Oltre al servizio da noi effettuato  a San Giovanni al Natisone del 3 Luglio 2016,
puà essere utile e informativi l'articolo che segue...

Don Arduini e gli ultimi i 70 anni del prete-operaio
 (Michela Zanutto – Messaggero Veneto del 25 settembre 2012)

          Il prete-operaio don Gianni Arduini domani spegnerà 70 candeline. E lo farà assieme ai ragazzi della Casa dell’Immacolata che segue da un decennio. Ma c’è anche un’altra ricorrenza perché il rifugio creato da don Emilio de Roja celebra i 60 anni dalla fondazione. Insomma, il 2012 resterà per questi momenti significativi nella storia della comunità di via Chisimaio.
          Don Gianni, dopo essere stato ordinato sacerdote, divenne cappellano a Carlino, dove si fermò per 3 anni, e poi di Manzano. «Erano gli anni Settanta e c’era grande fermento», ricorda. Ed è così che nel 1973 decise di prendersi un anno sabbatico. «Volevo stare al fianco degli operai sfruttati e condividere la loro sorte», spiega. Si impegnò prima come benzinaio a Trento e poi come muratore a Milano per un paio d’anni. «Nel 1975 decisi di rientrare in Friuli e scelsi San Giovanni al Natisone perché era un ambiente altamente industrializzato. A quel punto sono entrato in fabbrica e ci sono rimasto 28 anni. Nel frattempo facevo il cappellano nella parrocchia del paese».
          «Fu una scelta di vita e di classe – spiega ancora –, una strada diversa rispetto alla realtà di allora. Volevo essere vicino a un mondo dimenticato. Ero così testimone della vicinanza e della condivisione di una realtà ingiusta e di speculazione». Man mano don Gianni riuscì a ottenere qualche diritto per gli operai. «Entrai nel direttivo della categoria – ricorda – e iniziai una militanza a favore dei colleghi». Negli stessi anni, insieme con la comunità che si raccoglieva atnorno alla parrocchia di San Giovanni, fondò il Gruppo 89. «Portammo così in paese personalità di spicco. Ricordo padre Balducci, don Ciotti e Antonio Bello, ma quello che volevamo veramente fare era dar vita a una fondazione per accogliere dignitosamente e aiutare i primi immigrati che si affacciavano da noi». Un progetto che trovò compimento nel 2002, in un cammino intrapreso molti anni prima da don de Roja.
          «Arrivando alla Casa dell’Immacolata si capisce subito il mondo – dice don Gianni – perché qui ospitiamo ragazzi in fuga da guerre e miserie. Purtroppo la legge non li aiuta perché pone vincoli difficili da superare. Dal canto nostro cerchiamo di dare una mano, insegnando l’italiano e un lavoro». Sono in tutto una cinquantina i giovani rifugiati alla Casa dell’Immacolata. Arrivano da Albania, Kosovo, Afghanistan e Nord Africa. «Alcuni di loro sono sbarcati a Lampedusa – conclude don Gianni –. Al dolore di quanto subìto in patria aggiungono le scene strazianti vissute in mezzo al mare».

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-