Nascita del Grop Corâl Gjviano
(Ada Bottero)
Un giorno io e mio marito
Lido, in visita da Pieri e Ines, ascoltammo un disco del Coro
"Friuli" di Colonia fondato da un gruppo di emigranti italiani
fra i quali anche loro due. Rimasi molto coinvolta emotivamente, tant'è
che - ricordo - mi venne spontaneo dire: "Perché non "mettiamo
su" un coro fra noi di Gjviano, che siamo sparsi in tutto il Friuli?
Sarebbe un'occasione per trovarci più spesso e discutere dei problemi del
nostro paese". Quella sera la cosa non trovò immediato consenso; la
sera successiva, però, ci ritrovammo nuovamente per programmare il da
farsi.
Quell'estate venne in vacanza a Gjviano pre
Gilberto Pressacco. Avemmo modo di conoscerlo ed anche di intonare qualche
vecchio canto insieme. Gli parlammo della cosa, proponendogli di dirigerei
ed egli immediatamente accettò! Rimaneva il problema della stanza per le
prove. La mia famiglia abitava allora all'ultimo piano del vecchio palazzo
Clabassi, ora sede udinese della Sovrintendenza alle Belle Arti in via
Zanon. Lo spazio non mancava e per l'occasione liberammo una stanza
adibita ad hobbies vari.
Ognuno di noi si impegnò a fondo: chi fece
l'imbianchino, chi costruì le panche... fatto sta che dopo due mesi, il
primo lunedì del mese di novembre 1974, ci ritrovammo esattamente in 30
"gjvianoz" con un indicibile entusiasmo per le prove. Pre
Gilberto accettò volentieri la nostra chiamata proprio per il repertorio
che ci eravamo prefissi e che del resto eseguiamo tutt'ora: si trattava di
sostenere la nostra tradizione attraverso i canti e le antiche villotte.
Le prove si svolgevano con grande trambusto, ogni
stanza della casa era occupata per le prove per singole voci. Ci
divertivamo anche molto, ma sentivamo il peso della nostra inadeguatezza. Questa
fase proseguì con grande entusiasmo, fino alla tristissima sera del
maggio 76 quando anche la nostra abitazione divenne inagibile.
Dopo la tremenda estate che tutti conosciamo, a settembre una seconda
grande scrollata sismica mise nuovamente tutto il Friuli a soqquadro.
Comunque l'estate nelle tendopoli aveva ritemprato lo spirito di rinascita
ed il senso di appartenenza di questo popolo. Le villotte riproposte in
quell'anno dalle radio locali, a getto continuo, furono veramente uno
squillo di tromba per la rinascita ed uno stimolo a ricostruire
salvaguardando, per quanto possibile, le strutture in sasso e legno di
questo antico Friuli.
Nell'autunno successivo, tornammo "alla
carica" e trovammo una nuova sede per le prove del Coro: fummo
ospitati nella palestra di Don Onelio al Villaggio del sole. Purtroppo non
eravamo più in tanti. Il maestro era bravo, ma molto esigente ed alcuni
preferirono abbandonare. Passato l'inverno, si presentò l'occasione,
tramite Armando Gottardo, di entrare a far parte dell'UOEI che ci mise a
disposizione la sala di cui abbiamo usufruito fino a poco tempo fa. Lido
scrisse una lettera circolare a tutte le famiglie, residenti in Friuli,
invitando la gente a rimpolpare le fila del coro. Il
28 luglio 1977 ufficializzammo, presso il notaio Lazzaro Cantoni, il
nostro atto costitutivo ed il relativo Statuto. Ormai non avevamo più
timore di non superare le fasi dell'avvio.
Dopo alti e bassi e peripezie di vario genere,
eccoci dunque qui, convinti di portare ancora la nostra bandiera
e decisi ad arrivare più in là possibile.
Il Grop Coral Gjvano e il suo repertorio
(Roberto
Frisano)
Nella storia di ogni coro, oltre
ai rapporti umani e all'amicizia, ciò che segna il percorso, la strada
svolta e da svolgere è la peculiarità del repertorio presentato, della
musica proposta al pubblico. C'è un'innegabile relazione fra ciò che i
coristi sentono di voler cantare, ciò che più appartiene loro e la sfera
dello "spettacolo" che ogni coro affronta proponendo un proprio
repertorio. Magari minime sono le differenze di repertorio tra i numerosi
cori della nostra provincia, tanto che, per rimanere ai generi friulani, i
canti d'autore o popolari che ormai ascoltiamo da anni in numerose varianti
ed elaborazioni rappresentano ancora il nucleo fondamentale dell'esperienza
artistica di ogni gruppo vocale. Possiamo dire che sono parte della nostra
memoria musicale e del nostro ritrovarci, come friulani (e come cjargnei,
direbbero gli amici di Gjviano), attorno ad un elemento
"affettivo" comune. L'esperienza corale mi fa riflettere
continuamente su questo aspetto; il rinnovarsi del repertorio non può
prescindere dai legami affettivi con i brani della tradizione.
