nuove dal friuli e dal mondo

Morsano al Tagliamento, 17 Ottobre 2003

L'ENFASCE presenta:

La donna friulana nell'emigrazione del XX° secolo

 

Nella sala consiliare del Municipio di Morsano al Tagliamento è stato presentato il libro: "La donna friulana nell'emigrazione del XX secolo". Il libro contiene le relazioni di tre illustri donne morsanesi tenute al convegno annuale dell'Efasce domenica 28 luglio 2002. Elsa Kelly, ambasciatrice di Argentina in Italia; Sandra Pizzolito Pupatello deputato del Governo dell'Ontario - Canada; Roberta Zanet sindaco di Morsano al Tagliamento.
La pubblicazione è stata arricchita da un brano di Maria Sferazza Pasqualis di Cordenons, da una poesia di Valdimiro Martinis ed un centinaio di fotografie sull'emigrazione morsanese.
Il Presidente dell'EFASCE Luigi Luchini ha introdotto la serata. Alla fine è intervenuto il Presidente della Provincia di Pordenone Elio De Anna.


 


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     STATUTO - L'esigenza di aiutare moralmente e materialmente i consistenti gruppi di corregionali emigrati per le contrade del mondo ha stimolato, nel 1907, alcuni generosi, ispirati alla dottrina sociale cristiana, ad istituire a Pordenone il Segretariato dell'emigrazione.
     L'iniziativa, precorritrice in Friuli di analoghi movimenti di solidarietà a favore di coloro che erano costretti ad abbandonare i focolari domestici per trovare lavoro in terre lontane, ha subito nel corso degli anni sostanziali evoluzioni, ampliando la sfera d'intervento ai settori della promozione umana, culturale, sociale e ricreativa.
     L' EFASCE, continuatrice ideale dell'antico Segretariato, ha ritenuto di rendere omaggio ai pionieri e a coloro che hanno mantenuta viva la fiamma fino ai giorni nostri, assumendo la decisione di rinnovare lo Statuto che, fatti salvi i principi fondamentali, si presenta come uno strumento moderno ed adeguato ad interpretare le esigenze dei tempi. Lo Statuto, dopo aver delineato i diritti ed i doveri dei soci, precisa le funzioni degli organismi preposti e, con una significativa novità, stabilisce che i Presidenti dei segretariati, i Coordinatori d'area e i Coordinatori continentali partecipano alle elezioni delle cariche sociali, votando per corrispondenza. Circa l'operatività dei Segretariati, si è ritenuto di demandare ai soci stessi la valutazione sull'opportunità di individuare, con regolamenti autonomi, i sistemi organizzativi meglio corrispondenti alle necessità locali.
     Infine L'EFASCE, convinta che il pluralismo associativo rappresenta un elemento di arricchimento reciproco per tutte le espressioni del mondo dell'emigrazione, prevede la possibilità di promuovere iniziative di coordinamento con altre associazioni aventi analoghi indirizzi di tutela per i connazionali all 'estero. Siffatta collaborazione potrebbe rivelarsi utile anche per il superamento di incomprensioni e di chiusure, non corrispondenti alle aspettative di un mondo che sta per aprirsi ad orizzonti sempre più vasti. Spetta ora ai Soci impegnarsi affinché lo Statuto imprima nuova vitalità all'EFASCE, Associazione che, sullo slancio dei 90 anni trascorsi, intende riproporsi come punto di riferimento per una solidarietà fraterna, nel segno di una memoria che vuol tramandare intatte le comuni radici.
     Il Presidente, Arch. Luigi Luchini

Progetto Culturale “Lo Scrigno della Memoria”

     Consci della volontà di non disperdere il patrimonio umano, storico, culturale, materiale ed informativo delle nostre comunità di emigranti, l'E.F.A.S.C.E. ha awiato un progetto Culturale denominato "Lo Scrigno della Memoria".
     Il primo intervento è stato realizzato con un Convegno tenuto a Morsano al ragliamento domenica 29 Luglio 2002 sul tema "La Donna Friulana nell'Emigrazione del XX Secolo".
     Il Convegno è stato strutturato sulla base del contributo di tré relazioni-testimonianze tenute da tre illustri donne di Morsano al Tagliamento:
- 1. Dott.ssa Elsa Kelly, Ambasciatore di Argentina in Italia, dal titolo "La Donna nella Famiglia dell'Emigrante";
- 2. Dott.ssa Sandra Pizzolitto Pupatello, Deputato dello Stato dell'Ontario - Canada, dal titolo "La Donna Emigrante nella Vita Sociale e Politica";
- 3. Dott.ssa Roberta Zanet, Sindaco di Morsano al Tagliamento, dal titolo "La Donna nella Famiglia Friulana".
In margine del Convegno è stata allestita una mostra di fotografìe illustranti l'emigrazione friulana.
     Nell'ambito del Progetto Culturale "Lo Scrigno della Memoria", l'EFASCE con il contributo della Provincia di Pordenone e della Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, pubblica le tre relazioni-testimonianze e le foto più significative della Mostra, ciascuna corredata da una breve spiegazione che ne illustrata i contenuti.
     Si tratta di una iniziativa culturale mai realizzata in precedenza, attesa all'estero ed in Regione con lo scopo di conservare un patrimonio storico di notevole rilievo.
     L'EFASCE ringrazia quanti hanno collaborato alla realizzazione del "Progetto" e consentito la pubblicazione degli atti. IL PRESIDENTE Arch. Luigi Luchini

La Donna nella Famiglia dell’Emigrante
(dott.ssa Elsa Kelly Ambasciatore d’Argentina in Italia)

