http://www.efasce.it
STATUTO - L'esigenza di aiutare
moralmente e materialmente i consistenti gruppi di corregionali emigrati
per le contrade del mondo ha stimolato, nel 1907, alcuni generosi,
ispirati alla dottrina sociale cristiana, ad istituire a Pordenone il
Segretariato dell'emigrazione.
L'iniziativa, precorritrice in Friuli di analoghi
movimenti di solidarietà a favore di coloro che erano costretti ad
abbandonare i focolari domestici per trovare lavoro in terre lontane, ha
subito nel corso degli anni sostanziali evoluzioni, ampliando la sfera
d'intervento ai settori della promozione umana, culturale, sociale e
ricreativa.
L' EFASCE, continuatrice ideale dell'antico
Segretariato, ha ritenuto di rendere omaggio ai pionieri e a coloro che
hanno mantenuta viva la fiamma fino ai giorni nostri, assumendo la
decisione di rinnovare lo Statuto che, fatti salvi i principi
fondamentali, si presenta come uno strumento moderno ed adeguato ad
interpretare le esigenze dei tempi. Lo Statuto, dopo aver delineato i
diritti ed i doveri dei soci, precisa le funzioni degli organismi preposti
e, con una significativa novità, stabilisce che i Presidenti dei
segretariati, i Coordinatori d'area e i Coordinatori continentali
partecipano alle elezioni delle cariche sociali, votando per
corrispondenza. Circa l'operatività dei Segretariati, si è ritenuto di
demandare ai soci stessi la valutazione sull'opportunità di individuare,
con regolamenti autonomi, i sistemi organizzativi meglio corrispondenti
alle necessità locali.
Infine L'EFASCE, convinta che il pluralismo associativo
rappresenta un elemento di arricchimento reciproco per tutte le
espressioni del mondo dell'emigrazione, prevede la possibilità di
promuovere iniziative di coordinamento con altre associazioni aventi
analoghi indirizzi di tutela per i connazionali all 'estero. Siffatta
collaborazione potrebbe rivelarsi utile anche per il superamento di
incomprensioni e di chiusure, non corrispondenti alle aspettative di un
mondo che sta per aprirsi ad orizzonti sempre più vasti. Spetta ora ai
Soci impegnarsi affinché lo Statuto imprima nuova vitalità all'EFASCE,
Associazione che, sullo slancio dei 90 anni trascorsi, intende riproporsi
come punto di riferimento per una solidarietà fraterna, nel segno di una
memoria che vuol tramandare intatte le comuni radici.
Il Presidente, Arch. Luigi Luchini
Progetto
Culturale “Lo Scrigno della Memoria”
Consci della volontà
di non disperdere il patrimonio umano, storico, culturale,
materiale ed informativo delle nostre comunità di emigranti, l'E.F.A.S.C.E.
ha awiato un progetto Culturale denominato "Lo Scrigno della
Memoria".
Il primo intervento è stato realizzato con un Convegno tenuto a
Morsano al ragliamento domenica 29 Luglio 2002 sul tema "La Donna
Friulana nell'Emigrazione del XX Secolo".
Il Convegno è stato strutturato sulla base del contributo di tré
relazioni-testimonianze tenute da tre illustri donne di Morsano al
Tagliamento:
-
1. Dott.ssa Elsa Kelly, Ambasciatore di Argentina in Italia, dal
titolo "La Donna nella Famiglia dell'Emigrante";
-
2. Dott.ssa Sandra Pizzolitto Pupatello, Deputato dello Stato
dell'Ontario - Canada, dal titolo "La Donna Emigrante nella Vita
Sociale e Politica";
-
3. Dott.ssa Roberta Zanet, Sindaco di Morsano al Tagliamento, dal
titolo "La Donna nella Famiglia Friulana".
In margine del Convegno è stata allestita una mostra di fotografìe
illustranti l'emigrazione friulana.
Nell'ambito del Progetto Culturale "Lo Scrigno della Memoria", l'EFASCE
con il contributo della Provincia di Pordenone e della Fondazione
Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, pubblica le tre
relazioni-testimonianze e le foto più significative della Mostra,
ciascuna corredata da una breve spiegazione che ne illustrata i
contenuti.
Si tratta di una iniziativa culturale mai realizzata in
precedenza, attesa all'estero ed in Regione con lo scopo di
conservare un patrimonio storico di notevole rilievo.
L'EFASCE ringrazia quanti hanno collaborato alla realizzazione del
"Progetto" e consentito la pubblicazione degli atti. IL PRESIDENTE
Arch. Luigi Luchini
La Donna nella
Famiglia dell’Emigrante
(dott.ssa Elsa Kelly Ambasciatore d’Argentina in Italia)
Innanzitutto,
desidero ringraziare l'EFASCE, nella persona del Commendatore
Tomaso Boer e del suo Presidente, Dr. Luigi Luchini, e tutte le
autorità friulane che mi hanno invitato a partecipare a questo
Convegno sulla donna nell'emigrazione. In particolare saluto e
ringrazio la Signora Roberta Zanet, Sindaco di Morsano al
Tagliamento, paese di origine della famiglia di mia madre.
È già il secondo anno che partecipo al Convegno sugli Italiani nel
Mondo e devo dire che vengo sempre molto volentieri qui in Friuli,
terra nella quale vivono alcuni miei parenti ed alla quale mi
sento molto legata. Difatti, è una caratteristica, quasi un
bisogno insopprimibile del popolo friulano, quello di mantenere un
forte legame con la propria terra. La necessità di incontrarsi, di
stare insieme, di ricreare ovunque, nel mondo, l'atmosfera, le
tradizioni, i valori, ha spinto gli emigrati friulani a riunirsi
attorno ai "focolari", quei "fogolars furlàns" che sono diventati
una vera e propria istituzione, che ancora oggi si fa carico dei
bisogni e delle necessità dei Friulani all'estero, oltre a
costituire un importante strumento di aggregazione e di diffusione
delle tradizioni e della cultura di questa terra.
