Presentazione della
serata
Beppino delle Vedove |
Giancarlo Di Vacri |
Manuela Marussi e Elisa Ulian |
STABAT MATER
Agli stimoli estetici e stilistici di una non trascurabile porzione
della creatività musicale profusa dalla più recente produzione
musicale in ambito classico, e con particolare rilievo per ciò che gli
artisti delle nostre terre vanno manifestando in tal senso, sembrano da
tempo incondizionatamente aderire ed anzi, esserne primario punto di
riferimento, le pagine di Daniele Zanettovich nelle quali il
ripensamento, la riabilitazione di una dimensione comunicativa del
comporre, parametro non necessario di tanto Novecento musicale, non può
prescindere da una rivitalizzazione delle stesse componenti artigianali
che avevano plasmato il linguaggio delle grandi personalità del
passato.
Nell'affondare la
propria poetica musicale in una personale interpretazione degli svariati
"oggetti" che la tradizione musicale nel suo complesso ha
tramandato, animato da assoluto rigore nel piegare l'atto creativo alle
inclinazioni culturali ed alla predisposizione esecutiva della
committenza, Daniele Zanettovich ha voluto recentissimamente
abbracciare, con lo Stabat Mater nella prima versione per mezzosoprano,
coro virile, viola e organo, ultimata nel gennaio 2002 e seguita da una
versione per piccolo organico sinfonico, l'inconsueta dimensione del
sacro nella sua più solenne e spaziata gestualità, dimensione un tempo
paradigmatica della creatività musicale nostrana, la cui carica
sembrava da tempo affievolita ma dalla cui sopravvivenza è garante chi,
nell'ambito dell'articolato e fertile universo corale regionale, sa
coinvolgere le forze attive del panorama compositivo.
Avendo da tempo
collaudato un caratteristico e funzionale linguaggio corale, linguaggio
che di per sé è fulcro sostanziale dell'espressione del popolo
friulano, dagli esempi del passato e, in ultima analisi, dalla sintesi
dei nuclei genetici costitutivi il linguaggio polifonico modale e
tonale, distillandone un'essenza nella quale i procedimenti
prevalentemente omoritmici trovano un immediato riscontro accordale
nella concezione a pannelli per lo più congegnata sulla base di
slittanti progressioni modulanti dalle quali, in linea con procedimenti
di tradizione tardoromantica francese e italiana, vengono ritagliate in
parallelo le profilature melodiche, tale linguaggio, che con
disinvoltura si coniuga alle espressioni dello stile oratoriale sacro,
non poteva che spingersi ad incontrare, quale matrice costitutiva, la
monodia medievale, arcano simbolo della tradizione musicale cattolica.
I richiami
espliciti a quella tradizione, fedelmente estrapolati dall'edizione
solesmense del componimento melodico in primo modo che accompagna la
sequenza, anticamente recitata durante il Festum septem Dolorum Beatae
Mariae Virginis e e attribuita a Jacopone da Todi, affiorano a tratti
dal sobrio e trasparente tessuto strumentale della partitura, il cui
apporto timbrico "brahmsiano", scuro e pastoso, aderisce al
contenuto testuale cruento e passionale delle 20 terzine di dimetri
trocaici, di cui i primi due versi rimanti e l'ultima catalettico, che
il compositore ha voluto rispettare nella scansione formale
dell'imponente lavoro.
L'aspetto formale
complessivo dello Stabat Mater pare suggerire una velata struttura
piramidale, al vertice della quale, in concomitanza con il verso "Fac
ut ardeat cor meum-, prorompe la stessa baroccheggiante proposta di fuga
che anima, come da tradizione, l'«Amen conclusivo» -è risaputo essere
stata, tale sequenza, fonte testuale prediletta da numerosi compositori
del Settecento napoletano, Pergolesi in testa, quanto in seguito dal
sontuoso Ottocento di Dvoràk e Verdi e dall'etereo Novecento di Poulenc
e Szymanovski- e ai lati del quale si dispongono le cessani iterazioni,
i sussulti sincopati dell'arsnoviano hoquetes nei versi "Pro
peccatis suae gentis- e "Juxta crucem tecum stare-, a loro volta
incorniciati da una successione di episodi ora dolorosamente penetranti,
ora liricamente trasognati.
La profondità
tenebrosa del substrato organistico, i mar-morei commenti corali a
cappella «O quam tristis et afflicta- e "Tui nati vulnerati-,
assistono attoniti al pianto della Madonna, canto dipanato in lancinante
frammentarietà, spesso posto in rapporto dialogico con i disegni
arabescati, le diminuzioni della viola, memori di barocca gestualità
strumentale quanto memore appare il richiamo a numerosi altri dettagli
costruttivi, il «Tempo di siciliana», le ternarie perfezioni della
polifonia rinascimentale, le triadi parallele di neoclassico vigore in
"Flammis ne urar accensus-, appartenenti allo stile musicale di un
prossimo o remoto passato ma riplasmati in inedite, limpide e severe dimensioni.
(David Giovanni Leonardi)
Applausi alla fine del concerto.
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