     Innanzitutto, desidero ringraziare l'EFASCE, nella persona del Commendatore Tomaso Boer e del suo Presidente, Dr. Luigi Luchini, e tutte le autorità friulane che mi hanno invitato a partecipare a questo Convegno sulla donna nell'emigrazione. In particolare saluto e ringrazio la Signora Roberta Zanet, Sindaco di Morsano al Tagliamento, paese di origine della famiglia di mia madre.
     È già il secondo anno che partecipo al Convegno sugli Italiani nel Mondo e devo dire che vengo sempre molto volentieri qui in Friuli, terra nella quale vivono alcuni miei parenti ed alla quale mi sento molto legata. Difatti, è una caratteristica, quasi un bisogno insopprimibile del popolo friulano, quello di mantenere un forte legame con la propria terra. La necessità di incontrarsi, di stare insieme, di ricreare ovunque, nel mondo, l'atmosfera, le tradizioni, i valori, ha spinto gli emigrati friulani a riunirsi attorno ai "focolari", quei "fogolars furlàns" che sono diventati una vera e propria istituzione, che ancora oggi si fa carico dei bisogni e delle necessità dei Friulani all'estero, oltre a costituire un importante strumento di aggregazione e di diffusione delle tradizioni e della cultura di questa terra.
     Terra di emigrazione, il Friuli, terra di immigrazione l'Argentina. Da studi statistici risulta che la densità della popolazione argentina nel 1898 fosse di meno di 1 abitante per km2. Si calcolava, allora, che il Paese avrebbe potuto sostenere una densità di 70 abitanti per km2. Nel 1998, secondo i dati del censimento effettuato nel 1991, la densità era di 9 abitanti per km2.
Storicamente, esiste una stretta relazione tra il livello di civilizzazione e le zone fertili e densamente popolate, per questo in Argentina la politica demografica e, di conseguenza, anche quella migratoria, ha sempre avuto un'importanza fondamentale. Questo ha coinciso con la necessità opposta delle popolazioni europee di trovare uno sbocco alle frequenti crisi e conflitti sociali e politici che hanno caratterizzato la storia europea tra il XIX ed il XX secolo.
     Tra i fattori che un emigrante deve considerare, vi è certamente l'affinità culturale con il Paese di destinazione, per questo l'America Latina è stata meta privilegiata dell'emigrazione spagnola ed italiana. In particolare, l'Argentina, che per la sua estensione di terre coltivabili, veniva incontro alla necessità di lavoro del mondo contadino, fu la seconda destinazione preferita dagli Italiani dopo gli Stati Uniti. Gli Italiani in Argentina si caratterizzarono per la conservazione della propria identità regionale e sempre preservarono il proprio patrimonio culturale, religioso e linguistico.
     Non esistono registri totalmente affidabili sul numero di persone che hanno lasciato l'Italia. Secondo uno studio di Padre Luigi Favero, sarebbero circa 25 milioni di persone, di cui la metà avrebbero lasciato l'Italia prima della Prima Guerra Mondiale. Questo numero, tuttavia, non ci dice nulla sulla quantità di persone che avrebbero lasciato l'Italia definitivamente e su quanti invece siano, poi, ritornati. Difatti bisogna considerare che vi è stata un massiccia emigrazione di lavoratori stagionali, che partivano per sei - sette mesi circa, per poi tornare in patria. Si trattava quindi di un'emigrazione solo temporanea.
     Un altro elemento utile per poter avere una visione più chiara del fenomeno migratorio italiano, è la sua collocazione storica. A tal proposito, gli studiosi suddividono, convenzionalmente, l'emigrazione italiana in tre periodi:
          1) 1876 - 1915: "grande esodo" (14 milioni di persone), che negli anni immediatamente precedenti alla I3 Guerra Mondiale assunse le dimensioni di una fuga di massa;
          2) 1916-1942: (4 milioni) intorno agli anni '30 vi è una drastica riduzione a causa della crisi economica mondiale
          3) 1946 ad oggi (3 milioni) soprattutto provenienti dalle regioni del Sud, in quanto lo sviluppo industriale del nord-est a partire dagli anni '50, disincentivò l'emigrazione da queste zone.
     Il tentativo di scomporre questi dati per far emergere elementi relativi all'emigrazione femminile si presenta piuttosto arduo. Difatti, le statistiche riferite agli emigrati vengono desunte dai registri dei passeggeri delle navi che giungevano nei porti d'oltreoceano. Tali registri, che riportavano sia i dati anagrafici che la professione dei passeggeri, non presentano, ovviamente, la sistematicità delle anagrafi moderne ed anche i criteri di registrazione sono piuttosto eterogenei. L'eccessiva semplificazione nell'elaborazione dei dati provenienti da questi registri, ha finito per non rendere giustizia all'effettiva dimensione dell'emigrazione femminile, e, soprattutto, al suo contributo alle modificazioni socio-culturali dei paesi di arrivo, in particolare in Argentina.
     La scarsità di dati relativi alla professione delle donne che emigravano ha contribuito a alimentare l'equivoco sul carattere inattivo e sussidiario delle donne, rispetto agli emigrati di sesso maschile. A rafforzare questa idea ha concorso anche la marcata componente familiare delle motivazioni che spingevano le nuove arrivate (migrazione al seguito della famiglia, maggioranza di donne sposate). Questo ha fatto si che non si sviluppassero molti studi sull'influenza che ebbero le donne emigrate sul processo di trasformazione della società argentina, mentre il ruolo dell'immigrazione maschile è sempre stato considerato come un agente privilegiato della progressiva modernizzazione del Paese.