Terra di emigrazione, il Friuli, terra di immigrazione
l'Argentina. Da studi statistici risulta che la densità della
popolazione argentina nel 1898 fosse di meno di 1 abitante per
km2. Si calcolava, allora, che il Paese avrebbe potuto sostenere
una densità di 70 abitanti per km2. Nel 1998, secondo i dati del
censimento effettuato nel 1991, la densità era di 9 abitanti per
km2.
Storicamente, esiste una stretta relazione tra il livello di
civilizzazione e le zone fertili e densamente popolate, per questo
in Argentina la politica demografica e, di conseguenza, anche
quella migratoria, ha sempre avuto un'importanza fondamentale.
Questo ha coinciso con la necessità opposta delle popolazioni
europee di trovare uno sbocco alle frequenti crisi e conflitti
sociali e politici che hanno caratterizzato la storia europea tra
il XIX ed il XX secolo.
Tra i fattori che un emigrante deve considerare, vi è certamente
l'affinità culturale con il Paese di destinazione, per questo
l'America Latina è stata meta privilegiata dell'emigrazione
spagnola ed italiana. In particolare, l'Argentina, che per la sua
estensione di terre coltivabili, veniva incontro alla necessità di
lavoro del mondo contadino, fu la seconda destinazione preferita
dagli Italiani dopo gli Stati Uniti. Gli Italiani in Argentina si
caratterizzarono per la conservazione della propria identità
regionale e sempre preservarono il proprio patrimonio culturale,
religioso e linguistico.
Non esistono registri totalmente affidabili sul numero di persone
che hanno lasciato l'Italia. Secondo uno studio di Padre Luigi
Favero, sarebbero circa 25 milioni di persone, di cui la metà
avrebbero lasciato l'Italia prima della Prima Guerra Mondiale.
Questo numero, tuttavia, non ci dice nulla sulla quantità di
persone che avrebbero lasciato l'Italia definitivamente e su
quanti invece siano, poi, ritornati. Difatti bisogna considerare
che vi è stata un massiccia emigrazione di lavoratori stagionali,
che partivano per sei - sette mesi circa, per poi tornare in
patria. Si trattava quindi di un'emigrazione solo temporanea.
Un altro elemento utile per poter avere una visione più chiara del
fenomeno migratorio italiano, è la sua collocazione storica. A tal
proposito, gli studiosi suddividono, convenzionalmente,
l'emigrazione italiana in tre periodi:
1) 1876 - 1915: "grande esodo" (14 milioni di persone), che negli
anni immediatamente precedenti alla I3 Guerra Mondiale assunse le
dimensioni di una fuga di massa;
2) 1916-1942: (4 milioni) intorno agli anni '30 vi è una drastica
riduzione a causa della crisi economica mondiale
3) 1946 ad oggi (3 milioni) soprattutto provenienti dalle regioni
del Sud, in quanto lo sviluppo industriale del nord-est a partire
dagli anni '50, disincentivò l'emigrazione da queste zone.
Il tentativo di scomporre questi dati per far emergere elementi
relativi all'emigrazione femminile si presenta piuttosto arduo.
Difatti, le statistiche riferite agli emigrati vengono desunte dai
registri dei passeggeri delle navi che giungevano nei porti
d'oltreoceano. Tali registri, che riportavano sia i dati
anagrafici che la professione dei passeggeri, non presentano,
ovviamente, la sistematicità delle anagrafi moderne ed anche i
criteri di registrazione sono piuttosto eterogenei. L'eccessiva
semplificazione nell'elaborazione dei dati provenienti da questi
registri, ha finito per non rendere giustizia all'effettiva
dimensione dell'emigrazione femminile, e, soprattutto, al suo
contributo alle modificazioni socio-culturali dei paesi di arrivo,
in particolare in Argentina.
La scarsità di dati relativi alla professione delle donne che
emigravano ha contribuito a alimentare l'equivoco sul carattere
inattivo e sussidiario delle donne, rispetto agli emigrati di
sesso maschile. A rafforzare questa idea ha concorso anche la
marcata componente familiare delle motivazioni che spingevano le
nuove arrivate (migrazione al seguito della famiglia, maggioranza
di donne sposate). Questo ha fatto si che non si sviluppassero
molti studi sull'influenza che ebbero le donne emigrate sul
processo di trasformazione della società argentina, mentre il
ruolo dell'immigrazione maschile è sempre stato considerato come
un agente privilegiato della progressiva modernizzazione del
Paese.
Tuttavia, le donne italiane, che costituirono il maggiore gruppo
femminile giunto nel territorio del Rio de la Piata durante gli
anni dell'emigrazione di massa, portarono in Argentina nuovi
modelli sia familiari che socio-professionali che contribuirono a
cambiare il volto dell'organizzazione sociale e del mondo del
lavoro argentino.
In generale, mentre la mobilità migratoria maschile mostra una
maggiore elasticità rispetto alle oscillazioni del mercato del
lavoro, la propensione femminile all'emigrazione è più rigida
rispetto alle condizioni economiche locali. In particolare, la
presenza delle donne nelle famiglie emigranti è scarsa, se non
praticamente nulla, quando si tratta di movimenti stagionali,
mente, al contrario, assume un grande peso quando la corrente
migratoria si trasforma in un progetto di permanenza più stabile
nel nuovo Paese. In questi casi, la mobilità migratoria femminile
assume i contorni del ricongiungimento familiare.
Più rara, anche se significativa, è la presenza di donne che
emigrano sole, senza nessuna motivazione, almeno apparente (la
scarsità di documentazione rende molto difficile confrontare ed
incrociare i dati) di carattere familiare, cioè seguendo un
progetto migratorio autonomo. Percentuali ancora inferiori si
incontrano per le vedove che, in un modello migratorio basato
sulla produttività dei componenti del nucleo familiare,
raggiungevano la famiglia solo quando questa si era
definitivamente stabilita sul luogo di arrivo. In questo modo, si
tentava di ricostituire, nel nuovo paese, l'unità familiare che
rischiava la disgregazione, a causa delle separazioni sempre più
lunghe e frequenti.
