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Lucinico (GO), 11 Maggio 2003


CAMPANE

La celebrazione della Santa Messa è stata preceduta da una breve
cerimonia per con la consegna di una targa e di un omaggio floreale
 a mos. Angelo Persig nativo di Lucinico, per il suo 60° di sacerdozio.

All'omelia, mon. Angelo Persig ha ricordato alcuni episodi della sua
vita sacerdotale, della quale vi proponiamo alcuni estratti.


CANTI

Informazioni tratte da vecchie edizioni di LUCINIS, il periodico che si stampa fin da 1977,
gentilmente fornite da don Silvano Piani

Il vecchio Comune autonomo

Cinquantadue anni fa, nel '27, un decreto governativo toglieva a Lucinico la sua lunga autonomia comunale. Insieme agli altri comuni che circondavano Gorizia, veniva a questa unito, per farla diventare una città di oltre 45.000 abitanti. Molte sono tuttora le persone che ricordano la vita del comune lucinichese ed il «Zanut Muini» Giovanni Marconi, il nostro sacrestano è uno dei più lucidi testimoni di quel periodo. Il comune aveva la sua sede municipale nell'attuale scuola media che come la quasi totalità delle case era stata rifatta dopo le distruzioni della grande guerra. Nella sede municipale lavoravano tré impiegati: «il Gigi Zorz, segretari, l'Ugo Cociangig e la Giorgina Zanutel impiegas». I1 messo comunale e vigile urbano «fant comunal» era il «Pepi Filip»; nei campi e nei boschi vigilavano due guardie: «Meni Vidoz e Nin Bon». La pulizia del paese era affidata agli stradini «Toni Vidoz e Pepi Oblubek». Il Pepi Malich era l'operaio addetto agli impianti elettrici ed alle attrezzature comunali; l'affossatore comunale era «il Scefin Vidoz, nono dal Romeo che l'è cumò custode da palestra». Tutte queste persone lavoravano per un comune di 1200 ettari e tremila abitanti. La grande guerra aveva provocato la dissoluzione dell'impero austro-ungarico ed il governo italiano entrando in possesso di questa terra aveva nominato un commissario per ogni comune. A Lucinico la carica era stata assunta dal Signor Massimo Sdrigotti cui successe nelle prime libere elezioni il signor Paolo Cicuta rappresentante del Partito Popolare.


 Lucinico prima della Guerra 1915-18

L'avvento del fascismo soppresse le libertà comunali ed al sindaco liberamente eletto fece seguito il podestà nominato dall'autorità prefettizia che indicò nel Signor Zottig il massimo responsabile amministrativo lucinichese. Il Signor Zottig era giudice alla Pretura di Cormòns ed il «Zanut» ricorda che «la so famea iera siora». I Zottig abitavano nell'attuale casa Janni «Jasnig» in P.za San Giorgio e possedevano molti campi condotti da coloni a Mossa e Cerou (Cerovo). Il podestà era molto rigido e per non indebitare il comune fu contrario a fare l'acquedotto sfruttando la falda acquifera posta nei campi dopo la casa dei «Polas», andando verso Gardisciuta. Il progetto, animatamente discusso da tutta la popolazione prevedeva il convogliamento dell'acqua fino su «la rnont di Pubrida»; avrebbe poi servito sia Lucinico sia Mossa. Tra i consiglieri comunali, il Zanut ricorda tra i «popolari» «l'Agnul Rosso, il Pepi Stefanut e il Zan Taglianut, rappresentant dal Borg di Gardisciuta»; «la sinistra» annovera tra gli altri «Drea Sis, il Gildo Bernardi, il Pepi Cuck ed il Zanut Cek, che iera l'unic che veniva a messa e par chel lu clamavin il rnuini dai comunisc. La gente partecipava alle riunioni del consiglio, e, specialmente quando il municipio, dopo la guerra si trovava ancora in una baracca, non occorreva nemmeno entrarvi perché « si sintiva dut stant di fur». Dopo la seconda guerra mondiale, analogamente ai movimenti di autonomia comunale che si erano formati nei paesi vicini, a Lucinico molti erano d'accordo di richiedere la perduta municipalità. «La maggioranza da la DC iera d'acordo» commenta il Zanut, «Tant l'è vera che chei di Gurizza, par spaurì, ierin vignus jù spiegant duch i debis che nus varesin tociat di paia se si metevin soi». Mancò in quegli anni la spinta decisiva, poi nessuno ne parlò più fino ai giorni nostri. Salutando il «Zanut» gli abbiamo chiesto se anche lui aveva sentito dire che erano stati i lucinichesi a chiedere nel 1927 di fare un unico comune con Gorizia... «Orpo, diamine... ma no veso lèt la storia, ma no jera su duch i giornai» — ci ha subito redarguito —. «A Lucinis jan tiratici via il comun senza digi nuia a la int!».

