente aperta al secondo piano del palazzo Economo in cui ha sede
la Soprintendenza regionale, conserva opere pittoriche a fresco, su
tela, su tavola, su rame acquistate in tempi recenti. Si tratta di
dipinti di scuola norditaliana oltre che fiorentina, romana e
napoletana, dal XV al XIX secolo. Spiccano lavori di Andrea Schiavone,
Gianantonio e Francesco Guardi, Giovanni Maria Crespi e disegni del
Canaletto. Vi sono inoltre un salone piemontese (acquistato dalla
famiglia Economo nell'immediato primo dopoguerra, pare dal castello di
Racconigi) e, nella sala VII, dipinti di artisti triestini (Eugenio
Scomparini, Antonio e Giuseppe Lonza, Giuseppe Barison, Guido Grimani,
Giuseppe Pogna) che ornavano il caffè della Stazione.
Civico Museo Revoltella. Galleria d'Arte Moderna (via Diaz 27).
Voluto dal barone Pasquale Revoltella (1795-1869), personaggio di prim'ordine
nella Trieste commerciale dell'Ottocento (conosciuto anche in campo
europeo per essere stato tra l'altro vicepresidente della compagnia
universale per il taglio dell'Istmo di Suez), che lasciò al Comune le
sue collezioni d'arte, aperto al pubblico nel 1872, Museo ha sede nel
fastoso palazzo Revoltella, progettato dall'architetto berlinese
Federico Hitzig (1811-1881) e costruito tra il 1852 ed il 1858 sotto
la direzione dell'ingegnere triestino Giuseppe Sforzi. L'esigenza
di trovare più ampi spazi per contenere l'accresciuto numero di opere
d'arte ha indotto all'acquisto dei contigui palazzi Brunner e Basevi:
Carlo Scarpa e Carlo Vattolo hanno nel 1983 redatto un progetto di
ristrutturazione degli ambienti, anche alla luce delle moderne esigenze
museali, che ha trovato compimento dopo più di vent'anni di lavori. Il
Palazzo Revoltella, la cui facciata scandita in senso orizzontale
da due cornici marcapiano è impreziosita dalla grande trifora
aggettante, dall'ornamentazione del sottotetto e dalle quattro statue
che lo scultore Francesco Bosa mise a suo coronamento, conserva
all'interno, nella struttura, negli arredi, le caratteristiche peculiari
di un'abitazione triestina dell'Ottocento.
La ricchissima collezione di dipinti offre una esauriente visione
d'insieme su tutta la pittura mitteleuropea dell'Otto-Novecento. Non
mancano opere di protagonisti italiani (quali Mosè Bianchi, Burri,
Caffi, Cantatore, Capogrossi, Carrà, Casorati, Cassinari, Emma Giuseppe
e Guglielmo Ciardi, Cremona, De Chirico, De Nittis, De Pisis, Fattori,
Guttuso, Induno, Kaufmann, Nono, Sironi, Tito, Tosi, Vedova), il che
permette anche un utile ripensamento sul percorso dell'arte nazionale di
un secolo e mezzo almeno: ma il Museo assolve anche all'importante
compito di far conoscere e, attraverso il confronto, valorizzare, i
maggiori artisti del Friuli-Venezia Giulia, spesso altrimenti poco noti.
Per numero di opere, oltre che per validità, posto preminente hanno, tra
i pittori del XIX secolo, il palmarino Giuseppe Bernardino Bison
(1762-1844) che per vent'anni visse a Trieste e che, malgrado
l'innegabile conformismo relativamente ai modi della pittura veneziana
del XVIII secolo (dai Tiepolo ai Guardi, dal Canaletto a M. Ricci), in
una parte della sua copiosissima e pur sempre pregevole produzione
pervenne tuttavia anche ad esiti diversamente caratterizzati: è il caso
di certe tempere con episodi di vita quotidiana nei quali il consueto
tocco guardesco risulta controllato e disciplinato dal cromatismo crudo
e stridente di derivazione neoclassica (Firmiani); Giuseppe Lorenzo
Gatteri (1829-1884), fecondo autore di scenografici e teatrali
quadri di carattere storico; Giuseppe Tominz, goriziano (1790-
1866) attraverso i cui ritratti, che risentono della composita
formazione culturale, riemerge la società mercantile e borghese della
città di Trieste, nella quale si era stabilito intorno al 1830;
Umberto Veruda (1868-1904), che ebbe esperienze europee e tradusse
in italiano e veneziano l'Ottocento francese (Molesi) portando in una
Trieste retrograda e provinciale novità che non vennero subito recepite.