     Tuttavia, le donne italiane, che costituirono il maggiore gruppo femminile giunto nel territorio del Rio de la Piata durante gli anni dell'emigrazione di massa, portarono in Argentina nuovi modelli sia familiari che socio-professionali che contribuirono a cambiare il volto dell'organizzazione sociale e del mondo del lavoro argentino.
     In generale, mentre la mobilità migratoria maschile mostra una maggiore elasticità rispetto alle oscillazioni del mercato del lavoro, la propensione femminile all'emigrazione è più rigida rispetto alle condizioni economiche locali. In particolare, la presenza delle donne nelle famiglie emigranti è scarsa, se non praticamente nulla, quando si tratta di movimenti stagionali, mente, al contrario, assume un grande peso quando la corrente migratoria si trasforma in un progetto di permanenza più stabile nel nuovo Paese. In questi casi, la mobilità migratoria femminile assume i contorni del ricongiungimento familiare.
     Più rara, anche se significativa, è la presenza di donne che emigrano sole, senza nessuna motivazione, almeno apparente (la scarsità di documentazione rende molto difficile confrontare ed incrociare i dati) di carattere familiare, cioè seguendo un progetto migratorio autonomo. Percentuali ancora inferiori si incontrano per le vedove che, in un modello migratorio basato sulla produttività dei componenti del nucleo familiare, raggiungevano la famiglia solo quando questa si era definitivamente stabilita sul luogo di arrivo. In questo modo, si tentava di ricostituire, nel nuovo paese, l'unità familiare che rischiava la disgregazione, a causa delle separazioni sempre più lunghe e frequenti.
     Questi elementi dimostrano come l'emigrazione femminile venisse vista essenzialmente in funzione della famiglia e delle sue esigenze.
     Nei periodi di emigrazione stagionale, il compito della donna era quello di garantire e preservare l'unità e la continuità della famiglia che rimaneva nel paese, in attesa del ritorno del capofamiglia o dei componenti maschi del nucleo familiare. In questi periodi, la vita delle donne era tutt'altro che semplice. Bisogna, infatti, considerare che le famiglie di provenienza degli emigranti erano, molto spesso, indigenti. Si trattava quasi sempre di contadini che, a causa delle difficili condizioni economiche, erano costretti a cercare lavoro in un Paese straniero ed ad assentarsi per lunghi mesi. Le donne, quindi, che, normalmente, avevano il compito di governare la casa, badare ai figli ed anche di contribuire al bilancio domestico aiutando gli uomini nei campi, si trovavano, in questi periodi di assenza a dover fare enormi sacrifici per far quadrare i conti di casa.
     Per quanto riguarda le donne che seguivano la famiglia nel progetto migratorio, esse continuavano a fornire il proprio contributo sia all'interno del nucleo familiare, che lavorando all'esterno, con una certa differenza tra le donne sposate e le nubili. Difatti, se è presente una pronunciata partecipazione di queste ultime (anche minorenni) al mondo del lavoro, la percentuale di donne che lavoravano fuori casa è inferiore tra le sposate e questa tendenza diminuisce man mano che il gruppo familiare si stabilisce nel nuovo Paese. In altre parole, al loro arrivo, tutti i componenti della famiglia sono mobilitati per aumentare il più possibile il reddito familiare, in modo da far fronte ai costi di istallazione. Una volta superata questa fase, la famiglia tende a riprodurre il modello tradizionale, che vede le donne sposate dedicarsi quasi esclusivamente al lavoro domestico.
     Le professioni svolte dalle donne emigrate erano, per lo più, quelle tradizionalmente legate al mondo femminile (modista, ricamatrice, stiratrice, lavandaia, cuoca, cameriera) o a quello rurale e contadino (agricoltore, bracciante). Tuttavia, le donne italiane dimostrarono una grande duttilità e versatilità rispetto alle esigenze produttive del Paese nel quale la loro famiglia si era stabilita. Cosi, ben presto, entrarono nell'industria e quando gli Italiani istallarono le prime, piccole, imprese a gestione familiare, le donne iniziarono a prestare la propria mano d'opera in queste ultime.
     In questo modo inzió l'avventura di molti italiani in Argentina e nel mondo, che da umili contadini ed operai, grazie al duro lavoro ed a tanti sacrifici, hanno contribuito alla nascita ed alla modernizzazione di intere nazioni.
     Bisogna dire che ciò è stato possibile, in Argentina, anche grazie ad un tessuto sociale che ha favorito l'integrazione ed è stato capace di assorbire le varie ondate migratorie, riducendo al minimo i conflitti. Dal canto suo, lo Stato ha sempre considerato sullo stesso piano di uguaglianza di diritti sia i cittadini argentini che gli immigrati, provvedendo per entrambi a fornire gratuitamente numerosi servizi sociali. Questo ha consentito anche a noi, discendenti di immigrati, di poter accedere all'educazione scolastica ed alla formazione lavorativa in un'ottica di pari opportunità che quasi non trova paragoni in altri Paesi, specialmente quelli europei.
     Oggi si calcola che circa la metà dei 37 milioni di argentini abbia origini italiane e molti occupano posti di enorme rilievo nel campo politico, industriale ed artistico. Tra questi, moltissime donne che hanno imparato dalle loro antenate la tenacia e la caparbietà indispensabili per superare le difficoltà e per realizzare le proprie aspirazioni.
 

