Udine (UD), 19 Febbraio 2017
Palestra e chiesa dell'Istituto Salesiano Bearzi

Convegno Diocesano dei Catechisti e Animatori


Apertura del convegno di don Alessio Geretti...



...un violino ha intervallato le letture e preghiere del gruppo di ospiti dell'Istituto Santa Maria dei Colli di Fraelacco
,
con la presenza in prima fila del gruppo "Pastorale dei sordi" del Duomo di Udine...


 ...la recita comunitaria del Padre Nostro...


...ha preceduto l'intervento
dell'Arcivescovo mons. Andrea Bruno Mazzocato...


...la relazione di suor Veronica Amata Donatello...


...ha concluso la prima parte del convegno, con trasferimento in chiesa per la celebrazione della Santa Messa...

...approfitto di questo intervallo, aggiungendo qualche immagine ripresa durante il convegno e la seguente cerimonia liturgica, per mettere in rilievo il prezioso lavoro della "mediatrice per la lingua dei segni" Giada Scussolino, che a titolo di volontariato è presente nelle più importanti attività della Pastorale dei Sordi della Cattedrale Udine...



Era un giorno come tanti altri e quel giorno lui passò
Era un uomo come tanti altri e passando mi chiamò
come lo sapesse che il mio nome era proprio quello
come mai vedesse proprio me nella sua vita non lo so
era un giorno come tanti altri e quel giorno mi chiamò.

Tu Dio che conosci il nome mio
fa che ascoltando la tua voce
io ricordi dove porta la mia strada
nella vita all’incontro con te.


Era l’alba triste e senza vita e qualcuno mi chiamò
era un uomo come tanti altri, ma la voce quella no
Quante volte un uomo con il nome giusto mi ha chiamato
una volta sola l’ho sentito pronunciare con amore
Era un uomo come nessun altro e quel giorno mi chiamò.

Tu Dio che conosci il nome mio...

...dalle Letture passiamo direttamente all'Offertorio con una serie di immagini che non sempre inquadrano chiaramente i doni che i rappresentanti delle varie associazioni di invalidi porgono al celebrante, ma sono chiaramente descritti nelle preghiere che accompagnano il rito...




PREGHIERE DEI FEDELI


...dalla Consacrazione al Padre Nostro...


...e dopo la Comunione...


...e la Benedizione... il canto di chiusura...



Da font de mê anime o gjolt, o esulti,
il miôr, de mê musiche a Diu lu cjanti
che ancje se picule s'impense di me:
da font de mê anime cjantin al gran Re!

O jeri tant puare e mi à preferide,
parceche plui libare in cûr mi à cjatade
par chest ogni anime mi benedirà:
o jeri tant puare e Diu mi cjalà.

Il plen di supierbie Idiu lu savolte,
il grant in te storie da l'alt lu dismonte,
ma il debul al sacie di ogni bontât:
il plen di supierbie al sbasse il so cjâf.

Gno popul, consoliti, che no ti bandone,
che lui di difinditi ti à fat la promesse;
la fuarce dai debui e reste in Jahvè:
gno popul, consoliti, che Diu l'è cun te!


CENTINAIA DI PERSONE AL CONVEGNO DIOCESANO
Valentina Zanella La Vita Cattolica del 22 Febbraio 2017)  