Bene concorrono a completamento del discorso regionale cui si è fatto
cenno, anche le opere dei friulani o giuliani Pietro Fragiacomo,
Michelangelo Grigoletti, Giovanni Luigi Rose, Augusto ed Alfredo Tominz
per quanto riguarda il XIX secolo. E, per il Novecento, i cartellonisti
Dudovich e Orell, l'aereopittore Crali e poi Scomparini,
Rietti, De Finetti, Lucano, Bergagna, Levier, Stultus, Bolaffio, Timmel,
Nathan, Daneo, Carà, Cernigoj, Afro, Music, Anzil, Marussig, Zigaina,
Perizi, Sbisà, Wostry, Alviani: personaggi talora ignoti al grande
pubblico ma validissimi interpreti delle istanze artistiche locali e
internazionali.
Tra gli scultori, accanto a Canova, Gemito, Rosso, Manzù, Messina,
Pomodoro, si possono ricordare l'ottocentesco triestino Giuseppe
Capolino ed i contemporanei Mayer, Selva e Mascherini, oltre
agli udinesi Mirko e Dino Basaldella.
Civico Museo del Risorgimento (via XXIV Maggio). Ha sede nella
Casa del Combattente, dignitoso palazzo turrito che l'architetto
Umberto Nordio costruì nel 1931-32 e che il pittore Carlo Sbisà
decorò a fresco dal 1933 al 1935 con figure stile Novecento allegoriche
di otto città; Trieste, Aquileia, Gorizia, Fiume, Zara, Spalato, Pola,
Parenzo e della Madre Italia (salone centrale).
Presso l'ingresso, sotto il portico, c'è il Sacrario di Oberdan con
cimeli ed un bel monumento dovuto allo scultore triestino Attilio
Selva (1931); nelle sale, una ricca documentazione (autografi,
ritratti, fotografie, manifesti, bandiere, elmi, fazzoletti, ecc.) del
Risorgimento triestino, dall'età garibaldina fino al 1918; particolare
spazio è riservato al martire dell'irredentismo Guglielmo Oberdan cui è
dedicata un'intera sala.
Museo della Resistenza (Ratto della Pileria 1). Trieste ha il
triste primato di essere stata la sede dell'unico lager nazista in
Italia. Dopo l'occupazione del 1943, i nazisti infatti trasformarono la
Risiera di San Sabba, cioè il vecchio opificio attrezzato per la
pilatura del riso, in un campo di concentramento nel quale, dalla notte
del 21 giugno 1944, quando furono giustiziati circa quaranta partigiani
slavi, al 28 aprile 1945, funzionò il forno crematorio.
Riconosciuto oggi come monumento nazionale, il complesso è stato
adattato a museo dall'architetto triestino Romano Boico il quale
ha creato un ingresso in cemento armato lungo ben 45 metri che, con le
sue alte muraglie, suscita un senso di angoscia, mentre il cortile
sembra quasi trasformarsi in una basilica a cielo aperto. Gli edifici,
nella loro stessa nudità, diventano eloquenti testimonianze di tragici
eventi. Nell'ex officina vengono officiate le sacre funzioni secondo il
rito cattolico, ortodosso ed ebraico. Ispirata ai caduti, una bella
scultura di Marcello Mascherini (1975) ha figure fortemente
allungate e stilizzate che tendono le braccia al cielo.
Dal 1997 è istituito il Civico Museo di Guerra per la Pace "Diego de
Henriquez", attualmente in fase di allestimento nella dismessa caserma
"Duca delle Puglie". Nella sede provvisoria dell'ex caserma "Bellemo"
viene intanto riordinato e catalogato l'imponente patrimonio di armi,
modelli navali, quadri, documenti, libri raccolti da Diego de Henriquez
(1909-1974) in una vita da collezionista e lasciati in dono alla città.
Museo Civico di Storia Naturale (piazza Attilio Hortis 4).
Ha sede nel palazzo della biblioteca civica (ex casa Maurizio Biserini,
già Accademia di Commercio e Nautica) costruito intorno al 1817
dall'architetto Pietro Nobile: edificio di severa dignità,
decorato con semplicità secondo i canoni di un blando classicismo, con
interessante scalone.
