i nostri emigranti

  Marcello Di Barbora - (Kingston) Canada (Paese friulano d'origine: Mortegliano)

                Kingston, 2 Aprile 2000 - Caro Aldo, giorni fa, Guido mi ha portato la tua E-mail nella quale dici che vorresti sapere qualcosa di più specifico sulla mia vita. Perchè dici che è un argomento di grande conforto morale per tutti e soprattutto per te stesso? Non credo di essere migliore di altre persone, che a causa delle circostanze, hanno dovuto aggiustarsi mentalmente a nuovi sistemi per fare cose che prima erano semplici, per non essere sopraffatti dalla disperazione che è sempre in agguato.
        Dal momento che tu pensi sia importante farla conoscere, in poche parole ti racconto la storia della mia vita.

        La mia giovinezza, come quella di molti altri della mia età, l'ho passata durante l'ultima guerra. Il 3 Febbraio del 51, come recluta sono stato per 3 mesi al CAR di Trento e poi trasferito a Cividale dove ho trascorso altri 12 mesi nella gloriosa Arma degli Alpini. Dopo il congedo sono andato in Francia e forse ci sarei rimasto se non avessi ricevuto una lettera scritta dai miei, nella quale mi facevano sapere che a Udine, una commissione Canadese cercava giovani con un mestiere, desiderosi di emigrare in Canada. Due giorni dopo ero di fronte alla commissione e 3 mesi dopo in Canada. Ho lasciato l'Italia il 28 Agosto del 54.
   
     I primi 6 anni in Canada li ho passati lavorando in un'impresa di costruzioni e poi ho fatto domanda per lavorare in una fabbrica dove ho prestato la mia opera per 16 anni. In quel periodo mi sono sposato con Licia che conoscevo da quando eravamo giovani. La nostra unione dura da 37 anni, abbiamo 3 belle e brave figlie che ci hanno dato 5 nipoti.
   
     Nel 71 sono andato da uno specialista per sapere la ragione dei problemi che incontravo nel camminare. Il dottore, dopo due giorni di prove fatte in ospedale, mi ha diagnosticato una malattia chiamata "sclerosi multipla", pronosticando che in pochi anni sarei finito su una sedia a rotelle. Purtroppo tutto quello che ha predetto lo specialista si è avverato e nell'Aprile del 76 ho dovuto ritirarmi dal lavoro.
   
     I primi mesi sono stati veramente difficili. Piangevo spesso e mi arrabbiavo con le bambine solo perché gridavano mentre giocavano. Non avevo voglia di fare niente e passavo tante ore a guardare fuori dalla finestra senza "vedere" niente. Per fortuna mia moglie che è una donna forte sia nel fisico che nello spirito, mi ha convinto ad entrare in un'ospedale attrezzato per fare esercizi di ginnastica. Dopo qualche settimana, mi hanno proposto di partecipare a un corso di scultura su legno. Quel programma mi ha convinto che potevo ancora produrre qualcosa di bello e che la gente era pronta a pagare le spese.
   
     Per qualche anno ho continuato a fare piccole sculture ma poi, essendo diventato più debole, ho dovuto cambiare arte. Il nuovo lavoro consisteva nello "scolpire" tavole di legno, bruciandole con la punta di un piccolo saldatore elettrico. Per usare il saldatore, avevo bisogno che qualcuno me lo mettesse in mano e lo legasse bene, ma quando incominciavo ad usare quell'attrezzo, mi sembrava di entrare in un'altro mondo dal quale non avrei mai voluto uscirne. In quel periodo ho creato diverse sculture, molte delle quali sono finite all'estero. Il mio amico Guido conserva ancora un paio di miei lavori.

        Purtroppo anche quella fase è terminata a causa della lenta ma progressiva evoluzione della malattia. Tuttavia, ancora una volta sono riuscito ad affrontare questa nuova battaglia: l'ho vinta con l'aiuto della pittura e del computer che, pur non capendone il funzionamento, mi consente di scrivere e perfino di… giocare a carte.
        Sono consapevolmente preparato per affrontare la prossima...

Quadro dipinto da Marcello Di Barbora,
 ispirandosi alla foto della 
Associazioni Volontari "Il Natisone"


Ce biele sere
(Marcello Di Barbora)
 

  Che âtre sere, dopo cene,
a sentasi 'o sin lats fôr
par cjalà la lune plene
cha sclopâve di lusôr.

E l'âer, che spèss al mene
fuéis e sfróss atôr, atôr
in chê sere al no fasêve
náncje un fregul di rumôr. 

Jo ài dit a la mê femine 
cha' gustave chel sflandôr, 
"No ti parê che chiste sene
a fâs la voe di fa l'amôr?"
 
"Ancje j grîs a son di vene 
sint ce alte cha' àn la vôs, 
cun che biele cantilène 
di sigûr lu cjatin fôr".

Jê rispuind, cun vôs di pene,
cha capîs il gno ardôr 
ma no sa parcè la cene
a ja fat, di cjâf, dolôr. 

La nature e simpri biele
ma a voltes a lasse il côur
frêd, e sence la fevele 
di preà il bon Signôr.
 


Non potendo usare le mani, per scrivere le sue poesie Marcello utilizza 
uno tasto speciale, per inviare gli impulsi in codice Morse al computer.


E' così che Marcello dipinge i suoi quadri.