Questi elementi dimostrano come l'emigrazione femminile venisse
vista essenzialmente in funzione della famiglia e delle sue
esigenze.
Nei periodi di emigrazione stagionale, il compito della donna era
quello di garantire e preservare l'unità e la continuità della
famiglia che rimaneva nel paese, in attesa del ritorno del
capofamiglia o dei componenti maschi del nucleo familiare. In
questi periodi, la vita delle donne era tutt'altro che semplice.
Bisogna, infatti, considerare che le famiglie di provenienza degli
emigranti erano, molto spesso, indigenti. Si trattava quasi sempre
di contadini che, a causa delle difficili condizioni economiche,
erano costretti a cercare lavoro in un Paese straniero ed ad
assentarsi per lunghi mesi. Le donne, quindi, che, normalmente,
avevano il compito di governare la casa, badare ai figli ed anche
di contribuire al bilancio domestico aiutando gli uomini nei
campi, si trovavano, in questi periodi di assenza a dover fare
enormi sacrifici per far quadrare i conti di casa.
Per quanto riguarda le donne che seguivano la famiglia nel
progetto migratorio, esse continuavano a fornire il proprio
contributo sia all'interno del nucleo familiare, che lavorando
all'esterno, con una certa differenza tra le donne sposate e le
nubili. Difatti, se è presente una pronunciata partecipazione di
queste ultime (anche minorenni) al mondo del lavoro, la
percentuale di donne che lavoravano fuori casa è inferiore tra le
sposate e questa tendenza diminuisce man mano che il gruppo
familiare si stabilisce nel nuovo Paese. In altre parole, al loro
arrivo, tutti i componenti della famiglia sono mobilitati per
aumentare il più possibile il reddito familiare, in modo da far
fronte ai costi di istallazione. Una volta superata questa fase,
la famiglia tende a riprodurre il modello tradizionale, che vede
le donne sposate dedicarsi quasi esclusivamente al lavoro
domestico.
Le professioni svolte dalle donne emigrate erano, per lo più,
quelle tradizionalmente legate al mondo femminile (modista,
ricamatrice, stiratrice, lavandaia, cuoca, cameriera) o a quello
rurale e contadino (agricoltore, bracciante). Tuttavia, le donne
italiane dimostrarono una grande duttilità e versatilità rispetto
alle esigenze produttive del Paese nel quale la loro famiglia si
era stabilita. Cosi, ben presto, entrarono nell'industria e quando
gli Italiani istallarono le prime, piccole, imprese a gestione
familiare, le donne iniziarono a prestare la propria mano d'opera
in queste ultime.
In questo modo inzió l'avventura di molti italiani in Argentina e
nel mondo, che da umili contadini ed operai, grazie al duro lavoro
ed a tanti sacrifici, hanno contribuito alla nascita ed alla
modernizzazione di intere nazioni.
Bisogna dire che ciò è stato possibile, in Argentina, anche grazie
ad un tessuto sociale che ha favorito l'integrazione ed è stato
capace di assorbire le varie ondate migratorie, riducendo al
minimo i conflitti. Dal canto suo, lo Stato ha sempre considerato
sullo stesso piano di uguaglianza di diritti sia i cittadini
argentini che gli immigrati, provvedendo per entrambi a fornire
gratuitamente numerosi servizi sociali. Questo ha consentito anche
a noi, discendenti di immigrati, di poter accedere all'educazione
scolastica ed alla formazione lavorativa in un'ottica di pari
opportunità che quasi non trova paragoni in altri Paesi,
specialmente quelli europei.
Oggi si calcola che circa la metà dei 37 milioni di argentini
abbia origini italiane e molti occupano posti di enorme rilievo
nel campo politico, industriale ed artistico. Tra questi,
moltissime donne che hanno imparato dalle loro antenate la tenacia
e la caparbietà indispensabili per superare le difficoltà e per
realizzare le proprie aspirazioni.
LA DONNA NELLA
VITA SOCIALE E POLITICA
(dott.ssa Sandra Pizzolitto Pupatello Deputato del Parlamento
dell'Ontano – Canada)
Prima di tutto,
vorrei esprimere la mia gratitudine per essere stata invitata
dall' EFASCE a condividere questa importante giornata, nel paese
dove sono nati mio padre e mia madre, con degli oratori illustri
quali il Sindaco di Morsano e Sua Eccellenza l'Ambasciatrice
dell'Argentina in Italia.
La mia ultima visita qui fu 7 anni fa quando venni con i miei
genitori. Benché mio padre sia scomparso lo scorso novembre, a me
ed a mia madre fa tanto piacere sapere che la sua mancanza è
sentita tanto nel nostro paese, Morsano, quanto a Windsor, Canada,
nazione adottiva. Sono sicura che mio padre condividerà quello che
io dirò perché proprio lui mi ha insegnato il ruolo delle donne
nella famiglia e nell'immigrazione.
Voglio porgere le mie congratulazioni speciali al Signor Boer per
il continuo impegno, da parte dell'EFASCE, per riunire il Friuli
con i suoi discendenti in tutto il mondo.
Ci sono pochi documenti sulla storia dell'immigrante italiano in
Canada che riflettano l'influenza che le donne hanno avuto
sull'immigrazione.
Le mie parole riflettono quello che io ho visto come membro della
mia comunità, e più recentemente, come membro del Parlamento, cosa
che mi ha offerto l'opportunità di conoscere molte comunità
italiane nella più grande provincia canadese, l'Ontario.
Io ho solo 3 punti da sviluppare.
Primo: in poche parole, è stato l'avvento delle donne italiane nel
Canada che ha cambiato la natura dell'esperienza italiana: dalla
semplice dimora temporanea nella terra delle opportunità, alla
colonizzazione. Furono queste donne italiane che decisero di far
diventare il Canada la propria casa.
Secondo: credo sia stata la partecipazione delle donne italiane
nell'immigrazione il motore dell' integrazione sociale delle
famiglie italiane nel contesto canadese.