LA DONNA NELLA VITA SOCIALE E POLITICA
(dott.ssa Sandra Pizzolitto Pupatello Deputato del Parlamento dell'Ontano – Canada)

     Prima di tutto, vorrei esprimere la mia gratitudine per essere stata invitata dall' EFASCE a condividere questa importante giornata, nel paese dove sono nati mio padre e mia madre, con degli oratori illustri quali il Sindaco di Morsano e Sua Eccellenza l'Ambasciatrice dell'Argentina in Italia.
     La mia ultima visita qui fu 7 anni fa quando venni con i miei genitori. Benché mio padre sia scomparso lo scorso novembre, a me ed a mia madre fa tanto piacere sapere che la sua mancanza è sentita tanto nel nostro paese, Morsano, quanto a Windsor, Canada, nazione adottiva. Sono sicura che mio padre condividerà quello che io dirò perché proprio lui mi ha insegnato il ruolo delle donne nella famiglia e nell'immigrazione.
     Voglio porgere le mie congratulazioni speciali al Signor Boer per il continuo impegno, da parte dell'EFASCE, per riunire il Friuli con i suoi discendenti in tutto il mondo.
     Ci sono pochi documenti sulla storia dell'immigrante italiano in Canada che riflettano l'influenza che le donne hanno avuto sull'immigrazione.
     Le mie parole riflettono quello che io ho visto come membro della mia comunità, e più recentemente, come membro del Parlamento, cosa che mi ha offerto l'opportunità di conoscere molte comunità italiane nella più grande provincia canadese, l'Ontario.
     Io ho solo 3 punti da sviluppare.
          Primo: in poche parole, è stato l'avvento delle donne italiane nel Canada che ha cambiato la natura dell'esperienza italiana: dalla semplice dimora temporanea nella terra delle opportunità, alla colonizzazione. Furono queste donne italiane che decisero di far diventare il Canada la propria casa.
         Secondo: credo sia stata la partecipazione delle donne italiane nell'immigrazione il motore dell' integrazione sociale delle famiglie italiane nel contesto canadese.
          Terzo: di conseguenza, queste madri immigranti ebbero una forte influenza sulla prima generazione Italo-Canadese, la mia generazione, le cui azioni nella comunità canadese sono frutto della formazione ricevuta.
     Per ritornare al mio primo punto, la maggioranza degli uomini emigrarono dall'Italia del Dopo Guerra per ragioni economiche - una mancanza di opportunità nel Friuli creò la spinta per trovare lavoro oltremare ed il gran bisogno canadese di lavoratori creò l'attrazione per gli immigranti. La maggioranza di questi uomini consideravano il Canada un'avventura temporanea dove si potevano fare bei soldi, per poi inviarli a casa per realizzare, il proprio sogno - comprare una casa.
     Finché non ci fu un cambiamento delle condizioni, non c'era posto per loro in Italia. E la maggioranza di questi non sapeva per quanto tempo sarebbe dovuta rimanere lontana dalle famiglie.
     Furono le donne, con il loro arrivo, sole o accompagnate dai propri figli, a cambiare quest'avventura temporanea in una colonizzazione.
     Lavorarono assai, forse più che nei loro paesi del Friuli, con poca o nessuna preparazione, senza parlare inglese e trovandosi di colpo immerse nella cultura anglosassone, completamente diversa da quella friulana.
     Furono le donne a fare economia ed a risparmiare ogni dollaro, facendosi anche l'orticello e coltivando radicchio e pomodori. Le donne prendevano molto meno dei loro mariti, però, arrivate a casa, sbrigavano le faccende necessarie e preparavano da mangiare. Inoltre, come in tutto il mondo, erano le donne le responsabili dei bambini. Mentre gli uomini lavoravano per comprarsi la casa, le donne lavoravano per far fronte alle spese di casa. Buona parte delle donne ricordano che quelli erano tempi di grande fatica.
     Nonostante tutto, continuarono quella vita con solo un' idea nella testa. Si sarebbero fatti una bella casa ed i figli avrebbero avuto così, una buona base per affrontare la vita. Così fu. La maggioranza degli uomini, che inizialmente erano venuti solo per lavorare, fecero venire le mogli e il Canada divenne la loro dimora.
     Il mio secondo punto descrive le donne quali responsabili dell'integrazione delle famiglie italiane nella società del Canada. Si è scritto e si è parlato molto del successo della Politica Multiculturale adottata dal Canada nel 1971 dal Primo Ministro Pierre Elliot Trudeau.
     Essenzialmente questo fu un esperimento d'immigrazione, il primo di questo tipo, dove il paese ospitante incoraggiava il mantenimento e l'accrescimento della cultura del paese nativo. Il governo favoriva attivamente l'idea che la cultura canadese fosse un "mosaico" di culture di tutto il mondo. È da ricordare che quando si sviluppò questa politica, gli italiani formavano il gruppo d'immigrati che interagiva con i fondatori del Canada: gli inglesi, i francesi e gli indigeni. L'idea che genti di diverse culture, razze, religioni e lingue potessero vivere in armonia, insieme, è un esperimento unico. Un esperimento che, secondo me, ha avuto un enorme successo.
     Furono le donne ad avere la responsabilità di allevare i loro bambini. Con una conoscenza limitata della lingua, cercarono di coniugare il mantenimento della casa e le spese necessarie per la famiglia. Furono le donne ad intervenire alle riunioni, nelle scuole, con i maestri dei loro figli. E in breve tempo, i figli ebbero un livello educativo più avanzato rispetto a quello delle proprie madri. I figli, scherzando, dicevano che le madri erano come sergenti istruttori. Non c'erano scuse per voti bassi o per la cattiva condotta.
     La mia maestra della seconda elementare mi ha detto il mese scorso, mentre parlavamo dei suoi anni d'insegnamento ai figli delle famiglie italiane negli anni 60, nel quartiere italiano, "Dovevo solo dire che avrei chiamato la madre dello studente per farle sapere la sua condotta e tutta la classe taceva e si comportava bene".
     Mentre i mariti lavoravano, le donne interagivano con la comunità, con le scuole, con negozi, con la chiesa e con le attività alle quali le famiglie stesse partecipavano.
