Testi tratti dal libro "50 anni
a San Marco"
I 100 ANNI DELLA NOSTRA CHIESA
C'č
un nome che identifica la nostra persona; c'č pure un nome che definisce
ogni paese che viene perņ, in genere, caratterizzato dalla sua Chiesa e
dal campanile.
Noi che abbiamo il privilegio di essere l'unico paese del Friuli che
trae il nome dall'evangelista San Marco, abbiamo anche il privilegio di
avere una Chiesa a Lui dedicata, definita vero gioiello d'arte. Per
ricordarne l'inaugurazione, cento anni fa, nel 1902, fu pubblicato un
libro, scritto dal critico d'arte Giovanni Del Puppo, per illustrarne le
bellezze dell'opera voluta da pre Fabio Simonutti, cappellano qui nel
suo paese natio, che ha profuso tutte le sue sostanze per realizzare
questo sogno.
Quel libro noi lo abbiamo ristampato nel 1991, dotandolo di un sussidio
fotografico davvero stupendo.
Nella presentazione, l'autore di allora tra l'altro afferma: "Fino a
pochi anni or sono, quella chiesuola nulla presentava che la togliesse
dal comune. Pari a tante altre congeneri che sorgono ancora, o vecchie o
rovinose, o vandalicamente imbiancate in tanti villaggi del Friuli: ne
la sua mole, ne la sua architettura attraevano lo sguardo o destavano
qualche interessamento.
Ma accadde un giorno che, a cappellano di San Marco, fosse eletto un
prete dei Simonutti.
Fu l'amore del natio loco a cui lo riconduceva lieto la sua missione, o
fu l'istinto geniale che, sotto l'abito talare, faceva palpitare
un'anima d'artista, o furono entrambe queste gentili virtł che nel cuore
del modesto cappellano, fecero nascere, vivo ed acuto, il desiderio di
fare della sua Chiesa un gioiello di grazia, di bellezza e di splendore.
Dov'era,
che cosa era San Marco se non un villagetto di poche case, solitario e
dimenticato in mezzo alla pianura friulana?
Per anni parecchi, il sogno luminoso di don Fabio Simonutti fu
l'abbellimento della sua Chiesa e come a quel sogno si volsero costanti
il pensiero e il desiderio, cosģ pure tenacemente vi fissņ
la volontą. Circondato da una schiera di artefici scelti fra i migliori
che onorino il nostro Friuli dimenticato, egli diede mano all'opera con
entusiasmo giovanile, con fede serena nella riuscita, con audacia pronta
a superare qualsiasi ostacolo avesse ad attraversargli il cammino.
Ed oggi, nella letizia dell'animo a cui sorride la soddisfazione
dell'opera compiuta, don Fabio Simonutti offre il dono, con la sua
chiesa, non al suo paese soltanto, ma alla piccola "Patria" e forse
anche alla grande patria comune, un gioiello di grazia, di bellezza, di
splendore".
Cosģ venne presentata la Chiesa che onora il nostro paese, che vuole ora
ricordare, a cento anni dalla ristrutturazione, l'opera che si spalanca
qui, davanti ai nostri occhi ammirati, legata al nome di pre Fabio, la
cui memoria resta in benedizione.
Questa č la vostra chiesa!
Queste quattro mura hanno accolto l'anelito, le speranze, le gioie ed i
dolori dei fedeli che hanno convintamente frequentato questo luogo
sacro.
La gioia delle funzioni solenni dell'anno liturgico; nelle feste del
Patrono, della Madonna del Rosario, delle Domeniche ordinarie e dei
suggestivi momenti che hanno segnato il nascere ed il crescere delle
persone.
Nelle festivitą dei Battesimi, delle Prime Comunioni, delle Cresime con
la presenza del Vescovo e dei Matrimoni che hanno segnato il formarsi di
tante famiglie cristiane, con promessa di fedeltą, ripetuta con
trepidazione, davanti a questo altare. In questo luogo sacro sono
passate, per un saluto di suffragio e di commiato, le spoglie mortali di
tante persone, circondate dal rimpianto e dalle lacrime dei loro cari.
Mille e mille preghiere sono state espresse per chiedere grazie,
alimentare speranze, placare angosce, affidando i segreti dell'anima, al
mistero di Dio e della Vergine Santa, qui tanto amata ed invocata.
Questa č la mia chiesa!