Terzo: di conseguenza, queste madri immigranti ebbero una forte
influenza sulla prima generazione Italo-Canadese, la mia
generazione, le cui azioni nella comunità canadese sono frutto
della formazione ricevuta.
Per ritornare al mio primo punto, la maggioranza degli uomini
emigrarono dall'Italia del Dopo Guerra per ragioni economiche -
una mancanza di opportunità nel Friuli creò la spinta per trovare
lavoro oltremare ed il gran bisogno canadese di lavoratori creò
l'attrazione per gli immigranti. La maggioranza di questi uomini
consideravano il Canada un'avventura temporanea dove si potevano
fare bei soldi, per poi inviarli a casa per realizzare, il proprio
sogno - comprare una casa.
Finché non ci fu un cambiamento delle
condizioni, non c'era posto per loro in Italia. E la maggioranza
di questi non sapeva per quanto tempo sarebbe dovuta rimanere
lontana dalle famiglie.
Furono le donne, con il loro arrivo, sole o accompagnate dai
propri figli, a cambiare quest'avventura temporanea in una
colonizzazione.
Lavorarono assai, forse più che nei loro paesi del
Friuli, con poca o nessuna preparazione, senza parlare inglese e
trovandosi di colpo immerse nella cultura anglosassone,
completamente diversa da quella friulana.
Furono le donne a fare economia ed a risparmiare ogni dollaro,
facendosi anche l'orticello e coltivando radicchio e pomodori. Le
donne prendevano molto meno dei loro mariti, però, arrivate a
casa, sbrigavano le faccende necessarie e preparavano da mangiare.
Inoltre, come in tutto il mondo, erano le donne le responsabili
dei bambini. Mentre gli uomini lavoravano per comprarsi la casa,
le donne lavoravano per far fronte alle spese di casa. Buona parte
delle donne ricordano che quelli erano tempi di grande fatica.
Nonostante tutto, continuarono quella vita con solo un' idea nella
testa. Si sarebbero fatti una bella casa ed i figli avrebbero
avuto così, una buona base per affrontare la vita. Così fu. La
maggioranza degli uomini, che inizialmente erano venuti solo per
lavorare, fecero venire le mogli e il Canada divenne la loro
dimora.
Il mio secondo punto descrive le donne quali responsabili
dell'integrazione delle famiglie italiane nella società del
Canada. Si è scritto e si è parlato molto del successo della
Politica Multiculturale adottata dal Canada nel 1971 dal Primo
Ministro Pierre Elliot Trudeau.
Essenzialmente questo fu un esperimento d'immigrazione, il primo
di questo tipo, dove il paese ospitante incoraggiava il
mantenimento e l'accrescimento della cultura del paese nativo. Il
governo favoriva attivamente l'idea che la cultura canadese fosse
un "mosaico" di culture di tutto il mondo. È da ricordare che
quando si sviluppò questa politica, gli italiani formavano il
gruppo d'immigrati che interagiva con i fondatori del Canada: gli
inglesi, i francesi e gli indigeni. L'idea che genti di diverse
culture, razze, religioni e lingue potessero vivere in armonia,
insieme, è un esperimento unico. Un esperimento che, secondo me,
ha avuto un enorme successo.
Furono le donne ad avere la responsabilità di allevare i loro
bambini. Con una conoscenza limitata della lingua, cercarono di
coniugare il mantenimento della casa e le spese necessarie per la
famiglia. Furono le donne ad intervenire alle riunioni, nelle
scuole, con i maestri dei loro figli. E in breve tempo, i figli
ebbero un livello educativo più avanzato rispetto a quello delle
proprie madri. I figli, scherzando, dicevano che le madri erano
come sergenti istruttori. Non c'erano scuse per voti bassi o per
la cattiva condotta.
La mia maestra della seconda elementare mi ha detto il mese
scorso, mentre parlavamo dei suoi anni d'insegnamento ai figli
delle famiglie italiane negli anni 60, nel quartiere italiano,
"Dovevo solo dire che avrei chiamato la madre dello studente per
farle sapere la sua condotta e tutta la classe taceva e si
comportava bene".
Mentre i mariti lavoravano, le donne interagivano con la comunità,
con le scuole, con negozi, con la chiesa e con le attività alle
quali le famiglie stesse partecipavano.
Furono queste donne a
salvaguardare le tradizioni e la cultura italiana che si sarebbero
trasmesse ai figli e loro decisero quale lingua si sarebbe parlata
in casa: l'inglese, l'italiano o il furlan.
E' importante notare che in un certo senso, queste donne erano
rimaste come sospese nel tempo. Esse si affidavano alla propria
cultura e la usavano come base per educare i loro figli. Questo
significava che mentre la vita in Italia si evolveva, creando una
società molto più aperta, le donne conoscevano solamente
l'ambiente rigoroso e disciplinato che avevano lasciato in Italia.
Di conseguenza, le nostre famiglie italo-canadesi erano più
tipicamente italiane, che le famiglie italiane in Italia. E questo
accadeva anche nell' uso del furlan in Canada come lingua parlata
anziché l'italiano.
Quello che il resto del Canada vedeva come una
famiglia tipica italiana, era il frutto dell'influenza della donna
italiana. Il successo della nostra integrazione nella vita
canadese, nel rispetto delle nostre tradizioni, costituì un
modello per gli altri gruppi che poi entrarono in Canada.
In conclusione: siccome le donne italiane furono le principali
responsabili dell'integrazione dei loro figli nell'ambiente
canadese, esse ebbero una pesante influenza sulla formazione della
prima generazione italo-canadese in Canada.
La maggioranza ebbe
successo a scuola e continuò con gli studi avanzati dopo il liceo.
Si sapeva bene che questa era una necessità e non una scelta. Per
avere successo nell'ampia comunità canadese era necessario
sfruttare a pieno le competenze acquisite nel corso degli studi.
Essendo figli d'immigranti, conosciamo bene gli sforzi e i
sacrifici fatti dai nostri genitori, appena arrivati, per dare a
noi le migliori opportunità. E noi abbiamo il dovere di
riconoscere e non dimenticare questi sacrifìci.