     Furono queste donne a salvaguardare le tradizioni e la cultura italiana che si sarebbero trasmesse ai figli e loro decisero quale lingua si sarebbe parlata in casa: l'inglese, l'italiano o il furlan.
     E' importante notare che in un certo senso, queste donne erano rimaste come sospese nel tempo. Esse si affidavano alla propria cultura e la usavano come base per educare i loro figli. Questo significava che mentre la vita in Italia si evolveva, creando una società molto più aperta, le donne conoscevano solamente l'ambiente rigoroso e disciplinato che avevano lasciato in Italia.
     Di conseguenza, le nostre famiglie italo-canadesi erano più tipicamente italiane, che le famiglie italiane in Italia. E questo accadeva anche nell' uso del furlan in Canada come lingua parlata anziché l'italiano.
     Quello che il resto del Canada vedeva come una famiglia tipica italiana, era il frutto dell'influenza della donna italiana. Il successo della nostra integrazione nella vita canadese, nel rispetto delle nostre tradizioni, costituì un modello per gli altri gruppi che poi entrarono in Canada.
     In conclusione: siccome le donne italiane furono le principali responsabili dell'integrazione dei loro figli nell'ambiente canadese, esse ebbero una pesante influenza sulla formazione della prima generazione italo-canadese in Canada.
     La maggioranza ebbe successo a scuola e continuò con gli studi avanzati dopo il liceo.
     Si sapeva bene che questa era una necessità e non una scelta. Per avere successo nell'ampia comunità canadese era necessario sfruttare a pieno le competenze acquisite nel corso degli studi.
     Essendo figli d'immigranti, conosciamo bene gli sforzi e i sacrifici fatti dai nostri genitori, appena arrivati, per dare a noi le migliori opportunità. E noi abbiamo il dovere di riconoscere e non dimenticare questi sacrifìci.
     Questo ha creato una generazione di persone molto laboriose e determinate.
     La complicazione per noi, e specialmente per le figlie degli immigranti, derivava dal forte valore della tradizione: matrimonio, figli, una bella casa e la partecipazione in tutte le attività religiose e culturali della famiglia furlana. Per la gran parte delle famiglie della prima generazione, questo fu una situazione di enormi proporzioni.
     Nonostante le difficoltà, i risultati oggi si vedono. Abbiamo dei nipotini canadesi che capiscono e parlano "furlan" e che dichiarano con orgoglio a tutti che sono di origine italiana. In buona sostanza gli insegnamenti ricevuti spingono la prima generazione a porsi obiettivi ambiziosi e la vincolano a raggiungerli nel migliore dei modi. Però, questo non è sempre possibile e oggi, le donne emigranti, diventate ormai nonne, cercano di rimediare offrendo il loro aiuto. Esse stesse si sono, forse, rese conto che dare il massimo non è sempre possibile. Si prendono cura dei nipotini e vorrei aggiungere che sono molto più indulgenti con loro di quanto lo fossero con i propri figli.
     Quelle donne italiane, permisero alla prima e alla seconda generazione italo-canadese di scegliere la parte migliore del nostro patrimonio culturale italiano. Sono ancora attive nell'aiutare le nuove generazioni a sfruttare al massimo le opportunità a noi disponibili in Canada. Quello che si può dire riguardo queste donne che lasciarono l'Italia, è che non ebbero, certamente, un'avventura gloriosa e romantica. Infatti, lavorarono duramente a lungo, in casa e nei posti che offrivano salari bassi nelle loro nuove comunità. Solamente negli ultimi venti anni si sono potute tranquillizzare e hanno avuto il tempo di gustare il frutto dei loro sacrifìci.
     Questo fatto esercita una forte pressione sulla prima generazione canadese. Quest'ultima pensa che sia doveroso conservare i principi dati dalle nostre madri, a fronte di tutti i loro sacrifìci fatti per noi.
     In conclusione, il Canada si trova ancora oggi coinvolto in questo nostro esperimento multiculturale.
     La mia città di Windsor si vanta di essere composta di ben 95 gruppi etnici differenti, venuti da ogni parte del mondo, che parlano più di cento lingue.
     La prima generazione italo-canadese ricopre oggi importanti ruoli nella nostra società: maestri, avvocati, dottori, uomini d'affari, agenzie sociali e governo. E da queste posizioni, 10 credo che guardino all'immigrazione odierna, tenendo in considerazione l'esperienza dei propri genitori. Un immigrante, oggi, non arriva senza un intervento considerevole che lo aiuti nel cammino d'integrazione; classi d'inglese per adulti, assistenza speciale per i bambini per imparare l'inglese, aiuto per trovare alloggio, opportunità di lavoro e consigli speciali per le donne immigranti.
     Una visita nella mia città metterebbe subito in evidenza una comunità che chiede ai nuovi immigranti di mantenere la loro cultura; un settore commerciale vietnamita può stare vicino ad un settore cinese. Tutti questi quartieri seguono il modello della nostra piccola Italia.
Windsor si vanta di avere due moschee islamiche e un tempio Sikh. E interessante notare che 11 nostro consiglio multiculturale, cioè la nostra agenzia per promuovere la cultura della nostra città, si trova soprattutto nelle mani delle donne delle nostre diverse comunità.
     Non si può dire che abbiamo completato il nostro esperimento multiculturale. Tuttavia, io credo che la maggioranza dei canadesi considerino le diversità come una definizione dell'essere canadese e una delle nostre più grandi qualità. Una minoranza di persone direbbe, oggi, che noi stiamo lasciando entrare nel nostro paese, un tipo sbagliato d'immigrante - gente molto differente a causa del colore, della religione e della cultura. Però, la maggioranza gli fa gentilmente ricordare la nostra storia degli anni 50 e 60. Oggi, nessuno metterebbe in dubbio il contributo degli immigrati nella struttura del Canada.
     Abbiamo una grande percentuale di rappresentanza a tutti i livelli di governo; si pensi che un giudice della Corte Suprema è italiano. Nel mondo economico, politico e culturale siamo rappresentati ai massimi livelli. Questo grazie alle nostre madri. Grasie a li maris ca ni an tindut.


