appunti di viaggio
Ottobre

La Val Resia

Per la verità, in due-tre ore di permanenza, non posso affermare di aver visto tutta la Val Resia e sarebbe comunque impossibile mostrare in questa pagina tutte la graziose borgate disseminate lungo la vallata. Spero comunque di stuzzicare la vostra curiosità ed invogliarvi ad andare a vederla personalmente. Le informazioni qui sotto riportate, sono tratte da opuscoli stampati dalle varie Associazioni, che giustamente si adoperano per far conoscere il loro territorio. Nel nostro piccolo, noi cerchiamo di dare una mano. Altre informazioni le potete trovare in una pagina di "biel lant a Messe" di questo sito, oppure visitando www.resianet.org

La Val Resia si trova nella parte nord orientale del Friuli Venezia Giulia. La Valle ha una lunghezza di 18 km. e una larghezza massima di km. 3, è circondata da un sistema montuoso molto articolato con il gruppo Monte Canin ad Est (m. 2.587) il monte Sart a Nord (m. 2.324) e la catena dei Musi a Sud (m. 1.866), è percorsa dal torrente omonimo che, dopo aver raccolto le acque dei numerosi torrenti, si getta nel fiume Fella. La vallata è composta da 6 Paesi principali nessuno dei quali si chiama Resia: Prato (Ravanca) capoluogo e sede del Parco delle Prealpi Giulie, S.Giorgio (Bila), Gniva (Niywa), Oseacco (Osoane), Stolvizza (Solbica) e Uccea (Ucjà). Quest'ultima borgata si è creata attorno al 1500 con la costruzione di stavoli appartenenti alla popolazione di Oseacco, cosi pure come Coritis (Korito) l'ultimo agglomerato della valle sotto le falde del Monte Canin. L'accesso alla Valle può essere fatto da Resiutta oppure anche passando per le Valli del Torre attraverso il passo Tanamea dove si può raggiunge Uccea che si trova sul confine Sloveno, attraverso Sella Carnizza si arriva a Lischiazze (Liscace) e quindi in Val Resia. Quest'ultimo percorso è consigliabile solo in estate quando è possibile ammirare e godere meglio gli stupendi panorami. La comunità resiana si caratterizza per usi e costumi di forte impatto culturale e che si esprimono: in una musica semplice e coinvolgente creata da due strumenti musicali: zitera e bruncola; in una danza che tutti, bambini giovani e anziani ballano nei giorni di festa e sui prati nelle stellate serate estive; nel dialetto (Pones) che viene parlato correntemente in tutta la Valle. Tutti questi aspetti si potranno scoprire anche nel corso della Festa dell'arrotino a Stolvizza dove sarà possibile anche scoprire più da vicino la caratteristica figura dell'artigiano visitando il Monumento all'Arrotino nella piazza principale all'ingresso del Paese ed il Museo dell'Arrotino dove sono esposti numerosi e vecchi strumenti da lavoro ed una collezione fotografica che fa rivivere nitidamente l'evoluzione di questo mestiere nel tempo fino ai giorni nostri.
 

Cartelli indicatori all'entrata di alcuni piccoli centri della Val Resia.