Questo ha creato
una generazione di persone molto laboriose e determinate.
La
complicazione per noi, e specialmente per le figlie degli
immigranti, derivava dal forte valore della tradizione:
matrimonio, figli, una bella casa e la partecipazione in tutte le
attività religiose e culturali della famiglia furlana. Per la gran
parte delle famiglie della prima generazione, questo fu una
situazione di enormi proporzioni.
Nonostante le difficoltà, i risultati oggi si vedono. Abbiamo dei
nipotini canadesi che capiscono e parlano "furlan" e che
dichiarano con orgoglio a tutti che sono di origine italiana. In
buona sostanza gli insegnamenti ricevuti spingono la prima
generazione a porsi obiettivi ambiziosi e la vincolano a
raggiungerli nel migliore dei modi. Però, questo non è sempre
possibile e oggi, le donne emigranti, diventate ormai nonne,
cercano di rimediare offrendo il loro aiuto. Esse stesse si sono,
forse, rese conto che dare il massimo non è sempre possibile. Si
prendono cura dei nipotini e vorrei aggiungere che sono molto più
indulgenti con loro di quanto lo fossero con i propri figli.
Quelle donne italiane, permisero alla prima e alla seconda
generazione italo-canadese di scegliere la parte migliore del
nostro patrimonio culturale italiano. Sono ancora attive
nell'aiutare le nuove generazioni a sfruttare al massimo le
opportunità a noi disponibili in Canada. Quello che si può dire
riguardo queste donne che lasciarono l'Italia, è che non ebbero,
certamente, un'avventura gloriosa e romantica. Infatti, lavorarono
duramente a lungo, in casa e nei posti che offrivano salari bassi
nelle loro nuove comunità. Solamente negli ultimi venti anni si
sono potute tranquillizzare e hanno avuto il tempo di gustare il
frutto dei loro sacrifìci.
Questo fatto esercita una forte pressione sulla prima generazione
canadese. Quest'ultima pensa che sia doveroso conservare i
principi dati dalle nostre madri, a fronte di tutti i loro
sacrifìci fatti per noi.
In conclusione, il Canada si trova ancora
oggi coinvolto in questo nostro esperimento multiculturale.
La mia città di Windsor si vanta di essere composta di ben 95
gruppi etnici differenti, venuti da ogni parte del mondo, che
parlano più di cento lingue.
La prima generazione italo-canadese
ricopre oggi importanti ruoli nella nostra società: maestri,
avvocati, dottori, uomini d'affari, agenzie sociali e governo. E
da queste posizioni, 10 credo che guardino all'immigrazione
odierna, tenendo in considerazione l'esperienza dei propri
genitori. Un immigrante, oggi, non arriva senza un intervento
considerevole che lo aiuti nel cammino d'integrazione; classi
d'inglese per adulti, assistenza speciale per i bambini per
imparare l'inglese, aiuto per trovare alloggio, opportunità di
lavoro e consigli speciali per le donne immigranti.
Una visita nella mia città metterebbe subito in evidenza una
comunità che chiede ai nuovi immigranti di mantenere la loro
cultura; un settore commerciale vietnamita può stare vicino ad un
settore cinese. Tutti questi quartieri seguono il modello della
nostra piccola Italia.
Windsor si vanta di avere due moschee islamiche e un tempio Sikh.
E interessante notare che 11 nostro consiglio multiculturale, cioè
la nostra agenzia per promuovere la cultura della nostra città, si
trova soprattutto nelle mani delle donne delle nostre diverse
comunità.
Non si può dire che abbiamo completato il nostro esperimento
multiculturale. Tuttavia, io credo che la maggioranza dei canadesi
considerino le diversità come una definizione dell'essere canadese
e una delle nostre più grandi qualità. Una minoranza di persone
direbbe, oggi, che noi stiamo lasciando entrare nel nostro paese,
un tipo sbagliato d'immigrante - gente molto differente a causa
del colore, della religione e della cultura. Però, la maggioranza
gli fa gentilmente ricordare la nostra storia degli anni 50 e 60.
Oggi, nessuno metterebbe in dubbio il contributo degli immigrati
nella struttura del Canada.
Abbiamo una grande percentuale di rappresentanza a tutti i livelli
di governo; si pensi che un giudice della Corte Suprema è
italiano. Nel mondo economico, politico e culturale siamo
rappresentati ai massimi livelli. Questo grazie alle nostre madri.
Grasie a li maris ca ni an tindut.
LA DONNA NELLA FAMIGLIA FRIULANA
(dott.ssa Roberta Zanet Sindaco di Morsano al Tagliamento)
Dopo aver sentito quali tradizioni le donne friulane hanno saputo
conservare all'estero assimilandole alla cultura locale, andiamo a
riscoprire le origini di questi valori nel contesto storico in cui
affondano le loro radici. Non esiste, infatti, famiglia che possa
essere estrapolala dal contesto in cui è inserita. L'emigrazione,
o meglio la limitata emigrazione femminile fino al secondo
dopoguerra, ha avuto un ruolo fondamentale per la sopravvivenza
del modello di società agricola e dei relativi valori che hanno
caratterizzato buona parte del XX secolo, rendendo comunque
possibile quello sviluppo economico iniziato dapprima molto
lentamente in un contesto apparentemente statico e che ha dato i
suoi frutti nella storia più recente.
Il Friuli, crocevia di popoli, è sempre stata terra di
emigrazione (se ne parla già nel XVI secolo) che si è sempre
esaurita nei momenti di consolidamento economico.
Nel periodo prebellico la regione aveva vissuto il proprio
sviluppo economico principalmente su capitali che affluivano dal
Veneto, dalla Lombardia e dall'Austria. L'industria tessile stava
fiorendo a Pordenone e Udine grazie alle condizioni climatiche
favorevoli e alla sovrabbondanza di manodopera femminile che
proveniva da un tessuto agricolo arretrato e incapace di
soddisfare i bisogni di una popolazione in continua crescita. Il
lavoro era stagionale ed occasionale ed occupava in prevalenza
manodopera femminile, anche perché le donne erano pagate di meno.