LA DONNA NELLA FAMIGLIA FRIULANA
(dott.ssa Roberta Zanet Sindaco di Morsano al Tagliamento)

     Dopo aver sentito quali tradizioni le donne friulane hanno saputo conservare all'estero assimilandole alla cultura locale, andiamo a riscoprire le origini di questi valori nel contesto storico in cui affondano le loro radici. Non esiste, infatti, famiglia che possa essere estrapolala dal contesto in cui è inserita. L'emigrazione, o meglio la limitata emigrazione femminile fino al secondo dopoguerra, ha avuto un ruolo fondamentale per la sopravvivenza del modello di società agricola e dei relativi valori che hanno caratterizzato buona parte del XX secolo, rendendo comunque possibile quello sviluppo economico iniziato dapprima molto lentamente in un contesto apparentemente statico e che ha dato i suoi frutti nella storia più recente.
     Il Friuli, crocevia di popoli, è sempre stata terra di emigrazione (se ne parla già nel XVI secolo) che si è sempre esaurita nei momenti di consolidamento economico.
Nel periodo prebellico la regione aveva vissuto il proprio sviluppo economico principalmente su capitali che affluivano dal Veneto, dalla Lombardia e dall'Austria. L'industria tessile stava fiorendo a Pordenone e Udine grazie alle condizioni climatiche favorevoli e alla sovrabbondanza di manodopera femminile che proveniva da un tessuto agricolo arretrato e incapace di soddisfare i bisogni di una popolazione in continua crescita. Il lavoro era stagionale ed occasionale ed occupava in prevalenza manodopera femminile, anche perché le donne erano pagate di meno. La prima grande guerra ha agito in maniera dirompente sulla preesistente situazione di difficoltà socio-economica: i capitali provenienti dall'estero si sono dissolti e con essi gran parte dei macchinar; della locale industria causando la paralisi delle attività produttive.
     La situazione del comparto agricolo non era certo migliore e il continuo e massiccio rientro dei militari smobilitati favoriva la crescita vertiginosa della disoccupazione.
     In questo contesto di deprivazione, generale, che peraltro ha ingenerato il fenomeno emigrativo di inizio secolo, si inserisce la famiglia tipica friulana con i suoi valori dove la donna non poteva che avere un ruolo legato quasi esclusivamente alla sua capacità di procreare e di lavorare. Era notoriamente un onesta lavoratrice, nel rispetto della migliore tradizione friulana: seria, abituata ad obbedire, con saldi principi morali, frutto di quella cultura intrisa di religiosità che non mancava però di subire il fascino della superstizione.
     E le dure condizioni di vita della società contadina della prima metà del XX secolo, fortemente legata alla proprietà, alla terra, alla cultura del lavoro che veniva visto come un dovere, una fatica necessaria, addirittura come un metro per valutare le qualità positive di una persona (uomo o donna che fosse) erano il corollario della sua esistenza.
     Del resto la società rurale, composta da famiglie prevalentemente di tipo colonico mezzadrile arrivava a tenere in coesione fino a quattro generazioni, per le necessità del sistema socio economico basato essenzialmente sulla forza lavoro umane.
     In questo contesto, è evidente che la struttura familiare fosse strettamente gerarchica.
Il "vecchio" era il proprietario dei beni ed il depositario dell'esperienza e la famiglia era il miglior canale di trasmissione di norme, credenze, valori religiosi. L'educazione che veniva impartita ai figli era strumentale alle condizioni sociali create dall'agricoltura di sussistenza ed ecco, invero, che non veniva assegnata all'istruzione rilevanza particolare, sottolineando invece la disciplina e l'obbedienza, valori del resto, necessari per sopportare le dure condizioni di vita.
     Poi venivano i figli, in ordine d'età, con una sostanziale ineguaglianza tra i mèmbri, per motivi di sesso e di età. Era fondamentalmente una società di uomini, tanto che la donna aveva una posizione giuridica di soggezione e dava del Voi agli anziani e al marito.
     Tale condizione era resa ancor più evidente dal posto occupato durante i pasti e nella distribuzione del cibo, che decresceva e spesso cambiava passando dagli uomini alle donne, ai bambini. Ovviamente, le donne servivano tutti gli altri e quasi mai sedevano a tavola con i mariti ed era compito del capo famiglia o della padrona vecchia, unica privilegiata in tale contesto, decidere persino che cosa portare a tavola. La donna entrava a far parte della nuova famiglia a seguito di matrimonio che si svolgeva solitamente durante l'inverno. I genitori della sposa offrivano il pranzo di mezzogiorno, i genitori dello sposo offrivano la cena. La sobrietà di vita e la parsimonia hanno sempre caratterizzato le genti friulane: la sposa era aspettata da entrambi i suoceri, ma era la donna ad assumere la parte principale, offriva loro da bere e consegnava il mattarello o le chiavi secondo un evidente simbolismo.
     Quando in casa c'erano più fratelli, il più anziano era riconosciuto come capo famiglia e come direttrice delle faccende domestiche la moglie di questi o la vedova di un capo precedente. La successione andava per anzianità. Il padre dirigeva ogni cosa; alla sua morte tutti i suoi beni passavano ai figli maschi e se il corredo delle fìglie era scarso lo si completava in soldi o in terreno. Nelle famiglie in cui c'erano più cognate ,per evitare discussioni su chi lavorava di più o di meno (e l'unità di misura era sempre data dal lavoro campestre) l'impegno della cucina veniva assegnato per turno settimanale.
     Le donne, dopo aver servito i loro mariti, si rincantucciavano vicino al "fogolar" o si sedevano sulla soglia di casa per consumare il frugale pasto. Quando una cognata attendeva un bimbo, tutto era tenuto nel massimo segreto. Doveva lavorare fino all'ultimo minuto ma dopo il parto, che poteva avvenire anche nei campi, godeva di 40 giorni di riposo e di una dieta particolare. Trascorsi 15 giorni dal lieto evento la puerpera veniva accompagnata in chiesa per la purificazione da una cognata, o dalla suocera. Prima di questa cerimonia non poteva uscire di casa, ne restare sola in camera dopo l'Ave Maria per timore degli spiriti maligni: suocera o cognata le facevano compagnia.
     Uno dei momenti più caratteristici d'intimità familiare per il friulano, tenace lavorato, era la sera, l’ora di cena. Al nonno e alla nonna era riservato il posto d'onore, più vicini degli altri alla fiamma che riscalda. Dopo cena era la nonna a recitare il rosario.