Dei
cento anni di cui č protagonista, per 38 lha goduta, con passione
impareggiabile, l'ideatore pre Fabio; per 12 anni il mio predecessore
don Giuseppe Fasiolo che fu anche il primo Parroco (1941), mentre prima
San Marco dipendeva come cappellania da Tomba. Infine, per ben 48 anni,
quasi mezzo secolo, io stesso, che nel lontano 1954, con il giovanile
entusiasmo dei miei 28 anni, ho raccolto questa ereditą, per incarnarmi
in questa comunitą, divenuta per me famiglia, anima della mia anima,
facendo di questa Chiesa, con voi e per voi il cuore vivo e palpitante
di forte spiritualitą.
Da questa Chiesa la Rai (Radiotelevisione Italiana), il 6 Agosto 1972,
ha trasmesso, a raggio nazionale, la Messa domenicale come prologo al
Congresso Eucaristico Nazionale che si tenne a
Udine nel settembre di quell'anno, con la partecipazione del Papa Paolo
Sesto.
Qui ci sono stati offerti messaggi dal carisma di persone privilegiate.
Qui č passata pił volte la stigmatizzata udinese Raffaella Lionetti; qui
ha celebrato il sacerdote don Carlo Mondin che vive la Messa come
espressione visibile della passione.
Protagonista di un'apparizione della Madonna, qui č passato il pił
giovane veggente di Medjugorje: lacov. Qui don Stefano Gobbi ha fatto
pił volte tappa di preghiera e di riposo dopo l'assiduo peregrinare per
le vie del mondo come apostolo privilegiato della Madonna.
In questa Chiesa, da anni, si celebra ogni giovedģ un cenacolo mariano
che ha richiamato e richiama tuttora l'afflusso di tante persone che
credono nel valore della preghiera, trasformando questo posto in un
piccolo santuario.
Purtroppo molti parrocchiani sono rimasti estranei a questo flusso di
grazie; stanno abbandonando la Chiesa, cedendo alle lusinghe di un
presuntuoso benessere, che sta soffocando la pratica religiosa.
Qui, oggi, chiedo a tutti un sussulto di risveglio, di impegno e di
propositi, perché non subentri, dopo di me, ultimo sacerdote presente in
questa parrocchia, una minacciata desertificazione dello spirito, che
peserebbe, come motivo di responsabilitą, su questa parrocchia tanto
privilegiata dal Signore.
Cento anni di vita! Cento anni di grazie! Cento anni di storia per
questa Chiesa. Il ricordo non č legato alle pietre che la compongono;
tutto č demandato alla sensibilitą e alla disponibilitą dei nostri
cuori.
preghiere canti e suoni
I numerosi fedeli
presenti alla Santa Messa, animata dal Coro di Plasencis
MIA GENTE!
"Gesł, Maria, vi amo!", questa č la giaculatoria che preferisco e che mi č caro
ripetere spesso, con forte coinvolgimento interiore. Due nomi
questi, che mi richiamano una presenza viva, che orienta la mia
vita nelle scelte di fede.
Questo legame spirituale l'ho partecipato a voi, nelle due
lettere, a Gesł e Maria, che ho voluto scrivere e leggere poi
alla comunitą in occasione dell'anno giubilare.
Per completare il cerchio degli affetti a cui sono legato
interiormente, manca ancora l'ultimo interlocutore. E qui entra
con forza il rapporto con voi, mia gente, che, per mia scelta,
costituite in assoluto, la realtą tangibile della mia famiglia,
con la quale condivido da ben 50 anni, gioie e dolori, fatiche e
speranze, legate ormai a cinque generazioni.
Sono vive solo nel ricordo, le persone pił anziane, trovate qui
al mio arrivo nel 1954 e che avevano radici di nascita, nel
lontano 1800. Sono solamente quattro le donne che hanno superato
i 90 anni, come seconda generazione di riferimento e come
memoria storica, ancora presenti nella comunitą. Segue poi la
categoria dei nonni, persone che al mio arrivo qui, ho trovato
giovani come me, spartendo con loro la vigoria degli anni e del
mio entusiasmo, tradotto in intensitą di impegno spirituale e
materiale che ora, con i tempi radicalmente cambiati, si fa
nostalgia e rimpianto.
Possiamo guardare a loro come alla generazione che ha costituito
la chiave di passaggio tra il vecchio e il nuovo; tra la
tramontata civiltą contadina e la modernitą che avanzava con la
meccanizzazione dell'agricoltura, con le automobili e con
l'invasione degli elettrodomestici che venivano man mano
arricchendo le case.
