biel lant a Messe a...

Venzone (UD), 27 Aprile 2008

Memorie di pre Antoni Beline
a un an de sô muart
Testimoneancis:
la famee, il paîs, il Friûl, la glesie

organizât da Glesie Furlane
www.glesiefurlane.it



 CANTO D'INIZIO

Testimonianze...

 

La lezione di pre Beline
ROBERTO IACOVISSI – La Vita Cattolica del 25 Aprile 2008 

Pierantonio Bellina era nato a Venzone l’11 febbraio 1941. Sacerdote, scrittore e intellettuale autonomista, è stato uno dei protagonisti di «Glesie furlane», ha tradotto la Bibbia in marilenghe, pubblicato una cinquantina di libri, diretto il mensile «La Patrie dal Friûl». È stato l’autore di una seguitissima rubrica sulle pagine della Vita Cattolica, «Cirint lis olmis di Diu». Domenica 27 aprile, alle 18, nel duomo di Venzone, pre Bellina sarà ricordato a un anno dalla morte con la celebrazione di una S. Messa, preceduta da testimonianze.

Al suo popolo continuamente additava il valore di una dignità irrinunciabile: quella dell’essere sempre sé stessi, assieme alla necessità della affermazione della propria identità e della propria cultura. Pre Antoni si interrogava con partecipazione personale e sapienza sulla rivelazione delle Scritture all’uomo d’oggi per cercarne una incarnazione nella vita dei suoi fedeli ed in quella sua personale 