     La rottura di una compagine sociale di questo tipo avveniva solo quando per diramazone essa era di troppo superiore numericamente in rapporto alla capienza della casa e al reddito della erra lavorata. In questo tipo di famiglia estesa, erano frequenti gli scambi sociali, l’aiuto nei lavori più gravosi e nei piccoli prestiti ad esempio il sale tra comunità di ascendenza, anche se lontana e il vicinato. Questo tipo di struttura è entrato in crisi solo con l'evoluzione tecnologica, quando l'avvento delle macchine ha sostituito la manodopera il seme e stato importato e l'incremento commerciale ha reso vano l'ammassamento casalingo Come conseguenza del venir meno dell'autorità carismatica del pater familias è sorta la famiglia mononucleare e si sono contratte le nascite. Ma la famiglia patriarcale contadina ha mantenuto le sue caratteristiche fino a pochi decenni fa, anche perché fino alla seconda guerra mondiale laq partecipazione della donna nell'emigrazione, che nelle zone più disagiate ha toccato punte del 70 della popolazione residente, è stata molto ridotta: l'emigrante era prevalentemente di sesso maschile, celibe e se sposato difficilmente portava con sé la moglie Ancorando il centro di gravita del progetto migratorio dei componenti maschili ai luoghi d'origine se ne assicurava infatti anche la tenuta economica e sociale; poiché questo tipo di emigrazione aveva una funzione di riequilibrio e conservazione del sistema preesistente La trasmissione del sistema dei valori tra generazioni diverse, come l'educazione dei figli l'assistenza agli anziani, la produzione per il consumo di sussistenza, lo stile di vita basato su una grande intensità lavorativa ed il risparmio sono rimasti pressocché inalterati. La presenza della donna nella terra d'origine ha impedito una radicale trasformazione socio economica e questo e uno dei motivi per cui la società friulana e quindi la famiglia e il ruolo che la donna ricopriva al suo interno, è mutata così lentamente.
     Accanto all'emigrante parsimonioso, non è mancata mai l'attività vigilante della donna friulana, abituata a sostituire operosamente secondo le migliori tradizioni locali i fratelli i manti, i padri: massaia e contadina, madre e operaia ad un tempo.
     Il friulano è profondo nei sentimenti ma li esprime con parsimonia, tanto da apparire a volte duro. Non e difficile, pertanto, comprendere la fredda atmosfera che circondava la giovane sposa quando il marito partiva per l'estero: il suo ritorno quando tutto andava bene non avveniva prima dei sette mesi stagionali. Questo fenomeno migratorio, essenzialmente temporaneo e stagionale, era particolarmente diffuso anche nella Carnia del primo ‘900 già negli anni che precedevano la prima guerra mondiale.
     Se è vero che chi partiva pagava un prezzo affettivo e sociale molto alto, è altrettanto vero che a questo dolore, per chi restava, si aggiungeva la particolare durezza delle condizioni di vita rese ancora più difficili proprio dalle assenze dei propri cari, ed ecco quindi che l'emigrazione femminile veniva vista come un sollievo e le ragazze quando potevano scegliere, preferivano emigrare, piuttosto che restare sole, per accumulare qualche risparmio per farsi il corredo e soprattutto, per sottrarsi ai lavori di un'agricoltura pesantissima. Infatti, se le condizioni di vita nella pianura friulana erano per la donna difficili, in montagna si stava certo peggio.
     Si legge in qualche triste testimonianza, che quando il marito partiva (o ritornava) dalla Carnia, la donna lo precedeva con le valigie nella gerla, oggetto questo che ha perseguitato probabilmente la maggior parte delle cosiddette "portatrici" fin dalla prima infanzia, quando iniziavano a lavorare non appena potevano portare appena tre pannocchie dentro una gerla. Appoggiando il peso prima su un cavalletto per essere autosufficienti, portavano il fieno, il letame, la legna difendendo le spalle e attutendo la pressione della gerla con un sacco, una semplice tela o una specie di bolero imbottito.
     A seguito della nuova ondata migratoria del secondo dopoguerra altri, giovani donne e uomini sono partiti dapprima verso l'Argentina, poi verso il Canada, l'Australia, ma anche verso le città italiane. L'alternativa all'emigrazione era, negli anni 50 così come negli anni 20, la sottoccupazione, i lavori saltuari e occasionali e mal pagati. La donna, che ha avuto un ruolo fondamentale nella sopravvivenza del modello di società agricola fino agli anni del secondo dopoguerra, è diventata nuovamente protagonista della modernizzazione successiva.
     L'ambiente rurale si è mantenuto, ma con mèmbri progressivamente più anziani, dato che ora, mogli e sorelle partivano con regolarità verso terre lontane. Ciò ha indebolito l'equilibrio di sussistenza nei luoghi d'origine, che sono diventati luoghi di vacanza, impregnati di affetti nostalgici ma che hanno perduto quell'importante ruolo che aveva ancorato la società a vecchi modelli apparentemente immutabili.
     Le rimesse dall'estero non avevano più lo scopo di integrare il livello minimo di sussistenza, ma di accumulare risparmio per investimenti nelle abitazioni o in attività produttive dopo il rientro. Per chi restava, comunque, la condizione non era molto diversa da quella già descritta ma le trasformazioni socio economiche in atto, stavano dando avvio ad un processo irreversibile che stava cambiando completamente la condizione di vita della famiglia friulana. Il ruolo femminile nella società era in rapida trasformazione, l'agricoltura stava cambiando, il nuovo schema abitativo delle giovani coppie prevedeva l'abbandono del vecchio modello allargato.
     La donna in Friuli continua ad esser occupata prevalentemente nel lavoro domestico e dei campi fino agli anni 60, quando potrà trovare stabile occupazione nell'industria. La scolarizzazione all'inizio rimane, comunque, bassa ma il diffondersi dei primi mezzi di comunicazione di massa facilitano il processo evolutivo. Non dimentichiamo che negli anni '70, gli emigranti rientreranno come mèmbri di pieno diritto nella comunità di partenza, riallacciando facilmente una serie di legami familiari, comunitari e di amicizia e favorendo gli scambi culturali tra paesi diversi.
     Cresce il livello di scolarizzazione, si creano i presupposti perché anche le donne appartenenti ai ceti più bassi possano aspirare ad un destino gratificante anche nel settore lavorativo e chi lo desidera prosegue negli studi.
     Lo stimolo verso le più giovani proviene proprio dall'ultima generazione di emigranti che stava assimilando un diverso modo di concepire la società abbandonando il concetto di educazione strumentale alle esigenze del mondo agricolo, fondato sui valori quali la disciplina e l'obbedienza, per passare, e questo forse rappresenta il più decisivo punto di rottura con il passato, a valori diversi che vedono nell'istruzione un caposaldo.
     Soprattutto per le classi sociali più deboli, le trasformazioni in atto costituiscono una sorta di riscatto sociale e per le donne, deboli tra i deboli, sono una sorta di affrancazione di intere generazioni abituate a sopravvivere e non a vivere nella piena accezione del termine, dedicandosi, comunque, con pazienza e dedizione alla famiglia e al lavoro.
     Le donne testimoni dell'ultima emigrazione, hanno sofferto per la disgregazione delle reti amicali e parentali a seguito di tale fenomeno e hanno dovuto lavorare duramente per aiutare la famiglia con il lavoro dei campi prima, aspettando l'arrivo delle integrazioni economiche dall'estero (che non sempre arrivavano) e poi anche con quello in fabbrica ma soprattutto, si ricordano bene di quando ancora piccole, mangiavano per ultime il minimo indispensabile per il loro sostentamento.
     Per questo non si sono mai fidate completamente dell'apparente benessere. Queste donne, cresciute nel secondo dopoguerra hanno vissuto e favorito la trasformazione della vecchia società patriarcale e sono riuscite con pazienza e tenacia a gestire insieme agli uomini, con pari dignità, e non perché loro erano via come accadeva in passato la famiglia e il lavoro, creando le basi della società odierna.