Questa esplosione del nuovo, ha messo in crisi vecchie
tradizioni, parametri di vita religiosa che facevano della
Chiesa, luogo di socializzazione convalidato dalla presenza del
sacerdote come elemento di identificazione fra paese e
parrocchia.
In quel contesto Chiesa e campanile erano considerati come punto
di riferimento ideale per i presenti ed amato motivo di aggancio
al paese, per le donne sposate altrove e soprattutto per gli
emigranti, costretti a rompere il piccolo cerchio familiare, per
cercare occasioni di lavoro stagionale o definitivo, in varie
parti del mondo.
Testimone del cambiamento, come dicevo, č la generazione che ora
cammina ancora con me e come me, sospesa tra il vecchio, vivo
nel ricordo, ed il nuovo che irrompe con prepotenza, vissuto
invece in pienezza di accettazione, da quelli che costituiscono
la quarta generazione, quella delle persone che io qui ho fatto
crescere nella fede, che ritengo come figli spirituali e che ora
sono genitori, protagonisti di un presente gią prestigioso, ma
ancora aperto a realtą ed a prospettive impensabili, che fanno
del "computer" un punto di riferimento "virtuale" che sta
trasformando il mondo in una specie di villaggio globale.
E stanno crescendo i rampolli della quinta generazione, ragazzi
e giovani, che cammineranno, inoltrandosi nel nuovo secolo,
mentre con noi anziani, morirą il ricordo del passato.
Loro costituiranno un giorno la mente direttiva di nuove ed
originali imprese, mentre la manovalanza ordinaria, verrą
relegata alle persone del terzo mondo, agli emigranti, che
affluiranno qui da noi, sempre pił numerosi, ansiosi di sedersi
alla tavola opulenta della nostra societą del benessere,
innestando una babele di lingue e di religioni che approderanno
a forti tensioni prima che, in tempi lunghi, tutto poi si
appiani con assestamenti che cambieranno il volto dei nostri
paesi.
Non puņ che essere difficile per me soprattutto questo ultimo
tratto di cammino, sospinto da sollecitazioni che ormai non sono
in grado di recepire, legato a ricordi inutili sprecati nel
giudizio dei giovani che non possono capire questa difficoltą di
aggiornamento.
Diventa cosģ, gią oggi, patetica la presenza di un sacerdote
anziano (78 anni) che sa di chiudere definitivamente la serie
dei pastori che, per secoli, lo hanno preceduto, al servizio di
questa nostra piccola comunitą.
La tentazione del rimpianto č forte ed č altrettanto viva,
quella di mettermi ormai da parte come persona inutile e
sorpassata.
Le radici poste qui in mezzo secolo, mi rendono incapace di
vedermi altrove se non per esigenze determinate da motivi di
salute. Conviene allora che io mi rimetta serenamente alla
volontą del Signore ed alla comprensione di quanti sanno ancora
apprezzare il valore di una presenza valida per un richiamo di
fede. Con povertą di parola e di esempio, ho sempre richiamato a
tutti il dovere, come credenti, di mettere Dio al primo posto,
ogni giorno della nostra vita! Mia gente, mia comunitą, mia
famiglia, restiamo fedeli al Signore e alle sue proposte legate
al Vangelo. Lui solo, ricordiamolo, č "Via, veritą e vita". Lui
solo, siamone convinti, ha per noi "Parole di vita eterna!"
L'usura dei tempi che viviamo, ha tolto al sacerdote ogni ruolo
di autoritą; resta perņ sempre valida la forza dell'amore. Per
questo nulla e nessuno potrą mai proibirmi di volervi bene.
SAC. ADRIANO MENAZZI
Nato a Terenzano il 22/09/1925
Ordinato sacerdote nel 1949.
Vicario, poi parroco di Ligosullo fino al Marzo 1954.
Dal 4 Aprile 1954, parroco a San Marco.
Dal 1992, parroco "In solidum" di Tomba.
Dal 2001, parroco "In solidum" di Plasencis.
Parroco "moderatore" di Tomba e Plasencis,
il sac. Giovanni Boz (Mereto di Tomba)
In 50 anni di presenza a San Marco
ha amministrato 201 Battesimi
celebrato 110 Matrimoni
e 242 Funerali.