La prima grande guerra ha agito in maniera dirompente sulla
preesistente situazione di difficoltà socio-economica: i capitali
provenienti dall'estero si sono dissolti e con essi gran parte dei
macchinar; della locale industria causando la paralisi delle
attività produttive.
La situazione del comparto agricolo non era certo
migliore e il continuo e massiccio rientro dei militari
smobilitati favoriva la crescita vertiginosa della disoccupazione.
In questo contesto di deprivazione, generale, che
peraltro ha ingenerato il fenomeno emigrativo di inizio secolo, si
inserisce la famiglia tipica friulana con i suoi valori dove la
donna non poteva che avere un ruolo legato quasi esclusivamente
alla sua capacità di procreare e di lavorare. Era notoriamente un
onesta lavoratrice, nel rispetto della migliore tradizione
friulana: seria, abituata ad obbedire, con saldi principi morali,
frutto di quella cultura intrisa di religiosità che non mancava
però di subire il fascino della superstizione.
E le dure condizioni di vita della società contadina
della prima metà del XX secolo, fortemente legata alla proprietà,
alla terra, alla cultura del lavoro che veniva visto come un
dovere, una fatica necessaria, addirittura come un metro per
valutare le qualità positive di una persona (uomo o donna che
fosse) erano il corollario della sua esistenza.
Del resto la società rurale, composta da famiglie
prevalentemente di tipo colonico mezzadrile arrivava a tenere in
coesione fino a quattro generazioni, per le necessità del sistema
socio economico basato essenzialmente sulla forza lavoro umane.
In questo contesto, è evidente che la struttura
familiare fosse strettamente gerarchica.
Il "vecchio" era il proprietario dei beni ed il depositario
dell'esperienza e la famiglia era il miglior canale di
trasmissione di norme, credenze, valori religiosi. L'educazione
che veniva impartita ai figli era strumentale alle condizioni
sociali create dall'agricoltura di sussistenza ed ecco, invero,
che non veniva assegnata all'istruzione rilevanza particolare,
sottolineando invece la disciplina e l'obbedienza, valori del
resto, necessari per sopportare le dure condizioni di vita.
Poi venivano i figli, in ordine d'età, con una
sostanziale ineguaglianza tra i mèmbri, per motivi di sesso e di
età. Era fondamentalmente una società di uomini, tanto che la
donna aveva una posizione giuridica di soggezione e dava del Voi
agli anziani e al marito.
Tale condizione era resa ancor più evidente dal posto
occupato durante i pasti e nella distribuzione del cibo, che
decresceva e spesso cambiava passando dagli uomini alle donne, ai
bambini. Ovviamente, le donne servivano tutti gli altri e quasi
mai sedevano a tavola con i mariti ed era compito del capo
famiglia o della padrona vecchia, unica privilegiata in tale
contesto, decidere persino che cosa portare a tavola. La donna
entrava a far parte della nuova famiglia a seguito di matrimonio
che si svolgeva solitamente durante l'inverno. I genitori della
sposa offrivano il pranzo di mezzogiorno, i genitori dello sposo
offrivano la cena. La sobrietà di vita e la parsimonia hanno
sempre caratterizzato le genti friulane: la sposa era aspettata da
entrambi i suoceri, ma era la donna ad assumere la parte
principale, offriva loro da bere e consegnava il mattarello o le
chiavi secondo un evidente simbolismo.
Quando in casa c'erano più fratelli, il più anziano era
riconosciuto come capo famiglia e come direttrice delle faccende
domestiche la moglie di questi o la vedova di un capo precedente.
La successione andava per anzianità. Il padre dirigeva ogni cosa;
alla sua morte tutti i suoi beni passavano ai figli maschi e se il
corredo delle fìglie era scarso lo si completava in soldi o in
terreno. Nelle famiglie in cui c'erano più cognate ,per evitare
discussioni su chi lavorava di più o di meno (e l'unità di misura
era sempre data dal lavoro campestre) l'impegno della cucina
veniva assegnato per turno settimanale.
Le donne, dopo aver servito i loro mariti, si
rincantucciavano vicino al "fogolar" o si sedevano sulla soglia di
casa per consumare il frugale pasto. Quando una cognata attendeva
un bimbo, tutto era tenuto nel massimo segreto. Doveva lavorare
fino all'ultimo minuto ma dopo il parto, che poteva avvenire anche
nei campi, godeva di 40 giorni di riposo e di una dieta
particolare. Trascorsi 15 giorni dal lieto evento la puerpera
veniva accompagnata in chiesa per la purificazione da una cognata,
o dalla suocera. Prima di questa cerimonia non poteva uscire di
casa, ne restare sola in camera dopo l'Ave Maria per timore degli
spiriti maligni: suocera o cognata le facevano compagnia.
Uno dei momenti più caratteristici d'intimità familiare
per il friulano, tenace lavorato, era la sera, l’ora di cena. Al
nonno e alla nonna era riservato il posto d'onore, più vicini
degli altri alla fiamma che riscalda. Dopo cena era la nonna a
recitare il rosario.
La rottura di una compagine sociale di questo tipo
avveniva solo quando per diramazone essa era di troppo superiore
numericamente in rapporto alla capienza della casa e al reddito
della erra lavorata. In questo tipo di famiglia estesa, erano
frequenti gli scambi sociali, l’aiuto nei lavori più gravosi e nei
piccoli prestiti ad esempio il sale tra comunità di ascendenza,
anche se lontana e il vicinato. Questo tipo di struttura è entrato
in crisi solo con l'evoluzione tecnologica, quando l'avvento delle
macchine ha sostituito la manodopera il seme e stato importato e
l'incremento commerciale ha reso vano l'ammassamento casalingo
Come conseguenza del venir meno dell'autorità carismatica del
pater familias è sorta la famiglia mononucleare e si sono
contratte le nascite. Ma la famiglia patriarcale contadina ha
mantenuto le sue caratteristiche fino a pochi decenni fa, anche
perché fino alla seconda guerra mondiale laq partecipazione della
donna nell'emigrazione, che nelle zone più disagiate ha toccato
punte del 70 della popolazione residente, è stata molto ridotta:
l'emigrante era prevalentemente di sesso maschile, celibe e se
sposato difficilmente portava con sé la moglie Ancorando il centro
di gravita del progetto migratorio dei componenti maschili ai
luoghi d'origine se ne assicurava infatti anche la tenuta
economica e sociale; poiché questo tipo di emigrazione aveva una
funzione di riequilibrio e conservazione del sistema preesistente
La trasmissione del sistema dei valori tra generazioni diverse,
come l'educazione dei figli l'assistenza agli anziani, la
produzione per il consumo di sussistenza, lo stile di vita basato
su una grande intensità lavorativa ed il risparmio sono rimasti
pressocché inalterati. La presenza della donna nella terra
d'origine ha impedito una radicale trasformazione socio economica
e questo e uno dei motivi per cui la società friulana e quindi la
famiglia e il ruolo che la donna ricopriva al suo interno, è
mutata così lentamente.