          DICIANNOVE FEBBRAIO, una domenica mattina di sole. Fuori, nel campetto, le grida dei ragazzi che giocano a calcio; all’interno, in palestra, un’altra squadra, non meno affiatata, determinata e gioiosa: la grande squadra dei catechisti e animatori della diocesi, riuniti negli spazi dell’Istituto Bearzi a Udine, attorno all’Arcivescovo mons. Andrea Bruno Mazzocato per l’atteso appuntamento con il Convegno annuale riproposto dall’Ufficio per l’iniziazione cristiana e la catechesi e dedicato quest’anno al tema delle disabilità e dell’inclusione. Ospite speciale suor Veronica  Amata Donatello, della Congregazione delle Suore Francescane Alcantarine, responsabile del settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale della Cei.
          «Siete una bellissima rappresentanza!», esordisce con entusiasmo
mons. Mazzocato, osservando la variegata platea in ascolto attento e presentando il convegno, che definisce «una giornata per ricordarci che siamo un’unica grande compagnia», «una giornata per farci sentire un’unica impresa, la più grande impresa della Chiesa, assieme alla liturgia. Forse la più importante per la nostra Chiesa, a Udine, e non solo, oggi in partico-lare». Primo catechista tra i suoi catechisti, l’Arcivescovo non manca di cogliere l’occasione per evidenziare l’«enorme responsabilità di chi si impegna nel trasmettere la fede agli altri, soprattutto a bambini e ragazzi». Una responsabilità che, al giorno d’oggi, è una vera «impresa missionaria», dice mons. Mazzocato, richiamando la parabola del seminatore:  «Come il seminatore, siamo chiamati a spargere il seme della Parola di Gesù ogni giorno, anche quando ci pare di sprecare tanto seme, gettandolo sui sassi, sulle strade, dappertutto… Come il seminatore, ci chiediamo: cadrà sul buon terreno? Sappiamo come andrà a finire...
          Sappiamo tutti cosa significa gettare il seme della Parola anche laddove ci sembra che i ragazzi, e più spesso ancora le loro famiglie, siano come strada o sassi...». «Il nostro impegno è di non stancarci di seminare. Di questi tempi ce n’è proprio bisogno». La seconda qualità del missionario, ha proseguito il Pastore della Chiesa Udinese, è non preoccuparsi del terreno, ma piuttosto del seme che si getta, che sia quello buono. E come si fa a saperlo?, chiede mons. Mazzocato. «Certo, preoccupandoci di prepararci bene per parlare di Gesù secondo verità e secondo la fede della Chiesa, ma soprattutto facendone noi per primi esperienza nel terreno della nostra vita. Quando prego, al mattino – ha confidato l’Arcivescovo –, per prima cosa mi chiedo sempre: ma io ci credo davvero? Fa parte della mia vita quello che dirò oggi?». «Fare i catechisti – ha concluso – è bellissimo perché ci porta ad interrogarci continuamente sulla nostra fede.
          Fare i catechisti è una bella strada per diventare Santi!». «Un cammino di santità, il nostro, e talvolta di “martirio”, visto che i ragazzi ci fanno spesso ammattire!», scherza il direttore dell’Ufficio catechistico diocesano,
don Alessio Geretti, ringraziando mons. Mazzocato per le sue parole. E non solo. Anche «per non essere chiuso nella sua sede centrale ma “a piede libero”, con noi oggi e in tante altre occasioni».
          E scherza anche
suor Veronica, all’inizio del suo intervento, presentando la propria storia e famiglia: nata da due genitori sordi e cresciuta con una sorella che soffre di epilessia, ha imparato presto a comunicare per «altre vie». «Mio fratello dice sempre di essere l’unico normale in casa, dal momento che ha anche una sorella suora!». 42 anni, una vita trascorsa a stretto contatto con la disabilità, oggi suor Veronica è responsabile del settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale della Cei.
          Diretto e concreto il suo intervento. Immediatamente spiazza la platea con un tam tam di interrogativi provocatori: «Quanti di voi pensano che i disabili siano persone? Tutti, immagino. Ma allora perché accanto a un disabile decidiamo spesso noi per lui cosa è meglio? Quante volte lo consideriamo un oggetto e non un soggetto, alla stregua di un bicchiere vuoto da riempire? Quante volte ci limitiamo ad occuparci dei suoi bisogni più banali: mangiare, bere, star “bene”, anziché chiederci, ad esempio, quali siano i suoi bisogni spirituali?».
          Come fare per includere, davvero, allora? Innanzitutto rinunciando a categorizzare, a fare lo screening di una persona ed incasellarla in uno schema predefinito, risponde suor Veronica. Poi puntando a creare senso di comunità, ad alimentare il gusto di sentirsi fratelli, e sfruttando piccoli accorgimenti, valorizzando in particolare linguaggi plurimi. «Spesso basta cogliere da quello che la liturgia già offre: simboli, odori, tatto». Ecco, dunque, l’esempio della chiesa in cui sono stati affissi dei cartelli con simboli ed etichette o della parrocchia che fa catechesi «visiva», sfruttando ad esempio le opere d’arte. La Parola – sottolinea suor Veronica – non tocca il nostro corpo solo con la verbalità! Includere è possibile e non è per specialisti. A volte basta il coraggio di osare. Di guardare l’altro, sentire la gioia che proviamo noi nell’incontro con il Signore e volergliela trasmettere!».
         «L’amore trova sempre una strada», conferma don Geretti. «A noi spetta il compito di ricordare che tutte le persone sono fatte per avere una vita piena e salvata. Spesso ci ricordiamo che c’è da smussare uno scalino, o aiutiamo qualcuno a salire le scale, ma dimentichiamo che ciò che è più importante: che ciascuno ha bisogno di una vita spirituale e che Gesù è venuto per tutti!».