curiosità di ieri e di oggi

Il pan di sôrc
(Leproso, 6 Gennaio 2000)

Sollecitato dalla domanda di Walter Cibischino, su un tipo di pane che si usava preparare negli anni 50-60, ho fatto delle ricerche presso alcuni miei paesani di qualche anno più anziani di me. Ho quindi potuto raccogliere particolari abbastanza interessanti che ignoravo. Dovete sapere che Leproso, ora conosciuto come "Il paese più bello del mondo" per colpa di un tizio che lo sta "spampanando" attraverso internet, cinquant'anni fa era importante per il suo mulino.

Il "Mulino del Braida", come è indicato ancora nelle carte geografiche, era proprietà della facoltosa famiglia Braida, che oltre ad essere padrona della metà di Oleis dove abitava nel suo palazzo, era anche proprietaria di gran parte della case contadine e dei pochi campi di misera terra di Leproso. Non si riesce a capire come quelle povere famiglie contadine, che lavoravano i campi a miezîs (a mezzadria), riuscissero a ricavare da quella terra magrissima, il sufficiente per non morire di fame.

Eppure, ricordo ancora che dalle finestre aperte delle case del mio paese, sovente si ascoltava l'allegro canto delle ragazze che, mentre facevano i lavori di casa, diffondevano nella borgata ed al mondo intero la loro gioia e voglia di vivere … Con la bella stagione, la sera i maschi si sedevano sul lungo scalino di cemento davanti alla chiesa, e mentre gli adulti che noi consideravamo già vecchi parlavano dei loro problemi legati al duro lavoro dei campi ed i ragazzi rumoreggiavano giocavano di bila o di platâsi, i giovanotti in disparte si raccontavano bisbigliando le loro avventure amorose. Un mondo ormai scomparso e al quale penso con grande nostalgia, soprattutto perché mi ricorda tante care persone che ci sono più … Mentre scrivo, a stento riesco a trattenere le lacrime.

Il mulino era (quel poco che resta è ancora lì) collocato quasi al livello delle acque del Natisone ed ancor oggi ci si accede attraverso una ripida discesa, che gli abitanti di Leproso chiamano ancora la strada de macchina, probabilmente riferendosi alla macchina di batti (trebbiatrice). Mi ricordo come fosse oggi, che i contadini per affrontare la ripida discesa, frenavano i loro carri infilando tra i raggi di legno delle ruote posteriori il raiter, (una robusta stanga di legno) . Sembrava impossibile che quelle povere mucche, che sicuramente non se la passavano meglio dei loro padroni, trainando quei carri  avessero la forza per risalire quella strada.

Per noi ragazzi, il mulino e tutto il tratto di Natisone che lo circondava, era un ambiente ideale per i nostri giochi e non solo … con il trascorrere delle stagioni si presentava sempre l'occasione per rubacchiare qualche cosa di buono come uìsui (piccole ciliegie), pirucis (piccole pere), coculês (noci), nôlis (noccioline). Più di qualche volta però si è andati oltre, "sgraffignando" qualche uovo dai nidi che le centinaia di galline costruivano in varie parti del bosco, cove che spesso gli stessi proprietari ne ignoravano l'esistenza. Il ricavato della vendita serviva poi a procurarci presso il negozietto di "Santina" a Orsaria, qualche manciata di corotules (carubole), stecchetti di liquirizia, figurine e palline di terracotta.

Spesso mi succede che la foga del discorso mi porti fuori tema, ma volevo mettere in risalto che tutto ciò che accadeva dentro e fuori al mulino era sotto i nostri occhi, ma noi ragazzi avevamo altri interessi come è giusto che sia a quell'età. E' per questo che per i particolari sul pan di sôrc, ho dovuto ricorrere a persone di qualche anno più avanti di me, pur ricordando ancora il suo sapore...

Anche se con nomi diversi e con qualche variante, in tutto il Friuli per preparare quel tipo di pane si usavano i soliti ingredienti: farine più o meno grezze di frumento, orzo, segala e granoturco. Nella nostra zona era molto usata la farina di cincuantin, un tipo di granoturco precoce che produceva piccole pannocchie di colore prevalentemente giallo e che era il primo a maturare … teoricamente in cinquanta giorni.

E' importante sapere che, presentandosi al mugnaio con un sacco di granoturco (forse anche per il frumento) per la macinatura, bisognava consegnargli anche quattro sacchi vuoti per depositare quattro diversi prodotti finali:

Un sacco per contenere la farîna (la parte macinata più fine);
un sacco per la scjavazzada;
un sacco per il nôli;
e un sacco per la semula (la parte più grezza).

Per fare il pane, si utilizzava la scjavazzada, che era leggermente più grezza della farina, e per dare all'impasto una certa compattezza, un terzo della farina doveva essere di segala. Per completare la preparazione non serviva altro che acqua, sale e il levan (il lievito).

Al giorno d'oggi procurarsi il lievito per fare il pane è molto facile, ma una volta non era così e bisognava quindi farsi il lievito in casa. Per prima cosa bisognava mettere in un tegame un certa quantità di farina e aceto e quindi lasciare in disparte per due o tre giorni. Non sono in grado di indicare la quantità, ma questa farina "andata a male", aggiunta all'impasto di farine varie per la preparazione del pane, era un buon sistema per la sua lievitazione.

Dopo una prima lievitazione con l'impasto in un unico blocco, si procedeva ad una energica rimescolatura del tutto per poi dividere in piccoli blocchi a forma di pagnotta. Importante ricordare di conservare una manciata di questo impasto, che sarebbe servito da levan per le successive panificazioni. Quando il lievito aveva avuto il suo effetto e le "pagnotte" erano ben gonfie, significava che erano pronte per la cottura. Per motivi che non è il caso di specificare, prima di mettere nel forno o sotto le braci si consigliava di effettuare con un coltello, due tagli a forma di croce sulle pagnotte crude. Non si sa se avvolgere le pagnotte in foglia di verza prima di metterle nel forno serviva per migliorarne il sapore, ma sicuramente era un necessità quando la cottura avveniva sul fogolar ed il pane veniva cotto sotto uno strato di cenere e braci.

Forse nessuno avrà il coraggio di fare il pan di sôrc rispettando alla lettera queste mie indicazioni, e magari cuocere il pane su un fogolâr come ai vecchi tempi, ma assicuro questo eventuale temerario che sono disposto ad accettare l'invito per un assaggio, meglio se accompagnato da muset e bruade, oppure salam cu le civole , il tutto innaffiato da qualche taiut di merlot o cabernet.

Ma pensando seriamente a quei tempi, se chiudo gli occhi, mi sembra di vedere i nostri antenati raccolti intorno al fogolâr, con i loro visi illuminati solo dal bagliore delle fiamme che divoravano un grosso zoc di morâr, ma con il volto sereno perché, dopo aver mangiato una buona pagnotta di pan di sôrc con una grossa cicina di purcit e bevuto qualche tajut di bacò o clinto, erano sicuri di poter sprofondare nei rumorosi materassi di scornòs (le foglie che avvolgono le pannocchie di granoturco), senza pericolo di essere tormentati dai crampi della fame.

bar27.gif (2590 byte)