Questa
ambivalenza nei repertori corali è il tratto distintivo dei gruppi
friulani: nuove composizioni da un lato (e magari anche nuovi generi come
spiritual, musica africana, ecc.) e brani "tradizionali"
dall'altro. I brani di Zardini, Escher, Marzuttini, Garzoni, sono oggi
diventati "popolari" nel senso che vivono dell'appropriazione di
tutti, senza bisogno di specifiche competenze musicali per tradurre in suoni
le note che potrebbero ormai non aver più bisogno di essere scritte. Con
ciò si osserva inoltre che l'attività dei cori organizzati ha sostituito
quasi completamente la pratica spontanea del canto. Anche quando piccoli
gruppi di cantori si ritrovano occasionalmente per cantare, la scelta dei
pezzi si orienta verso brani d'autore o villette ricordate in particolari
armonizzazioni o elaborazioni.
Tutto questo preambolo ha
scopo di introdurre alcune riflessioni sull'attività del Grop Goral Gjviano
e in particolare sulla sua più evidente peculiarità cioè il repertorio
che propone. Quello che colpisce è l'attaccamento alle villotte e ai canti
della tradizione orale carnica, quasi fossero un rifugio spirituale, un
saldo riferimento per i coristi emigrati in furlanie, terra
"straniera". Alcuni di questi brani vengono proposti ormai solo da
loro, senza timore di presentare agli ascoltatori cose "piccole",
"facili" o di poco conto (timore che ha indotto a scelte diverse
tanti nostri gruppi corali, con esiti, come sappiamo, non sempre felici).
Alcune sequenze di villotte, alcuni motivi sono decisamente preziosi per
testo e veste musicale: penso ai canti di emigrazione-lontananza come Maladete
Praduline, Al vaivo lu soreli, o ai canti nuziali (tracce di
antichi rituali) Il violâr e in particolare Chel grimâl. Altri
brani, non meno preziosi, riflettono le dinamiche dell'appropriazione locale
nell'uso della variante linguistica (con le tipiche finali in "o")
o nei riferimenti geografico-sociali: tra tutti La puemo insomp la vilo,
che trasferisce in diverso ambito i contenuti del più diffuso canto
friulano La biele sompladine.
Parte della sfera
affettiva che chiamiamo "radici culturali" è pervasa
dall'esperienza religiosa, con tutto il suo rivelarsi sonoro, con
l'abitudine di canti, preghiere, riti e azioni vissute fin da bambini. E
allora il repertorio religioso assume valore anche nella sua riproposizione
al di fuori della liturgia, diventa simbolo di un intimo sentire, personale
e collettivo insieme.
Come non rivivere
l'atmosfera festiva ma tenera evocata dal canto di questua (e d'augurio) Noi
siamo i tre re, atmosfera che ancora si può percepire in alcune
località della Carnia fra Natale e l'Epifania? Ancora come non subire il
fascino antico del Missus est, con l'aulicità del racconto
evangelico stemperata dalle dolci e familiari melodie o le parti della Messa
tradizionale, che richiama alla mente la solennità delle celebrazioni più
importanti per la comunità di un tempo?
Come il repertorio
profano, anche quello sacro viene proposto dal Grop Corâl Gjviano con la
discrezione di un'elaborazione spontanea per lo più a due o tre voci e con
la semplicità comunicativa consona alla musica popolare. Pur con alcune
fondamentali differenze rispetto all'esecuzione tradizionale (numero di
esecutori, impostazione vocale e soprattutto contesti esecutivi) il coro ci
fa comprendere quanto sia ancora vitale e sentita (e forse addirittura
necessaria) l'espressione attraverso il canto, quello appreso durante
l'infanzia, quello della propria terra e della propria gente, che parla dei
propri affetti. E questo, in un'epoca in cui la musica si preferisce subirla
piuttosto che produrla, mi sembra essere un merito di cui andare veramente
fieri.
Tratto da "Vivo Vivo Gjviano"
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