Al primo piano, la Biblioteca Comunale, con più di trecentomila volumi,
cui è annesso l'Archivio Diplomatico.
Il Museo Civico di Storia Naturale, fondato da E. Koch nel 1846 e
passato al Comune nel 1852, occupa il terzo piano e la metà posteriore
del primo. È costituito da collezioni zoologiche, botaniche,
antropologiche, geologiche e mineralogiche di grande interesse
scientifico e didattico.
Soprattutto ricca la sezione riguardante la fauna ittica, di provenienza
anche orientale, ma soprattutto adriatica: tra le curiosità, lo
scheletro di uno dei sei capodogli arenati nel 1853 a Cittanova d'Istria
ed uno squalo di più di cinque metri catturato nel Quarnaro. I grandi
mammiferi sono anche ben rappresentati, così come gli uccelli e i
rettili. Ricchissime le collezioni entomologiche tra cui, splendida,
quella di farfalle europee. Di una certa importanza la sezione
mineralogica, con materiale ritrovato soprattutto nelle grotte della
regione, da cui provengono anche numerosi fossili e manufatti
preistorici. Da non dimenticare la bella esposizione di dipinti del
triestino Sivini riguardanti la flora del Carso e di diapositive
riproducenti essenze alpine. Il Museo possiede inoltre alcuni erbari di
notevole valore. Sezione staccata del Museo può essere considerato l'Orto
Botanico sito alla periferia della città, ormai in collina (via
Marchesetti 2), dedicato alla flora regionale, con particolare riguardo
alle piante del Carso, dei monti dell'Istria e delle Alpi Giulie.
Civico Museo del Mare (via di Campo Marzio 1).
Nell'antico complesso del Lazzaretto di San Carlo (eretto tra il 1724 ed
il 1731) su progetto di un certo architetto Michelucci che si
sarebbe servito del modello del Lazzaretto di Messina), opportunamente
ristrutturato a cura dell'arch. Umberto Nordio, è stato
recentemente trasportato il Museo del Mare, sito fino a pochi anni fa in
piazzale Hortis, di fronte al Museo di Storia Naturale.
Unico nel suo genere in Italia, il Museo - che è tuttora in fase di
completamento -raccoglie modelli di imbarcazioni (dalle galere romane
alle navi moderne), strumenti atti alla navigazione, ed una sezione
della pesca (fondata già nel 1904) nella quale sono esposti modellini di
barche ed attrezzi per la pesca.
Acquario marino (Riva Nazario Sauro). Ha sede nel Palazzo fatto da
Giorgio Polli (1913) che ospitava fino a poco fa la grande pescheria. È
stato progettato da G. Müller nel 1934 ed ampliato in seguito.
Consta di 45 vasche contenenti acqua marina riscaldata secondo le
esigenze dei pesci che vi sono contenuti. Le specie esposte, provenienti
da tutte le parti del mondo (soprattutto dai tropici) sono bellissime,
per cui aggirarsi per le stanze dell'acquario, a tu per tu con quell'universo
silenzioso e multicolore, suscita sempre un misto di stupore, curiosità,
ammirazione.
Per trentun anni, dal 1953, è stato ospite simpaticissimo dell'acquario
il noto pinguino Marco che, per la gioia dei bambini, circolava libero
per i corridoi essendosi perfettamente adattato al luogo. Alla sua
morte, il Lloyd Triestino ha donato alla città una nuova coppia di
pinguini.
Museo Ferroviario (stazione di Campo Marzio).
Aperto al pubblico nel 1984, raccoglie cimeli relativi al trasporto su
rotaia dal 1857, anno dell'inaugurazione della Meridionale
Trieste-Vienna, ad oggi.
I dintorni. Per dieci chilometri si snoda la spettacolare riviera
triestina con la sua strada ricavata dal calcare e l'arenaria, con le
sue coste alte e rocciose sulle quali pini marittimi, acacie, ginestre,
ulivi, crescono rigogliosi. Questa costiera, diversa nel suo genere da
ogni altra, offre, qualunque sia la stagione dell'anno, uno scenario
sempre vario e sorprendente di luci e colori, di forme inedite e
imprevedibili: macchie gialle di ginestra a primavera, cespugli e
arbusti dalle rosse bacche in autunno, vigneti che scendono digradando
sino al mare dove si aprono le tranquille insenature di Grignano, Duino,
Sistiana trasformate in deliziosi porticcioli turistici.