Accanto all'emigrante parsimonioso, non è mancata mai
l'attività vigilante della donna friulana, abituata a sostituire
operosamente secondo le migliori tradizioni locali i fratelli i
manti, i padri: massaia e contadina, madre e operaia ad un tempo.
Il friulano è profondo nei sentimenti ma li esprime con
parsimonia, tanto da apparire a volte duro. Non e difficile,
pertanto, comprendere la fredda atmosfera che circondava la
giovane sposa quando il marito partiva per l'estero: il suo
ritorno quando tutto andava bene non avveniva prima dei sette mesi
stagionali. Questo fenomeno migratorio, essenzialmente temporaneo
e stagionale, era particolarmente diffuso anche nella Carnia del
primo ‘900 già negli anni che precedevano la prima guerra
mondiale.
Se è vero che chi partiva pagava un prezzo affettivo e
sociale molto alto, è altrettanto vero che a questo dolore, per
chi restava, si aggiungeva la particolare durezza delle condizioni
di vita rese ancora più difficili proprio dalle assenze dei propri
cari, ed ecco quindi che l'emigrazione femminile veniva vista come
un sollievo e le ragazze quando potevano scegliere, preferivano
emigrare, piuttosto che restare sole, per accumulare qualche
risparmio per farsi il corredo e soprattutto, per sottrarsi ai
lavori di un'agricoltura pesantissima. Infatti, se le condizioni
di vita nella pianura friulana erano per la donna difficili, in
montagna si stava certo peggio.
Si legge in qualche triste testimonianza, che quando il
marito partiva (o ritornava) dalla Carnia, la donna lo precedeva
con le valigie nella gerla, oggetto questo che ha perseguitato
probabilmente la maggior parte delle cosiddette "portatrici" fin
dalla prima infanzia, quando iniziavano a lavorare non appena
potevano portare appena tre pannocchie dentro una gerla.
Appoggiando il peso prima su un cavalletto per essere
autosufficienti, portavano il fieno, il letame, la legna
difendendo le spalle e attutendo la pressione della gerla con un
sacco, una semplice tela o una specie di bolero imbottito.
A seguito della nuova ondata migratoria del secondo
dopoguerra altri, giovani donne e uomini sono partiti dapprima
verso l'Argentina, poi verso il Canada, l'Australia, ma anche
verso le città italiane. L'alternativa all'emigrazione era, negli
anni 50 così come negli anni 20, la sottoccupazione, i lavori
saltuari e occasionali e mal pagati. La donna, che ha avuto un
ruolo fondamentale nella sopravvivenza del modello di società
agricola fino agli anni del secondo dopoguerra, è diventata
nuovamente protagonista della modernizzazione successiva.
L'ambiente rurale si è mantenuto, ma con mèmbri
progressivamente più anziani, dato che ora, mogli e sorelle
partivano con regolarità verso terre lontane. Ciò ha indebolito
l'equilibrio di sussistenza nei luoghi d'origine, che sono
diventati luoghi di vacanza, impregnati di affetti nostalgici ma
che hanno perduto quell'importante ruolo che aveva ancorato la
società a vecchi modelli apparentemente immutabili.
Le rimesse dall'estero non avevano più lo scopo di
integrare il livello minimo di sussistenza, ma di accumulare
risparmio per investimenti nelle abitazioni o in attività
produttive dopo il rientro. Per chi restava, comunque, la
condizione non era molto diversa da quella già descritta ma le
trasformazioni socio economiche in atto, stavano dando avvio ad un
processo irreversibile che stava cambiando completamente la
condizione di vita della famiglia friulana. Il ruolo femminile
nella società era in rapida trasformazione, l'agricoltura stava
cambiando, il nuovo schema abitativo delle giovani coppie
prevedeva l'abbandono del vecchio modello allargato.
La donna in Friuli continua ad esser occupata
prevalentemente nel lavoro domestico e dei campi fino agli anni
60, quando potrà trovare stabile occupazione nell'industria. La
scolarizzazione all'inizio rimane, comunque, bassa ma il
diffondersi dei primi mezzi di comunicazione di massa facilitano
il processo evolutivo. Non dimentichiamo che negli anni '70, gli
emigranti rientreranno come mèmbri di pieno diritto nella comunità
di partenza, riallacciando facilmente una serie di legami
familiari, comunitari e di amicizia e favorendo gli scambi
culturali tra paesi diversi.
Cresce il livello di scolarizzazione, si creano i
presupposti perché anche le donne appartenenti ai ceti più bassi
possano aspirare ad un destino gratificante anche nel settore
lavorativo e chi lo desidera prosegue negli studi.
Lo stimolo verso le più giovani proviene proprio
dall'ultima generazione di emigranti che stava assimilando un
diverso modo di concepire la società abbandonando il concetto di
educazione strumentale alle esigenze del mondo agricolo, fondato
sui valori quali la disciplina e l'obbedienza, per passare, e
questo forse rappresenta il più decisivo punto di rottura con il
passato, a valori diversi che vedono nell'istruzione un caposaldo.