     NEL 1995 DON PIERANTONIO BELLINA (nella foto) si era recato pellegrino in terra santa, e l’anno successivo si era recato a Santiago di Compostela con alcuni amici. Aveva raccontato queste due esperienze, tappe importanti del pellegrinaggio della sua vita su questa terra in due libriccini, come sempre ricchi di profonde riflessioni ed intuizioni, «Impressions di un levit furlan in Tiere Sante» e «A Sant Jacum, là che al finis il mont». Il primo, diario di viaggio che attraverso la scoperta dei luoghi della Terra Santa rilegge la parola di Dio incarnata nella storia antica ed in quella attuale del suo popolo, quello friulano; il secondo sorta di diario spirituale di un viaggio «lunc la strade di Sant Jacum».
     Anche per pre Antoni, come per la maggioranza dei fedeli, questi pellegrinaggi avranno un ruolo importante per la sua esperienza di uomo e di prete. «I grancj pelegrinaçs no dome a dividevin la vite in sens cronologjic, ma in sens spirituâl e propit parcè che la esperienze dal pelegrinaç, preparade, vivude, patide ju gambiave dal dentri. No jerin plui chei di prime, e si viodeve cheste diference te lôr cuotidianitât».
     Ma anche per lui, come per tutti gli uomini di questa terra, del resto, nessun santuario ha mai potuto sostituire il pellegrinaggio più grande, difficile, impegnativo mai richiesto all’uomo: quello fin dentro al suo cuore, là dove la sua povera, debole umanità si incontra con l’eterno splendore di Dio. Il suo pellegrinaggio terrestre, pre Antoni, l’aveva chiuso una domenica d’aprile di un anno fa, quando aveva telefonato al fedele nonzolo dicendo che non si sentiva bene e che aveva bisogno di aiuto, ma prima che qualcuno lo avesse potuto aiutare era caduto a terra, morto, davanti alla sua chiesa di Basagliapenta, davanti a quella chiesa che aveva varcato in una calda giornata del giugno 1982, indossando un bianco abito talare con impressa l’aquila patriarcale, emblema dell’antico Stato Patriarcale, con la quale, come aveva espressamente chiesto, sarà poi sepolto.
     Pre Antoni era anche un autonomista convinto. In occasione del 60° anniversario della «Patrie dal Friûl», il foglio autonomista di Felix Marchi e pre Bepo Marchetti, aveva scritto per il quotidiano «Il Gazzettino» un bell’articolo ricco di speranza nel quale affermava che «nonostante i risultati deludenti "de semence butade", noi continuiamo a seminare, a tenere accesa la fiamma della autonomia. Le difficoltà sono le stesse degli inizi, anche se non è uguale la autorità e la autorevolezza dei pionieri. Resta sempre saldo questo desiderio di autonomia, questa coscienza di una identità e alterità. Si tratta di continuare sperando nelle sorprese della storia e soprattutto nella intelligenza della nostra gente».
     Era stato proprio quell’abito con l’aquila patriarcale impressa, assieme alle sue omelie in marilenghe ed i suoi tanti libri, la manifestazione più sincera e costante dell’amore profondo per la sua terra, per la sua gente, per la sua lingua e per la sua cultura; in una parola, dell’amore indiscusso e sempre proclamato che nutriva per il suo popolo, al quale continuamente additava il valore di una dignità irrinunciabile: quella dell’essere sempre sé stessi, assieme alla necessità della affermazione della propria identità e della propria cultura.
     E proprio per sostenere il suo popolo in questa affermazione di identità, dopo 15 anni di lavoro, gli aveva donato la traduzione della Bibbia in friulano, la traduzione del Libro che lo aiutasse a nutrire la sua anima e la sua cultura, per ascoltare Dio che gli parlava nella sua lingua madre ed in quella lingua potergli rispondere.
     Perché pre Antoni conosceva bene il valore e la forza profetica della parola: di quella detta e di quella scritta, specialmente per la sua continua e spasimante lettura delle Sacre Scritture.
     Quella parola era stata, per lui, fonte cristallina di acqua pura, parola con la quale confidarsi e della quale fidarsi prima di ogni cosa, parola che trovava spesso espressione incarnata nella sua costante collaborazione al settimanale «la Vita Cattolica» con i suoi seguitissimi interventi nella rubrica «Cirint lis olmis di Diu», alla ricerca appunto delle tracce di Dio nella storia di ogni giorno; interventi che costituiscono forse la sua più elevata opera teologica e letteraria, vero ultimo dono di un uomo tormentato ma fedele nella sua missione di sacerdote e maestro quale egli era.
     Pre Antoni, in queste meditazioni sulle Scritture che scaturivano sempre da una lettura attenta dei fatti della vita che lo vedevano coinvolto, si interrogava con profondità, sapienza e partecipazione personale sulla rivelazione delle Scritture all’uomo d’oggi, non per una esegesi fine a sé stessa, ma per cercarne una incarnazione nella vita dei suoi fedeli ed in quella sua personale.
     E proprio in riferimento agli interventi puntuali di pre Antoni su «la Vita Cattolica» il professor Remo Cacitti, docente di Storia del cristianesimo all’Università Statale di Milano, nella sua postfazione a «Un cîl cence stelis», breve raccolta degli scritti di pre Antoni nella rubrica «Cirint lis olmis di Diu», aveva scritto che la figura di don Bellina «si staglia con vigorosa personalità non solo nel panorama della lingua e della letteratura friulane, ma anche in quella del Cristianesimo nella terra di Aquileia».
     L’ultima delle sue collaborazioni a questo settimanale era stata pubblicata nell’edizione di sabato 21 aprile, il giorno prima della sua prematura scomparsa, ed era una meditazione che, a posteriori, appare come una sorta di profezia del suo destino di uomo che sente di essere vicino all’incontro con il suo Signore. Scriveva, con profetica intuizione: «O vevi juste celebrade la Pasche cun lis mês comunitâts – nonostante le cattive condizioni di salute, pre Antoni aveva accettato di seguire anche un’altra parrocchia oltre la sua – cuant che, a colp, mi à brincât il mâl e o soi tornât a plombâ tal scûr orent dal Vinars sant, cu la vite che ti sta bandonant e cu la sensazion di jessi rivât insomp (o dapît) de tô corse».
     Non poteva, pre Antoni, negare la durezza della vita, che gli aveva riservato tante sofferenze nelle spirito e nel corpo, e non si faceva illusioni. In quell’«insomp» e in quel «dapît» della vita sta forse l’ultimo, e più terribilmente sofferto interrogativo di quest’uomo e di questo prete che nella sua vita non si è mai accontentato di verità precostituite da consumare senza tormento, per arrivare alla verità che ci fa liberi.
     Era anche, il suo, il grido dell’uomo che dalle profondità della sua condizione esistenziale chiama Dio: «Dal profondo della mia situazione personale, esistenziale, sanitaria, psicologica, spirituale ed umana, anch’io grido verso il Signore – aveva proclamato in uno dei suoi ultimi lavori, scritto durante la nuova malattia che l’aveva colpito nel 2003, "De Profundis", recentemente tradotto in italiano da Gianni Bellinetti col titolo "Dal Profondo" – sperando che ascolti la mia voce e che siano attente le sue orecchie alla voce della mia preghiera».
     Ma anche un grido verso il mondo, «un mondo doloroso e misterioso – di cui lui si sentiva pienamente partecipe – dove vita  e morte si incrociano, si mescolano, e si scontrano senza tregua, e ognuna vive e si nutre dell’altra». E soprattutto verso gli uomini, verso le persone di quel popolo che tanto amava, un grido non come forma di rimprovero, ma quasi come invocazione imperiosa di richiesta di affetto, di non dimenticare: «Quando sono arrivato in questo mondo, chi se ne è accorto? Quando me ne andrò, chi si scomporrà? Chi può perdere tempo ad ascoltare il mio grido, dal momento che tutti gridano la loro passione, e questo grido cosmico è tanto grande, tanto tremendo, tanto angosciante che non si riesce a sentire alcun tipo di suono? Come quando tutti piangono».
     Un grido di dolore, il suo, che dichiaratamente si univa al dolore del mondo. Ma che qualcuno, anche qui sulla terra, ha sicuramente ascoltato.

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Abbiamo archiviato la registrazione audio in 2 CD
disponibili per chi ne farà richiesta...

Venzone, 27 Aprile 2008
 

Memorie di pre Antoni Beline
a un an de sô muart
 
Testimoneancis: la famee, il paîs, il Friûl, la glesie
Coro de parochie di Guârt guidât da pre Sef Cjargnel
 

01 9.31 Introduzion organistiche

C
D
1

02 1.09 Benvignût di mons. Roberto Bertossi
03 3.40 Cjant del "Ino di Pasche"
04 7.23 Lu ricuarde il fradi
05 4.33 Cjant
06 16.18 Lu ricuarde un cjargnel
07 3.25 Cjant
08 9.30 Lu ricuarde un parochian di Visepente
01 5.53 Cjant

C
D
2

02 6.17 Lu ricuarde un fedêl ocasionâl
03 4.35 Il pinsîr di pre Lorenzo Dentesano
04 2.50 Cjant del Glorie
05 2.45 Cjant
06 1.28 Cjant del Aleluia
07 9.49 Predicje del plevan mons. Roberto Bertossi
08 3.42 Cjant
09 1.25 Cjant
10 1.19 Cjant
11 3.54 Cjant
12 6.27 Letare al Vescul di Udin
13 2.59 Cjant finâl