Dalla chiesa all''asilo, dove sarebbero proseguiti i
festeggiamenti,
don Adriano ha usato un mezzo di locomozione simile a quello
che lo ha portato a San Marco nel lontano 1954.
Une vite a San Marc
(di pre Antoni Beline La Vita Cattolica del 24
Aprile 2004)
Cu
la delicatece di simpri, pre Adriano Menazzi al a volūt
partecipami un traguart impuartant: Lis gnocis d'aur cu la
so comunitāt di San Marc di Merźt. Une esperience rare e
une furtune par lui e pal paīs, s'al č vźr che plui timp
si passe insieme e plui si cres in profonditāt e veretāt.
Cuintri de tendence, o de santescugne di vuź, che ti
limite tal timp e ti da la responsabilitāt di plui paīs,
jo o soi par une pastorāl monogamiche e indissolubile. Si
trate duncje di cjatā fūr predis, o di bati stradis gnovis
par fāju. Ma chest al č un altri discors.
Pre Adriano, nassūt a Terenzan dal 1925, al a scomencade
la so cariere a Liussūl, tč cove lassade di pre Madeo
Cusina, promovūt a San Martin di Rualp e Val e gno
antecessōr.
In chei pōcs agns, une sorte di Blitzkrieg, al a vūt mūt
di fasi benvolź e al a cjatāt il flāt di fa un public
contraditori, lui om spirtuāl, cuintri i socialiscj di
Trep. A jerin i agns de militance tes schiriis de
Democrazie cristiane. Lassł al a cognossūt e frecuentāt
ancje il siōr santul pre Luigj Zuliani, model di pastōr
restāt par 53 agns a Ēurēuvint.
A San Marc al č rivāt ai 4 di avrīl da 1954, in plen An
Marian, e par lui nol podeve jessi un segnāl plui propizi
e sflandarōs.
Li al ą dāt dut, cuntune fedeltāt esemplār a la definizion
canoniche dal predi di "homo Dei", salt "te premere e tal
predicjā la per aule" (At 6,4). Dongje de passion de
glesie, simpri in funzion cun messis, gjespui, adorazions,
cenacui e devozions di ogni sorte, la passion pe Madone.
Insieme cu la Madone l'afiet par sō mari, che e a cjapāt
ancje la part dal pari, muart a 28 agns. Po la passion pes
rósis e pes robis bielis e pes besteutis.
Intant il timp al č svualāt, il mont al č gambiāt di fonde
fūr e dome pre Adrian al č restāt edentic, zontant a la
gracie esteriōr dai 30 agns la bielece interiōr, ch'e ven
cu la maturitāt.
Tal numar unic butāt fūr pe ocasion des gnocis d'aur cu la
so comunitāt, al a sielte une fotografie emblematiche: al
alce il cjalic pe consacrazion, cui vōi sierąts in
adorazion. L'om dal ministeri e dal misteri.
Leint lis pagjinis poetichis e afetuosis dal so scrit, mi
a parüt di sintī un fregul di delusion par une glesie che
si sta svueidant e pes gnovis gjenerazions che a passin
dretis.
Plui che la cjante di Simeon culo so «Nunc dimittis»,
sbroc content di un che al a lavorā ben e al ą finide la
so zornade, o ai sintūt aiar di «De profundis» par un
templi che nol č plui il cūr dal paīs e par un predi che
si cjate cence lavōr e cu la sensazion di vź lavorāt
dibant.
Se o pues permetimi une peraule, i disarčs al plevan di
San Marc che ogni vite e je butade vie, come ogni semence,
ma chest al fās part dal plan di Diu.
Une vite coerente e ą simpri il so valōr, al di lą dai
risultāts, che no ju cognossin. Che la fin dal templi no
je dal dut negative, dal moment che la religjon e ą di
peāsi plui a la vite che a la glesie.
Nol č just ne serio misura la moralitāt e la santitāt di
un paīs dal numar de int tai bancs.
Ma se propit propit al sint chest sens di frustrazion,
invezit di resta dibessōl framieē des maseriis spirtuāls
dal templi, ch'ai fasi come Ezechiel.
Ch'al compagni i siei fīs e i fīs dai siei fīs in
Babilonie, par vivi cun lōr il timp de diaspore e la
sperance tal gnūf Pastōr dai pastōrs e tal gnūf templi,
chel de glorie dal Signōr, cence mūrs e cu l'aghe de vite. |
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