ho ascoltato per voi
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San Lorenzo Isontino, 12 Aprile 2002

Concerto con il Coro Polifonico di Ruda
Discanti Aquileiesi e musiche di Zanettonich, Ruffo e Lasso.
Diretto da Elisa Ulian
Mezzosoprano Manuela Marussi
Viola, Giancarlo Di Vacri
Organo, Beppino Delle Vedove


Presentazione della serata


Beppino delle Vedove

Giancarlo Di Vacri

Manuela Marussi e Elisa Ulian

STABAT MATER
Agli stimoli estetici e stilistici di una non trascurabile porzione della creatività musicale profusa dalla più recente produzione musicale in ambito classico, e con particolare rilievo per ciò che gli artisti delle nostre terre vanno manifestando in tal senso, sembrano da tempo incondizionatamente aderire ed anzi, esserne primario punto di riferimento, le pagine di Daniele Zanettovich nelle quali il ripensamento, la riabilitazione di una dimensione comunicativa del comporre, parametro non necessario di tanto Novecento musicale, non può prescindere da una rivitalizzazione delle stesse componenti artigianali che avevano plasmato il linguaggio delle grandi personalità del passato.
          Nell'affondare la propria poetica musicale in una personale interpretazione degli svariati "oggetti" che la tradizione musicale nel suo complesso ha tramandato, animato da assoluto rigore nel piegare l'atto creativo alle inclinazioni culturali ed alla predisposizione esecutiva della committenza, Daniele Zanettovich ha voluto recentissimamente abbracciare, con lo Stabat Mater nella prima versione per mezzosoprano, coro virile, viola e organo, ultimata nel gennaio 2002 e seguita da una versione per piccolo organico sinfonico, l'inconsueta dimensione del sacro nella sua più solenne e spaziata gestualità, dimensione un tempo paradigmatica della creatività musicale nostrana, la cui carica sembrava da tempo affievolita ma dalla cui sopravvivenza è garante chi, nell'ambito dell'articolato e fertile universo corale regionale, sa coinvolgere le forze attive del panorama compositivo.
          Avendo da tempo collaudato un caratteristico e funzionale linguaggio corale, linguaggio che di per sé è fulcro sostanziale dell'espressione del popolo friulano, dagli esempi del passato e, in ultima analisi, dalla sintesi dei nuclei genetici costitutivi il linguaggio polifonico modale e tonale, distillandone un'essenza nella quale i procedimenti prevalentemente omoritmici trovano un immediato riscontro accordale nella concezione a pannelli per lo più congegnata sulla base di slittanti progressioni modulanti dalle quali, in linea con procedimenti di tradizione tardoromantica francese e italiana, vengono ritagliate in parallelo le profilature melodiche, tale linguaggio, che con disinvoltura si coniuga alle espressioni dello stile oratoriale sacro, non poteva che spingersi ad incontrare, quale matrice costitutiva, la monodia medievale, arcano simbolo della tradizione musicale cattolica.
          I richiami espliciti a quella tradizione, fedelmente estrapolati dall'edizione solesmense del componimento melodico in primo modo che accompagna la sequenza, anticamente recitata durante il Festum septem Dolorum Beatae Mariae Virginis e e attribuita a Jacopone da Todi, affiorano a tratti dal sobrio e trasparente tessuto strumentale della partitura, il cui apporto timbrico "brahmsiano", scuro e pastoso, aderisce al contenuto testuale cruento e passionale delle 20 terzine di dimetri trocaici, di cui i primi due versi rimanti e l'ultima catalettico, che il compositore ha voluto rispettare nella scansione formale dell'imponente lavoro.
          L'aspetto formale complessivo dello Stabat Mater pare suggerire una velata struttura piramidale, al vertice della quale, in concomitanza con il verso "Fac ut ardeat cor meum-, prorompe la stessa baroccheggiante proposta di fuga che anima, come da tradizione, l'«Amen conclusivo» -è risaputo essere stata, tale sequenza, fonte testuale prediletta da numerosi compositori del Settecento napoletano, Pergolesi in testa, quanto in seguito dal sontuoso Ottocento di Dvoràk e Verdi e dall'etereo Novecento di Poulenc e Szymanovski- e ai lati del quale si dispongono le cessani iterazioni, i sussulti sincopati dell'arsnoviano hoquetes nei versi "Pro peccatis suae gentis- e "Juxta crucem tecum stare-, a loro volta incorniciati da una successione di episodi ora dolorosamente penetranti, ora liricamente trasognati.
          La profondità tenebrosa del substrato organistico, i mar-morei commenti corali a cappella «O quam tristis et afflicta- e "Tui nati vulnerati-, assistono attoniti al pianto della Madonna, canto dipanato in lancinante frammentarietà, spesso posto in rapporto dialogico con i disegni arabescati, le diminuzioni della viola, memori di barocca gestualità strumentale quanto memore appare il richiamo a numerosi altri dettagli costruttivi, il «Tempo di siciliana», le ternarie perfezioni della polifonia rinascimentale, le triadi parallele di neoclassico vigore in "Flammis ne urar accensus-, appartenenti allo stile musicale di un prossimo o remoto passato ma riplasmati in inedite, limpide e severe dim
ensioni. (David Giovanni Leonardi)


Applausi alla fine del concerto.

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