CENNI SIMICI SULL'ORIGINE DELLA POPOLAZIONE RESIANA
Non abbiamo fino ad ora dati certi di riferimento storico o archeologico per poter determinare con precisione l'origine della popolazione resiana, che si è insediata in questa valle in tempo molto remoto. Possiamo però affermare con certezza che essa trae origine da quelle tribù Vindo-Slave che fin dal VI-VII secolo sono risalite per le grandi valli della Pannonia e dal Norico fino alle Alpi Dinariche per mescolarsi agli Avari e agli Unni e urtare contro le barriere Longobarde sulle Alpi Giulie e quelle Bavaresi nel bacino del Gail. Questi scontri con più fazioni, ognuna delle quali voleva conquistarsi più territorio possibile, ebbero a scatenare tremende incursioni, cruente battaglie e lotte per la maggior parte ferocissime. Con la decadenza dell'Impero Romano, i Longobardi, dopo aver spogliato la Pannonia, si misero in cammino per nuove conquiste. In particolare miravano all'Italia, paese del sole e del mare. Da questo momento incominciano i nuovi destini italiani e, nel contempo, quelli resiani. La valanga slava, che si trascinava dietro donne, vecchi, bambini su carri trascinati da buoi, da cavalli ed altro bestiame, trovò una prima barriera insormontabile proprio nel blocco longobardo. Le varie tribù slave, addossate ai territori della Carinzia e della Stiria, oltre che a difendersi, andavano alla ricerca di pascoli per le loro mandrie e di idonee località per dimorare. Alcuni le trovarono sistemandosi nei territori del tarvisiano, altri proseguirono lungo il Canal del Ferro. Un fatto è però certo, le nostre popolazioni sono un residuo di questi grandi movimenti di popoli. L'isola etnica dei resiani si stabili in questa valle dove trovò condizioni ambientali molto favorevoli. Stanchi delle aggressioni e scorribande che dovevano continuamente sostenere, in questa valle si sentirono finalmente liberi e vissero, isolati a margine della grande arteria romana che conduceva nel Norico, per oltre tre secoli. Infatti, solo nel 1084 si fa menzione ai resiani quando il Conte Cacellino, nato nel Castello di Moggio proprio dove oggi si trova l'Abbazia il quale dominava i territori della Carinzia, della Stiria e del Canal del Ferro/Valcanale, dona al Patriarca di Aquileia i possedimenti del Fella compreso il territorio resiano.
          In seguito, dopo essere passati come del resto tutto il Friuli sotto il dominio veneziano, a Resia alcune cose incominciano a cambiare e si inizia a parlare l'italiano. Sotto il loro dominio sono esonerati dall'obbligo di tasse e dazi ma devono salvaguardare i confini da eventuali intrusi sorvegliando i passaggi obbligati su due fortilizi costruiti nel 1500 uno sopra Stolvizza e uno su un'altura a San Giorgio.
          L'isolamento permise ai resiani di conservare e tramandare, di generazione in generazione, le usanze e quella lingua arcaica che, almeno in parte, si è mantenuta ancora integra ed è tutt'oggi oggetto di studio da parte di molti linguisti nazionali e stranieri.

Prato Stolvizza

LA STORIA DELL'ARROTINO

Per la particolare posizione geografica la popolazione della Vai Resia ha dovuto, nei secoli passati, escogitare in continuazione lavori che permettessero agli abitanti di sopravvivere in una valle isolata, con un solo accesso a volte impraticabile a causa di piogge o neve, tanto da dovere spesso sopportare lunghi periodi di isolamento. Tutto ciò non impediva però di esercitare quella che era l'attività primaria per quasi tutti gli uomini, compresi i ragazzi, e cioè il contrabbando, in prevalenza quello del tabacco; un mestiere rischioso che, se scoperto, comportava severe pene. Una delle prime forme di migrazione a carattere temporaneo è stato quello dei merciai ambulanti Kramarij che costituiva l'apparato distributivo del mercato di oggetti casalinghi o prodotti agricoli nei Paesi d'Oltralpe. Nel 1700 predominavano i venditori ambulanti di pignatte, seguiti da quelli di frutta e verdura e, accanto a questi, si inserivano piccoli artigiani: mastellai, tessitori, follatori, sarti e vetrai che fabbricavano e vendevano prodotti locali quali: cucchiai in legno, pantofole di stoffa Opanke, zoccoli Zoukline, contenitori, stoffe ecc. Questo tipo di emigrazione, praticato soprattutto d'inverno, rappresentava, per Resia, una vera e propria economia. Ma è verso la fine del 1700 che, a seguito della costruzione delle grandi infrastrutture in Europa quali strade, ponti, ferrovie e lavori edili in genere, che anche i Resiani imparano altri mestieri: muratori, scalpellini, manovali, minatori, carpentieri, fornaciai, taglialegna, bandai, stagnini, ombrellai e arrotini.

Quest'ultimo mestiere richiedeva acuto ingegno, provata esperienza, elevato spirito di adattamento e molto molto impegno, tutte doti che non facevano certo difetto alla laboriosa popolazione della Valle. Esercitare questo lavoro, diventava spesso una tradizione di famiglia fino a non molto tempo fa. Il mestiere veniva tramandato ai figli i quali. appena in età, venivano portati appresso dal genitore. Qualcuno non riusciva nemmeno a terminare il ciclo scolastico, le necessità in famiglia erano infatti talmente tante che bisognava sfruttare le occasioni fino in fondo, e, pertanto, molti di questi ragazzi crescevano senza istruzione.