Soprattutto per le classi sociali più deboli, le
trasformazioni in atto costituiscono una sorta di riscatto sociale
e per le donne, deboli tra i deboli, sono una sorta di
affrancazione di intere generazioni abituate a sopravvivere e non
a vivere nella piena accezione del termine, dedicandosi, comunque,
con pazienza e dedizione alla famiglia e al lavoro.
Le donne testimoni dell'ultima emigrazione, hanno
sofferto per la disgregazione delle reti amicali e parentali a
seguito di tale fenomeno e hanno dovuto lavorare duramente per
aiutare la famiglia con il lavoro dei campi prima, aspettando
l'arrivo delle integrazioni economiche dall'estero (che non sempre
arrivavano) e poi anche con quello in fabbrica ma soprattutto, si
ricordano bene di quando ancora piccole, mangiavano per ultime il
minimo indispensabile per il loro sostentamento.
Per questo non si sono mai fidate completamente
dell'apparente benessere. Queste donne, cresciute nel secondo
dopoguerra hanno vissuto e favorito la trasformazione della
vecchia società patriarcale e sono riuscite con pazienza e tenacia
a gestire insieme agli uomini, con pari dignità, e non perché loro
erano via come accadeva in passato la famiglia e il lavoro,
creando le basi della società odierna.
DONNE SOLE
Cordenons, giugno 2003 - Maria Sferruzza Pasqualis
Restavano sole
per mesi o per anni e la fatica quotidiana raddoppiava, impegnate
com'erano nelle incombenze abituali e in quelle sostitutive
riservate di solito agli uomini emigrati in terre anche lontane.
Consumavano i giorni in continua attesa, di notizie, di arrivi, di
partenze. Donne forti che tenevano chiuso il dolore nel cuore a
volte inaridito dall'asprezza della loro condizione umana,
abbruttite dai lavori massacranti nei monti, nei boschi, nei
campi, nelle stalle. E da quelli in casa, per dedicarsi ai figli e
ai vecchi. Sempre, in guerra o in pace, tra malattie, debiti,
lutti precoci. Sole. Presenze silenziose, indispensabili.
Nelle lettere degli emigranti, da luoghi diversi e in periodi
diversi, la figura di moglie, madre o figlia, appare sullo sfondo,
mai in primo piano, ma si intuisce che è lei il vero punto
cardinale della famiglia.
"Cara moglie, guarda per tè e per i figli, non pensare per me! Se
non hai soldi, procura di trovarli che a metà del mese di marzo
riceverai il fabbisogno per la famiglia e per pagare il debito. E
voi, cari figli, ubbidite la mamma..." (Argentina, 1912)
"Carissimo Padre, abbiamo trovato L.1.00 nella lettera e si
capisce che siano di mio zio Luigi, ma mia madre, se prima non ha
meglio dichiarazione non consegna a nessuno perché con quelle
parole che tu dici, consegna... " (Da un paesino del pordenonese,
1889).
Donne aspre e dolcissime, capaci di perdonare torti e soprusi, di
aspettare sperando e disperando.
O anche di morire di dolore. Era rientrato in famiglia dopo alcuni
anni di lontananza oltreoceano. Aveva messo in bella mostra sul
comò della camera matrimoniale la fotografìa che lo ritraeva con
l'altra donna, quella americana, e con la loro piccola figlia. "Se
osi spostarla, -aveva detto alla moglie- ti butto dalla finestra."
La povera creatura dovette sopportare l'affronto, in silenzio, e
il suo gracile corpo cominciò a tremare scosso da una paura
invisibile e incombente, sempre di più, fino alla fine dei giorni.
Ma la foto rimase lì, davanti a occhi ormai senza lacrime, sfida
umiliante e crudele.
Caso estremo questo, ma non unico, di prevaricazione. Tante altre
vicende dolorose di lacerazioni e tragedie si sono consumate nel
buio per perdersi poi nei meandri del tempo.
Storie di donne in rassegnata attesa, tenaci custodi di quel
piccolo mondo che gli emigranti lasciavano alle spalle con la
serena certezza di ritrovarlo ancora, al ritorno. Donne sole.
Donne friulane.
L'ULTIMO
SALUTO
Giorno di vigilia prima di una delle tante partenze verso
terre straniere. I bagagli sono pronti pieni di cose pulite e
consumate lungo le strade del mondo. La madre in silenzio cova il
suo dolore e la preoccupata solitudine che l'attende. Non ha pace,
sale e scende le scale, apre e chiude i cassetti nasconde tremando
quattro piccole mele invernali in un angolino libero della
valigia, tra martello e cazzuola
E tutto quello che.può dare.
Nessuno sa esprimere l'angoscia del distacco perché un nodo
stringe il cuore e preclude parole e lacrime. Prima che sorga il
giorno, passi veloci calpestano leggeri la rugiada della notte
accompagnati dal canto antico e familiare del ragliamento, melodia
amica che aumenta se possibile, l'incubo dell'ultimo abbraccio.
VÌLIE (Eddi Bortolussi)
Disore, te cjamare, ancje chest an
lis valîs a' son prontis, plenis, come ogn'an,
cu lis tassutis de robe cuside e lavade,
robe metude e fruiade, lavìe, pai mont.
Une man, di scuindon,
'e a pojât trimant
quatri miluz di vignâl rùsins e bogn,
piardûz tun cjanton, dongje il spali dal plomb,
cul mani de cjazze e il slusî dal martiel.
La mari pe scjale 'e
va simpri cidìne
cui siei scrpez a ponte, neris, di vilût;
'e viârz la vitrine, po' 'e siâre un scansèi:
ancje il siò cûr al si siâre cun chèl...
Ma ce ìsal mo chest
partî ch'al ingrope,
cheste smare che si sint tal ultin salût,
cheste sgrife sul cùr e chest ruscli
ch'ai jemple la bocje tal puest de peraule?
Ah...partî devant
dì, pai troi de taviele
sfantant lizêrs tè rosade de gnot,
cui cj'ant antîc dal Tiliment tal cûr,
fêr, come la lûs dal mont che si lasse! |