Il matrimonio? Non
è al capolinea
Al seminario dei giuristi cattolici il card. Nicora.
(Cristiano Donato –
La Vita Cattolica
del 25 Novembre 2006)
A FAMIGLIA?
Nient’affatto al capolinea, al contrario di quanto predicato da certi
pulpiti da trent’anni a questa parte. Il matrimonio rimane
un’istituzione forte, nonostante le difficoltà. Ha voluto smascherare le
distorsioni nascoste dietro tanti dati propinati all’opinione pubblica
Riccardo Prandini, docente di Sociologia della famiglia all’ateneo di
Bologna, al convegno di sabato 18 novembre presso l’Abbazia di Rosazzo
su «Famiglia/Famiglie: Il problema della regolamentazione giuridica
delle unioni di fatto», organizzato dalla sezione di Udine e Gorizia
dell’Unione giuristi cattolici italiani, in collaborazione con l’Ordine
degli avvocati e la Fondazione «Abbazia di Rosazzo». Il seminario, cui
sono giunti gli indirizzi di saluto del guardasigilli Clemente Mastella
e del governatore Riccardo Illy, ha visto quali relatori anche il
segretario centrale dei Giuristi cattolici, Fabio Macioce, il presidente
Francesco D’Agostino, ed il consulente ecclesiastico card. Attilio
Nicora. Non sono poche le mistificazioni diffuse sulla famiglia, ha
messo in chiaro Grandini sulla scorta dell’ultimo rapporto Istat con
dati del 2003, denunciando pesanti responsabilità dei mass media. Un
esempio? Non è affatto vero che crescono, come si dice, i single. «Le
cifre parlano di un 24% di famiglie composte da una sola persona, quindi
siamo sull’ordine dell’8-10% della popolazione, ma è un fenomeno causato
dall’invecchiamento: in realtà, aumentano semplicemente i vedovi e le
vedove, il che è una condizione, non certo uno stile di vita». Idem per
il conclamato incremento delle coppie senza figli, pari al 21% delle
famiglie: «Di esse quattro quinti vedono genitori sopra i 45 anni, i cui
figli sono usciti di casa sposandosi a loro volta, e in ciò non vi è
nessuna novità, nessun nuovo modo di vita». Scendono le coppie con
prole, pur restando maggioranza relativa (42%), e qui emerge il vero
dramma secondo Prandini: «Le famiglie italiane non riescono più a
rigenerarsi. Il fatto è che, interpellate, dichiarano – ha rivelato – di
volere 2,5 figli, ma ne generano uno, per cui un altro manca
all’appello». Occorre allora uno scossone a mass media e politici
inducendoli a riflettere su un desiderio frustrato «dal non trovare le
condizioni per concretizzarsi ». Attenzione però: tutte le famiglie
fanno almeno un figlio. Allora «non è vero che andiamo verso la famiglia
senza figli – questa l’osservazione del docente – anzi essa nasce
socialmente per dare genitori ai figli».L’8% delle famiglie, in aumento,
vede nuclei con un solo genitore, ma occorre saper leggere le cifre:
«Crescono in parte le vedove, che rimangono con i propri figli, in parte
separazioni e divorzi, ma molto meno che nel resto d’Europa». Tutto ciò
indica come non esista ancora, a livello di popolazione, un nuovo modo
di formare una famiglia: «Questo probabilmente si presenterà – è stata
la previsione di Prandini – quando le persone pretenderanno
giuridicamente, sfruttando le tecniche di fecondazione artificiale, di
fare figli senza il partner, fenomeno per ora limitato a piccole “enclaves”».
Insomma, i nuclei monogenitoriali, piaccia o no, nascono da una crisi
familiare.
Capitolo libere unioni, ossia quando due persone convivono senza essere
sposate. Dalle cifre, ha lasciato intendere il sociologo, emerge l’ideologicità
della questione: sono infatti appena il 3,8%, in lievissimo aumento, sul
totale delle coppie. Insomma, una tempesta in un bicchier d’acqua,
soprattutto «di fronte a problemi quali la povertà delle famiglie
monoreddito». Nel dettaglio, poi, si scopre che di quel valore l’1,8% è
costituito da libere unioni di persone mai sposate prima, per due terzi
convivenze tra giovani, con un ruolo quasi di «matrimonio di prova»,
mentre nel 2% restante almeno uno dei partner è stato sposato. Questo
rivela «non un attacco di massa contro l’idea di famiglia, ma un diverso
avvicinamento alla sua costituzione».
Prandini ha illustrato come il matrimonio, fino agli anni ’70 punto
d’inizio della vita di coppia, ora giunge a conferire il timbro di
legittimazione ad una storia nata anni prima e sfociata nel 30% dei casi
in convivenza. Non solo, ma in tale contesto sempre più la gravidanza
della donna precede il matrimonio: «Sono novità enormi – ha spiegato il
sociologo – ma di per sé non pongono in crisi l’idea di famiglia fondata
sul matrimonio».
Quanto all’eventuale regolazione delle convivenze fuori dal matrimonio
chiara la sua premessa, nel portare alla luce la vera realtà: «Il
problema delle convivenze – ha fatto notare Prandini – nasce tutto per
il riconoscimento dei matrimoni omosessuali, cui sono contrario,
mancando il requisito basilare della differenza sessuale».
Anche riferendosi tuttavia alle convivenze eterosessuali, la posta in
gioco, non è stato nascosto, è decisiva. Occorre essere consapevoli che
«qualsiasi istituto giuridico tale da introdurre un nuovo modo di
regolare le unioni di fatto – è stato il richiamo preoccupato di
Prandini – oggettivamente produce un rimbalzo negativo sulla pienezza
simbolica del matrimonio». A colpire è l’assenza di questo ragionamento
nelle file dei non credenti: «Proprio questi ultimi in Francia si
sollevarono contro i Pacs per una questione di giustizia rispetto a chi
si sposa e con ciò si assume responsabilità». Istituto «civilizzatore»
il matrimonio, conclude Prandini, ma sempre più bersaglio di «nuove
forme di intolleranza invisibili», camuffate da neutralismo. |