Il luogo più celebre della costiera è Miramare, ancora in comune
di Trieste, dove su uno sperone di roccia che si protende sul mare fu
iniziata nel 1856, per volere dell'arciduca Ferdinando Massimiliano
Giuseppe d'Asburgo (fratello minore dell'imperatore Fancesco Giuseppe I)
la costruzione del Castello dalle bianche torri immortalato dal Carducci
nella famosa ode.
Vuole la leggenda, romantica quanto si conviene all'ambiente, che
l'arciduca, sorpreso un giorno dalla bufera in mare, avendo trovato
rifugio nella piccola baia di Grignano fosse rimasto talmente attratto
dall'incanto del luogo da desiderare di erigere colà la propria dimora
che purtroppo un avverso destino non gli avrebbe poi concesso di godere
a lungo. Il progetto fu steso dall'architetto Carlo Junker,
secondo il così detto stile eclettico, ed è un esempio di articolata
residenza principesca dell'Ottocento.
Contemporaneamente, sempre per volere di Massimiliano, veniva spianato
lo sperone roccioso ricoperto di terra di riporto. Si creava così un
grande parco che per la sua estensione (22 ettari) è uno dei maggiori
dell'Italia settentrionale. Vi sono stati importati alberi da tutto il
mondo: abeti dalla Spagna e dall'Himalaya, cedri dall'Africa del nord e
dal Libano, cipressi e sequoie dall'America. Una parte è stata
strutturata a giardino all'italiana e scende con ampi gradoni
piacevolmente verso il mare.
Il Castello, che dal 1931 al '37 fu residenza del duca d'Aosta e dal
1943 al '48 fu sede di diversi comandi militari stranieri, divenuto di
proprietà dello Stato, dal 1955 è stato definitivamente destinato a
Museo sotto la tutela della Soprintedenza. Nelle sue venti e più stanze
si ha la possibilità di trovare un arredamento d'epoca, spesso scherzoso
e talvolta bizzarro (ad esempio Massimiliano volle che la sua stanza da
letto venisse arredata come la cabina di una nave; la cosiddetta Saletta
Novara, riproduce il quadrato di poppa della nave austriaca che portava
tale nome, ecc.). Il tutto va apprezzato più che altro come
testimonianza del gusto ottocentesco, dal momento che non vi è un pezzo
d'arte che si imponga per importanza sugli altri: molti, invece, i
momenti di storia che la visita al castello permette di rivivere.
Interessante, tra le altre, la Sala di Cesare Dell'Acqua così chiamata
dal nome del pittore istriano (1821-1905) che narrò attraverso i
numerosi quadri dipinti (cui va aggiunta la decorazione del soffitto) i
fatti salienti di Miramare e della vita di Massimiliano. Si differenzia
dalle altre, lo studio del duca d'Aosta, allestito con mobili tipici del
ventennio.
In alto, a 350 metri d'altezza, con splendida vista panoramica sul golfo
di Trieste, svetta la moderna struttura del Santuario di Monte Grisa,
costruito - su progetto di Antonio Guacci (1963-1967) - per
ottemperare al voto fatto il 30 aprile 1945 del vescovo di Trieste
quando, al concludersi dell'ultima guerra, la minaccia di distruzione
incombeva sulla città. Complessa, ardita costruzione, in cemento armato,
conserva nel suo suggestivo interno un bel Crocifisso di Marcello
Mascherini.
Tra le chiesette delle frazioni carsiche, un cenno almeno a quella della
Madonna della Salvia, vicino a Contovello, nel cui presbiterio,
costolonato alla gotica, si conservano affreschi con Santi ed
Evangelisti attribuiti al "friulano" Gian Paolo Thanner e datati
al 1520 circa: sembrano però opera di un maestro sloveno a conoscenza
della cultura italiana. Sono l'unico esempio di pittura di tal genere
nel territorio carsico italiano.
Informazioni tratte da:
GUIDA ARTISTICA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA
(a cura di Giuseppe Bergamini
)
dell'Associazione fra le Pro Loco del Friuli-Venezia Giulia
http://www.prolocoregionefvg.org
|