DONNE SOLE
Cordenons, giugno 2003 - Maria Sferruzza Pasqualis

     Restavano sole per mesi o per anni e la fatica quotidiana raddoppiava, impegnate com'erano nelle incombenze abituali e in quelle sostitutive riservate di solito agli uomini emigrati in terre anche lontane. Consumavano i giorni in continua attesa, di notizie, di arrivi, di partenze. Donne forti che tenevano chiuso il dolore nel cuore a volte inaridito dall'asprezza della loro condizione umana, abbruttite dai lavori massacranti nei monti, nei boschi, nei campi, nelle stalle. E da quelli in casa, per dedicarsi ai figli e ai vecchi. Sempre, in guerra o in pace, tra malattie, debiti, lutti precoci. Sole. Presenze silenziose, indispensabili.
     Nelle lettere degli emigranti, da luoghi diversi e in periodi diversi, la figura di moglie, madre o figlia, appare sullo sfondo, mai in primo piano, ma si intuisce che è lei il vero punto cardinale della famiglia.

"Cara moglie, guarda per tè e per i figli, non pensare per me! Se non hai soldi, procura di trovarli che a metà del mese di marzo riceverai il fabbisogno per la famiglia e per pagare il debito. E voi, cari figli, ubbidite la mamma..." (Argentina, 1912)

"Carissimo Padre, abbiamo trovato L.1.00 nella lettera e si capisce che siano di mio zio Luigi, ma mia madre, se prima non ha meglio dichiarazione non consegna a nessuno perché con quelle parole che tu dici, consegna... " (Da un paesino del pordenonese, 1889).

      Donne aspre e dolcissime, capaci di perdonare torti e soprusi, di aspettare sperando e disperando.
     O anche di morire di dolore. Era rientrato in famiglia dopo alcuni anni di lontananza oltreoceano. Aveva messo in bella mostra sul comò della camera matrimoniale la fotografìa che lo ritraeva con l'altra donna, quella americana, e con la loro piccola figlia. "Se osi spostarla, -aveva detto alla moglie- ti butto dalla finestra." La povera creatura dovette sopportare l'affronto, in silenzio, e il suo gracile corpo cominciò a tremare scosso da una paura invisibile e incombente, sempre di più, fino alla fine dei giorni. Ma la foto rimase lì, davanti a occhi ormai senza lacrime, sfida umiliante e crudele.
     Caso estremo questo, ma non unico, di prevaricazione. Tante altre vicende dolorose di lacerazioni e tragedie si sono consumate nel buio per perdersi poi nei meandri del tempo.
Storie di donne in rassegnata attesa, tenaci custodi di quel piccolo mondo che gli emigranti lasciavano alle spalle con la serena certezza di ritrovarlo ancora, al ritorno. Donne sole. Donne friulane.
 

L'ULTIMO SALUTO
    
Giorno di vigilia prima di una delle tante partenze verso terre straniere. I bagagli sono pronti pieni di cose pulite e consumate lungo le strade del mondo. La madre in silenzio cova il suo dolore e la preoccupata solitudine che l'attende. Non ha pace, sale e scende le scale, apre e chiude i cassetti nasconde tremando quattro piccole mele invernali in un angolino libero della valigia, tra martello e cazzuola
     E tutto quello che.può dare. Nessuno sa esprimere l'angoscia del distacco perché un nodo stringe il cuore e preclude parole e lacrime. Prima che sorga il giorno, passi veloci calpestano leggeri la rugiada della notte accompagnati dal canto antico e familiare del ragliamento, melodia amica che aumenta se possibile, l'incubo dell'ultimo abbraccio.

VÌLIE (Eddi Bortolussi)

Disore, te cjamare, ancje chest an
lis valîs a' son prontis, plenis, come ogn'an,
cu lis tassutis de robe cuside e lavade,
robe metude e fruiade, lavìe, pai mont.

Une man, di scuindon, 'e a pojât trimant
quatri miluz di vignâl rùsins e bogn,
piardûz tun cjanton, dongje il spali dal plomb,
cul mani de cjazze e il slusî dal martiel.

La mari pe scjale 'e va simpri cidìne
cui siei scrpez a ponte, neris, di vilût;
'e viârz la vitrine, po' 'e siâre un scansèi:
ancje il siò cûr al si siâre cun chèl...

Ma ce ìsal mo chest partî ch'al ingrope,
cheste smare che si sint tal ultin salût,
cheste sgrife sul cùr e chest ruscli
ch'ai jemple la bocje tal puest de peraule?

Ah...partî devant dì, pai troi de taviele
sfantant lizêrs tè rosade de gnot,
cui cj'ant antîc dal Tiliment tal cûr,
fêr, come la lûs dal mont che si lasse!