Girovagando per i Paesi, di piazza in piazza, l'arrotino fu conosciuto, stimato, rispettato e anche atteso, perché arrivava di sicuro. li suo itinerare programmato lo riportava sul "suo" territorio dove, con il classico grido di: "Arrotinoooooo!!!!!, Ombrellaiooooo!!!!!, Stagninoooooo!!!!! richiamava attorno a sé ed alla sua macchina nugoli di bambini curiosi di vederlo all'opera. Ecco allora la mola che gira, ora veloce, ora lenta, con alcune gocce d'acqua che cadono regolari da un barattolo fornito di un piccolo rubinetto, mentre le lame dei coltelli e delle forbici ridiventavano lucide e taglienti non senza avere prima dato spettacolo con luminose scintille. Il trasferimento da un luogo all'altro era molto faticoso. I primi arrotini portavano sulle spalle la pesante attrezzatura; in seguito trascinavano il materiale su un carretto per strade sterrate e polverose; alla sera si rifugiava presso i casolari dei contadini dove veniva ospitato per passare la notte ricambiando, con l'arrotatura degli utensili, l'ospitalità ricevuta.


Stolvizza è il paese dal quale è cominciato il mestiere dell'arrotino ed è il paese che darà il maggior numero di praticanti rispetto a tutti gli altri paesi della Valle. Questi artigiani, un tempo senza insegna pubblicitaria (ma oggi più di qualcuno ce l'ha), hanno girato, oltre che l'intera Italia, tutta l'Europa. Nei tempi passati gli arrotini si sono spinti verso località lontane dell'Europa e anche oltre: Grecia, ex Jugoslavia, Albania, Turchia, Siria, Egitto e qualcuno afferma che esistono documenti fotografici di arrotini con la Krosma sulle spalle in Israele in Terra Santa sul Golgota. In Ungheria, a Sopron un arrotino resiano diventò l'uomo di fiducia dell'arciduca Francesco Ferdinando. Tra le due guerre mondiali, alcuni resiani avevano una bottega anche in Libia. Ma molte sono le storie di arrotini che hanno avuto fortuna nel mondo. Un mestiere che richiedeva tanti sacrifici, mesi di assenza da casa senza essere riconosciuti, al ritorno, dal figlio che intanto era nato e cresciuto. Nel tempo questi artigiani hanno saputo adeguarsi ai tempi. Dal trasporto a spalla si è passati a quello della spinta su ruote. nel 1929 l'arrotino ha "scoperto" la bicicletta, in seguito l'ha modificata per essere trasportata sui sedili delle "vespe" e delle "lambretta"; quindi è passato al motorino e da questo al motofurgoncino dove la mola girava per mezzo dello stesso motore, fino ai giorni nostri dove l'attrezzatura è sistemata nei bagaglio delle moderne autovetture e la mola è fatta girare da una potente batteria. Gli arrotini che ancora vediamo girare per il Friuli e in tante altre regioni italiane sono quasi tutti originari di Stolvizza. Oggi purtroppo, la crisi dell'artigianato in genere riconducibile a molteplici negative circostanze, ha di molto fatto diminuire il numero di stolvizzani impegnati in questo mestiere ambulante. Ma non pochi proseguono ancora questa avventura lavorativa con mezzi adeguati in linea con i tempi e con la stessa professionalità acquisita con il tempo. Sta sparendo rapidamente invece il vecchio arrotino in bicicletta la sua scomparsa però non potrà cancellare il ricordo di questa figura caratteristica di artigiano proveniente dalla Val Resia. La sua immagine di onesta e laboriosa persona che con cronometrica puntualità visitava le nostre case rimarrà nella storia e nel ricordo di tutti per sempre.

MUSEO DELL'ARROTINO
"Rivive la memoria storica di un umile mestiere" è quanto scritto all'ingresso del Museo all'arrotino inaugurato il giorno 8 agosto 1999. Nato come mostra, la struttura si è via via arricchita di numerosi reperti, vecchi macchinari, biciclette e tante e tante foto storiche, un patrimonio destinato a perdersi nelle polverose soffitte delle case stolvizzane, recuperate e riportate in bella mostra in questa importante realtà museale della Val Resia. E' prossima una nuova sede per questo museo, un nuovo contenitore che potrà far ancora più risaltare quanto esposto; un materiale che rappresenta più che mai la cultura, la storia, la vita di Stolvizza e di tutta la Valle.


Stolvizza - Monumento all'Arrotino