Come scomparve il nostro bel campanile - Fine maggio 1915. Una mattina presto due soldati austriaci entrano in casa nostra, uno dice: «Prima delle ore dieci dovete chiudere la casa e andare tutti sul prato vicino». Chiedo «perché?». Non mi rispondono. Sul prato vi sono già numerose persone. Alle nostre richieste, finalmente un soldato risponde «dobbiamo gettare giù il campanile perché è troppo alto ed i soldati italiani lo vedono già da lontano». Circa mezz'ora dopo, udiamo uno scoppio violento, una «nube» bianca si alza sopra i tetti delle case e nasconde alla nostra vista il campanile e, poi la «nube» si dirada ed il campanile riappare. Trascorre un'altra mezz'ora udiamo un nuovo forte scoppio che ci spaventa. Vediamo una «nube» scura più fìtta della precedente che poi si dirada e rivediamo il campanile. Notiamo un certo nervosismo tra i soldati che corrono di qua e di là imprecando. Dopo circa un'ora sentiamo un tortissimo boato, la terra trema sotto i nostri piedi. Torniamo a vedere per la terza volta la «nube» ancora più scura delle precedenti, nasconde il campanile che in seguito riappare. Un uomo grida: «si sta inclinando» altri dicono no, ma invece si sta proprio inclinando lentamente verso sinistra. Le campane mosse dalle vibrazioni si mettono a suonare. È l'ultimo loro saluto a tutti noi. La statua in bronzo di San Giorgio che ornava la cima del campanile viene proiettata verso l'alto e scompare. Lentamente il campanile si schianta al suolo con grande fragore, nello stesso momento udiamo un rumore metallico: è dato dalle campane che si frantumano sotto il peso delle pietre. Ci mettiamo tutti a piangere in silenzio. L.C.

Un giorno che non potrò mai dimenticare - Era verso la metà di giugno del 1915. Alla mattina presto entrano in casa nostra due soldati austriaci (e cosi in tutte le altre case) e dicono: «entro tre ore dovete decidere o passate ora il ponte o non lo passerete più». Perché? chiede mia madre. Un soldato risponde: «perché a mezzogiorno faremo saltare tutti i ponti e nessuno potrà più passare». Mamma dice: «papa è di là internato, andiamo anche noi di là». Prendiamo le cose più necessario. Verso le ore dieci lasciamo la nostra bella casa. Giunti nei pressi dei ponti vediamo che sull'argine destro del fiume vi è una immensa quantità di filo spinato. Ci sono moltissimi rotoli sovrapposti e vicinissimi in modo da formare una «muraglia» alta come una casa a due piani e molto larga. Il tutto fissato nel terreno da altissimi pali di ferro e di legno. Per oltrepassarla erano state messe delle assi legate con corde e poi fissate ai pali. Iniziarne a salire ad uno ad uno ben distanziati perché le assi si muovono in continuazione e nessuno ci aiuta. Inizia la discesa ancora più pericolosa e passiamo finalmente dalla parte opposta della muraglia. Ci fermiamo da parte per riposare. Dopo pochi minuti sentiamo un tortissimo boato. La terra trema sotto i nostri piedi, vediamo dalla seconda arcata del ponte della ferrovia, alzarsi una enorme fiamma. Dalla violenza dello scoppio le pietre si sollevano verso l'alto, poi ricadono con grande fragore nel fiume. Siamo tutti molto spaventati. Un mio fratellino di cinque anni grida: «mamma torniamo a casa, ho paura, qui c'è la guerra» e si mette a correre verso il filo spinato. Un soldato lo ferma e gli dice: «qui non c'è la guerra, il ponte lo abbiamo rotto noi». Il bimbo chiede: «perché?» il soldato (per tranquillizzarlo) risponde: «perché era vecchio e pericoloso, ora lo aggiusteremo». Poco dopo, noi tristemente attraversiamo il ponte e ci dirigiamo verso Gorizia.
Testimonianza e descrizione delta lucinichese Lima Cicuta n. a Lucinico il 31.7.1901 insegnante elementare – vive a Lecco (Co).

La testimonianza storica
(di Camillo Medeot)

«II primo grosso problema che il podestà Bombig dovette affrontare fu quello dell'aggregazione dei cinque comuni limitrofi (Lucinico, S. Andrea, S. Pietro, Salcano e Piedimonte) decretata dal Governo senza prima interpellare le popolazioni interessate, anzi contro la loro volontà ». (Da «I cattolici del Friuli Orientale nel Primo Dopoguerra » p. 165).

Anno 1924 - Lucinico, distrutto dalla guerra, stava pian piano risorgendo. La gente era tornata dalla «profuganza» e stava lentamente ricostruendo il paese e la sua economia. Le vigne, i campi, gli orti ripagavano il sudore e la fatica dell'uomo con buoni raccolti. Si tornava a vivere. C'è da dire subito una cosa. I poveri lucinichesi, nel '15 avevano abbandonato il paese da austriaci; al loro ritorno si erano ritrovati italiani e, poco dopo, anche «fascisti»: nuovo Re, nuove leggi, nuove autorità, nuove... tasse e l'handicap di essere stati sudditi di Francesco Giuseppe. Una situazione, dal punto di vista politico-amministrativo, piuttosto problematica; in poche parole: una vita dura. Di questa situazione approfittò Gorizia. Il Fascismo voleva che la città nostra vicina si ingrandisse per tener testa al retroterra prevalentemente slavo e ordinò l'aggregazione alla città dei comuni vicini. I goriziani si presero così S. Andrea, Piedimonte, Salcano, S. Pietro, Vertoiba e anche Lucinico. Molti (goriziani) sostengono che Lucinico allora fece un buon affare passando sotto Gorizia. Niente di più falso. Il paese era grande e ben popolato (490 case e 2.307 abitanti nel '24; 2.382 nel '26); la popolazione in aumento. Il comune di Lucinico possedeva dei beni abbastanza consistenti: circa 50 ettari di terreno (140 campi) di cui 25 ettari (70 campi) erano classificati: arativo, vigna, orto; possedeva un'azienda elettrica largamente in attivo, buone rendite patrimoniali, crediti verso lo Stato per grossi importi (danni di guerra). Una prova di tutto ciò può essere il bilancio del vecchio comune risalente all'anno 1924, l'anno in cui a Gorizia cominciarono a darsi da fare per mangiarsi Lucinico.